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L’ AVARCHIDE
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unici il 11 A sii il il il 1
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Canta, o Musa, Io sdegno e T ira ardente
Di Lane do Ilo del re Ban figliuolo.
, C. /, Si. i.
t/s fédtlurc a c/tt ft\
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A J essere ingenuo, tacere non posso clic il poema clic or ti
presento, fu dagli storici assai censurato, siccome privo di estro e
di calore, non essendo clic una imitazione pressoché servile del-
l’ Iliade. Ma il vederne eseguite varie edizioni, ed il riscontrarlo im-
presso nella raccolta de 1 più celebri poemi fatta per cura del chiaro
aliate Pierantonio Serassi, mi è pruova, che se mancano invenzione
c calore, il trovarvi sparse per entro ottime massime di morale, il
sentirlo dettato con pura lingua, e assai volte con armonico verso e
leggiadro, il fece, più che non crede il Ginguenò, gustare e leggere
ila chi ama occupare qualche ora di ozio in grate letture.
li per ciò che io te l’offro, o cortese ^ è per ciò che il corredai
di nuovi argomenti ad ogni canto e di nuovo indice delle materie.
Pensa che questo poema fu l’opera della vecchiezza di quel
celebre, che aveva dettato 1’ altro classico della Coltivazione ; pensa
che l 'Alamanni, è uno de’ poeti che diedero maggior lustro all’Ita-
lia, e pensa che il lavoro che t’ offro è testo di lingua.
E per dirti qualche cosa intorno alla tessitura di esso, sappi che
I’ Autore prese il titolo d’ Avarehide dall’ antico nome della città
assediata, come il nome dell’ Iliade deriva da quello il’ Ilio. Avar-
cum o piuttosto Avaricum , è 1’ antico nome della città di Burges
nel Borrì. Gli eroi del poema sono Artù, Lancilntto Tristano, e gli
altri cavalieri della Tavola ritonda, e l’ Alamanni operare li fa e
discorrere come Agamennone, Achille, Ajace e gli altri eroi della
Grecia.
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Tutti gli avvenimenti particolari dell’ assedio sono foggiati sulle
particolarità dell’ assedio di Troja ; caratteri per caratteri; discorsi
per discorsi ; battaglie per battaglie. E vero ciò dice Ginguenè, che
manca il nerbo e la vita, che i nomi oscuri e barbari sono opposti
all’ armonia del verso ; ma le altre notate qualità, non possono far
dannare questo poema, come egli porta sentenza.
I fatti son fatti, ed è vero quello, che per la bontà del verso,
l'opera si legge con piacere, c con istruzione di chi vuol apparare
la propria lingua.
Fiiavcesco Zaisotto
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L AVARCHIDE
ini s i
un
ARGOMENTO
jRfr l acerbo parlar del reo Careno
/)’ ira 9* accendo n Lancilollo e A riuro,
Ai le offe te fra loro hanno pia fi ino.
Ai rat consiglio di gurrnrr utuluro ;
Chi Lane Hot ta . pica d' aspro rene no.
Di partire dal campo in cuor fa pi uro ;
Ma consolato dalla madre , a parte
Jhmun co' tuoi, lungi dal fero Marte.
C *
anta, o Muo, lo «degno e t Ira ardente
Dì Lancilotto del re Bau figlinolo
Contri 'l re Arturo; oode ti iuiiranirnle
Il Britannici' pianse, e’I (Vinco stuolo;
£ tante anime chiare afflitte e «peutr
Lasciar le membra in sauguiuoso duolo,
I)' empi uccelli e di cau rapina indegna ;
Come piacque a colui che muove e regua.
li
Or chi fu la ragion di tanta lite ?
Gaven, che deli' Orrania era signore.
Che porto invidia alle virtù gradite
Di Lancilotto, e gli pungeva il rure.
Che per opra di lui (unir fallite
Le nnxrc, eti ci bramò con troppo ardore
Di Claudiana di Clndasso figlia,
(die fu bella e leggiadra a maraviglia.
Ma temendo di lui, gran tempo tenne
L'uno e l'altro dolor nel petto ascoso,
Fin che T ristati con le «ne genti vcune;
All' arrivar del quale il re famoso
Fe''l consiglio aduoare, ove convenite
Ogni duce maggior onde fu oso.
Di dar principio alle dannose risse ;
E drizza tose in piedi, cosi disse :
IV
Invittissimo Arturo, poi ch'io veggio.
Clic tutto il rielo •' vostri onori aspira ;
£ che nulla temenza avrai di peggio,
(die ne possa d'altrui fare iugiiisl' ira .
D'aperto palesar divoto dileggio
(Come colui, ch'ai suo dover rimira)
Quel, rh a voi sia vergogna, e strazio e multe
A chi segua di voi l' istcssa sorte.
v
Qui con voi Unti duci avete e (ali.
Tanti gran cavalieri, e tanti regi,
Che di quanti mai furo, e lidi mortali
Biporlar ne porrian le palme, e i pregi ;
Se uon fo>se tra lor chi gli immortali
(Non pur simili a noi) par che dispregi ;
£ non sol voi, ma Chi nel ciclo ha regno
(Cred* io) che ticu di comandargli indegno.
vi
Questi per sempre aver l'impero iu mano,
E voi siguoreggiar rmr gli altri insieme,
Fa d' ora in ora ogni disegno vano
Del lungo assedio, che i unnici preme ;
Tal rhe 'I fin è più che già mai lontano,
£ nien eh’ al romiuciar si mostra speme
D’ espugnar piu lo sventurato Avarco,
Che prender »i dovrà nel primo varco.
L AVARO H IDE
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L WARCHI I) E
8
E kfne ad uopo fu, che d altra parte
Eran là giunti di Cludasso i figli,
Ch'avean già molte mura a terra «parte,
E molli vostri rampi eran vermigli ;
Quel rli'i» facessi allor con forza ed arte,
Altri a narrarlo la fatica pigli ;
So ben, che I* un con pare, e i due con guerra,
Fei, che non danneggiar la vostra terra.
XIXVI
Or se, scacciati quei, venuto sete
Qui per punirgli, e far sicuro voi,
Con qual cor, con che voce affermerete.
Che guerreggiate per onor di noi?
Desio di gloria, e di vendetta sete.
Non amor del re Bano, o d' altri suoi.
Del quale nr vi conosco troppo parco.
V' ha qui menalo ad espugnare Avarco.
Cosi detto s' assise, e 'I re sdegnoso
Rispose : Senza fin grazie vi rendo
Dei buon ricordi, e del desio bramoso
Di tutto quello, ove la voglia intendo :
Che cerchiate per voi pace e riposo.
Lasciando me, nessuno affanno prendo ;
Che molti altri ho speranza all* onor mio
D* aver più amici, e sovra lutti Dio.
xuu
E non ri tendo voi penserò avere
D'ogni lite e queslion purgalo il rampo;
Il qual pia iu pare non polca tenere.
Nè contro al vostro orgoglio avere scampo}
Se *1 ciel vi disi d'ogni altro cavaliere
Di forza e di valor supremo lampo.
Dovreste in guerra usarlo, e tra i nemici.
Non, cura' or, nei consigli e tra gli amici ;
E quando ei fosse pur, divolamentc
Vi prego, che lasciate ornai l'impresa;
Ch* io uun intendo voi, né vostra gente
Adoprar per aita n per difesa :
Ben ho fatto e farò più che dolente
Con questa man chi m'apgia fatto offesa;
Sicché potreste indietro ritornare,
Se voi per questo sol passaste il mare.
XXXVIII
Da voi rifiuto ogni paese e loro
Già da* miei prr addietro posseduto;
Perch'io prezzo niente, non che poco.
Ricchezze, possessioa, regno o tributo ;
Ogni altra rosa in somma mi par gioco.
Se non quel vero onor, che n* é dovuto,
DelTistessa virili, che da noi nasce,
E di cibo immorlal gli animi pasce,
xxxix
Lisciatemi pur voi povero e solo
Con l'arme, c coipensirr, ch'io porlo in seno;
Che s' io non potrò far Iropp'alto volo.
Nella mia libertà slarninmi almeno :
E poi che, quanto più v’ adoro e colo.
Tanto ioo più schernito da Gaveno,
E meno il mio servir sempre v’ aggrada ;
Non intendo per voi cinger più spada.
xt.
Cosa che senza colpa io posso fare.
Non essendo tenuto a giurammio,
Né di cavalleria, nè d altro affare.
Che d' ogni nodo libero mi trillo ;
L* omaggio iu vostra man lassai pigliare
Da Boorle, e dagli altri, a coi consento
Quanto mai trovrran di tutto il bene
De* nostri antichi, che Clodasso tiene.
, XLI
E ver, che nel mio cor disposto ave*.
Di vni sempre seguire in ogni guerra ;
Ma dispose altro la fortuna rea,
Che *1 laminili disegnato spesso serra}
Nè desio men di quel che già solea
Di vedervi felice e grande in terra:
Dio vi dia pur vittoria, e metta in core
Di pregiare e innalzar chi merla onore.
Nè conir’ a me, cui la bontà divina
Ha più degno, eh' a voi, donato loco ;
Gitene or dunque, dove più v'iorhina
L'alta vostra superbia, e 'I vostro foco;
Che quel che 'I ciclo in atto mi destina.
Non mi potrà fallir, sia mollo o poco ;
Altresi a voi, che *1 Re della Natura
Egualmente di tutti ha dritta cura.
xlv
Poi che *1 re si tacca, più non potendo
Il fido Galealto ornai soffrire,
Incominciò: Per quel ch'io veggio e 'olendo.
Troppo infiammati suo gli sdegni e 1* ire,
Invittissimo re, nè brìi comprendo,
Come vi possa l'alma consentire,
Per si breve ragion di perder tale,
Ch'assai più sol, che lutto il mondo vale.
x«. vi
Lassiamo andar, che '1 suo partir vi foglia
Di mano ogni vittoria ed ogni spene ;
E che ne dee venir dìsnore e doglia
Alla vostra corona, agli altri pene ;
Perchè T uom putite aver talvolta voglia
Di convertire in mal I’ avuto bene,
Ma qual potrete dir giusta ragione
Che da voi nasca nn simil guiderdone ?
Xl r ll
Chi non sa di costui l'alto valore,
E 'n servigio di voi le divin'opre,
O rh'egti è senza orecchie, o ch'egli è fuore
Di questa vita, e molta terra il cuopre ;
Ma qnaudo ei fosse ascoso, al vostro core,
Ch' è il sommo testimonio, ognor si scuopre,
Ognor si mostra I’ alta sua virlute,
Che partorì piu volte a lui sadule.
XLVIII
Non è presente ognora agli occhi vostri
Quel, eh* ei fé’ conir' a me nel gran bisogno?
Ei sol >* oppose ai gravi assalti nostri,
Gli affrenò sol (nè a dirlo mi vergogno)
t he chi '1 scrivesse, i più famosi inchiostri
Tutti presso di lui parrrbher sogno ;
Col suo valore il mio furore rslinse,
E con la sua boutade alfine ii vinse.
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L AVARO II IDE
lo
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L AVARCHIDE
Voi, chiaro Lanciotto, che ripieno
Di valor, e d’ ardir piò d’ altro estimo,
Sappiate pur, eli' aneli* io mi tenni almeno
Secondo sempre, e ben sovente il primo ;
Nè giammai di timor mi strinse freno,
£ ponetemi il Cielo in allo, o in imo.
Con Ettor, con Giron, con Febo il Bruno
Combattei spesso, e non cedeva a alcuno:
LXIV
E col vostro re Ban, col re Boorte
Mi ritrovai piò d' una volta in pruova |
Vinsi e perdei, come volea la sorte.
Che non sempre P islessa si rilruova ;
E se lor non venia subita morte,
Io passava di qua con geute nuova
Per dar soccorso a quei, ma in mezzo il mare
Ebbi d’ ambedue lor le nuove amare.
ixv
Questo dich* io, perchè sappiate il vero,
Ch'io v'amo, e v* amerò qual proprio figlio;
E che vogliate credere al sinrrro
Mio prego, ed amorevole consiglio :
Rendete obbedienza al sommo impero
Del vostro Arturo, e pongasi in raglio
Ogni altra rosa andata, che sovente
L' uom di tosto crucciar tardi si pente*
Ricordatevi poi, eh' un tal guerriero
Non si truova talor dopo molti anni,
E chi Pha, noi dee perder di leggiero.
Ma ben servarlo a simiglianti affanni ;
Egli ha molto giovato al vostro impero,
E molti a tutti noi schivati danni ;
Egli è pur sempre (e tutto il mondo salto)
Stato del vostro campo argine e vallo.
LXZI
Al buon vecchio reale il grande Arturo
Tal feo risposta, e molto meno irato:
Ben vegg’ io quanto sia saggio e maturo
L'alto cousiglio, die da voi n’ è dato,
Ottimo re dell' Orcadi, e vi giuro.
Che la forza e I* onor in' han qui menalo,
CIP io I ho mai sempre col inedesmo amore,
Che sì deve un fi^lìnol, portato in core.
LXXIt
Ma con qnal dignità soffrir pois* io,
E gli oltraggi, e gli schermi, che mi face?
Chi P adorasse pur qual proprio Dio,
A pena seco aver potrebbe pare :
Sempre sprezza e contrasta al parer mio,
K di maggior tenermi gli dispiace :
Di nessun piò gli cale, ogni uomo sdegna
Quest' anima d’ orgoglio e d' ira pregna.
E ritornivi a mente, come voi
Non srte in molte parti a lui simile :
Dio gli ha dato poder sovra di noi,
Come al degno paslnr sovra I* ovile ;
E P aver riverenza ai signor suoi,
Nasce da nobil animo e gentile;
E quanto in voi risplende piò il valore,
Tanto piò onor vi Ila rendergli onore,
txvu
E voi, famoso re, dovreste porre
Ogni perturbazione ornai da parte ;
Legare i sensi, e la ragione seiorre,
E rivestire il cor di reai arte ;
La quale è, dolcemente di riporre
Nel camroin drillo dii da lui si parte;
E serbare il corrurrio all’ ultim’ ora,
Che veggia altrui d' ogni speranza fuora.
LITUI
Chè troppo spaventevole è quell* ira,
Ch'arrenda chi può far ciò che gli aggrada :
Chi non guarda al principio, indarno lira
Il fren da poi, che mal riirnova strada:
Rare volle cadrà chi fiso mira
Il cammin che dee far. nè ad altro bada;
F. dii piò lien colle sue forze speme.
Piò traova intoppo, che P abbatte e preme*
LXJX
Non ba tanto fallito, che non merle
Lanrilotto da voi largo perdono ;
Che spesso prende P uom per vere e certe
Le cose, che incertissime poi sono;
Pen sò, che voi gradiste quelle offerte,
Ch* ei fe’ de" prigionieri, e eh’ e*«o dono
Non vi dovesse offendere ; or che sente
Avvenirne il contrario, si ripetile.
Qui Lanrilotto, lui mirando torlo,
Sdegnato piò che mai, rosi dicea :
Voi mi vedrete pria sotterra morto.
Che seguirvi inai piò, rora’ io solea ;
Per altro nuovo mare, iu altro porto
Mi condurrà la mia fortuna rea ;
E la ragion mi fa sperar di' un giorno
Bramerete anco iudarno il mio ritorno.
Lxxiv
Finite le parole, vòlse il piede
Verso il suo padiglion poro lontano;
E Galeaito pio, ripien di fede
Il seguitava sol tacilo e piano.
Vota lasriò di sè la rral sede
Arturo, e seco ogui altro capitano ;
Poi ripien di pensier, turbalo e bruno,
AI proprio albergo ritornò ciascuuo.
LXXV
Posesi Lanrilotto lungo il rio,
Lonlan da tutti i suoi, doglioso e solo ;
E d' uccider Gaveuo ora ha desio,
E di dare al suo re perpetuo duolo ;
Or, dove il porterà suo destin rio,
DÌ prender brama un disperato volo ;
E mentre questo e quel danna ed appruova,
Viviana innau/i agli occhi si rilruova.
LXXVI
Alla qual cominciò : Cara e gioconda.
Piò di* essa madre, eh' io non vidi mai.
Chi v' ha menato qui sopra quest' onda
A contemplar le mie vergogne e i guai ?
Ond'oggi «i gran numero ni* abbonda.
Che per mille, oltre a me, sariano assai ;
Or son gli onori, or son le palme queste.
Che tante volte già mi prediceste ?
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L AVARO II II) E
XCI
Mentre coni parlava, gli risponde
Sorridendo la donna in lai parole:
Non della lana i monti, o del Wll 1' onde,
O (qual di Giove la Trbana prole)
Là 've più eli' a noi qui lardo i asconde,
O più tosto, e più bel si mostra il sole ;
O dove sralda più, convieu cercare.
Volendovi coi merli eterno fare.
xcvm
E ’n questo convenente gli promessi,
Ch* ci mi facesse un loco fabbricare,
Il qual serralo eternamente stessi,
Nè forza o ingegno vi potesse oprare ;
Ma che '1 modo d' aprirlo io sola avessi,
Lontana, o presso, eh' io '1 bramassi fare,
Perdi' aveva un nemico, eh’ io trinca,
Che non mi conducesse a morte rea.
XC>!
Perchè in questo paese, e ’n qnesto loco,
In queste nostre parti ime e palustri
V’ è dato ad esser tal, che parrai) gioco,
Quante altre antiche furo opere illustri:
Stancherai!)! le penne, c verrà fioco
Per voi più d'un porta, e gli anni e i lustri,
E i secoli infiniti non potranno
Fare al gran nome vostro ingiuria o danno.
xcix
E eh’ ancor mi mostrasse il modo e l’arte
D* antiveder, qual ei, ciò cb' esser deve,
Che s' io mi ritrovassi in qualche parte
Senza T aita sua, mi fosse leve
Per la virtù di sue celesti carte
Esaminar mia sorte, o lieta, o greve ;
Schivando accorta ogni mortale inganno,
Che mi potesse far vergogna o danno.
xdti
E rrediatemi certo, eh' io non dico
Cosa, che non mi sia Lrn manifesta;
Però ehe intera di Merlino antico
La divina scienza oggi mi rrsla ;
Che nel tempo cb* ei fu mio raro amico,
Udii cortese la preghiera onesta,
Ch’ io gli fei, di chiarirmi V arti oscure
Di preveder le cose a noi future.
c
Amore (oprando in Ini, siccome suole
Mai sempre usare in ogni suo seguace)
Fe*, che Merlino, il qual sapea del sole
Tatti i segreti, e d’ ogni errante fare,
Non conobbe esser false le parole ;
Ma stimando il mio dir certo e verace,
Fabbricò il loco, e di ertimi la dottrina,
Per cui si scorge la virtù divina.
XCIV
E pria rhe ciò avvenisse, gli avea detto
CI»* io d'aver un figliunl bramava multo,
Ma che sopra il mortai fosse perfetto.
Di virtù colmo, e d' ogni vizio sciolto,
Che s» chiamasse il cavalicro eletto.
Ove il cielo ogni bene avesse accollo ;
Frmmi risposta : Donna, a non mentire,
Di voi non deb he prole riuscire:
a
Onde agevol mi fu qnasi in quell' ora,
Mostrando far di quello albergo prnova,
l)i serrar!' ivi, dove ancor dimora,
E 'n cui l'alto saver nulla gli giova:
E di traci* indi ini ritiene anrora
L'antica ingiuria, e la temenza nuova,
Che ’l Ciel mi mostra, die s’ ei fosse sciolto.
Mi saria con la vita ogni ben tolto.
XCV
Ma vi apprenderò il modo, onde potrete
Averne un, che fi* Lai, ch’appunto nacque
Il passato anno, a cui le stelle liete
Proinetton quanto onore in uommai giacque:
In tal modo, in tal tempo il troverete,
E mi fé* ben vedere il luogo e Tacque,
Là V io v'accoUi, e l'incantato lago,
In cui soletta d' abitar m* appago.
Cll
Vedeva ancor, che'l gran valor di voi
Dovea nel tempo mortalmente odiare ;
Non sperand* ei giammai, di’ alcun de' suoi
Potesse a pari altezza sormontare;
Nc pensava io possenti ambi due noi
IV alla sna gran dottrina contrastare :
Che la spada non vai conir' a quell' arte,
Ed io so molto men, che le sue carte.
xcvi
Nè mancò tutto quel di farmi poi.
Che v’ è avvenuto, e vi avverrebbe, chiaro;
Affermando : Ei sarà mai sempre a voi,
Come del ventre stesso, amalo e caro;
E de* pregi diviu, dei inerti suoi
Fta 1 vostro cor, più che di vita, avaro.
Cosi dicea sovente, e non trovai,
Che d' un momento sol fallisse mai.
CUI
Così merla penlon la rotta fede,
E *1 mio duro voler, che sembra ingrato;
Che l'altrui mal, che per suo brn procede,
Sovente ha Ira' miglior prrdon trovato.
Or per tornare a voi ; d* onore erede
V' ha fatto il Ciel, die sempre sia lodato.
E ciò sia in questo loco, in questa terra.
In questo tempo istesso, iu questa guerra.
XCVlt
Desiando esso poi di sposa a verme,
Non mi piacque accordarmi alle sue voglie,
Che poi eli' uscir di me non dovea germe,
Volli sola restar fra le mie soglie;
Ma perchè di me semplice ed inerme,
Non riportasse alfin vittoria e spoglie
Uom, ch'era armalo d' immortai sapere,
Mi convenite al mio stato provvedere.
civ
Pregovi or dunque, o mio famoso figlio,
Che senza altro pensar, qui vi restiate,
E che nel mio materno «ila! consiglio
(Qual eonvirusi a ragion) speranza aggiate,
Che vedrete in tal pena, e ’n tal periglio
Le genti altere, die vi furo ingrate,
E ’n roti sanguinoso e largo strazia.
Che vi farà pietoso, non die sazio.
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«7
L AVARCH1DE
CT
Nel fin delle parole, il gran guerriero
Tulio cangialo in cor, rispose tale:
Prrrh* ogni vostro dello amico e vero
Sempre ho trovalo, e con gli effetti eguale,
Vi credo interamente, e *' all* impero
D* Arloro annunzia il Ciri futuro male,
Voglio obbedirvi, e qui restar da parte,
Senza ferro vestir, nè seguir Marte.
evi
S* io noi vedessi alfine in tale stato,
Che l'onore, e '1 devrr forza mi fesse,
Ch' al non fallire iu ciò pur m' han legato
Di chiara nobiltà le leggi istesse ;
Ma da necessitade in piu d' uq lato
Lui vedrò prima, e le sue genti oppresse ;
Non per conforto mio, che nobil petto
Non può deli' altrui mal prender diletto ;
evu
Ma perchè tutto il mondo, ed egli impari
A non esser ingrato a chi ben serve;
A noo mai dispregiar gli amici rari,
L’ empie lingue onorando e le proterve ;
Né sotto un giogo fare andar di pari
Leoni arditi, e limidette cerve.
Ma saggiameule, e con ragion disporre.
Poi secondo il de ver levare e porre.
eviii
E perchè suoi la gregge, e ’1 vile armento
Dormir ron guardia di fossato o muro,
K *1 feroce leou senza spaveuto
Aperto in mezzo i boschi star sicuro,
Noo vo* che cinga il nostro alloggiamento
Cosa, che renda il passo angusto o duro :
Meco la guerra avrà, non eoa la soglia,
Chi di quindi scacciarmi avesse voglia.
CI*
Così detto, spianar gli argini e i valli,
E riempir i fossi feo a intorno.
Quanto lo spazio tiene, ove i cavalli,
E gli altri suoi gnerricr farean soggiorno;
Comandando ai compagni ed ai vassalli,
Che non veilister arme notte o giorno,
Se contro a lor non si vedrà 1* assalto,
Ed a suoi fé* ‘I medesmo Galealto.
ex
Così tutto ordinato, già Viviana
D' averlo ritenuto assai contenta,
Da lui disparve, e eia poco lootana.
Sotto il suo lago, a primi studi intenta ;
Ed ei con Galealto, dell* umana
Miseria ragionando, sì lamenta ;
Poi ranchiudon fra lor, che 1* nom lodalo
Dee quieto stare a quanto il Ciri gli ha dato.
exi
Ma perchè già inchinava all* occidente
Febo, menando il giorno in altra parte,
Prende ristoro ornai tutta la geute
Tra le semplici mense a terra «parte:
Sullo 1' albergo poi, che rozzamente
Di frondi è fallo con salvalic' arte.
Si ripon lassa, sopra giunchi c paglia,
Infiu che ‘I nuovo di nell* alba sagiia.
3
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A VARCHIDE
ARGOMENTO
yirturo sorge dalle piume e aduna
/ capitan per assaltare A varco.
Aringa /or, nè tace causa alcuna
Che lo spinge a brandir la spada e. f arco:
Prendesi di pugnare , e la digiuna
lì rama si spegna in pria ; poi sotto il carco
JìelC armi ognun si mostra al rege Arturo,
Clodasso pur co’ suoi esce dal muro.
IVIcntr’ogni altro mortai di mrr sciolto,
Dava riposo all’ affannate membra ;
Di gravosi pensieri Arturo avvolto,
1 1 sonno ha in bando, e d'avvampar gli sembra ;
Meli' alma Ita fisse le parole e ’l volto
Di Lanrillolto irato, e si rimembra
Di quanto è stato, e '1 punge ancor l' immago
Del fido Galcalto, e del re Lago.
li
L’ ira lo spinge c sprona, tema il frena
Di non portare a' suoi danno e disnore,
Che non vorria però sentir la pena
In altrui gir del suo commesso errore ;
Ha la mente reai di dubbio piena,
<tn» combatte il profitto, e qui l‘ onore :
Vince alfin la virtude, e vuol eh' ei vada
Per piu lodata e più dannosa strada.
in
Die* egli, eh’ un tal re mostrar si deve
Più sempre ardito nell' avversa sorte,
Che nulla impresa è perigliosa, o greve
All' alto, valoroso, animo forte ;
E se 'I prender Avarco fia mrn leve,
Non avend’ ri di Lancillotto scorte,
Che mollo ancor maggior fia la vittoria,
Senza quel die ricopre ogni sua gloria.
IV
Cosi fermo nel cor, pria che 1* aurora,
Spiegali i biondi crini, annun/ie il giorno;
Sopra del letto suo sedendo ancora,
Le sete e gli ostri si ravvolge intorno :
Poi l'uno e l'altro piè traendo fuora,
Di panno porporino il face adorno,
K 'n basso armato di ben culla pelle.
Gli spron l'adatta dell’ aurate stelle.
La reai chioma sua ricopre poi,
Onde possa sprezzar la pioggia e '1 sole ;
Cinge»! indi la spada, che de’ suoi
Fu lunga posscssion di prole in prole;
Veste il bel manto, eli’ a quegl' altri eroi
Mostra, che sovra lor l' onora e role;
Prende lo scettro al fin, che in alto pende,
E, quale ardente sol, di gemme splende.
vi
Monta sopra il cavai, non un di qoelli,
Ch* usava in guerra, e ’n perigliose pruove;
Ma picciolo, e che insieme i piedi snelli
D’ un lato istesso dolcemente muove;
Vieta, eh' alruno il segna, o gli altri appelli;
Ma tutto sol, mostrando gire altrove,
Al padiglion, che poco Innge avia
11 vecchio re dell’ Orcadi, i invia.
VII
Trnoval, che del suo letto uscito a pena
Tutte le vesti intorno anco non ave,
Tal che di maraviglia I' alma piena,
Gli dice : O sommo re, qual caso grave
Davanti al giorno, e cosi sol vi mena
Verso colui, cui nulla è più soave,
Che I* obbedirvi ? e perché non più tosto
Fu di farmi chiamar da voi disposto ?
VIU
Risponde Arturo : Io vi volea soletto
Innanzi all' apparir de’ duci nostri
Aprir nuovo prnsier, eh' io porto iu petto,
)n cui pubblico ben par si dimostri,
Glie non trovando mai d* amor difetto,
Né d' alla fede, ne' ricordi vostri,
Ragione è ben, che ciascun mio consiglio
Scuopra a voi prima, come a padre il figlio.
IX
Sappiate adunque, che 1' andata notte.
Che sola in gravi cure consumai,
Conoscendo le cose a tal condotte,
Che se ne può temer vergogna e guai.
Poi che I' aperte strade n'ha interrotte.
Chi 'I devea meno, e di cui men pensai ;
Disposi in me, col pio voler di Dio,
Di non ceder (temendo) al tempo rio ;
x
Ma qual franco noerhier con vela c remo
Al contrario soffiar volger la prora,
E n'awegna che può, ch'io nulla temo,
Che 'I porlo amalo non si trine ancora.
Che se in vera concordia oggi vorremo
Spiegar I' alla virtù, che in noi dimora,
So ben, eh' A varco non terrà sicuro,
Ferro o fuoco, eli egli abbia, u fosso o muro.
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L AVARCniDE
XI
Ma perchè io dubbio son, ch’una gran parte
Dell* esercito nostro noi contenta,
Che chi invidiando si starà in disparte.
Chi pereti* a Lanrilotlo ha l'alma intenta.
Questi èsno amico, e quegli il tiene un Marte,
E senza lui veder tatto paventa,
Ma spero in voi, che (se *1 vorrete usare)
11 vostro dolce dir può il tatto oprare.
XTSf
Certo che d' on si ardito cavaliere.
Con gli altri poi, ch* a lui d'intorno sono
In si stretto bisogno (a dirne il vero)
Troppo saria il soccorso utile e buono ;
Ma senza quello ancor sicuro spero,
Prima per somma grazia, e proprio dono
Di Chi fa il tolto, e poi per l’opre vostre,
Che la vittoria fia nelle man nostre.
XII
S* a voi dunque paresse, io loderei
Di chiamar tosto il pubblico consiglio,
Al quale apertamente conterei
L* onor di talli in quanto sia periglio ;
E come oggi sarem di viltà rei,
E del primo valor posti in esigilo,
S* alcuna prnova non mustriaiu di noi :
Voi seguirete ragionando poi.
xtx
E ben dir si poma, che quella speme,
Ch* avea ciascun di noi nel suo valore,
Ne farea incauti, e mrn concordi insieme.
Che ’l soverchio sperar padre è d’ errore.
Ma $' alqnanto timor gli animi preme.
Vira più sano il consiglio e saldo il core ;
Tal che noi aon arem, chi dritto stima,
Più dubbioso il trionfo oggi che prima :
xm
Dolce e ridente il valoroso vecchio
Risponde: Or vrgg* io ben l'alta virtnsle
Di i’andragon, come in un chiaro specchio.
Che col senno reale in voi si chiude;
All* obbedir più pronto «n* apparecchio,
Ch* a ricercare ornai martello o mende
Per fabbricar consigli entro al mio seno,
De* quali ottimi e certi sete pieno.
xx
E tanto più, che forse oca i nemici.
Che gli sdegni de* nostri avranno uditi ;
Pensando i Cieli a* lor disegni amici,
Molto più del dover saranno ardili.
E *n brevissimo tempo se infelici,
E noi vedranno di lassù graditi,
Pur che noi di«pnniam con gran ragione
Di bene osar la dritta occasione.
XIV
Così fermo io tra lor, fu comandato,
Che la tromba reale immantinente
Al pubblico consiglio in ogni lato
Chiamasse i maggior duri, e l'altra genie;
Tosto clic tutto il popol fu adunato,
Sovr* alto trono astralo degnamente
Po*».» il re prima, agli altri illustri foro
Dati dovuti seggi ai merli loro.
xxt
Loderei dunque molto, che *n qnest'ora,
Quando si crede meno, ordin si desse
Di trarre il nostro escreato di fnora,
Che con diversi assalti ricingesse
La città intorno, a dimostrar eh* ancora
Avrai quei cori, e quelle roani iit«sse,
Quel medesimi valore, e quella gente,
Ch* han provato olirà il mare, e qui sovente.
XV
Allora in chiaro e placido sembiante
Riguardandogli intorno, il sacro Arturo
Cosi dicra : Colui, eh* ha sempre a vanir
Il presente, il preterito e *1 futuro.
Che 'ntrnde il tutto, e con le luci sante.
Aperto scerne quel ch'agli altri è scurii,
Sprsso conduce 1* uom per via di pene
Al proprio desialo e sommo beue.
XXII
E quando anco, signor, paresse a voi.
Che ciò fos«e a tentar troppo periglio,
Ma senza quello irato, e gli altri suoi
In pare dimurar, miglior consiglio ;
Col proprio amor, come se fuise a noi
Padre ciascun di voi, fratello, o figlio.
Prenderò tatto in grado, e ’n questo giorno
Presto son nel mio regno a far ritorno.
XV|
Ed ora che i mortali spesso fanno
Cose, che colme a noi srmhran d’ errore,
Ch* alfin reggiamo, onde %' attende il danno,
H nostro olii venire e *1 nostro onore :
Alle prime virtù, che in allo stanno,
Non arriva peusier d' innari vaiorei
E perche il lor voler più ascoso vada.
Non tengon sempre la inedcsma strada*
XXIU
Chi comon è di voi, non di me solo,
Quel che ne dee seguir dimore, o gloria :
Radiami non sentir nell' alma duolo
D* avervi ascosa, o tolta la vittoria,
0 che la colpa mia chiudesse il volo
All'eterna di voi chiara memoria:
Nè d’ altro calme, il resto pongo in Dio,
E *n voi moderator del voler min.
XVII
Io noo posso negar, eh’ io dovea forse
A più gran sofferenza ieri armarme ;
Ma 1* altrui fero orgoglio tanto scorse,
Ch* io piu non volli, e non potei frcuarme,
Ch* assai giusta cagione a dir mi porse,
Ch'io non lenirà restar senza quell* arate,
Ch* eì troppo apprezza, tra voi tali e tanti
Re, duchi, coliti e cavalieri erranti.
XXIV
Qui si tacque, e *1 re Lago il dir riprese:
Famoso re, poi ch* all* antica etate
Ogni legge, ogni gente, ogni parse
Conceduti la suprema diluitale;
Rispondo il primo, e dico, che 1* imprese
Con si chiaro valor già cominciale,
E lungo tempo andate, e al fin ristrette,
Non si devun lasciar, se non perfette.
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L AVARO II IDE
XXV
E'I vostro alto e magnanimo disegno
A {Termo, e che la terra ornai a’ attaglia,
r.hè pur troppo per noi sarebbe indegno,
Dar vilissimo indugio alla battaglia;
E non veggia Clodatso, eh' un tal regno,
The non pensiam, rhr so vr 'ogni altro taglia,
Sia per avere un solo o due perduto,
AH’ estrema ruina oggi venuto.
xxvi
Gran danno veramente è stato e grave,
Di Galeallo, e più di Lanrilotto,
Ch’ al gran bisogno abbandonati n’ ave,
E ’1 più saldo pensier nel mezzo rotto;
Ma per questo so ben eh' alcun non pavé.
Che per servire a voi sia qui condotto.
Di far fede ora, e sempre a quelle mura,
Come contr* a virtù niente dura.
XXVII
Noi non venimmo in questo (ito strano,
Di rosi nobil re seguendo i passi,
Per far chiaro con I" opre, che fia vano
Di noi l'alto rumor, ch'ai mondo fa ssi ;
Ma più tosto a mostrar presso e lontano,
Che '1 valor nostro il grido superassi ;
E ne vedrete ancor la pruova intera.
Pria che questo mallin si vulga in sera.
XXVIII
So, che ciascun, coiti’ io, si lagna e duole
Della terna, che in noi pensale sia;
Come importar quell' ultime parole,
Che del tornare indietro apron la via ;
Ma prima fermo, oscuro, e freddo il sole,
La terra in alto, e 'I foro in basso lìa.
Che veggiate mancar la voglia in noi.
Mentre in vita sarem, d'obbedir voi.
xnx
E s* io giunto al ronfia, che cangia e fura
Il volere e'1 poter, così prometto.
Che faran quei, che nell* età più dura
Ilan le memLra robuste, e fermo il petto ?
Vi pregheran, che sol prendiate cura
Di pur tosto inviargli, ove *’ è detto;
E vi prometteranno, in qual sia sorte.
Che voi gli loderete, o iu vita, o in morte.
XXX
Cosi detto, s' assise; allor Gaveno
Comincia : Indarno fia tutti altri adire,
Dopo un tal re, che largamente è pieno
Di senno, di valor, d' arte, e d' ardire ;
E certo son clic tutti abbiamo in seno
Il medesmo, eh’ ei dice, alto desire.
Chiaro mio re, di far quanto a voi piace,
Nè senza darvi A varco essere iu pare.
XXXI
Nè crediate, eh* alcuno aggia temenza,
Perrh' un sol cavaliero stia da parte.
Anzi più speme è noi di poter senza
Lui, veder quelle mura a terra sparte,
Ch’ ancor eh ei mostre fuore alta eccellenza.
Non è però nel fine Ercole o Marte ;
Ma sì orgoglioso è ben, die spesso tale
Dispreiza c biasma, chi più d’ esso vale.
xxxti
Riguardate ogni dure e capitano,
Ogni famoso re, eh* avete intorno,
Che più d* un troverete a lui sovrano.
Ma d* altra cortesia 1’ animo adorno :
Poscia ove si ritrnovi il buon Tristano,
Ch* all’ antico valore ha fatto scorno,
Con si fiorito stnol, eh* egli ha condotto,
Si dee cara tener di Lanrilotto ?
XXXIII
Muovami par le vostre altere iusegne,
E ronosra il nemico, di’ ancor vive
Quella virtù, che tutte 1' altre spegne.
Come ogni lume il sole, ove egli arrivc;
E vedraosi illustrissime opre e degne.
Più che di quante mai si narra o scrive.
Che firn donate al vostro nome solo.
Non al superbo del re Ban figliuolo.
xvxiv
Come tacque Gaven, subito sorge
Il buon Tristano, e dire : Invitto Arturo,
11 parlar di costui ragion mi porge
Di ragionarvi aneli' io piano e sicuro
Di quanto il min veder sì frale scorge
Nello stato presente e nel futuro.
Con quella fé, con quello integro core.
Che debbe un cavalier, che cerchi onore.
XXXV
Quant* ha del bnon voler di tntli noi
Raccontato Gaveno è fermo e vero,
Che mille vite, e mille oggi per voi
Spender siam pronti sotto il vostro impero.
Quel che ne seguirà, si resta poi
Palese ad altri, ch* all* itman pensiero,
Che non può veder egli, e non poss'io.
Ciò che n’ abbia disposto in cielo Dio.
XXXVI
Deve il saggio di sè prometter I’ opra.
Ma non 1‘ effetto mai, rhe’n lui non giace ;
Duoimi poi che Gaveno oscuri e cuopra
Delle somme virtù la chiara face ;
Quello oppressandn, eh’ ad ogni altro è sopra
(E fia detto con nostra, e con tua pace)
Che Lanrilotto è tal, eh' io posso dire
Non aver di valor pare o d'ardire.
xxxvn
S' ei fosse stato in proova alla battagli»
D’ ogni sorte con lui, coro' io più volle;
Con più dritta ragion, di quanto vaglia.
Poiria credenza aver da chi 1* ascolte :
Quanto ferro schiantare, e snodar maglia
Gli ho poi veduto intra le schiere folte 7
Come pronto a scovrir dov' è 'I vantaggio 7
E come al comandare accorto e saggio ?
XXXVIII
Questo dirli' io, perchè non sia celato
Il ver, come ai signor sovente avviene;
E perchè ti può dir grave il peccato
D' un cavalier, quando silenzio tiene,
Ove con sì gran torto sia biasmato
Quegli, a cui lode eterna si conviene;
Non per dire al mio re novella cosa,
Nè eh' a si gran bontà venisse odiosa.
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l’ avarchide |
XXXIX
XIV!
Ma if pur piare al Ciel, di tale aita,
Che o’ ha fatti illustrissimi e immortali
Al più prave bisogno, oggi privarve ;
Sopra quanti son oggi, e che mai furo ;
Non sia per questo in noi inaura e fallita
Pur che noi stessi,a sì gran volo, l'ali
Quella virtù, che ’n tanti luoghi apparve s
Non cerchiamo impedir di visro impuro.
Forte che )' ampia strada v’ ha impedita
Perchè il fin delle imprese a noi mortali
(f.om’ altri ha detto) per più gloria darre:
Rende tntto il passato, o chiaro, o seuro;
E pur Ha realissimo consiglio,
E la gloria acquistata in danno e scorno,
Lo sprezzar per onore ogni periglio.
Senza ben seguitar, faria ritorno.
xt.
XLVIt
E quanto a me, non venni a tale impresa,
E s* al mezzo rammin dell' opre altere
Con speranza d' altrui, che di me stesso ;
Non cercassimo a lui termine degno ;
Avvenga ti, ch'assai pii duole e pesa
Il penar di molti anni, in poche sere,
Di non vedermi Lanrilotto presso :
S’ avria posto 1' oblio sotto il suo regno ;
Movete ornai, che nottra voglia intesa
Convien, ch'or più che mai cresca il volere
E tutta al fare il voler vostro istesso :
Di pervenire al destinato segno
Già scolorala ha il sol la bianca aurora;
D'espugnar la città di tanto nome.
E mentre noi parliara, sifugge l'ora.
E carchi andar di preziose some.
XLt
XLVIII
Lieto più che mai fosse, il re Britanno,
Nè malagevol fi a, se ’l core istesso,
Diceva : E questi sono i cavalieri,
Qnale avemmo infin qui, ne resta in petto.
C.he con 1’ opere illustri onor si fanno.
Chè questo è 1 chiaro dì, che n’ ha concesso
Non col mostrar orgoglio, e gire alteri :
Il nostro re, per si onorato effetto ;
Qual faremmo a* nemici scorno e danno,
Ed oggi adempiermi quel ch'ha promesso
Se due soli, olir' a voi, rotai guerrieri
Più d un profeta, e più d' un vale ha detto,
Nell'oste avessi? e con voi tntto solo,
Allor che del futuro volse il Cielo,
Spero loro anco dar perpetuo duolo.
Alla vittoria e *1 tempo aprirne il velo.
XLII
xux
Poi chiamato in disparte Mitigante,
Non vi sovvìen, eh* alla isola di Vette,
Di Bandegam figliuolo, il re di Gorre,
Là *v è più sgnarda la famosa Antona ;
Comandò, di’ alla plebe intorno stante,
Ch’eran le nostre nari in un ristrette.
Dovesse il tutto in alta voce esporre ;
L' aura attendendo, che dall' Orse suona ;
Ed ei, passando molto spazio avanle,
f h’ Arturo il grande, e le sue genti elette,
Giunto al mezzo di lei, silenzio imporre
E poi di grado in grado ogni persona,
Fe' da' reali araldi, acciò ch'udisse
Al sacrificio avean le luci intente.
Ciascuno il suo parlare, e cosi disse :
Che ’n sul lito si fea devotamente:
XWIt
t
Poi che noi trapassammo il nostro mare,
Che in un momento, d' allo ivi apparire
Onorati fratelli, e dolci amici,
Vcggiam volando il fero nrrel di Giove:
Seguendo il sovran re, per vendicare
E di colombe timide assalire
1 ricevuti oltraggi dai nemici,
Schiera, che fugge, e non sa, lassa, dove ;
Già sei volte vedemmo il sol lustrare
E mentre ha di predar maggior desire.
Del suo ciel le medesime pendici ;
In questa, e ’n quella il crudo artiglio muove-,
E sette volte poi la sua sorella
Sei ne permute indarno, ad una ad una,
Tornar congiunta alla medesma stella.
Nè per pasto di lui ne resta alcuna :
xtiv
fi
Tal che poco a ciascun fia meraviglia,
Che tntte sopra noi caddero a terra.
Quando saprà di noi l’alto desio.
Altre nel collo, altre oeil' ali offese ;
Dì riveder la dolce pia famiglia,
Dopo la festa, irato il voi riserra
E far ritorno al suo terren natio.
Dietr'nna al fin, che la raggiunse e prese ;
Che se la pace della guerra è figli*,
E si tenacemente in piè 1' afferra,
E '1 dì chiara ha i nalal dal tempo rio,
Clic non più come 1* altre in hasso scese;
Ben par che'l giorno ornai soverchio attenda
Poi con la preda sua tant' alto sale,
A far, che 1’ uua e l'altro il parlo renda.
Che noi poteo seguir vista mortale.
XI.V
Lll
Ma se noi guarderemo a quanto è stato
Taurino allor, che di Merlino è figlio.
Fatto infin qui da noi, con somma lode;
E de' celesti augurii ha l'arte vera,
Le ciltadi, e il paese guadagnato,
Tutto informato dal divin consiglio,
E 1’ altrui vendicate ingiurie e frode ;
Disse : Il Motore eterno d’ ogni spera,
Non ci dovria parer, che indarno andato
Colui, che quanto vuole opra col ciglio,
Sia *1 di veloce, che le vite rode ;
E fa pioggia e «cren, mattino e sera.
Anzi a Dio ringraziar tenuti sento.
Ne promette all' impresa alta vittoria,
Dei molli affanni e del sudore estremo,
E die sovra '1 mortai n' andrà la glorsa.
*
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LUI
Ma qnal percosse qui 1* aquila invano
Le sei colombe, nr tenute 1' ave.
Nella settima poi, T adunca mano
Vincitrice se ’n pio, di preda prave ;
Tale il sest* auno in quel paese strano
Vedrem, che indarno di dolor n’aggrave;
Ma nel settimo poi, dorata salma
Avrem di lauro, e dì famosa palma.
U»
Or non volete adunque, anime chiare.
Dell' annunzio del Ciel vedere il fine ?
Che cioqne volte ancor veggiam tornare
Cinzia, ch’or fnppa il sole, or s’awiciue?
Grande error certo fora il disprepiare
Per breve spazio le virtù divine,
E tanto più che in sè congiunto tiene
Il dovere, e l'onore, e ’l nostro bene.
LV
E perch'io so, come a gran torto adopra
Chi di sprone il destricr corrente stringa ;
Non vi voglio altro dir, se non, eh' all* opra.
Con magnanimo core, ogn' nom s’ accinga :
Ciascun drll' arme luride si cuopra,
E col ferro il valore intorno cinga ;
Con sicuro sperar di dentro Avarco
Dormir, di preda e di vittoria carco.
in
Ma innanzi convenevole ristoro
All' affannato corpo dia ciascuno,
Perchè frale è la forza di coloro.
Che soverehia soffrir sete o digiuno ;
Poi per discerner meglio il valor loro.
Ogni gente, ogni duce, ad uno ad uno.
Comanda il re, di' a lai davanti vegna.
Con 1’ ordiue richiesto, e con la insegna.
i. vii
Così diss’ egli, e‘l popol lieto intorno
Fere il ciel risonar con chiaro grido ;
Quale il vento, rhe vini dal mezzo giorno,
Spingendo il mare al più sassoso lido,
Ove il monte più rotto innalzi il eorno,
Preparando agli ucce! sicuro il nido :
Poi l’ un 1* altro invitando in alta voce,
Muovon verso 1* albergo il piè veloce,
tviii
Chi porge ivi nuov* esca al suo corsiero.
Chi la sella gli pon, chi addrizza il freno.
Chi riguarda il suo scudo, chi al cimiero
Le piume adatta, che veuian già meno ;
Quel si ricuopre d' arme ardente e fero ;
Quell’ altro chinde i suoi pensieri in seno;
Questi ha vergogna di voltarsi al cielo ;
Quest' altro il prega con divoto zelo.
LIX
Tra i privati gnerrier, già intorno al foco
Chi legne apporla, e chi vivande appresta ;
Chi sgombra sassi, e fa spazioso il loco.
Ove la mensa poi si truovi presta.
Che ciascun la fatica prende in gioco,
Mentre la fame vincitrice resta:
La qual poi superata, ogni uom riprende,
O 1’ asta, o 1’ arco, che vicin gli pende.
tx
Ma il magnanimo Arturo d' altra parte,
Soli* ampio padiglion, che intorno ornato
Di seta e «T ostro, con mirabìl arte.
Ha riccamente ogni sostegno aurato,
Dal tuo divo german, quel che le carte
Celesti ha tutte intere rivoltato;
E di Gallia passato a Pandragone,
Difese ivi di Dio la pia ragione.
in
Nè sol l’alta dottrina, e*l tanto esempio,
Mostrò contra i nemici allor del vero ;
Ma con I’ arme compagno al duro scempio
Degli Angli fu con l'onorato Utero:
Il qual mancato poi del sommo tempio,
Sotto d’ Arturo ancor, tenea l’ impero ,
Da costai dunque allor divntn e pio.
Fu il suo richiesto nnor renduto a Dio*
UDÌ
Dopo il qual, con le taci al ciel rivolte.
In atto, e ’n voce omO, cosi direa :
Alto Signor, rhe le nuslr' alme hai tolte.
Col morir del tuo figlio, a morte rea;
Fa, eh* avanti che in notte il dì si volte.
L’orgoglio abbassi, che soverchio arra
Conte’ a te, contr'a noi Tempio Clodasso,
Che di crudele oprar non fu mai lasso.
LXI1I
Cosi detto, partissi, e gli altri ancora
Vanno a prender ristoro, e Tarme appresso;
Ma per voler «lei re rnn Ini dimora
Il re Lago, eh’ amò qual padre istesso ;
Il buon Trista»*, clic so vr’ ogni altro onora;
li saggio Maligante, e i giunti ad esso
linerie, e Lionel : poi non chiamato
Restò Gaven, che sempre gli era a lato.
i.xir
Fatti assedere all’onorata mensa,
Di preziosi cibi intorno piena.
Or a questo, nr a quel dona e dispensa
Il re, con fronte placida e serena ;
In quel modo migliore, in rni si prosa,
Che scorger possa alcun di loru a pena
Chi sia più in grado alla reale altezza,
Ma che di sorte rgual ciascuno apprezza.
LXT
Quando aìfm fu di vino e di vivande
Il desio convenevole adempito.
Disse il re Lago : Poi che ’l sole spande
Già raldi i raggi, in alla parie gito.
E dell’ estivo «li, rIT oggi è ’l piu grande,
Il quarto del eammin quasi ha fornito ;
Non lardiam più di dar princìpio all’ opra,
E seguire il voler di Chi sta sopra.
t*n
Noi disse invan, eh’ Arturo immantenente
Comandar fa, che le sonore trombe
Empiano il ciel di grido alteramente,
Onde il Game, e la valle ne rimbombe :
Al cui roco romor, I’ armata gente
Lascia gli alberghi, a guisa di colombe,
Ch’ escan fuor nell' aur«»ra, ad ali stese,
De' seminati campi ai danni intese.
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l’ avarciiide
um
E qual poi di lontan la fiamma appare,
Ch' a' bocchi depredar le chiome suole ;
Tal delle Ineid'armi il lampeggiare
Si vede tremolar, che muove il sole :
Nè tante le stagion più belle e care
ilan frundi, erbette, fior, rose e viole $
Nè tante ha stelle il ciel, quanta si vede
Gente sopra i destrieri, e gente a piede.
txxrv
Ove 1* Usa, e *1 Sual mischiato insieme
Le piacili' acque, ove si gode in seno
La ricca e bella Udona, che non teme,
Che *1 nutrimento suo le venga meno ;
Ov’Ulla, e Beverlai l’un l'altro preme,
Per vicinanza, in quel medesmo seno ;
E dove Patrio lon quel loco ingombra.
Ove 1' acque insalar si vede all’ ombra.
LXVtlI
E come il buon pastor, che le sue gregge
Sopra gli erbosi colli a pascer mena,
Che con la verga in man muove e corregge.
Mentre che questa spinge, e quella affretta ;
('.osi la schiera sua governa e regge,
Talor loda porgendo, e tal or pena,
Ogni onorato dure, e guarda intorno.
Come T orditi miglior più venga adorno.
txxv
Quattro anch'ei sopra lor portava insegne,
Non men che 1’ altre, di valore ornale :
Altrettante ne innalza, nè più indegne,
Agraven seco, di Gavcno il frate,
Sotto cui va la grnte, ch'oggi spegne
La sete in Dona alle sue gregge amate;
Dico Assoime, e Lineolnia, e dove il Trenta
D* irrigar pure Aneastro s' argomenta.
LXIX
Poi più di tutti Arturo, il re sovrano,
Pirn di divino onore andar si vede; j
il mi sembiante alteramente umano,
Di Giove al sacro aspetto ivi non cede,
Nell' altre membra a Marte prosternano,
E nel petto a Nettuno, esser ti crede ;
E qual l' invitto tauro ai basti armenti,
Tal quel dì si mostrava all' altre genti.
LXXVt
Lucano, il bratto ardilo, aveva quelli,
Sotto il numero eguale alle primiere,
Più vicini all' Avon, eh’ ampi ruscelli,
Nel principio assetato, veggion bere,
E tra i colli d' intorno erbosi e belli,
Noriuganìa, e Lecestria risedere,
E Nortanlona, nel cui lito aprico,
Son Butrone, e Coveutria, e Varrivico.
tu
Or, voi figlie chiarissime di Giove,
Sacrate Muse, cui niente è scuro.
Cantate a me, perch'io gli canti altrove,
I duri e i re, che seguitarli Arturo ;
Ch’ a narrar 1' altro stunl, che seco muove,
Voce aver converria di ferro duro,
Con mille lingue, e mille bocche poi ;
Oud' io dirò quei soli, c gli altri voi.
f.xxm
Ma in compagnia del primo duce diero,
Per meglio esser condotti all’ opre rare,
Il possente Avirago, e ’l buon Gnndero,
Ch* han, non men di Lucan, le spade chiare:
Gli altri popoli poi, presso al sentiero,
Ove più irato di Germania il mare.
Combattendo gli scogli, aito risuona,
Verso la CanUbrigia, « 1' Unitine tona ;
&XXI
Del paese Nortumbrio, ove a Boote
Spande il Tueda le sue fripid’ onde,
E ’l tien diviso dalle terre Scote,
Lè dove il Cheviota il di gli asconde;
Non lontan dalla Tina, che percuote
Dall' Austro il fianco, con 1’ erbose sponde,
Voller le geuti aver per doce loro
Solo il re valoroso Pctinoro.
LXWIIt
Ove da molli rivi cinta intorno,
La vaga Eli, qnal isoletta giace,
Ove lieta Yalpole il destro corno
Ingombra, e ricche le sue valli face,
Dellu scettro ducal fecero adorno
Il possente Agreval, che in guerra e ’n pace
Tal conobbero in Ini senno e valore,
Che ’l voller tutto solo a tanto onore.
lxxii
Sei chiare insegne avea spiegate al vento,
Ove sotto ogni due mille rontaro
Guerrier pedestri; e ciaseuu mille cento
Cavalier d'esso, e d'altri segoitaro:
Poi Girgantin, eh* avea tanto ardimento,
Che *1 teneva al sno re pregiato e caro,
Quei di Dunelmia e Ricciaraoudia mena,
Ove la Tesa, e 1 Vere empie l'arena.
(.XXIX
Ma Ganesraoro il nero quelli avea,
Che son sopra l’ Oceano orientale,
Di Norlfolcia. e SolTolria, che solca
Mostrar fra 1' altre, che più in arme vale;
Con qnei di Nordoviro, e gli reggea
Con la qninta bandiera, all' altro eguale :
Poi veniva il superbo re Gaveno,
Ch' alla pietrosa Orcauia regge il freno.
tsxui
Seco erau di Darlingia, e d’Alertone,
E dell' altre citladi, e ville intorno,
Per sangue e per virtù quelle persone,
Ch’ avean più il nome di chiarezza adonto,
Sopra cui sole quattro insegne pone,
Ch' a molle più di lor Cariano scorno :
Appresso era Abondano il fortunato.
Che i guerrier d E borace avea da lato.
LUX
Era figlinol costui del gran re Lotto,
E della bella Elia, saura d‘ Arturo:
E però velili insegne avea condotto,
Di sluol più ricco assai, che in arme duro,
Oud 1 avea troppa invidia a Laucilotto,
Non scudo al par di lui forte e scettro,
Che con ogni altro avuto ardire avrebbe
Di contrastar, cosile poi seco anch'ebbe.
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AVARO H IDE
um
Quei dì Canzio, e di Rnffj eoo lui mena,
D' Esseiia, e Midelsesia, dove è aiuta
La ricchissima Londra e bella, piena
De' Len della fortuna in ogui guisa,
Della Tamigia in su la riva amena.
Che dal cor di Ciprigna mai divisa
Non fu, poiché le lassa in dolci tempre
I suoi candidi cigni a pascer sempre ;
unu
£ gli mantirn seenri dagli assalti
Del Britannico mar, che la rispinge
Verso il suo fonte, a perigliosi salti.
Quanto in due dì va l'uom, che non s infìnge:
E quei della Sussesia, che mrn alti
Da' liti son, che 1’ Ocean dipiuge ;
Con gli altri di Surrea, pur seguon Torme
Del re, ch'io dissi, eh' a virtù gl' informe.
LI XXI II
Il saggio Haligante, che fu figlio
Del vecchio Bandigamo, il re di Gorre,
Famosissimo in arme, ma in consiglio
Tal, eh* a quanti vi fur, si dee preporre.
Con parlar dolce, e con allegro ciglio
Reggeva quei del lì lo, che discorre
Viulonia, e Vetta, l'isola, che siede
Al mar, che Neuslria a mezzo gioruo Cede.
LXXXIV
Altresì di Cscestra e Bercberia,
Là verso il monte, onde Tamigia parte,
Ogni prode guerriero esso seguia,
Con sette sue bandiere all' aria sparte :
Poi di Dorcestria, e di Sarisburia,
Sul li lo pur della medesma parte,
Menar Gerfletto, Ostorio, e Prasutago,
Con quattro sole insegne il popol vago.
Ma perché la beltà fu in basso stato,
E I' età giovinetta anco il premea.
Fu d* uoa sola insegna accompagnato.
Che di Slromorra, e di Norvallia avea:
Mandrino il saggio, che '1 seguia da lato,
Menava quei dell' isula Anglisea,
Con gli altri di Bangaria, ed ha la terza
Bandiera sopra lor, ch'ai vento scherza.
LXXXIX
Taurin che di Merlino era figliuolo,
E dell' arte paterna dotto a pieno.
Degli uccelli osservando il gusto e*l volo.
Prediceva le pioggie e 'I ciel sereno ;
Quante stelle soslien questo e quel polo,
E qual propria virtù chiudano in seno,
Conoscea in tutto, e '1 corso de' pianeti,
E quai fossero a noi dogliosi o lieti.
xc
Egli in somma vedea così’l futuro,
Com'ogui altro il passalo, o quel ch'ha innante:
Due frali ha seco, a cui non giace oscuro
D erbe valor, di Cori o d’ altre piante.
Né di morie poteo 1’ artiglio impuro
Sopra alcun mai, eh' a lor veuisse a v ante ;
Con T onde chiare, o con radici sole.
Risaldando ogui piaga, o con parole.
XCI
L’ uno era Pellicao, T altro Serbino,
E tulli tre sei insegne aveauo insieme,
Di Landaffa, e d’ Lrfordia, che 1 confino
Tra T Uvaltia, e Cornubia addentro preme;
Con quei che ’l fiume Logo bau per vicino,
E T ondosa Sabrina, ov ella geme.
Scendendo al mar, che in occidente guarda,
E col turbo reflusso la ritarda.
lodi vien Gossemanle il core ardito,
Con quei di Sotnmerselo, e di Devona,
Che poste son tra l'uno e l’altro lito,
Ove il mar di Boote e d* Austro suoua ;
E d' altrettanta gente era fornito,
Che tutti tre quei primi, e non men buona:
Cremo il Senetcial veniva poi.
Che '1 terzo piu di lui menò de’ suoi ;
LXXXVI
Ch' eran della Cornubia, ove più sporge
Al sito Occidental, verso la Spagna,
E dove più vicina e dritta scorge
Di qua dal mar, l'Armorica Brettagna;
Ma quei della Sutuallia, che più sorge
Dritto al Settentrion, che 'I mar non bagna,
Ove il Pembruco popolo, a Milfnrte,
Non pensò mai trovar di sé più forte.
LXXXVII
Ebbero in duce loro il forte Ivano,
Che 'n fra quattro stendardi gli divide :
Poi Meliasso, che in beltà sovrano
A ciascun altro fu, che mai si vide,
Fuor eh* al figlio onorato del re Bano,
Ch' ebbe in tutto le stelle amiche c fide ;
Nacque costui d’ Agiate, e di Caropo,
Nè inai simile a lui fu innanzi o dopo.
Gli altri intra quella, e I corso deU’Avone,
Di Glicestra, Stafordia, e di Vigorna,
Sotto il quarto onorato gonfalone
Mandoro han primo, che la schiera adorna,
Perdi' ha di ben condurla ogui ragione,
Quando iuuauzi s'addrizza, o indietro tomi,
Pure elesicr Costante c Vertigero,
Che gli foaser compagni a tale impero.
xeni
Mena in guerra Uriau quei di Liceslra,
E quei di Derida, ove bagnando il Trenta,
Questa lassa a sinistra, e quella a destra.
Non Itinge al monte, uude rusccl diventa,
E per la piaggia sterile, e silveslra,
Per sassoso cauunin ratto s* avventa ;
Cinque insegne ha spiegate, e ’n compagnia
Conde vallo, e Couun seco verna.
xc«v
Quanto ha Lancaslro, e quanto intorno gira
Dopo il fiume Ribel, vicino al mare,
Che 'aver I' occaso, e nell Ibcruia mira,
Col buon Landoue, il destro volle andare:
< untbria, e Carlela, che piu all' Orse tira.
Là dove il Cheviata in allo appare,
E dove all* Ocean passa Solveo ;
Brun senza gioia per suo duce aveo.
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IfT
Porian iti interne i due, ma TcUmoro
Conduce quei, che son lungo il Taeda,
Tra Landonia, e la Marcia, che ’n fra loro
Veggiou Forlea del mar famosa preda,
Con quei di Fifia, ove in «i bel lavoro
Ila tempio il divo Andrea, eh' a nullo ceda;
Con pii altri d’ Edimborgo, e di Bombare,
E tre insegue fra tolti alte spiegaro.
Cll
Qnei da Loquabria, che 1 mede imo Nessa
Van seguitando pur, nel Grampio monte.
Ove la selva snrge assai più spessa,
E son le fere più mordaci e pronte,
Han la cara di lor larga rimesta
In Bralleno, il guerrier d’ altere e conte
Virtù ripieno; e quattro insegne spiega
All* aura in allo, di' or le drizza, or piega.
a evi
Quei d* Atolia Alibello han per suo duce,
Coi compagni, che »on tra ‘1 Tavo e l'Erna;
E di Marnia, e d’ Angusta, che conduce
La fronte innanzi, clic piti Tonde scema;
Dne insegne porta sole, e quel, che luce
Di ricchezza, eh 1 avanzi ogni moderna,
Dico Argauorn, mena quei, eh* avea
Tra le tue foci in mezzo Dona e Dea.
cui
Amillan qnei «T Argadia appres o mena,
Ove più verso Ibernia esce il Novanto,
L* antico promontorio, a cui T arena
Bagna il padre Orean dal terzo canto;
Tre insegne ha sole, e qnei, eh’ al mondo ha
Gloria sovra tatti altri, e porta il vanto (piena
D* esser in rorrer lancia ardito e dolio,
Fuor solamente il chiaro Landlolto ;
* acni
Sei raenainsegne: e*l buon Malrhino il grosso
Quei di Moravia, e di Canoria ha seco,
Là dove è il Porto di salute, scosso
D’ ogni scoglio, che sia sopr' acqua, o cieco;
Ove non fu mai d'àncora rimosso
Legno, per vento nubiloso e bieco :
Li di Nessa, e di Nardo T acqua beve,
E di Liudorna poi trauquilla e leve.
CIV
Io dico di Norgallc il cavaliere,
Che mena qnei di Glatco e di Dumbbno,
Pur lungo il Grampio, ov’ ei circonda altero
Lomundo, il lago, che gli assiede al piauo,
E di molte isolette tien T impero,
Colme di grnti, che non stanno in vano,
Ma con quattro bandiere il forte duce
Seguono, ove a grao gloria gli conduce.
levili
Quattro insegne ha di lor:Finasso il bianco
Ha quei di Calancsia, e di Storlanda,
E di Travernia, che si scorge al fiauco
L’ Orcadi, ove più Tali Borea spanda;
Ivi l'esca domestica vien manco,
Ma sol fere selvagge in luce manda ;
Onde a fornir la mensa fa mesliero,
Che sia ’l pupo! più d altro ardito e fero.
CV
Taolasso vien dappoi della montagna,
Con quei di Gallovidia, eli* han la sede
Sopra il mar detto Rin, eh’ a torno bagna
Il promontorio Mule, che si vede
Solveo vicin, rhe nell’ Oceano stagna,
Poi cacciato da quello, indietro riede
Presso all'isola Mona, e questa gente
Han sopra lor tre insegne solamente.
xcix
Coni' eì ton senza par, che quasi ienudi,
Al più gelalo ciel, menali la vita;
Prendono i cibi sanguinosi e crudi ;
La terra è il letto, eh* a posar gli invila;
Nullo c, eh* a Bacco s’ affatichi, o sudi,
Che la più semplice acqua è piu gradila.
Di questi aduoque sou quattro bandiere,
E di dardo ciascun, e d' arco fere.
CTI
Il buon re Lago poi, che d* anni grave,
L* unico suo figliuolo ha seco Eretto,
Conduce qnei dell* Orcadi, dond* Ave
Lo scettro iu man d* imperadorc eletto;
Dell' Orcadi, ove il sol, se '1 verno aggrave.
In lai brevissim* ore ha il dì ristretto,
Ch* a pena visto si ripnn tra T onde,
Poscia all* estivo ciel poco s' asconde.
c
Bandegamo, il fratei di Maligante,
Che del padre onoralo il nome porla,
Famoso duce e ra valimi errante,
Al popol di Russia fu 6da scorta;
Ed a quei della Lulia, ch'ha d* avanir
L* Ebridi, verso il silo, che conforta
I fiori e T erbe a trar la fronte fnora,
Là ver Tapril, con la sua lepid’ ora.
evu
Stanno a guisa di cerchio aggiunte insieme,
Pur d'assai poco mar fra lor distiate,
Ove più T aquilone intorno geme
Al sen Deuealion, che T ha ricinte :
Pomooia è la maggior, rhe '1 mezzo preme
Delle treni’ una, che di gloria ha vinte ;
Benché famosa è por Bure e Renolse,
Che ’n ver la Cataoesia più $’ accolse.
CI
Ivi tra boschi stan paludi e laghi.
Che Nessa, e Nardo eoo Liudorna fanno ;
Ma di pesci e di cacete assai più vaghi,
Ciie di dare al lerren d* aratro aiTanou,
Cui nullo è, che seineuli, o che l'impiaghi,
CIT al cullo naturai contenti stanno :
Quattro insegne ha spiegale di costoro,
Ch han pelli intorno di selvaggio toro.
eviti
Era il medetmo poi signor di Tile,
Ove più varia il di, perché non pare
Giammai tal volta, e poi cangiando stile,
Molti corsi di luna aperto appare :
Regge anco T Irta, cui nnlla é simile
Di grandezza fra lor, eh* é senza pare,
Ma più ver l'occidente s' allontana, *
Ove ancora è dell’ Ebridi «ovraua.
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AVARO II IDE
Son del medesimi poi Lcaitsa e Sciita,
Mollo a quelle virine, e son disgiunte
Da si breve couiin, riie si diria
Una, e se forse due, troppo congiunte:
Or il suo vecchio re lo sino) seguia.
Di fido e vero amor I' anime punte;
E ben sedici insegne hanno spiegale,
Le più vaghe di tutte e meglio armale.
Menò adunque Bavrn quei, che si stanno
Tra la Sehelda, e la Musa iu su la foce.
Or' han sempre temenza, e spesso danno
Del furor di Nettuno, rh* assai nuoce:
Nè il Baiavo valore, and’ essi vanno
Superbi Ira i viriui, aspro e feroce.
Gli può scampar, rhe ben sovente vede
Di pesci albergo la nativa sede:
Poscia di qna dal mare, ove «i stende
Della Gallia il famoso c bel paese,
Quanto la terra Annorica comprende,
E dal Britanno scn ricrve offese,
Dal loco, ove superba Era gli rende
Dell' onde il drillo, che ’u Gcbrnua prese,
Fin nella foce, ove ditceude Olina,
Ch'ai monte di Michel dritta a' inchina ;
Sei insegne ha di costor : Nestor di Gave
Ha quei ; più lunge poi di tal periglio,
Ove carca è di merci, e d' oro grave
La ricca Anversa in popolar coniglio,
Con le vaghe rii là, che virine ive.
Guanto nel sangue suo talor vermiglio,
Bruggia, e'I dotto Lovan, ch’a buoni insegna,
De' quai tutti portò la sesta insegna.
Ubbidisce all'impero di Tristano,
Del re Meliadusse il germe eletto ;
A cui del popol suo ripose in mano
Lo scettro il re, che si chiamava Ovetto;
Di cut ‘I padre onorato era germano,
E di trmpo minor, ma più perfetto :
E con dodici insegne era venuto.
Per dare al campo al maggior uopo aiuto.
Nè mrn n* ha Lionel dell* altra parte,
Ch'alquanto all'anslro, e l'occidente inchina,
Ove son le famose in molte carte.
Tra gli Ambiani, e la Samarobrina,
Alrebati, cittadi intorno sparte.
Ma lontane all’ odor della marina :
Dopo costui srguitano i quattro figli
Di quel, che ebbe dal ciel gli aurati gigli.
Però che *1 dì medrsmo arrivai’ era.
Che ’ntra' due primi fu l' amara lite :
Bloroherisse, e Blanor menano schiera
Di genti, a quei per vicinanza unite
Della famosa Nrostria, dove altera
S’ accompagna la Sena ad Anfitrite
Con sommo onor, ma in tutto ciò si sdegna
Di lassar il terreno, ov' ella regua.
Dico del re de’ Franchi Clodaveo,
Il primirr, che (fa i suoi conobbe il vero
Del inondo Salvator, che scarco feo
L' uman legnaggio del mortale impero :
Questi per vendicare il torto reo,
Ch* a Lanciotto fra Clodasso altero,
Gli mandò volentier con quelle schiere.
Che piò annate, e miglior potesse avere.
Di tante alme città Gorite e chiare.
Sei sole insegue bau seco de’ migliori.
Che '1 possente Boa» non vuol restare,
Senza i suoi, preda a* barbari furori.
Gostanza, e 1* altre poi più presso al mare,
Ha il consiglio affermato de' maggiori
Di mandar pochi, c bene usi iu battaglia,
E non popol maggior, che poco vaglia.
Childcberto il maggior di quelli è duce,
Che 'n mezzo pasce all' onorata Sena
Lutrzia la reai, d' ogni altra luce,
Lute/ia d' oro e di virtù ripiena ;
Lutr/ia, ov' ogni ben piove e conduce
L' alta celeste possa e la terrena ;
Con tutto I popol poi, eh’ ella ha d' intorno
A farle il sen d' osili bellezza adorno.
Con 1’ Amoral di Gallia. e Pcrscvalle,
Un numero altrettanto s'arcouipagua,
D' abitator della spigosa Valle,
Che la tranquilla Somma irriga e bagna,
Chiù quei, rhe dalla fronte e dalle spalle
Ornano i colli, c vrston la campagna
Verso i Calesi, e gli ultimi Morini,
Che le Britlannic nude han per confini.
Le genti di Suesson mena Clotaro,
Pur del gran Clodoveo figlino! secoudo ;
De' Remi ancora, ov’ é ’1 terreno avaro
D'alberi, ma di spighe assai fecondo;
I Bellovaci poi, con gli altri a paro,
Porgon le spalle all’ onoralo pondo :
Cloilamiro di quelli arma la schiera,
Che bevon 1 acqua, oude superba è l’Era.
Baveno a Lanciotto assai congiunto,
Siccome Bloinberisse anco e Blauoro,
Non volle, nè quei due, mostrarsi aggiunto
All ira sua, perchè slringca costoro
La fe, rii' a Arturo diedero in quel punto,
Ch'ebbero sproni e spada, e cinto d oro,
Come molli altri ancor, con quei legali,
Che per cavalleria furo sforzali.
Seco mandò la nobile Orliense
La chiara gioventù, che'n lei fioriva ;
Con tutti poi delle sue selve immense,
Abitator tra I’ una e 1' altra riva
La rrgia Blrs, la vaga Ambuusa, arrense
1>' amor il verde lauro, e non d’oliva:
Seguono il duce lor, con tanta fede,
Come alla giusta impresa si richiede.
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QUI
T co dori co il quarto ha quei più Innge
Tra la Modella ascosi, e tra la Mota;
1 Lotte-ringhi, e gli altri, che disgiunge
Con la fronte Yosego in allo ombrosa ;
Torme, Argentina e Spira, dove aggiunge
L' altero Ben con la sua barba ondosa :
Ciascun sedici insegne sole accolse.
Che di pari ouorargli il padre volse.
l
cm
E tanto più s'accendon, poi che sanno
Che '1 Goto imperator molti in aita
Ila mandali a Clodasso, c passai' hanno
Per 1' Alpi aperte, e per la via più trita ;
Omi’ essi allor senza timore o danno
Gir non potean, che loro era impedita;
Besta solo il rammin siruro in mare,
Che nuovo, lungo, e periglioso appare.
cxxtv
Venne con lor Sicambro, il duce antico.
Che i quattro giovinetti in guardia prende:
Oslorio ha seco il suo perfetto amico,
Che del sangue medesimo di*reode;
Questi passar per mezzo 1* inimico
Lito german. che quanto può difende
Quei di Clodasso, e senza tema, o danno,
Il Ben, mal grado sno, superai' hanno.
cxxxt
Ma la chiara virtù, eh’ è scorta e chiave
D' ogni serrato varco, gli provvide,
Ch' ove 1' Amo va in mar, non mancò nave,
Ma molle ne trovar sicure e fide ;
Venti ne appresta, e fa ciascuna grave
D’una sua insegna, olirà i nocchieri e guide ;
E '1 chiaro ciel, eh' a' bei disegni aspira,
O l'Euro, o 1 Aquilon di e notte spira.
(tur
Però che di Franennia, che si giare
Lungo l' Irrima, all' onde del Afognno,
Sola al suo Clodoveo figlia verace,
Come si convenia, partiti sono;
Che de' suoi più nemici ivi di pace.
Di venti chiare insegne ha fatto dono:
Poi con lor Meroneo venne e Lotaro,
Ch* agli Alemanni in guerra comandare.
exxxit
Cosi il Liguro, il Gallo, e''l mare Ispano
Trapassando veloci, e '1 Frelo ancora;
Volgonsi presso a Gade a destra mano,
Con 1* austro addietro, che lor presta 1' óra;
Il Promontorio sacro di lontano
Lassando, e ’l Nerio, e *1 Can labro di fu ora,
L* Aquilania, e TArmorica riviera,
Scesero al fine a Manie sopra T Era.
curi
Dc’qnai sole otto insegne spiega al vento.
Scado la gente lor ridotta a poco.
Che '1 numero miglior all or fu spento,
Che ‘1 franco Clodoveo, con ferro e foco,
]>' essi oppresse il furore e 1* ardimento,
Di libertà spogliandogli, e di loco ;
Ma quei, cui perdonò, fede e valore
Gli mostrar poscia sempre, e puro amore.
cxxxm
E già '1 terz' anno avea rivolto il sole,
Che sotto Arturo fea mirabil pruove :
Lancilotto non v* era, onde si duole
Ogni nobil guerrier, eh' ivi si truove ;
Staisi irato da parte, e veder vuole
Il fin della battaglia, che si muove ;
E i suoi, che *n diece insegne avea compresi,
Tutti son di diversi e «Iran paesi:
ex «ni
Presso ai quattro fratei del manco lato
Ne veniva il chiarissimo Boorte,
D uri fratei del re Bauo in Gave nato,
Nè mollo men di Lancilotto forte;
Del paludoso Angiò, d’ arbori ornato,
E di Torsi fruttifero ave scorte.
Con quanto abbracci d' ognintorno 1' Era,
E d’ otto piene insegne adduce schiera.
CXXXIV
Di Germania, di Gallia e dì Bretagna
1 miglior cavalieri, e pien d'onore,
Chi della bella Italia, e chi di Spagna,
Dell* alte sue virtù corsi al romore ;
Non ha invidia fra lor chi più guadagna.
Ma chi mostra più ardire, e più valore ;
Molli ha di Gorre, e molti suoi cugini
Di Berri, e d' altri luoghi a lui vicini.
cxxvtn
Dopo costui seguia Fiorio il Toscano,
Che nobilmente sopra 1' Arno nacque.
Vicino al chiaro monte Piesolano,
Ove perde Mugnone il nome e Tacque;
Che giovinetto già s' oppose in vano
Al gotico furor, ma vinto giacque;
Nè potendo soffrir quel fero giogo,
Si dispose a cangiar Tortona e luogo.
cxxxv
Ma sopra tulli i suoi, più illusli furo
Quei ravalìer, rhe liberati avea
Della dogliosa guardia, ove in oscuro
Sito, 1' empio rastei chiusi tenea,
Poi quel fresco di forze e d' anni doro,
Chiaro Lambego, il tutto corregge# ;
E ’l segni sempre in ogni ina fortuna,
Che nudrito 1’ avea fin dalla cuna.
CXXIX
E con tatti i miglior di sangue e d’ opra,
Nel paese onorato a lui vicino.
Intra '1 Tcbro, e la Magra, ove "1 mar copra,
E la nevosa fronte d‘ Appennino,
Con pregar lauto, e con promesse adopra,
Che gli conduce a mettersi in cammino
Di dare al grande Arturo alto soccorso,
11 cui nome reai per lutto è corso.
CXXXVl
Non v* era anco il possente Galealto,
Che Lancilotto suo mio può lassare,
E fatto ha contr* Arturo il cor di smallo,
Per l' ingrato voler, che in esso appare ;
E vieta, che non vadano all'assalto,
di'ti sente contro Avarco apparecchiare,
Le sue genti, rhe seco avea menate
Dall' isole lontane Fortunale;
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C XX* VII
Di Cerne, e d' Autolaa, dell' «lire molle
Esperidi, cui ’l sol la fronte preme,
E dell' ultime terre più rivolle
Drir occidente su le piatir estreme,
(ih' a tante altre isolette in seno accolte,
t.lie l' Icaro e 1' Egeo n' hall meno insieme.
Tra 'l Bretton Cavo, e I Frclo Magagliano,
Là dove appare il gran Temistitano.
escavili
Ma il popoloso numero, e 'nGoitn,
Che dal terreo natio primiero venne.
Poi che fu con Arturo in pace unito.
Rimandò nel suo reguo, e sol ritenue
Venti insegne di tutte, ed ha seguilo
Mai sempre poscia, ovunque il rauiiniu tenne,
Lancilolto, di cor si amico e fido
Che di Pilade antico avanza il grido,
r xxi ix
Cosi di questi due le genti sole
Mancavan tra color, di' a guerra vanno.
Che in pace, or sotto l'umbra, or sotto il sole.
Or correndo, or lottando a cerchio stanno;
Ma il magnanimo Arturo, un nuovo sole
Nel giorno piu serrn del più bell' anno.
Sopra un fero corsier d* altrre membra
(.un 1‘ armi lucentissime membra.
CXL
Una candida iusegna solamente
Ha innanzi, ovunque sìa, die in allo porta
Caradosso Brebasso, il re possente.
Alla qual va d'intorno, e face scorta
Numero senza fin di nobil gente.
In arme ardita, e nel coniglio accorta,
E tulli cavalieri, or questi furo
I regi, c capitan, di' aveva Arturo.
CXLI
Ma dimmi, o Musa, tu chi '1 più perfetto
Cavaliero, e destrier fu in tutta l'oste?
Dei destrier fu quel da Sicambro eletto
Nell* aspre regioni all* Euro poste,
Su I* onde d' Ebro, allor eh al giovinetto
Giustino imperator fur 1’ armi opposte
Dai Tartari virin, eh' egli il soccorse,
E co' Franchi, eli* avea, l'alma gli porse.
extu
Ch'olire a moli' altri don gli (u cortese
Di questo nobilissimo destriero,
Ch'ai par de' venti al corso si distese.
Grande olir’ a modo, e bel, forte e leggiero;
Securo e fido in perigliose imprese,
Perdi' al freno era umile, all'arme fero:
Tra i cavalier di tutti era sovrano
II possente e chiarissimo Tristano:
CXLtlI
Però che Lancilotlo ivi non era,
Cli' avanzava ciascun d'alto valore;
Né ’l suo cavai, di cui del sul la spera
Non vide, o vedrà mai forse it migliore;
Ma quello in ozio con l' amica schiera,
Di crucciosi pensier nodrisce il core.
K 'l buon corsier sotto I' albergo ombroso.
Tra la paglia e tra 'I Gcn preudra riposo.
cntv
Ma il campo tatto in arme insieme accollo
Mostra col suo splendor, eh’ arda il terreno,
E ’l romore, e I' andar del popol folto
Tremar fa il loco, clic ’1 riceve in seno;
Come là negli Arimi, ov' é sepolto
Vivo Tifeo, tra ’l Sipilo e ’l Celenn,
Cli’ ad ogni acceso folgor, che ’l percuote,
Di spaventoso soon la terra scuote.
CXLV
Corsa è in Avarco la veloce fama,
Ch* Arturo in arme a lei rivolge il passo ;
Tosto il consiglio paventoso chiama
Dei miglior duci c cavalier, Clodasso.
Chi le mura guardar securo brama,
Fin che veggia il nemico afflitto e lasso ;
Chi vuole, uscendo pur, presso alle porte
Porsi in loco, che sia vallato e forte.
CXLTI
Ma il chiaro Srguran, eh' a nullo cede
Di valor, di prodezza e d' ardimento.
Con orgoglioso dir già muove il piede
Verso le porte, e l'apre in un momento:
Spinge ehi lardo va, muove chi siede,
A chi non mostra ardir mrlte spavento;
Fa sonar d' ognintorno altrre trombe.
Sì che I' aria e la terra ne rimbombe.
c XI. vii
Veggionsi quinci e quindi arme e destrieri
Con fretta ritrovare, e muover d’ aste ;
Qnei, che vili eran pria, divenir feri.
Si che d' nno il valor per molli baste :
Ma i vecchi infermi, e gli altri male interi,
Le madri pie, le verginelle caste
S’ atterrali supplicando ai sacri altari.
Che gli difenda il di dai dauni amari.
CXLVIIf
Nella parte d’Avarco all’Occidente,
Che d' alquanto nell' austro si rivolte,
Lontan, come potrebbe arco possente
La saetta avventar solo in due volte.
Giace uu piano arenoso, ove sovente
Inonda 1’ Euro, alle gran pioggic e folte,
Che gli viene a man destra e sì distende
Dove an colie alla fronte assiso pende ;
CXLIX
11 qnal detto dal vulgo è Sabbioniera,
Perchè tal la natura l'ha mostrato:
Ivi adunque adunar riascuna schiera
Fa il forte Segnran dal manco lato;
Venne egli it primo, ed ha la gente fera.
Che dalla fosca Ibcrnia avea menato,
D‘ Ullouia, di Momonia, e di Lagina,
E di Coniuccia, eli' all' occaso inchina.
cr.
Ha seco Banduin, di Persia detto,
Con Ideo 'I forte, antichi cavalieri ;
Vien Palamede poi, 1* altero petto,
Ch’ avea di tutte I' Ebridi i guerrieri.
Ed a lui degnamente dicr soletto
Di quaranta e tre isole gli imperi .
E non disdisse a lui 1’ Ila, e la Iona,
Che pur raro, u nou mai cede a persona.
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l’ avarciiide
CLI
Viro Galliranle poi «li Giron figlio,
Di Girone il Cortese, il maggior dorf,
Che giammai fosse, d' arme o di consiglio,
E di vrra bontà divina Iure,
Eh' or piangrria, se con l'aurato giglio
Non vedette il figli uol, eh’ oggi conduce,
Srguran tuo cugin, routro alle squadre,
Le quai più clic tè «letto amava il padre.
C1YIII
Diè Rossano, il selvaggio, duce a' suoi,
Che fu sempre fra lor di sommo onore :
L'altra, die col Danubio scende poi
Tra’l Savo, e '1 Sai», Pannonia inferiore,
Fortunato, e Grifon fer duci voi,
Perch* odiaste Tristan d' acceso core :
Poi di quei tra T occaso e ’1 mezzo giorno
Gente infinita avez Clodasso intorno.
CUI
Fu il nobil giovinetto capitano
Di quei di Mona, Titola, cui bagna
D' Ibernia il mar, eh' al lito proemiano
Quasi congiunta appar con la Bretagna:
Poi di parte e popolo lontano,
Ch' altro cerchio riruopre, allr' onda bagna.
Venne Brunoro il Nrro con la schiera
Di quei che ton tra '1 Hcoo e la Vitcra.
CUS
Quei d’Aqnìtania in cui l'Oceano inonda
Pircne, e '1 promontorio Cnriano,
Ove Aturia, e Sigmen riversa Tonda,
Non molto Ton dall' altro di lontano,
Mena Nabon, che nacque alla sua sponda.
Del Visigoto sangue e dell* Alano,
Che Rosmunda la bella era sua madre
Ch* Alarico di lui fece esser padre.
filli
Dell* Usfalia, e di Frisia, ove io mar cade
La torba Amasia, e quei due primi insieme;
Di quei, che lungo T Albi han le contrade,
('he la selva Semana adombra e preme,
Tnringii, e Misnii, e per più batte strade
Di Brantvic le fredde parti eslrrmr,
Mena le schiere il fero Diuadano,
Che di Brunoro il Nero era germano.
a.x
Meni’» la gente Terrigano il grande
Drl fertile Santonge e del Polliero,
E dove a Burdigallia T acque spande
L' ampia Garona, con sembiante altero:
Gli altri, clic son tra le pietrose lande
Del terreo Limosino alpestre e fero.
Di Caors, Prrigotlo, e i virin loro,
Han per duce il valente Palamoro.
ctiv
I Sassoni, che pur tra T Albi e T acque
Del gelalo Suevo hau fredda tede
Volser duce Faran, che tra lor nacque,
E di barbaro orgoglio a nessun cede ;
E cui la cortesia rosi dispiacque.
Che virtude estimava il romper fede :
Gli altri di Schiena sopra il fiume Odero
FI» ber per capitan T ardii» Estero.
cut»
Poi seguendo a levante i Pirenei,
Dnv' è la famosissima Tolosa,
L’onorata Nrrhona, che con lei
Contese un tempo, e ne divenne odiosa ;
Ma piaugea seco allora i tempi rei.
Che T avean posta in servitù noiosa,
De' Visigoti sotto il duro impero,
Che diè lor capitan T empio Agrogero.
CtV
I feroci Boemi, ch'entr'al trno
Della frondosa Errinia ascosi slaouo,
Della fontana il nobile Drnmen»,
Per coudneergli a guerra, eletto »' hanno :
Quei di Pumrria, a cui bagna il terreno
L' Ocean dove a lui correndo vanno
La Vistola, e T Ortei, per rapo e duce
Hanno Arvino il fellon, clic gli conduce.
CL*lt
Gli eltri, clic son su T onde di Rnscena,
Drll'Orbio, e di Latago assai più presso,
Or' al Galliro mar la torba arena
Rmlan col doppio corno avvolge in esso,
E ‘n cui stagnando T acqua, intorno piena
Di trista impressimi fa T aria spesso.
Tal che Nrmanso, e Mompelier ne piange,
Che *1 frenato Nettuno ivi non frange.
ctvt
L'Astia, ch'ai monte Anobe in mezzo giace,
E qua ii sopra il Ben dritta si stende,
Tutto il popul viriti, di' a lei soggiace,
Fa, die '1 Nero perduto in guardia prende.
La Suevia avversaria d’ ogni pare,
Più versu T Alpi, ond' il Danubio scende
Tra i Vindeliri, Rrzii, e T Eno, e Lieo,
Presero il duce fironadasso aulico.
ttxm
* Ebber duce Gaiindo, e quella gente,
Ch'olir’ all* Ostie del Rodano ha Provenza;
D' Arli reai, eh' allora ebhe, e sovrnte
Sovr' ogni altro vicin somma eccellenza ;
D'Acqua Srstia e Marsilia, eh' altamente
Già manteuea la greca riverenza.
Tutta per capitano avea Margondo,
Ch' a nessun' alleo in arme era secondo.
CLVII
Il Nonco terreo, eh' all* occidente
Ila Tonde d' Eno, e dal settentrione
Riga il Danubio, e *1 cinge all’ oriente
11 Lezio, ch'ha nevosa ogni stagione,
A Buslarino il grande, la tua gente,
Nrl qual mollo si fida, io guardia pone:
L' Austria, che stende il tuo valloso piano
Dall latro e 1 Narabune al giogo Albano,
CLXIV
Menava Gracedon della Vallea
Quei, eh’a levante son tra '1 monte e '1 mare,
Ov’ ha il porlo Tolon, che se’ polca
Meglio i venti schivar, non avea pare,
Ov' il Foro di Julio ancor piangea,
Che pure allor tante memorie chiare
Furo in lui tutte spente, e poco meno
D' Antipoli faceva il lito ameno.
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AVARO II IDE
CUT
Quanto ritorna poi verta Boote,
Che più lun|te a Nettuno ebbe la tede.
Ove nel sen del Itodano fi pnote
Veder Sorga e Durenza, che s'assirde;
E dove al fianco rapida percuote
Lisrra, e di «è «testa il face erede;
Qui Valenza gentil lassando a tergo,
E là il «acro Avignon, di venti albergo.
CMCXII
Quei, che son poscia in sul fiimo«o Beli
Onde il nome ebbe la provincia prima,
Infin li, dove loro il passo vieti,
Serra Morena con l’altera cima,
Dv’è tra i rolli erbosi, e i rampi lieti
Cordova, che più d' altra ivi si stima,
E T I «pali, eh' adorna l'Oceano,
Merangiò della porla han capitano.
cixn
Con quel, eh’ ad essi d* ogn’ intorno giace
Diede a suoi capo, e duce Matana»*o.
Ciò che più all* Alpi gelide soggiace,
Dell* Allohrnge valli al chiuso passo.
Ove al saggio Granopoli non tace
La Lisera, che vien di sasso in sasso
Fino alla nobil Vienna, ba la sua schiera
Donata a Mara boa della Riviera,
munì
Poi quei più vrrsn il F reto, e *1 mezzo giorno,
Che si veggion viein T antica Cade,
Ove cinte da* monti d* ogn* intorno
Può Granala vrdcr le sue contrade;
Cosi l'altro paese assai più adorno
Di fior, che ricco di felici hiade,
Di Maliga, di Murzia e Cartagcna,
Il forte Morassalto in guerra mena.
curii
Con Sismondo da poi sno primo figlio,
Vien Gunebaldo, il fero Borgognone,
Che del sangue fraterno era vermiglio
Tre volte stato, e funne empia cagione
Perfidia, e crndellade, e rio consiglio
Di torre a quei le debite corone;
E menar lutti qnei, che ’nlorno stanno
Di Sona all* onde, che sì dolce vanno.
ctxxtv
Valenza, che nel sen della montagna
Giare Idnbeda, ed ha dall* occidente
Il Godamom, che *1 lerren le bagna,
Come fa il Sema quel dell* oriente;
E con le rive al lito a' accompagna,
Ch* all* onda Balrarida consente.
Degli abitator suoi diè in mano il freno
Per questa guerra al perfiJo Druscheno.
curiti
D'altri popoli appresso, e d' altra parte,
Della nocca Signor venia Verrai lo.
Menando quei, ch'ai mrzzo giorno parie
Dai Galli il Pirrneo, dov* è più alto ;
E drl Cantabro Oceano Tonde sparle
Ai Culli Biscain dan fero assalto,
Con quei d'Austria, a cui tra’ sassi e Tacque
L' opera pastora! più d' altra piacque.
CLUT
Qnei, che dell’aeqne del reale Ibero
Bevon nel primo fonte d* ond* egli esee,
Con qnei, eh' al mezzo corso, ove più altero
Con la Singa, e col Sicori •’ accresce,
Infin ch’ai mar privato del sno impero.
Presso a Torlnsa il doppio corno mesce ;
Han per duce il re Loto, e gli altri poi,
1 di' han più verso Pircne ì campi suoi.
CUCII
Quei dell'aspra Galizia han Ferrandone
11 Povcr, ch’ebbe in man tulio il parse.
Che da’Ravanei monti s’interpone.
Fin dove il fiume Linia il rorso stese.
Ove il gran Promontorio al mar «’ oppone.
Che dal fin della terra il nome prese ;
Gli altri, che d’ indi van «opra il Dnero,
Mena Calarlo il picciolo, ma fero ;
CUCITI
Dico T antica e chiara Taragona
Con quanto abbraccia il periglioso lido.
Ove T ornata e vaga Barzalnna
Ha il suo ripien d 1 odor leggiadro nido,
1 Infin là, dove anror la fama sunna
Del tempio di Ciprigna, allor più fido
Forse, ch'oggi ai nocchieri; e capitano
Han chiamato Roderco, il erodo Alano.
et. XX
Con quei, che bevon di Pisarga T onde,
Asterga, e Borgo, e di Palenza appresso,
E di Nazera anror, che si nasconde
De'monti all'ombra, ond'é'l Navarro oppresso.
Qnei lungo il mare infin là, dove abbonde
Il Tago d'oro nell* arene impresso
Con tutto T altro, ove Nondaga corre.
Diede Lisbona in guardia ad Esdaburre.
CLXXVtl
Bha vien poi, del grao Teodorico,
Degli Ostrogoti il re, che in Roma allora
Teneva il seggio, sommo dure antico;
E di Geppidi stimi menava ancora ;
Nè ’l mcuava quel re con core amico,
■ Per trar Clodast» di miseria fuora,
Quanto, perdi* al re Franco C.lodoveo,
Benché cognato suo, grand' odio ateo.
CLXXI
Quei, eh* abbrarcia il Dnero e Gnadiana,
Più con tr* all* Orse alquanto, e l'oriente.
Ove ha Toleto, la città sovrana,
Che di molte giornate il mar non sente,
Safaro ruminerà, persona ulram,
D'altronde uscito, che d" Ibera gente;
Ma perch' era Tralci di Palamede,
Avevan somma in lui speranza e fede.
Cixxnit
Appresso il re degli Ertili Odoaero,
f.h’ a Ravenna infelice il giogo pose,
Menava il popnl suo superbo ed acro
Conlr’ all* umane e le celesti cose ;
Che più d'un nome, e piu d* un tempio «acro
Distrusse e spense già, non pure ascose;
I.* ultimo fu Clodinu, il Marie «letto.
De' figliuoi di Clodasso il piu perfetto.
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L AVARCHIDE
cmiii
I «aggetti e vassalli sero avea.
Che piu cari e fedeli erano al padre,
Poi rhe *1 vecchio Clndasso non polca
Seguir, come già feo, l' armale squadre;
E perchè molta in Ini speme lenea,
E vedute n' aveva opre leggiadre,
Dopo il buon Seguran fé’ lui primiero,
Sovra '1 sommo de‘ suoi famoso impero.
CANTO III
ARGOMENTO
Jl, er desio di Careno e di C/odino
/ duo re litiganti in etti han patto
Ogni lor differenza; e nel divino
Giudizio in pria lor giuri hanno riposto:
La battaglia ha dipoi j alai destino ,
Chi un dardo vibra il reo flruschrn, nascosto,
Dal qual resta Cavea di sunguc tinto y
Quando Clodino a lui dovasi vinto.
P oi eh' ha tolte d' intorno ogn' alto dorè
Le sne genti ordinate a schiera a schiera;
Il vecchio re dell' Orradi, in cui luce
Dell' arte marzia! la norma vera,
Comandato dal re, tutti conduce,
Ove lassa a man dritta la riviera
Del piccini Euro in loco aperto e piano,
Dalle piagge e da' fossi assai lontauo.
li
Ivi in due parti egnai tutto divide
Il nnmero infinito de’ guerrieri ;
Durili a sinistra, e quelli a destra asside,
Assegnando tra lor larghi sentieri ;
Si che ben possa, chi gli regga e guide,
Menar per entro insegne e cavalieri :
Le genti della fronte spesse e strette,
L* altre, che seguon poi, più rare mette,
in
Tra quei dinanzi pon le più Innghe aste,
Nelle spalle, e ne' fianchi ancor ristesse i
Ogni scodo nel mezzo, a fin che baste
De* primi a sostener le forze oppresse ;
D arcieri e frombalor le schiere vaste,
Sciolte da tatti gli altri ha intorno messe;
Poscia di cavalier distese I' ali
In ciascun corno, 1’ noe all’ altre eguali.
IT
Fu del sinistro duce il buon Tristano,
Gavrn dell'altro, e così vuole Arturo;
Gli arcier, eh' eraoo a piede a destra uiano.
Guido quel giorno il buon re Pcliuuro ;
Lionello, il nipote del re Bano,
Menò i compagni, clic dall'altra furo;
Della destra i cavai meuò Boorte,
Maligautc dell' altra, il saggio e 1 forte.
v
Ne mrn di qnesli fuor d* A varco venne
Il fero Srgurano a guerra armato;
Ma divisi in Ire parli i suoi mantenne,
E con ordin mcn saldo in ogni lato.
Sopra i primi a venir l' impero leune
Palamede, il possente nominato ;
Degli altri Seguran a terza parte
Conduceva Clodia, chiamalo il Marte.
vi
Palamoro il valente in guardia avea
Di lutti i cavalier Te larghe torme :
Yen-alto della Bocca condurrà
De* pedestri leggirr le varie forme ;
Or 1‘ uno e V altro campo si vedea
Con ritenuto passo segnar I' orme,
Apportando ciascuno a poco a poco,
Al suo spcrauza, e tema all' altro loco.
▼il
Di barbaresche voci, e stran romore,
Empiuti T aria, venendo quei d‘ Avarco ;
Come i gru peregrini, che I’ algore
Temon «lei verno di tempeste carco,
Allur eh’ a ritrovar seggio migliore.
Fan sopra il mare il periglioso varco,
Che delle lunghe file al gridar roco,
Bisuona intorno ogni propinquo loco.
▼iti
11 contrario parca di quei d' Arturo,
Che tacendo venian nel core inteso,
In qual guisa il ferir sia più sicuro,
E possa l’avversario esser più offeso ;
Duale i saggi vi I La ri , che 'I campo impuro,
Ch' aggia dì folte spiue orrido peso,
Voglian purgar, che disegnando vanno
Di schivarse all' oprar punture e danno.
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l’ avarchide
IX
XVI
Poi siccome sovente in cima ai monti
Non volse ai giusti prechi contraddire,
Vìeu nebbia folla all' apparir del porno,
Il magnanimo re, ma gelici concesse:
Che uoq pon di pastor gli occhi piò prooli,
Cosi lieto Gaven con multo ardire
I.’ avventar d un basino vederse intorno;
Correndo verso lui la rena presse.
Tal la polve facea delle due fronti,
E dice : A contentar vostro desire,
Ch 1 andava al ciel tra 1' uno e 1' altro corno,
Vengh’ io con 1’ armi e con le voglie istetse
Pria ch'arrivati sieno in qoei confini,
Ch* io veggio e sento in voi cui tosto spero,
Ove scorger si pon chiari e vicini.
Morto o vivo teuer sotto il mio impero.
X
xvu
Spinge allora animoso il gran corsiero
Ben conobbe Ctodìn l'aquila d'oro
Clodino, i suoi lassando, e fassi avanti ;
Nel rampo porporin, di’ avea Gaveno ;
E con voce alta minaccioso e fero.
E gli risponde : Assai di voi m' onoro,
Dice: Ove sono i buon guerrieri erranti,
Nè per sangue di me v’ apprezzo meuo ;
Onde il Britanno mar va rosi altero,
Ma poco apporta al nurzial lavoro
Nè vuol, che d'altro si ragioni e canti?
Bellezza, nobiltà, sialo e terreno ;
Vengan meco a provar, se in questa parte
lo cercava un di voi piò ardito e forte,
Parco del suo valor sia stato Marte.
Come saria Trislau, come Boorle.
XI
XVIII
E quantunque avvenuto sia talora,
Ma pur senza sdegnarvi non rifiuto
Che di noi riportate aggiano spoglie ;
Di pruvar, chi noi piò in arme vaglia,
Fortuna il fece, che i men degni onora,
Senza sperar, vincendo, esser tenuto
E che contra virtode arma le voglie:
Mollo in pregio maggior di tal battaglia:
Oggi è venata, a quel eh' io speri, l' ora,
Or non fu in tempo alcun già inai veduto
Che l' infedel 1' antica usanza spoglie,
Per gran foco avvampare arida paglia,
E di sé lasci libera la strada
Come in quel punto d' ira il fero Orcano
Si, che solo il valor cinga la spada.
Ardeva, al dir del cavaliero strano.
Xlt
XIX
Venga chi vorrà por degli infiniti
E gli risponde al fine : In altra parte,
Cavalier d' oro ornali, e di splendore,
E innanzi a questo di, so il troppo orgoglio,
Ch'io veggia a prtiova, se saran forniti
Quel, di' ogni cortesia da voi diparte.
Di virtò dentro, come d' arme fuore,
tome i semi miglior da' campi loglio :
Che non sempre addivien, che sien vestili
Voi vi file appellar dagli altri Marte,
D' un medesmo color la fronte e '1 core ;
S' egli è vero il romor ch'udir ne soglio;
E venga or, perchè indarno attenderei,
E questo baste assai, per dar riposta
Poiché saran mischiati i buoni e' rei.
Alla vostra vanissima proposta.
Xltl
XX
Al cominciar drll'alle sue parole.
Pnr poi che 'u pregio tal vi piace a verme,
L' uno esercito e 1’ altro il passo tenne ;
Patteggiamo in fra noi la nostra guerra,
Dando quella udienza, che si suole.
(die sead io vinc.ilor, Clodasso inerme
A chi dir cosa, ch'assai pesi, arrenar;
Lasse in forza de* nostri oggi la terra,
Onde a molti d’ Arturo, ciò clic' vuole,
Se prigioniero, o morto riteuerme
Agevolmente a conoscenza venne ;
Vi conrcdesse il Ciel, qoanlo si serra
Ida intra i primi aGaven, che in umil preghi
Di qua dal nostro mar, si renda a voi,
Chiede al gran re, ch'ai suo voler si pieghi:
E ’u Brettagna ritorni Arturo, e i suoi.
XIV
xxt
E che lasci provar le forze seco.
Risponde a lui Clodino: Il più felice
Di che molli anui pria drsire avea,
Di quanti io vidi mai, fia questo giorno,
Dicendo: Egli è Clodin, 1 animo cieco
Se '1 medesmo giuraudo afferma e dice
Contra virlude. e pien d’ invidia rea,
Colui, eh’ è sopra voi di scettro adorno ;
Che in ogni mio disegno ha sempre meco
Perchè in si grave impresa a noi non lice
Conteso a torto, e se mi conredea
Obbligar chi ne regge a danno e scorno ;
Della sorella sua le nozze amate,
Ma tengo feruta speme, clic 1 mio padre
Or saria senza sangue questa etale.
Mi donerà sé stesso, c le sue squadre.
XV
Xftil
S' io d' nna vostra suora, ci di Clodasso
Fate il medesmo voi; poscia si vegua,
Figlio è primiero, e del suo regno erede :
Ogu' indugio lassando, tosto all'opra;
Non è fra tutti i suoi di valor casso,
Ctiè non senza cagiou voglia si degna
Anzi in arme adoprarc a nessun cede ;
Avrà svegliala in noi, Chi sta di sopra :
Tal che non può stimar piò indegno, o basso
Così posto fra loro, alla sua insegna
L'un, che l'altro di noi, chi '1 drillo vede:
Torna ciascuno, e quanto punte adopra
Resta sul, che chi al Ciel fia piu gradito
D accordare il suo re, clic induca 1 alma
Si vegga viucilor, V altro schernito.
A commetter in lui si grave salma.
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ÀVA.RCIIIDE
XXIII
Narra al mio S epura no e Palamede
riodino il tulio, e lor soggiugne poi :
S’ aveste, alti signor, talvolta fede
In quel poco valor, che giace in noi;
O se sperale mai qualche mercede
Render al sommo amor, eh' io porto a voi s
Fate, che ’l padre mio voglia d' Avarco
Sopra gli omeri miei por oggi il carco.
XXIV
£ '1 farà veramente, se v* aggrada
Di dimostrargli ben, quanto Gaveoo
Sia più nobil, che forte, e la sua spada
Quanto sia della mia pregiata meno ;
C che per tal sicura e breve strada
Potrà iu pace riporre il suo terreno,
Senza mettere in rischio oggi altramente
Cosi bella, onorata e chiara gente.
xxr
De' due chiari gnerrier quantunque fosse
Lor la nuova richiesta acerba e dura.
Quell' allo supplicar gli animi mosse,
£ dì lui contentar preudon la cura ;
£ Dinadan, che ’l primo ivi trovosse.
Mandati volando nelle regie mura,
Clte ciò narre a Clod.ttsu, r i preghi appresso,
Che per meglio ordinar venga egli stesso.
XXVI
Ritrova il vecchio re, che in alto assiso,
Con qnei, che per età non vcslon maglia,
£ con le donne intorno, a mirar fiso
Slava quel che srguia della battaglia,
Col eor tremante e 1‘ animo diviso
D' ogni dolcezza, e come piuma, o paglia
Dei venti preda, al tempestoso gioruo,
Or alla, or bassa si raggira intorno ;
XXVII
Cosi fanno i pensier, che tema e spene
Nella canuta meute cangia e muove;
Ch' or per se la vittoria aperta tiene.
Come se '1 peonie (tesser Marte e Giove ;
Or si dipinge aver norrlle pene,
Simili a molte già provate altrove ;
£ mentre questo e quello il sana e punge,
Dinadan vede, che correndo giuugc.
XXVIII
Fecesi tatto pallido nel volto,
Ch'ogni sangue, ch'avea, ricorse al core;
£ se l'altro tardava a parlar molto.
Quasi radea di subito timore ;
Ma lieto Dinadano, a lui rivolto,
Disse: Ottime novelle, alto signore.
Vi pori' io ; che ’n voi sta, eh' un giorno solo
Purghe il vostro terreo d' ogn‘ aspro duolo.
XXIX
La gran lite, eh* abbiatn, riposta fia
Quando non spiarcia a voi, nella virtude
Drl buon vostro Clodin, di' a guerra sia
Con uoui, eli' ha di poter le furie nude ;
Quest' è Gaven, che la fortuna ria
\ uul, eh' a suo dauno s' a ila lidie e sude ;
£ se vinto sarà, promette Arturo,
Lassare Avarco libero e sicuro,
Con tutte 1* altre ville, e quel paese,
Ch'egli ha mai guadagnalo sopra voi,
£ rilornarsen poscia ad ali stese,
Olirà il Britanno mar, con tutti i suoi ;
Ma se *1 Ciclo a Gaven sarà cortese,
£ le sue stelle irate coutro a noi,
Che gli darete Avarco, e quanto io mano
Rìteuete de' Franchi, e del re Bano.
xxxi
Ma ciò male esser può, che quella parie,
Ch'aggia il dritto e ’l valor per guida e duce.
Come avem noi, può camminar senz’arte,
Ch' al desiato corso si conduce :
Or tutti i vostri in pubblico e ’n disparte.
Quasi allumali dalla eterna luce,
Sun di stessa sentenza, clic vi parria
Venir là tosto, c 1 latto ivi si faccia.
XXXII
L* antico re di meraviglia pieno
Si fece, udeudo il subito consiglio ;
Poi con core e con volto assai sereno
Disse : Quando a Dio piace, che ’l mio figlio
Porga le spalle solo, c spanda il seno
Al comun peso, al pubblico periglio,
Non andrò contro a lui, ebe ’ndaroo adopra,
Chi s' oppone al voler, che vien di sopra.
xxxiti
Poi volto agli scudìer, comanda loro,
Di tosto aver 1' usata sua leltica,
Di fuor lucente di finissimo oro,
Cui gran fregio di gemme a torno intrica,
Dentro scolpiti di sotlil lavoro,
Quanti ha nel maggio fior la terra aprica;
In essa dai mrdcstni si fa porre,
£ per compaguo vuole il re Yagorre,
xxxiv
Suo germano ed amico, a cui I' etade,
Si come ancora a lui, la guerra vieta ;
D’alto consiglio, e pien di veritade,
£ che rado smarrì la dritta mela :
Poi ratti van per le più corte strade,
Ove la gente sua dubbiosa c lieta
L' altendea, per veder quale il fin sia
Del desialo accordo, eh’ era in via.
xxxv
Dall’altra parte, più impedito truova
Gaveoo, e più spinoso il suo sentiero;
Nè puotc argomentar si Leu, che muova
Arturo a contentare il suo pensiero,
Che dicea quanto è impresa dura e nuova
11 lutto espor, sotto l'infido impero
Di forluua, in un sol, che in un momento
Sia di mille e nuli' anni il frutto speuto.
xxxri
Pur ripensando meco, eh’ assai pare
Il valor sembra, eh* ha di voi ciascuno ;
£ che più accorto, c di più senno appare
Gaven dell' altro, e di furor digiuno ;
E che da sangue c morte conservare
Tauta e tal gente col periglio d‘ uno,
£' pur rosa degnissima e richiesta,
A chi d' alta corona orui la lesta ;
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L. —
5i
L AVARCHIDE
52
xxxvti
Quando agli altri parrà, contento tono
Di rimettere in voi la lite nostra,
Sperando in Quel che dal celeste trono
Il verace cammino a' servi mostra,
Che non vorrà lattare in abbandono
11 ben di lutti noi nella man vostra :
Parli adunque Tristan, parli il re Lago,
E quei, de' cui consigli oggi m' appago.
xxxnn
Allora il re dell’ Orcadi risponde :
Famoso Arturo, il più sovente Dio
Nel ror dei buon con la tua grazia infonde,
Di ciò che può giovargli, alto desio :
Del contrario volere opre, di' abhonde,
Cieco dell intelletto il crudo e 'I rio,
Quale è C loda sto ; e per dir vero il diro,
Non per biasmare a voi chi v' è nemico,
xxaix
Tal ch’olirà ogni disegno nostro umano,
Sendo I’ occasion te stessa offerta,
Dovria creder ciasrnn, che non sia 'n vano,
Si breve strada a si gran lite aperta,
E cbe’l pio Redentore, il suo cristiano
Popol, che *1 segue per la via più certa,
E eh’ a ragion combatte, in guardia prenda,
Non quel, eh' ogn' al Irò, c la sua luce offenda.
Mosse il primiero il valoroso Arturo,
E io alla voce al ciel rivolto, disse :
Padre il cui gran Figliuolo unico e puro,
Avvolto in «man vel, fra noi già visse,
E ritrasse nel ciel dal centro oscuro,
(dii le divine membra al legno affisse ;
Te chiamo testimon, per te prometto
Dal mio lato servar quanto a* è detto.
xtv
Che se fia ’l tuo voler, eh’ oggi Gaveno
Sia per man di Clodin, prigione o morto,
Ch’abbandonato il Gallico terreno,
Ratto ricercherò ’1 Britanno porlo ;
E che lutto il mio campo terrò a freno
Si, che fatto non vegna oltraggio, o torto,
Mentre che ’l suo Clodino a guerra fia,
Ma si, come un de' miei, sicuro sia.
xr.vt
E •* io fallassi in ciò, la tua pietade,
Che fu sempre infinita, cange stile ;
E di nnda giustizia apra le strade,
Facendo il mio poder negletto e vile ;
E sotto forza altrui le mie contrade
Sien di barbare genti albergo umile ;
E cosi in basso raggia ogni lor gloria,
Che uulla uuqua dì noi viva memoria.
Poi rivolgendo gli occhi a quel che puote
Nel futuro veder colui eh* è saggio ;
Nessuna tema 1' alma mi percuote,
Che mi mostre in Clodino esser vantaggio ;
Come ancor pare a voi, ma d' rgnal dote
Fornito appare il nobile pai-aggio;
Facciasi adunque, e s' aggia larga speme,
Ferché mezzo è prigion colui che teme.
X LI
Il medesmo affermò Tristan. dicendo :
Quantunque aggia più d'un che ciò potria
Far, non men che Gaven, pur non intendo
Dirne il contrario, clic già detto sia ;
Poi son colai, che vincitore attendo
Quel, che piii di fortuna amico fia ;
Ma rontr’ a Segurano, o Palamede
Vorrei più forte man, più fermo piede.
Dall’altra parte un sacerdote all’ora,
Che lunghissima avea barba e capelli,
Della sacrala gregge ha tratti fuora,
Senza difetto alcun, due vaghi agnelli t
1/ un è sembiante alla più bianca aurora,
L’ altro ha più della notte oscuri i velli ;
E dove è più’l terreo di polve scarco,
Gli pose inuanzi al vecchio re d' Avarco t
XLVIII
Che recatasi in man la spada antica,
Che per memoria ancor non vuol lassare;
Ove più follo lor la testa intrica,
Risegò il pel, che fra le corna appare ;
E 'I fere intorno della schiera arnica
Ai cavalicr più cari dispensare :
ludi, tenendo al ciel le luci fìsse,
In devoto sembiante così disse :
Disse il medesmo il saggio Maligante,
Ritorte, e Lionello, ed altri molli:
Nel campo, allor che ferme avea le piante,
Già si vrggion cangiar pensieri e volli ;
Riconfortano i vili il ror tremante.
Pensando di periglio essere sciolti;
1 più forti hanno invidia, sdegno e duolo,
Che di tanti l’ onor giaccia in un solo.
Giove, che de* mortali e degli Dei
Padre, ciascuna età verace appella ;
Nè senza le gli effetti buoni o rei,
Può di lassù produrre alcuna strila :
E tu lucente Noi, che cagion sei
Di cangiar le stagion di questa in quella;
E voi notturni Dei, signor di Lete,
Che i difetti fra noi punir solete :
Già gli araldi reali in ogni parte
Hanno a tutti silenzio imposto r pare ;
Già l’nno e l’altro re viene in disparte,
E di comune accordo a ciascun piare.
Che Gaveno e Clodin, chiamalo il Marte,
Dehban fra lor donar certo e verace
Fine alla lor question, prima die 'I giorno
Farcia all'uccaso suo fosco ritorno.
Siate voi testimon, servate voi
Quel rh’ io prometterò, che per voi giuro,
(die $’ oggi il mio Clodin, de’ giorni suoi
Vedrà iu man di Gaveno il fine oscuro,
f.h’ Avarco, e lutto quel, eh* è sotto a noi,
E già fu del re Ban, torni d' Arturo ;
E mentre il re d’ Orca ni a in guerra fìa,
Dagli altri miei guerrier sicuro sia.
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tl
E s’ io pii mentirò, veder poi» 1 io
Preda questa ritta d'arme e di foro;
I.a pia consorte, i figli, il popol mio
Servi de' lor nemiri in chiuso loro ;
Ed io fra loro in lungo esilio, e rio,
Mi consume di doglia, a poro a poco ;
Nè ardisca a voi drizzar lamenti o preghi,
E •’ io *1 facessi par, nessun si pieghi.
ut
Detto cosi, nella sagrata gola
All'ano e l'altro agurllo il ferro mise;
Il sangue in alto distillando vola
Prr le vene maggior, eh' erano incise ;
E mentre la fral anima s' invola
Dalle tremanti membra in terra affise,
Con 1' anfora, die tiene, aurata e tersa,
Puro ed annoso viu sovr* essi versa,
LUI
Onde alcun fa, di' a rimirare inteso,
Divoto il ciel pregava tra 'I suo core ;
Così reggia io di simil piaghe offeso
Bi versai con lo spirto il sangue Cuore,
Chi primo arri, coatra il de ver, disteso
Il sacrilego braccio, e pira d' errore,
Per disturbar la guerra, che in un solo
La pace apporta a così grande stuolo.
UT
Poi che tutto ha compilo il re Clodasso,
I Britanni guardando, e’ i suoi d' Avarco,
Dice: All'albergo mio rivolgo il passo,
Poiché d' ogni dover mi sono scarco,
Ch’ io non potrei soffrir vedermi, ahi lasso.
Già di tante miserie, e d' anni carco,
In sì mortale impresa e ’n tal periglio,
Senza soccorso altrui, si caro figlio.
LT
E chiamato Vagorre, fan portane
Nell'ombrosa lettica, che gli attende;
E quanto più poteo ratto, disparse
Da quel loco fatai, che '1 cor gli offende :
Or già si vede in mezzo appreseutarse,
Chi del campo ordinar la cura prende.
Che fu il buon Malignile e Palamede,
E ciascuno il vantaggio al suo provvede.
LVl
Fanno in prima purgar di sterpo e sasso,
E per tutto adeguar, reietto loco:
Poi inisuran lo spazio a passo a passo.
Dividendo il confin tra 'I molto e I poco,
Che nou troppo al principio, o nel fiu lasso
L* incontro sia, poi che già spento è 'I foco.
Che più riscalde il corso, ma in qnei punto,
Ch' al suo sommo vigor ciascuno è giunto.
LVU
Van l a arme visitando in ogni Iato,
Se raddoppiata viene, ove s' allaccia ;
Se l'elmo è fermo assai, a’ egli è fidato,
Lvtn
Il medesmo, ch'ali' uom, fanno al destriero
Cominciando dal piè fino alla fronte,
Se ben ferrato sia saldo e leggiero,
Da non gravare al gir le voglie pronte ;
Se 'I fren dritto di lui tenga l‘ impero,
E non troppo s'abbasse, o troppo monte;
E se ciò che '1 governa e che 'I sostiene,
Armato sia di fuor, come conviene.
LIX
Se la testa è col petto d'arme ornala.
Quanto è '1 bisoguo, e con ragione assisa ;
Se la sella è ben posta, e ben serrata,
Da non temer di seggio esser divisa ;
Se T una e 1' altra staffa è ben locata,
Tra '1 lungo e *1 corto, in assai forte guisa;
E vau tutto guardando, come deve
Chi ponga sopra sè fascio sì greve.
U
Poi di scudo possente a tutte prove
Il petto al suo guerriero armò ciascuno ;
Gaven d’oro v' avea l'uccel di Giove,
In campo porporin, che volga al bruno :
De’ medeimi color, eh’ all’ aura muove
La fronte annosa, e non coutenta d' imo
Seco! di vita il sempre verde pino,
Ombreggiava lo scudo di Clodino.
LZI
Già presenta a Gaven la nobil asta
li magnanimo Arturo iu tai parole :
Bench' ad alma reai sena' altro basta
La virtù sola, di' ella onora e cole,
Che si dee manteuer candida e casta
D’ ogni difetto nmau, qual puro sole ;
Por dirò questo ancor, che vi sovvegna
D' esser quale a tal opra si convegna ;
ut II
E che in mille e mill* anni la fortuna
Non vi porria trovar cagion più chiara.
Del nome vostro alzar sopra la luna,
E d* ornare e giovar la patria cara ;
E che per vostra man, serena o bruna
Fia la sorte di noi, dolce od amara :
Non sia ingannata in voi la somma fede
D’ uom, che di tanto onor vi face erede.
LXIII
Gite con fermo core alla battaglia,
Né lo abbasse timor, né )’ alzi spene ;
E dopo il prùnu incontro, se vi assaglia
Con furioso passo a vele pieue,
Sostenetevi alquanto, e non vi caglia
Del vano onor, che dai men saggi viene,
Ma come stanco sìa, pronto e leggiero
Yi dimostrate allora, e prode e fero.
LXIV
Movete adunque, che 'I favor divino
Non v' abbandonerà, per quel eh' io spero.
Cosi diceva, e già nel suo vicino
Se crolla in lesta, o se la vista impaccia.
Se la maglia é ben forte, e tien guardalo,
Ove piastra non sia sotto le braccia ;
Prendon la spada appresso, e guardali, come
Trovin sicure in lei le guardie e’1 pome.
Popolo esercitava il sommo impero
Tristano c Seguran, si che '1 confino
Disegnalo a guerrier, rimanga intero :
Tenendo ogn' uomo a fren che innanzi gisse,
Per cagione schivar di nuove risse.
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"ìH l’ AVARCHIDE r ,,, ^ w
u»
Fan che riasetma parie a terra stenda
Lo scodo, o I’ asta, per piò amico se gnu :
Nè fra tutti è più alcun, che ad altro intenda,
Cb’ a veder, cui di lor dimore il regno :
Questi di speme par, che 1* alma incenda.
Quei mostra dì timor non dubbio segno ;
E tra lor ragionando in diversi alti.
Chi condanna, e chi loda in gioiti patti.
LXXII
Ma riprese le forze il buon Garrno
Con quanto ha più poter, ver lui s'avventa :
Drizzasi al loco, ove lo scudo ha meno,
E in ogni modo d' impiagarlo lenta ;
E d'una punta al fine il trova a pieno,
Ove più l'alma avea, che gisse, intenta ;
E se quel doppio acciaro rra mtn forte,
Clodin poco loulana avea la morte.
LXTI
Poi che fu il campo volo d* ogn intorno,
Questo e quel cavaliero in mezzo appare,
Di sembianti colori e d' arme adorno,
Come d’ ambo il valor si mostra pare :
1 possenti corsier, raspando intorno,
E rimordendo il fren, non pon restare;
E i pennuti cimier, che in allo stanno,
Minacciando al uemico o morte o danno.
LXX Iti
Pur no *1 difese tanto, che la spada
Tra le sinistre roste, che nel petto
Son poste in alto, non facesse strada.
Ma di picciol periglio e .gran sospetto:
Perchè Clodin pensando, ch'ella vada
Pili oltre assai di quel che fu 1' effetto,
Non vuol perder più tempo, e pon da parte
La ragion del ferir, lo schermo e 1’ arte.
LXVII
Tosto che *1 marziale allo romore
Delle sonore trombe il segno diede ;
L’ uno e 1* altro guerrirr con più furore.
Che 1 folgore dal eiel, che i monti (lede,
Va per mostrare il primo suo valore.
Che nell* incontro della lancia siede,
Che fu colai, che in mille pezzi andaro
1 tronchi al ciclo, e lardi rilornaro.
LXXIV
E qual fero leon, dal cacciatore.
Che ferito si senta, olirà si getta.
Non mrn, che della vita, o d'altro onore,
Pien di caldo desio d'alta vendetta;
E senza accorgimento, a gran furore,
La spada ad ambe man lenendo stretta,
Di tre colpi il feri, ma tutti in vano,
E troncata alla fin gli usci di mauo.
LITUI
Fu il colpo di ciascun si acerbo e crudo,
Che i due cavalli in piè restano a pena ;
Gaven rompe a Clodiu T aurato scudo,
Con assai gran periglio, e molla pena,
Che ’1 saldo ferro, che ’1 trovava ignudo,
Chiara vittoria, e d ogni gloria piena
Gli polea dar, s' nn punto solo allora
Fosse integra rima sa 1' asta ancora.
LXXV
Nè per questo restò, ma con le braccia.
Quanto più forte può, nel mezzo il ferra ;
E crollando e sentendo»! procaccia
Dal possente corsier cacciarlo a terra :
Non sa Gaven ciò che in quel punto farcia.
Che con la spada far non gli può guerra,
E sì oppressalo e cinto si rilruova,
Ch' arme, o senno adoprar poco gli giova.
I.XIt
Ma Clodin fere a lui la spalla destra,
Ove col braccio in alto era congiunta,
E gli facea nell* arme alla finestra,
Se ben dritta venia 1' acuta punta;
Ma la fortuna, al suo voler sinestra,
La (orse io fuor, come fu al mezzo giunta;
Ma il ferro rnppe, che tenea coperto,
Ov* il braccial più in alto viene inserto.
MITI
L'aspra necessità pure il consiglia,
Che debba usare aneli' ei l' illessa forza,
E nel modo mede sino a lui a' appiglia,
E di trarlo di sella assai si sforza :
L'uno e l'altro di lor lassa la briglia.
Sì che ponno i destrieri a poggia ed orza
Gir come aggrada lor, ma sono intenti
Coi piè ferine, e coi tenaci denti.
LXX
E per alquanto spazio, quella mano,
Con la me (lesina parie, ebbe impedita;
Ma r onor, eh' ogni infermo rende sano,
Alla battaglia seguitar l'invita:
Trae fuor la spada, e non la trasse in vano.
Che quella di Godio vede apparila
Già contr'a Ini, che sopra l'elmo il fere,
E T ornato cimier gli fa cadere.
LXXTII
Pur cercando le groppe rivoltane,
Per ritentare alfin sorte novella,
Vrnner di troppo spazio a lontanane
1 due buon cavalier, eh' erano in scila ;
Nè volendo ostinali abbandonane,
Anzi con maggior possa in questa e'n quella
Parte, mentre ciascun sospinge e preme,
Ristretti più che mai caddero insieme.
LXXI
E fu *1 colpo colai, che con la testa
Al collo del deslrier tutto piegosse ;
L‘ altro, che *1 vede a tale, ivi non resta.
Ma raddoppia a gran forza le percosse,
Spesse assai più, che grandine moleste
Al buon villan, che le sue spighe ha scosse;
Ma vinto dal furor sovente falla,
E gli dà su lo scudo, o su la spalla.
LX XVIII
E fur sì accorti al lor, che nessun piede
Nelle staffe di lor sospeso resta ;
Nè con altro romor la piaggia fìede
La qurrre antica, cui la srure infesta
Del paslor ripercuote, infin che vede
Rovinar d* alto la frondosa testa,
Onde il bosco rimbomba, e n'ha spavento
Ogni vicino uccello ed ogni armento.
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txxix
Che i «tur bnon ravalier prrmon la lem,
Senza rinb^piu avere in quello sialo;
Se non che ’l destro braccio aggrava e serra
A sé stesso Clodin, che da quel la lo
Stampò la rena e I' altro a nuova guerra,
0 fosse il ino sapere, o fosse il fallo,
Avea la miglior man di sopra iciolla.
Che gli fu nel cader ventura molla.
r.xxxvi
Or mentre che fra lor girando vanno,
E migliore stagion ciascuno aspetta,
Drnschcn, che s'asscdea con quei, che stanno
Fuor d’ ogni schiera, che sia tarda e stretta;
Ma che sciolti e lepgier la guerra fanno
Sol di frninha, di dardo, o di saetta;
Tra' quali ci fu il più dotto e fu signore
Presso a Valenza, al fiume Goldamorc,
im
E perchè pii la spada avea gettato.
Fin nel primo abbracciar, che 1* impedia.
Va cercando, ove l'elmo era allaccialo,
S' ci potesse trovar di triodo via ;
E quantunque di gnaulo ci fosse armato
Si, che la man min molto V ohbedia,
Tanto va pur tentando a poco a poro,
Cbe melica 1' avversario in dubbio loco.
itvxvu
Non perché di Clodin pietà il movesse,
0 lo scampare i suoi d' a«pra ventura;
Ma d' invidia compunto infido elesse
Trar con l'arco Gavcno a morte oscura:
Così tacitamente 1’ orme impresse
Per la gran calca, e quanto punte ha fura
Di gire a quei d’ Arturo si coperto,
Clic '1 disegnato colpo andasse certo.
rxxxt
Ma Clodin quanto può si seriole, e mnove
I piè, e le braccia, e 1* insidiala fronte;
E se mai 1* ebbe al maggior uopo altrove.
Ivi tutte sue forze avrva pronte
Ma in tutto ciò di nulla mai rimuove
Gavcn, cbe si faria lo scoglio o '1 monte ;
Che gli slaccia alfin 1' elmo, e con furore,
A mal grado di lui, gliel trasse fuore.
txtxvttt
Tosto eh* è giunto al loco disegnato.
Che '1 possa rimirar di dritta parte;
La faretra prendea, eh' ei porla a lato,
Fabbricala in nn corno con moli' arte,
D’ nn capro alpestre, iu tra i gran gioghi nato
Del Pirrneo, che 1* Aragonia parte
Del terren Gallo, e*n cava pietra assito
Con l' istrssa sua man l'aveva ueeiso.
max ti
Ma nel tirar, di' ci fe’ dal hraccio sciolte
Onde il premea, Clodin, che ‘1 tempo vede,
E con leve destrezza indi si tolse,
E in un momento pnr si trovò in piede ;
Poi con patto sollecito ricolse
La spada di Gaven, che 'n terra siede ;
L'altro risurge aneli’ ei tritio e smarrito,
Che mezzo il suo sperar vedea fallito.
I.XXXIX
Or quella adunque, di grandezza pare
A quanto nn uom le braccia stenderla ;
Da Conon fatta riccamente ornare,
Come arnese più caro si potria,
Loca a* tuoi piedi, e fassi innanzi stare
Gente, eh* a quei di là rnopran la via
Di poter lui vedere, e basso io terra
L* un ginocchio posando, la disterra :
LXXXIIt
E tanto piò, che la sita spada in mano
Sceme dell'avversario, che 1‘alleode;
Tosto il possente scudo, poiché in vano
Nella pedestre pugna al collo pende,
S'adatta in braccio, e stando a lui lontano
L'elmo già di Clodin con man riprende
Per le dorale fibbie, onde s' allaccia,
Perdi' officio dì spada almen gli faccia.
xc
E 1 più saldo, pungente, e duro strale
Tra molti, clic vi son, traeva fuore,
Pennuto io basso di finissim' ale.
Onde più dritto è 1’ impeto e maggiore ;
Truova poi l'arco, che non ave eguale,
Di fortezza infinita, e di valore,
Che fuor che Palamede e Segurano,
Ogni altro cavaliero il teude in vano.
LXXXtV
E s’ invia verso lui con largo passo.
Stimando nel sno cor vantaggio avere;
Che tosto ha rotto il brando, o 1 braccio lasso
Chi sopr’ elmo ben fino e scudo fere :
E spera anco nel sangue, che già in basso
Pur tra 1' arme talor vedea cadere ;
E non poca speranza anco gli presta
Scernergli a' colpi suoi nuda la testa.
xri
Questo con salda mano al mezzo prende,
Indi pon dello strai la ferma cocca
Sii la rigida corda, e quella stende,
Fin che col ferro la sinistra tocca ;
Poi, con la destra, eh’ al deslr’ occhio prode
Dopo aver beo mirato, a pieno scocca,
E con tanto forare il corso prete,
Ch' a mille il sibilar 1’ orecchie offese.
LXXXV
Clodia, clic del medesimo s’ accorge,
E ti sente le forze assai mancare,
Nè gran speranza alla vittoria porge
Il brando, che non sa dove adoprare,
Si ben coperto il sno nemico scorge
D’ arme, eh* è tnlta intera, e senza pare ;
Ond' ei misura i colpi in tal maniera,
Che la spada, eh’ egli ba, dimori intera.
xcu
Il minacciante strai volando gi'o
Tra gente e gente, d’incontrar bramoso;
Giunge dritto a Gavcno, a cui ferio
La destra rascia, dove periglioso
Non pure è il loco, ma mortale e rio,
Tra mille nervi, e m Ile vene ascoso:
Ma T arme, e prima il ciel gli furo aita,
Ch' ei non perdesse tubilo la vita.
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l’ AVARO II IDE
xcm
Però che ’1 Cno acciaro aitai sostenne,
Che non andasse il colpo addentro mollo;
Fece il voler divin, che ’1 ferro tenne
Senlier passando d* ogni danno sciolto.
Tosto giù il sangue sotto 1' arme venne,
£ di tal doglia in un momento avvolto
Fu il misero Gaveno, e tanto acerba.
Che non reggendo il piè cadde su l' erba.
xeni
Cosi senza aspettar risposta alcuna
Fa riportar Gaveno in miglior parte ;
Ove d' intorno a lui ratto s' aduna
Serbino e Pellican con la lor arte:
Taurino ancor, che '1 corso della luna.
Con 1' altre stelle io cielo accolte e sparte,
Ottimamente osserva, ivi si truova ;
E di quanto può in sé, ciascun gli giova.
xeiv
Restò meraviglioso e sbigottito
Clodin, che'l suo nemico a questo vede:
Poi ben tosto s* accorge, che fallito
Avea '1 ino campo la promessa fede ;
Getta la spada io terra, e ratto è gito
Là dove l'altro lamentando siede;
E come qnel eh' ha pur reale il core,
Assai seco si duol del suo dolore.
xenu
Serbìn con dolce forza la saetta
Tutta intera col ferro ha tratta fuore ;
Guardala, e di velen la truova netta.
Di che prima dubbioso aveva il core ;
Poi la coscia disarma, e spoglia in fretta,
Per veder ben la piaga, ove dimore ;
Premela intorno, e poi col ferro tenta,
E di trovarne il fondo a’ argomenta.
xcv
Dicendo: Io mi vi rendo prigioniero,
Che facciate di me quel eh’ a voi piace,
Infin che si rilroovi il certo e’1 vero
Dell* atto crudelissimo e fallace ;
E s' io poi, come giudice e severo,
Non fo guanto a giustizia si conface ;
A voi mi voto eternamente servo,
Con meno onor che fuggitivo cervo.
XCIX
Certo, che nessun nervo offeso avia,
Nè infino all’ osso il colpo è penetrato,
Disse lieto a Gaven : Di morte ria
Non solo oggi assicuro il vostro stato;
Ma pria che 1 sole a mezzo giorno sia.
Sarete in guisa san, che vendicalo
Di vostra stessa mano esser potrete
Dell'oltraggio imunan, che sostenete.
xcvi
Ancor volea seguir, se '1 grande Arturo
Non venia ratto, e di dolor ripieno
Non dicea fero, e con sembiante oscuro :
Gitene por con la vittoria iu seno,
Da scellerato cavalier impuro,
Colmo d* invidia, d' odio e di veleno,
Di fede avverso, e di bontà nemico,
Di tradimenti, e d’ ogni vizio amico.
c
E mentre ancor dicea, già Pellicano
I preziosi unguenti ivi gli apporta ;
Stendegli intorno con salubre mano,
E la ferita acerba riconforta.
Taurino, al ciel mirando umile e piano,
Con sacri detti ogni dolor ne porta;
Indi in erboso, chiuso, c fresco loco
II lasciar dalla turba lunge un poco.
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l’ avarchide
CANTO IV
ARGOMENTO
-#*•>***■
otta la fede ti dispone Arturo
Entrar to' tuoi guerrier nella battaglia;
E a pur Clodatso a / periglioso e duro
Ballo di Marie, e fa arder che vaglia,
l’ala mede, eoa mano e cor securo,
Semina il campo di nemica maglia ;
Tritlana accorre, e fa strage altrettante.
Con Palamede a fronte è Costernante.
I * ,
n questo tempo pia <f Avareo 1* oste
Tulle l a arme lassate area riprese,
E nell' orditi medesmo eran riposte
Le proti appa rerrhiate a nuove offese ;
Gii l’ insegne, che fur per terra poste,
Hanno al ciel minaccienti Tali stese;
Già le trombe sonore in ogni parte
Sveglian il' alto romor Bellona e Marte.
il
Perchè tosto Tristano e Malipante,
Boorte e Lionello, e pii altri insieme
Dirmi, eli' è tempo ornai di pire avanle
Verso ’l nemico, che vicin gli preme ;
Ma il magnanimo Arturo, che le sante
Di lassù leggi, e gli spergiuri teme,
Più che I’ arme mortali, ordine diede,
CK' a Afre nasse ciascun la mano e '1 piede.
ni
Poi riguardando al ciel, dicea : Signore,
Che vedi aperto il tutto, e *1 latto sai,
Rivolgi sovra il popol peccatore
L’ aspra giustizia, e i meritati guai ;
E ’n quei, che senti d' ogni colpa fuore,
Drizza di tua pietà gli ardenti rai ;
La ragion pia rol tuo poter difendi,
E sciolto ine d’ ogni promessa rendi.
iv
Così detto, fé’ alzar la bianca insegna,
E chiamar d' ogni loro alla battaglia ;
E già sopra il drstrier lieto *’ indegna
Di mostrar nel sembiante, che gli raglia
Poco de* suoi nemici, e che si teglia
Tal la vittoria in man, che non I’ assaglia
Alcun nuovo timore ; e ’n colai dire
Ai miglior ragionando apporta ardire.
Valorosi miei dori e cavalieri.
Andiamo al sommo onor con lieto petto,
Che ne promette Dio degli empi e feri
Nostri avversari in questo giorno eletto;
Perchè il mondo conosca, e in esso speri,
Che' non lasse impunito aleno difetto,
Ma le cose mortali intenda e cari,
E più dell’ altre tutte gli spergiuri.
ri
E vi sovvegna poi, che quelli stessi
Son, che già tante volte avem provati,
E tante volte rotti, e ’n fuga messi,
Che son tìnte di lor le piaggie e i prati ;
Or tra si gran trionfi, e soiì spessi,
Che sempre con onor saran lodati,
Quest' ultimo verrà sì degno e tale,
Che la gloria di quei farà immortale.
▼u .
Poi quindi trapassando, ove scorgea
Tra' più bassi guerrieri alcnn, eh' al volto
Si mostrasse temere, alto dicea:
Entriam, cari figliuoi, nel popol folto,
Con sicuro pensar, che morte rea
L* aggia all’ estremo dì per noi raccolto ;
Ma non convien tardar, che la Fortuna
Contra i pigri alla fin la fronte imbruna.
mi
Nè dona il ciel favore a qnei che stanno
Lenti a veder ciò che n’ apporti 1' ora ;
Ma solamente a quei eh’ arditi vanno
Con la man prunta, ove sè stessa onora ì
Chi desia di schivar futuro danno.
Al presente periglio *' armi allora :
Moviamo il passo, e con sicura speme,
Che non taglia il coltri dell' nom, che teme.
IX
Seguitando olirà ancora, al loco arriva,
Ove de’ forti Neustri avea la schiera
Blomberisse, ed a quella innanzi giva.
Quasi feroce cane in vista altera :
Tra gli estremi Blanor dietro seguiva,
Come pastor, che la sua gregge intera
Va mantenendo, e punge in opra, o'n detto,
Chi non servasse a pien 1' ordin perfetto.
x
Contento nel sno cor, gioioso disse
(Dolcemente chiamandolo) il re Arturo :
Chi non fa il gran saver di Blomberisse,
Della chiara vittoria andar sicuro,
Tutte ferranti faci, e l' altre fisse
Serrando in voi, più di' adamante doro,
Quanto alberga lassù valore? ond’ io
Sprezzo con voi fortuna e ’1 destin rio.
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L AVARCHIDE
Ed irgli a lui: Nel buon voler di' io porlo,
Quanto in cosa mortai fra noi »i possa,
Non è '1 vostro sperar, signore, a torto,
Se rispondesse a quel la breve possa ;
Si vi promett'io ben, clic prima morto
Sarò posto sotterra in poca fossa,
Che slanci) di servirvi, e d’ esser tale,
CI»' alla vostra credenza io venga eguale.
1 pedestri gnerrier pose alle spalle
De* cavalieri, e fece che i migliori
Fusser nel primo, e nell* estremo calle.
Nel mezzo i nuovi, e mia ferori cori ;
Quasi fra due grati monti mi* ttmil valle,
Ch' a viva forza par, ch'ivi dimori;
Poi dì saggi ricordi empirà le menti
L* antico duce all' ordinale genti.
Pendegli grazie con sembiante umano,
E ’n parlar dolce, e di sue lodi adorno ;
Poi si volge il buon re, dove Tristano
Accoucia a guerra il suo siuistro corno,
E più d* un chiaro duce e capitano,
E più d’uo cavalier lenra d'intorno;
Poi di guerrier pedrstri si vedrà
La grande schiera, eli* alle spalle avea ;
Stato alquanto a mirar l' invitto Arturo,
In tai parole il buon volere apria :
Fosse oggi il corpo alle fatiche duro.
Come I invitto cor pronto saria.
Padre onorato mio, eli* io son sicuro,
Che lutto il mondo ancor vi troieria;
Fosse in altrui la debile vecchiezza,
E *n voi la già borita giovinezza.
Che folta nebbia sembra, che dal mare
Di zefiro il soffiar sospinga a terra,
Clic d‘ atra pece oscuro fumo pare.
Che rabbiosa tempesta in grembo serra ;
Ond* il rozzo pa^Jor tremante andare
Cercando scampo alla vicina guerra
Si vede, e rimcnar le gregge seco.
Quanto può ratto, al piu vicino speco.
Gli rispose il re Lago: Or fon* io tale,
Qual era, allor eh' appresso a Maina Ito,
La bella donna, ehe non ebbe eguale,
Difesi solo al periglioso assalto
Di cento cavalier, che del mortale
Velo spogliali, al gran Fattore in alto
Quaranta ne mandai, venti rcstaro
Feriti in terra, e gli altri si saivaro.
Disse allor lieto il re : Germe onoralo
Del più famoso tronco, che mai finse ;
Dico di quel, ch* a pien già mai lodato
Essrr nou può, del buon Mrliadussc,
Tanto v’ ha spinto in alto il vostro fato,
Cuu le natie virtù, che "n voi produsse,
Ch'uopo non sono a voi conforti o preghi,
Pcrch* a nubili imprese il cor si pieghi.
Ma noi concede Dio, che tutto insieme
Non vuol douare ad uno ; allor mi diede
Gioventù senza senno, ed or mi preme
Vecchiezza tal, ma che più lungc vede;
Ond’ io tengo, allo re, iicll' alma speme.
Poi che forza non ha la man, nc I piede,
Che '1 nostro consigliar fia di tal peso,
Che di molli il poter ne resti offeso.
Così piacesse a Dio, eh* animo tale
In qualch* altro dì noi spirasse aurora,
Ch'assai più basse di speranza l'ale
Avria Clodasso, e chi con lui dimora ;
Ma con voi lutto solo, c indio eguale,
Pria che dell' Ocran sia V ombra fuura,
Appetto io di veder condotto a porto
Il viaggio, iufiu qui dal Ciclo scorto.
Passa olirà Arturo, c vede assai lontano
Mitigante co' suoi di Vetta intorno,
FI seco Ilaudegamo il suo germano,
Con quei della Russia, presso a Lindorno,
Ch* aUrndcau la riposta da Tristano,
Se dovrau rimcnar sotto al suo corno
Le genti, come prima, e ancor uou era
Lor tornala di ciò novella vera.
Olirà passando poi, vicìn ritruova
Il vecchio re dell Orcadi tra* suol,
Che 1* ordine intermesso ivi rinutiova,
Con cerchio intorno di famosi croi ;
Eretto il figlio, a cui d’ insegnar giova
Ciocché iu guerra conviensi, e seco pui
Patrido al cerchio d oro, il bruu MaUuzo,
Plcnoro, Malagraute, c I pio Driauxo.
Allora irato il re, dice : O signori,
Tauto famosi nella vostra Gorre,
L* questo il modo a guadagnar gli onori,
Che vi fauuo a indi' altri iuuanzi porre ?
Ch' or vi restiate ascosi tra i peggiori.
Quando ogni vii guerriero innanzi corre ?
E voi dovreste pur, s*io dritto estimi,
Esser con l' arme iu mano ornai fra’ primi.
Tosta eli* ha de'cavai la torma innanzi,
Comanda: gite ognor ristretti insieme;
Nè per suo troppo ardire alcun a’ avanzi
D' uu passo pur, se 1 mio corruccio teme,
Né dall'orma primiera, ov* era diauzi,
Mai torni il pie, se ben la forza il preme;
Che lo spavento, e '1 rifuggir d’uu solo,
Fece perder soycfilc il graude stuolo.
Tutto sdegnoso Malìganle allora.
Rispose : L come il cor vi può soffrire,
lu cui tal senno e cortesia dimora,
A tali a torto, e tale oltraggio dire ?
Guardale poi, quando venuta Tura
Fia dal pubblico seguo di ferire ;
E se iuuanzi alle nostre orma si segna,
Yrngaue pena in noi del fallo degua.
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L AVARCHIDE
K
K1
Quando vide il prati re roti turbato
Quel, che tanto onorò, rìdendo dille t
Prendete in gioco ciò, figlio onorato
Del miglior ravalier, rhe gii mai ville,
E vi sovvegna ben, che in ogni italo
Ho mio in voi le mie speranze fine;
Seguite pure, e '1 ciel rivolga in gioia
Questa breve tra noi panata noia.
xx vt
Cosi ni tra panò, dove Coorte
I cavalli ordinando intorno giva.
Seco aveva Baveno, e*l saggio e forte
Nestore il «no fratei, che lui seguiva,
Ch* a belgici gurrrìer faceano scorte,
Non lunge all' Euro iu la delira riva:
I qnai parendo al re starsi in riposo,
Comincia allo a chiamar tutto sdegnoso :
xxvtt
Che tardale voi qui f perché non sete
Con gli altri ornai tra le primiere squadre ?
Coorte, r dico a voi, che ritenete
II nome sol dell* onorato padre,
Che di unii’ altro al mondo ebbe mai tele,
Che d’ esser primo all' opere leggiadre,
Pronto, accorto svegliato, e senza teina,
Di valor colmo, e di virlude estrema,
xxvt it
Noi vidi io già, ma tal per me t* lidio
Il mio re Pandragon di lui narrare,
Quando egli uccise «abitante il rio,
Clic videa la Errtapna soggiogare;
Che presso a Camdolto I* assalto,
Sendo tolto soletto in riva al mare,
E quegli avea cinquanta cavalieri.
De' miglior di Sassonia, e de' più feri;
XXIX
E'n fra gli altri Sarondo e Filidasso,
E di tulli sol nn dimorò in vita,
Che fu Magarlo, a coi Boortc, lasso
D’ arrider lauti, gli donò spedila
J.a strada, e comandò, eli* a ratto passo
Andasse agli altri a dir, come seguita
Fosse fra lor quella battaglia fera,
Di cui sol testiamo rimase u’ era.
Tal fn il vecchio Boortc re di Gave,
A cui par, che 'I figliuol simiglie poco:
Fe’d* Arturo il parlar noioso e grave
Al giovin onoralo il ror di foco ;
Ma cugio scodo a Lanrilotto, pavé
Di non far, come quegli, e 'I prende in gioco:
Ma il famoso Baveno, al re rivolto,
Così dicca, con arrossito volto :
x«xi
Non ne ritiro, signore, in questa parte,
Il voler neghittoso, o la viltade;
Ma per muoverci a guerra, eoo quell' arte,
Che si eoovien, per l’ animose strade ;
Nè cederemmo in arme al proprio Marte,
Nun eh' ad altro mortale, in altra etade ;
K come l' opra par, eh' aperto mostri,
Vie miglior ci tegniam, ohe i padri nostri.
XXXII
Che quei d'alto valor, come voi dite.
Perder Gave, Benicco, e i regni loro ;
In esigilo menar le regie vite,
E nell' attrai terreo sepolti fòro :
Ma noi con queste spade assai gradite
Avem di palma e trionfale alloro
Le lor ceneri ornate, e molte terre
Racquislate di lor con molte guerre.
xxxiti
Ma il pio Boorte riprendea Baveno,
Dicendo: Or non più no, eh* a noi nou lice
Di contender col re, ma tutto a pieno
Ascoltando, obbedì# ciò eh’ esso dice,
Che suo sari I' onor, se '1 Ciel sereno
Gli dari della guerra il fin felice
E se 'I contrario fia, sua la vergogna :
Però ben provveder per tutto agogna.
xxxtv
Cosi dello, il deslrier più innanzi sprona
E con cura maggior comanda intorno.
Questo chiama e lusinga, e quello intuona
Con alte voci, e gli minaccia scorno ;
Or percuote il cavallo, or la persoua
Di quei, che fanno all' obbedir soggiorno ;
Tal che diede in un punto alla gnu torma
Di tulli i cavalier dovuta forma.
XXXV
Or, come suoi Nettuno, eh* al soffiare
Di zefiro, sospiuto il lito inonde,
Che prima di lontan si sceme il mare
Montare al ciel con le sue torbid' onde \
Fui, come in bassa valle, ritornare.
Drizzando il passo alle vicine sponde ;
Ove in allo mnggir, di spuma carco,
Gli scogli ingombra, e 1' arenoso varco ;
XXXVI
Cosi pareano allor le schiere folte,
Che separate pria son poste insieme,
Le qnai eoa lento gir si soa rivolte
Verso il nemico suo, che già le preme :
Poi che fur più virine in un raccolte
Con I' arine e con 1’ ardir le forze estreme,
Con più avvisato cor, con menti nuove
Si couforlan fra loro all' alte prove.
xxwtf
Veggono I duri avanti, e d'essi soli
S' udian le voci esercitar I' impero ;
Gli altri gurrrier, qnai «empiici figliuoli,
A cui mostrino i padri il buon sentiero,
Tacili van ; nell' un dei fermi poli
Guarda la notte il provvido nocchiero
Con si gran cura, come questi fanno
Chi può loro apportar vittoria o danno.
xxxvtti
Vengo» quei di Clodasso, d* altra parte
Cou vie più gran rumor, che nell* aprile
Non fa la greggia, che '1 paitor diparte
Da' nuovi agnei dentro al serrato ovile,
Per trar più lar£o il latte, ove in disparte
Sente afflitta chiamar con prego umile
Il nutrimento suo la dolce prole,
Che iu voci spesse si lamenta e duole.
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AVARCH1DE
Eran le lingue poi varie e diverte.
Come vari e divertì hanno i parti :
Di contrari color ton l'armi asperse,
E di mille maniere, gli altri arnesi.
E ben pou quei d' Arturo anco vederte
Di tirane patrie, ma gran tempo appresi
Alla medetma scuola; in lor 1' u santa
Come spetto addivien, natnra avanta.
XL
Già quinci e quindi ti vedean volare
Lo spavento e '1 timor con trepid' ali,
Or alti in aria a tuo diporto stare,
Or ne’ cori avventar ge^ti strali;
Poscia scacciati in altra parte andare.
Dall* ira avversa, a cui non sono eguali ;
Dall* ira, eh' al principio lento il pasto
Muove per un sentier, eh' è oscuro e basso
XL!
Indi l' ali spiegando a poco a poco
Prende aperto canimin, eh* al del sommate;
Poi fatta <n vista di color di foco
Infin sovra le nnbi alza la fronte ;
Questa adunque avvampando in ogni loco,
Farea del sangue altrui 1' anime pronte,
E nulla cura aver della sua torte,
Portando solo in cor desio di morte.
XLII
Or già il buon Maligante, e 'I pio Boorte,
Questo a man destra, alla sinistra quello,
A* più levi cavai facendo scorte,
Muovon più presti, che rapace augello ;
Dietro lor la pedestre sua coorte
Spinge il re Pelinoro e Lionello;
Le quai di fromLator sono e d'arcieri,
Tutti al corso prontissimi e leggieri.
XLIIf
Il romor de’ destrirr, dell' arme il suono.
De' gnerrier il gridar, 1' orribil trombe,
Svrgìian si grave e tempestoso tuono.
Che 'I mar, 1’ aria, e la terra ne rimbombe
Per cui cadute in basso aquile sono,
Non pur cornici, o pavide colombe;
Tremò intorno la valle, e d* Euro I’ onde
S' alzar crollando tra 1’ erbose sponde.
Otl-tv
Mosser di quei d* Avarco, al muover loro
Non men bramosi del mortale assalto,
Con genti eguali, il forte Palamoro,
Farabo, e Loto, che seguia Yerrallo.
Primi allo incontro a ritrovarsi fòro
1 cavalicr, eh' adamantino smalto
Quinci srmbraro, e quindi elette incodi,
Tanto strepito fcr 1’ alme e gli scudi.
XLV
I tronchi delle lance hanno il sentiero
In un momento sol lutto ripieno;
Puossi steso veder più d' un destriero
Lottar con morte, e mordere il terreno ;
Ivi oppresso riinan quel cavaliero.
Quel tulio estinto e quel di sangue pieno;
Quel, che più ferma ancor soslic» la vita.
Quantunque a piè, col buon voler s’ aita.
De* pedestri, impiagato il petto o '1 banco,
Chi va col volto a terra, e chi riverso ;
Chi vive ancor, ma spento ha in lutto e stanco
Il suo primo valor, di polve asperso ;
Chi lo scudo ha impedito, e ‘1 braccio manco
Di più d' un colpo, che 'I passò traverso ;
E chi si truova san, cangiando varco.
Ora in questo, or in quello addrizza 1' arco.
XLVII
Ma con saggio silenzio, a passo tardo.
Vengo» 1‘ armate, e le più gravi schiere.
Col cor ben fermo, e con so Itil riguardo,
Dei lor duci adempir tutto il volere t
Intra due corni il candido stendardo
Del Britannico re si può vedere,
Nou tra i primi a ferir, ma io mezzo il ralle.
Che la fronte di lor veggia, e le spalle.
XLVIU
Sopra un alto corsier, che di colore
Ra ssembra all* oro, e mille oscure rnote
Della chiarezza adombra» lo splendore,
Come stil di piltor più accorto puote;
E in campo, che simiglia al uoovo albore.
Il ciel, che l’euro d' ogni nebbia scuote.
Il suo scudo reai, eh* al collo pende.
Di tredici corone aarato splende.
xux
Con mille intorno cavalier perfetti.
Di condor degni ogni onorala impresa,
Clic tutti insieme in un drappello stretti,
In ogui parte han presta la difesa.
Le trombe ha presso, e gli altri suoni eletti
A frenar P arme, o spingerle all' offesa,
Tristan va innanzi al suo sinistro corno.
D'aurate sopravveste, d'ostro adorno.
t
E per gir, rame gli altri, è sceso a piede,
Non dell' armi durissime ravvolto ;
Gravi pur si, che se i bisogno vede.
Che convenga stornar chi in fuga è volto,
Oude possa talor chi non provvede
Ballo iu più d' una parte suffrir mollo ;
Montando esso a cavai, restino intere
Centra ogui colpo, che la lancia fere.
Li
In sette doppi poi di fino acciaro
Il gravissimo scudo al braccio avea.
Ove nel campo verde a lui sì caro
Il dorato leone allo surgea ;
Così sen già con le sue schiere a paro,
Ma spesso l'occhio intoruo rivolgea :
Dne dardi ha soli in man, che tutta spene
Nella spada fatai secura tiene.
Ut
Del corno destro, ancor che d'anni pieno,
Il saggio re dell' Orcadi ha la cura ;
Perché impiagato allor scudo Gavcno,
Egli in vece di lui tutto procura,
E 1 generoso cor, eh' ei porla in seno,
Facca forza in quei giorni alla natura;
Che col picciol cavallo è iu ogni loco,
Nc mai stanche ha le membra, o ‘I parlar rucu.
Ufi
Or giunti ornai vicin dì pochi passi.
Con piò furor comanda il buon Tristano,
Che si affretti il cammin, non si, che lassi
Arrivin dove oprar si dee la mano;
Ma più che grinta alquanto, e stretti e bassi
Vadan con 1' aste, che '1 nemico in vano
Possa fra loro entrar d* alcuna sorte,
Che non truovi serrate esser le porte.
I.X
Poiché tanto ristretti son già insieme,
Che dell* aste ferir non han più forma ;
Fan, eh* essa schiera lentamente preme
Per gli spazi lassati indietro l’orma;
L'altra, eh' è più sicura, e che men teme,
Con gli scudi ferrati annata torma,
Succede al primo loco, in si bell* arte.
Che non appar cangiata alcuna parte.
tir
Fan tutte risonar le pìaggie e i colli
Di quelli i colpi, che ferir primieri ;
Sospinge saldo ogn’ uom, nè par che crolli,
O muova il piè de* fermi suoi sentieri ;
Ma già si veggion far vermiglie e molli
L* erbe del nuovo sangue de* guerrieri
E diverso gridar già 1* aria frange.
Di chi minaccia altero, e di chi piange.
1X1
Rcstan maravigliasi e sbigottiti
Dei nuovi successor quei di Clodasso :
E se, come leoni in selva ardili,
Non correan tosto con veloce passo
Palamede e Faran, eh’ era o seguiti
Dal crudo Fortunato e Bronadasso,
Che con minaccie e forza gli han rivolti;
S* eran già, spaventati, in fuga volti.
ir
Non son de’ duci piò le voci intese,
Cosi alto è il romor, che ingombra il cielo,
Qual rapido torrente, poi eh* nfTe«e
Febo nel suo raonton del veran il girlo,
Che ricchissimo donde in basso scese.
Spogliando all* alpi il suo canuto velo,
lu cosi orribil suono, e *n tal fragore.
Che si fuggon le gregge e *1 pio pastore.
I.XII
Poiché fermati gli han, trapassa avanti
Palamede e Faran. ma iodietro resta
L’altra coppia di lor, che spioge innanli
Chi con timido cor lunge s* arresta ;
E gli riduce all' ordin tutti quanti,
Ch* aver solean nella primiera testa,
E sopra i morti, allor che in terra stanno.
Nuova altra guerra, e perigliosa fanno.
avi
Molti son morti già, molti feriti,
Che dagli altri calcati a terra stanno ;
Ma dei miglior guerrieri, e più graditi,
Sopra il campo d’ Avarco è’! primo danno;
Perché fra gli altri giovinetti arditi
Fn il figliuol del re Armorico Britanno,
E cugin di Trìstan, chiamato Ovetto,
Che*) misero Agelao feri nel petto.
r.xnt
Vanti premendo si, che i forti tendi
Toccan 1 un l’altro, e l’ano l’altro piede
Son fra lor giunti, e dove sten più nudi,
Rimirando ciascun, di sotto Sede ;
Poi con aspre minacce, e detti crudi
Corre ogni duce ove il bisogno vede :
Tal che chi per onore, e chi per forza,
Di virtù dimostrar sé stesso sforza.
itti
E scampar noi poterò arme, eh* avesse.
Che tutta oltra passò l'asta fatale:
La qual convenne ivi entro rimanesse,
Né forza, o ’ngegno al ritirarla vale ;
Cadde traverso allor, come cadesse
Arbor percosso da celeste strale,
Che di strepito il bosco empie, e la valle,
Tal la piastra sonò sopra le spalle.
tXIT
Mentre fa Palamede agli altri strada,
Trovò in fra i primi il forte Aremedonte,
Che nacque in Borcheria, dove si vada
La famosa Tamigia presso al fonte:
Pongli su l’elmo la possente spada
Con tal furor, che gli parti la fronte
Per mezzo a punto in fino al collo, come
Suole acato colici ma laro pome.
LTtlI
Bamerto, che tra i Veneti era nato
Sovra ogni altro d* Ovetto amico e caro,
Perchè del suo signor 1* atto onorato
Fosse a chi fu lontan per vista chiaro,
Si fece innanzi, e dal sinistro lato,
Ove lo stool nemico era più raro,
Prese Agelao nel piede, e d' indi trarlo,
Quanto ei può più si sforza, e polca farlo.
IXf
Cadde col volto in giù fra F erbe steso,
E *1 risonar dell* arme alto s* adio ;
Vico poi Pedasso, al vendicare inteso
Del ino caro germano il caso rio,
Né men che 1* altro sì ritrnova offeso,
E mai snccesse il sno disegno pio,
Perchè mentre eh* ei tenta lui ferire,
Si vede ogni percossa indarno gire.
tnc
Ma il fero di Baviera Bnstarioo,
Che pria n’ ebbe dolor, come or vergogna;
Poi eh* ha perduto un dolce suo vicino,
Che non resti a* nemici almeno agogna ;
Onde a qnel, che tien l'occhio e *1 capo chino,
Intento meno a quel che più bisogna,
Col ferro agato ambe le tempie passa,
E sopra il primo ucciso morto il lassa.
f.xvi
Ma Palamede a lai fatta nascose
L'invitta spada nel medeimo loco,
In cui rhinsi fra lor natura pose
Della vita mortai gli spirti e 'I foco :
Cosi qual sasso, a coi torrente rose
Della riva il sostegno a poro a poco,
Andò riverso a terra, ìnntil salma,
E scotendogii i piè, si foggi 1* alma.
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umi
Dopo i dut picn d’ ardire esce Filanto,
Lo icudirr di Tristan, che irto mena,
Ovunqu’ ri vada, e ’n lui si fida laolo,
Che ((li dà sovra opn' noni credenza piena,
Nato d’ Alrhio, che di mitezze il vanto,
Di quanti son Ira l’Offa e la Villeua,
Nell* Armorico «en, porta, e figliuolo
Ebbe negli ultimi anni questo solo.
ixvnt
Vien dritto a Palamede, ed allo il chiana:
Rivoltale, signor, ver noi la vista,
Che non sempre 1* is tesso gloria e fama
Sopra ciascun vittorioso acquista »
Ctr a qnel, cui la fortuna or pregia ed ama,
In un punto poi viene odiosa e trista;
E ben sovente 1’ uum più lira in allo,
Perchè poscia rovini a maggior salto.
LUX
Così parlando ancor, ver lui »* avventa,
E con la spada il fianco gli percuote,
E quanto può, impiagarlo «'argomenta;
Ma le speranze van d' effetto vote,
Che non in altra guisa in damo tenta
Dchil ferro tagliar ben salda cote,
Che facess' ei quell' arme, eh* è sì dura,
Che forza converria sopra natura.
lxx
Ma Palamede a quell' omero trova
Con grave colpo, che 'n tal forza scende,
Ch* arme doppia, di’ avesse, non gli giova,
Nè lo scudo fortissimo il difende,
Che fu pur fabbricato a tutta prova
Là, dove all’ Occidente il corno stende
Il suo natio terreo, d'ottima tempre,
E ’l re Mcliadusse il portò sempre.
USI
E dopo lui Tristano, il suo figliuolo,
Infin che Marco, il re di Cornovaglia,
Gli donò quel, che fu nel mondo solo,
E eli' al presente avea nella battaglia ;
E diè l’altro a Filanto, ch'or di duolo
Mortai non lo scampò, per qoanl' ri vaglia,
Perdi’ all' uopo maggior, lasso, gli falla
Di ben coprirlo alla siuislra spalla.
LXXlf
La qaal fu in modo offrsa, di' a gran pena
Si poteo sostenere, in fin ch'ancora
Un nuovo colpo, ma traverso, mena
Nel luogo stesso, ove il percosse allora ;
Onde cadder rotando in su la rena
Lo scudo e *1 braccio alla medesima ora ;
Di ramo in guisa, che dal faggio atterra
Pastore alpestre, onde la tnandra serra.
(XXIII
Non restò in piede il misero Filanto,
Ma qnal candido fior, die iu riva siede
D’ un verde prato, a coi passando a canto
Con 1' nn decorni suoi l'aratro Cede;
Snpr' allo scado, e sul sinistro canto,
Dietro al sangue che versa il corpo cede ;
K poi che ’n terra i piè tre volte accolse,
Gli occhi d' oscura nebbia il ciel gli avvolse.
i-xxiv
Non si prende di lui cura altrimenti
11 forte Palamede, e innanzi muove.
Qual libico leon, che i grassi armenti.
Senza cani, o paslor. Ira i colli Iruove,
Che lassa questi e quei di vita spenti,
Con desioso cor di prede nuove,
E mentre pur iiu sol vivo ne resta,
L’ empia fame a sbramar mai non s' arresta
LUV
Incontra poi Laerco, e 'I biondo Arele,
Quel di Ehoraro, e dì Liinonia questo,
Ch’ebber di vendicar soverchia sete
Del giovinetto il raso agro e funesto ;
Nè le mature spighe al campo miete,
Per la calda stagion, villan più presto
Chè facesse ei, gettando dalie spalle
Le teste d* ambe due sopra la valle.
IXXVI
E perdi’ era (li lor nrl mezzo entralo,
Sol due colpi bastar, dritto e riverso;
Con gli elmi intorno, dal mrdrsmo lato
Non cader tutte, ma in contrario verso;
E ’l busto di ciascun, cosi troncalo,
Si vide alquanto in piè di sangue asperso ;
E poscia in basso gir, di torre in guisa,
Dalla nemica man sotterra incìsa.
LXXVJl
Per questi, e quel di pria, si gran timore
Avea compresa del sinistro corno
La parte destra, che ’1 più nobil core,
Per la vita scampar, non cura scorno:
E ciascun si fuggiva, se il roniore
Non fosse andato già per molti a torno ;
Tanto che, come suol, con levi penne
Di Tristano all’ orecchie al fin pervenne.
lxxvui
Il quale assai lontao, dall' altra parte
L Iberico Eussoro ucciso avia.
Che dell' indovinar sapea ben l’arte,
Per cui conobbe già sua morte ria
Nel gran Toltedo, e non mentir le carte ;
Perchè mentre 1’ insegna ivi seguia
Di Safaro, il fralel di Palamede,
Duce di quei, dove Castiglia siede,
LXXIX
Il famoso Tristan, dritto alla fronte.
Di forza estrema con la spada il fere
Sopra 1' elmo durissimo, di' un monte
Avria potuto intero sostenere.
Perché le stelle, ne’ suoi danni pronte.
Gli avea n fatto di lunge antivedere,
Ch’ alla testa il minaccia il suo destino.
Onde a tre doppi il fece saldo e fino.
LXXX
Ma ’l del, die ’l volea par, ritrovò possa,
Ch’ olirà ogui creder suo tutto il divise,
E là, dovr il più duro dell' altre ossa,
Per guardia più fedel natura mise,
Fé' trapassando ancor profonda fossa,
Infin che sopra il collo il colpo assise;
Onde tosto convien, rhe morto giaccia,
Di cervella ripicn 1' cimo e la faccia.
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h AVARCHIDI
Incontra il primo il nobil Corinete,
Ch’ ebbe il natal dell* Era in in la foce :
In coi di vero onor troppo alta aete.
Giovando all* immortale al corpo nuoce;
Perchè di molto ardir tal gloria miete,
Ch* ancor ne viene in noi chiara la voce ;
Ma fornì gli anni nell* età piò acerba,
E di piaga mortai cadde su l'erba.
xcvr
Ch'nna punta gli vien, dove a* appiglia
Nella gola alta all' ultimo palalo
La più carnosa parte, eh' assottiglia
L’ esca, e le fa il cammin più leve e grato;
Poscia il prode Ifiooo tra le due ciglia,
Inftn nella memoria ha trapassato,
Con loro appresso Acastore ed Aranco,
Questo al ventre percosso, e quello al fianco*
xcvti
Gii si fuggii ciascun, come si vede
Di storni far la popolosa schiera,
Quando il rapace uccello alcun ne fiede.
Privo d' esca miglior, vicino a sera ;
li grido pur del forte Palamede
Più spavento apportava che Megera
Od Aletto non fan con 1* aspre voci,
A chi lorde ha le man di colpe atroci.
xcviu
Ma in qnesta è sorvenato Gossemante,
11 core ardilo, che di quelli è duce
Di Sommerscto, e se gli oppone avante,
Con molti capitan, che seco adduce;
E ’n minaccioso orrìbile sembiante.
Mostrando alto lo scado, in cui rilaee
Mischiata in nn la porpora e 1' argento,
Rallumava il valor, eh* ei truova spento,
xctx
Dicendo: O cavali», non vi sovviene
Quei che voi foste, e quei che fur costoro?
E quante erbe in più lochi, e quante arene
Già dipingeste voi del sangue loro ?
Se voi sarete quei, eh' esser conviene,
Gli troverete ancor, qua» sempre foro ;
Ch' or non più, che s* avessero altre volte.
Hanno in porfiro fin le membra avvolte :
C
Nè taglian men eh* allor le nostre spade,
Pur eh' aver dispooiam gli stessi cori :
llilroviam di virtù I’ antiche strade,
Coi medesmi desir de' primi onori :
Non con sen tiara della passala etade
Oscurare or le palme e i verdi allori ;
Ma d' addoppiargli e rischiarargli tale.
Che non gli noccia mai colpo mortale. ^
ci
In cotai detti questo e quel raccoglie.
Che senza altro sperar ratto foggia ;
Già del primo timor gli animi scioglie,
E nel cammin lasciato gli rinvia ;
Già di caldo desire empie le voglie
Di vendicar ciascun la sorte ria.
Chi del compagno sno, chi del germano,
Chi dell' onta, eh' avea d' esser lontano.
cu
Ed esso innanzi a tutti >' appresenta
Con la schiera ordinala, e ben ristretta :
E va con grande ardire, ove s* avventa
Contro a chi trova in guisa di saetta
L' Ebrido altero, e con la spada il tenta
Sopra la destra spalla, e ben che eletta
Fosse la piastra e grossa, noi difese.
Che *n fin quasi su 1' osso il colpo scese,
cm
Dicendo : Or senta il forte Palamede,
Come il suo Gossemante core ardito
Opra in guerra la mano, e non il piede,
Quale il popol peggior da lui fuggito;
L* altro col ferro sol risposta diede,
Glie ’n su la fronte in alto l'ha ferito,
Di forza tal, che se veniva a pieno,
Gli convertiva in notte il di sereno.
civ
Ma il fero colpo per traverso lato
Venne sfuggendo, e nello scudo il colse,
Ond‘ ei ragiona in sè medesmo irato :
Or ringraziate il Ciel, che cosi volse.
Che ben vi diè più che benigno il Fato,
Poi eh’ all’ unghie di morte oggi vi tolse ;
Ma Gossemante col primiero ardire
Di minacciar nou cessa e di ferire.
E stala orribil la battaglia fora,
Perchè prode è ciascuno e valoroso ;
Ma de' guerrier lo stuol, che gìugne allora
All’ impresa onorata, vien noioso ;
Tal che per viva forza all’ istess'ora.
Si truova l’un dall' altro essere ascoso;
Nè potendo, ore avean te voglie intente,
Spiegau le lor virtù sovr’ altra gente.
L AVARO H IDE
ARGOMENTO
Segar la fera pugna, in cui fan pruove
Chiarissime , stupende Eretto e Lago ;
A Drunoro ed a* rasoi, sempre con nuore
Hìseoue don tormento , e fee pretago :
Domi però cadean ; ma a lor si muoi '0
Eoorte invitto di salvarli vago;
Giunge, e di sangue, empie tf intorno il campo.
Tal che i prodi guerrier trovano scampo.
M. io quella parte, ove le picciol'onde
Per sentiero arenato l'Euro spinge,
Non più eh* altrove il suo furore asconde
Marte, o con rumo ardor la spada siringe;
Ausi le verdi pria Borite sponde
D'altro fero color bagna e dipinge;
E tutto intorno all* infelice fossa
Ha stampalo il terrea di sangue e d* ossa.
»
Ivi il buon re dell Orcadi tenea
La vece di Cavea, mentre è ferito ;
E con senno e con arte si movea,
Non però tal, che men si mostri ardilo ;
Ma il valore e 1 consiglio correggea
Si ben tra lor, che nullo era impedito;
Ed avea già con I' aste sue primiere
Oppresse di timor 1* avverse schiere.
tu
De'quai fu conduttor Brunoro il Nero,
Però che il re Clodino era lontano;
Sero estimando in nobil cavaliero
Opra di cor rozzissimo e villano
Si tosto ripigliar I* ingiusto impero,
E con ogni ragion muover la roano
Sopra la gente pia, eli' a torto offesa,
Pur credca, che dal Ciel fosse difesa.
ir
Cosi 1* un corno e 1' altro il proprio duce
Avea cangiato, e non con men virludc
Di lor ciascuno all' opra si conduce,
Né di quei men valor nel petto chiude :
Ben che d'anni ineguali, in ambe luce
Gloria serobiaule, perché in mille crude
Battaglie si trovar contrari e 'nsieme,
la cui senno mostraro c forze estreme.
Or mischiati fra lor da ciascun lato,
Non si discerne alcun, che muova il piede;
Ma sta qual torre o sasso alto piantato,
Che d* aperti confio termine siede ;
Poi col braccio e col ferro insanguinato
Contra il fero vicin spinger si vede ;
E senza cura aver della sua sorte,
Solo inteso restar nell' altrui morte.
TI
E fra molti miglior più d'altro appare
Il figlimi! del re Lago, il forte Eretto,
Tutto pien di desio d'allo montare
In brevissimi giorni al fiu perfetto
Di somma gloria, e ’n dietro a sé lassare
Gli altrui canuti onor, lui giovinetto;
Cosi dove scernea più gran periglio,
Di più ionanzi passar prgndea consiglio.
TU
Né a sì nobil disegno fu nemica
Nel primo incominciar fortuna infida,
Ché con sommo valor ratto s’intrica
Tra i più folti nemici, ed ella il guida
Ove Bocalion danno e fatica
Dava ai Britanni, e loro appella e sfida,
Dicendo : Ove son or quei tanto ardili.
Che mioaccian si spesso i nostri liti ?
vin
E quando son lontan, srmbran linai,
Poi pecorelle vili, ove noi seroo ?
E s* al calcar le nostre regioni
Hanno oprato in rammin la vela e *1 remo,
Al tornar fia meslier più che di sproni,
Per chi non fòsse pur dì vita scemo ;
I quai pochi saranno, iufin che basta
Questa mauo a portar la spada e 1’ asta.
IX
E mentre dice por, sopra gli viene
II valoroso Eretto e drillo pose
Il ferro entro la bocca, eh’ ancor tiene
Parlando aperta, e tutto in essa ascose ;
Cosi senza altro dir, qual si conviene.
Al folle ragionar silenzio pose ;
Cadde egli a terra, come sciolta salma,
E mordeudo il terrea si fuggi 1* alma,
x
Olirà varcando poi trova Mecisto,
In Frisia nato, e nel medesmo loco,
Che del compagno suo doglioso e tristo
Per desio di vendetta ha il cor di foco ;
Ma il fero giovinetto, al nuovo acquisto
Volto il pensiero, il passo affirena un poco,
Fin di' ei a’ appressa, e poi ver lui si getta,
Come d' arco miglior leve saetta.
£ pria eh' a lai ferir predo il vedesse,
Il colpo gli addrizzò, dove le code
Son nel mezzo del petto aggiunte e spesse,
Delle parli migliori in guardia poste t
E passò leveniente oltra per esse.
Nelle spine del dorso a quelle opposte ;
Così la man, percosse quelle a pena,
Lasciò 1’ asta cader sopra la rena.
Arca Branoro il Nero in quella parte,
Onde allor si morra, l'asta troncata ;
Però dal suo scudier, cU' era in disparte,
Lo scado ha tolto, dorè in argentata
Sede surge il leon, che in estrana arte
Di rosso e bron la reste area cangiata ;
Poi tratta fuor la sua pesante spada,
Facea col suo valore agli altri strada.
Ed ei tutto incurvato, c riversando
Per la bocca doglioso 1* esca e ‘1 vino,
Andò col volto in giù di vita in bando,
E diè 1' ultimo fine al suo destiuo.
Trovò dopo costui, che ran cercando,
Se sarà il ferro lor del suo più fiuo,
Adillo, Polipete, Ablero, Elato,
Ai quali ad uno ad un la morte ha dato,
In compagnia non solo ha Dinadano,
Ma Nabeno il fellone ed Agrogero,
Che fu chiamato il crudo, e Terrìgano
21 grande insieme, e Graccdono il fero j
E perché da qnel loco iva lontano
Di quei, che dimorar, lassò l' impero
A Margondo, Gaiindo, e Gnor baldo.
Che ‘1 teoesser composto, unito e saldo.
Tutti nati in Usfalia in mezzo V onde
Di Yisurgo e d* Amasio, a cui del Reno
La destra foce di non molto asconde
L' acque, eh' all' Occan ripone in seno.
Segue oltra Eretto, e qual 1' aride fronde.
Poiché il calore estivo già vien meno,
Nel tardo autnnno d' aquilone al fiato
Caggion, nudo lassando il irouco amato ;
Ma come all* arrivar del can più filli
Suol r orecchie levar lupo rapace,
Ch' avea trovata in solitari lidi
La greggia stanca, che nell* ombra giace ;
Che la fama al predar vuol, che s'affidi,
E ’l contrario di lei temenza face;
E mentre è in dubbio ancor, tal forza ha sopra.
Che del bosco Convito •’ asconda e cuopra ;
Tal da’ colpi di lui cader si vede
Gente infinita poi di sangue oscura ;
E ’n guisa fa, ch'ornai ciascun col piede,
Non con la man la vita s’asserura:
Già tulio il corno a lui soletto cede,
Chi per forza d'altrui, chi per paura,
Perchè i pochi e miglior di tema sciolti
Son via portali dal fuggir de* molti.
Cosi nel sonrenir di gii erri er tali
Fe' il valoroso Eretto, che si duole,
Ch* aggian tarpate a tal vittoria l'ali,
E desia di seguir, come pria suole ;
Ma I* arme di coslor, ch* han pochi eguali.
Già lo sforzauo a far quel, che uien vuole;
Onde i colpi schifando accolto e basso,
Si ripose fra* suoi con lento passo.
Ma il feroce Brunoro, e Dinadano,
Il suo caro fratello, han Insto udito
Il gran danno de’ suoi, mollo lontano
Da Marigarlo il grande, che ferito
Vicino al braccio nella destra mano
Non potendo altro far, volando c gito;
E grida in alto suon : Drizzate il passo,
Ove il pupo! vi chiama afflitto c lasso.
E quanto puote il meglio ivi conforta
Ciascuno a non temer 1’ atra trinpesta,
Ch* una subita nube loro apporta,
Che quanto ha più furor, piu tosto resta ;
E per ben lor fermar salda la porta,
Raddoppia insieme alla primiera testa
Quanti scudi ha quel lato, c curvi a terra
Vuol, chesosteugan sol, non muovati guerra.
E senza oltra più dir, ratti gli mena,
Ove d’ un sol trmra la folta schiera ;
All' apparir de' quai tutta ripiena
Tornò di gioia, c di speranza altera ;
Non altrimenti, allor che rasserena
Il ciel, dopo l'algente, orrida, e fera
Del rio vero» staginn, tornati gli augelli
Sopra i rami a cantar gaietti c snelli.
xvii
Colai si scerser tutti rivestire
Lo smarrito vigore, alla mercede
Rendendo a Dio, che non volca soffrire,
Clic lungo fosse il danno, che gli diede ;
Or già ricinto il dispogliato ardire,
Ciascun verso i nemici toma il piede ;
E col favor de' duo' gran duri insieme,
Ove indietro fuggiva, innanzi preme.
Ms quei, rimessa in un la miglior parte,
Mossi d'alto disio di vcudicarse,
Vc-nian con tal ardir, che *1 proprio Marte
Quasi avria con Ir’ a lor le forze scarse;
E ben ch'ivi rilrovin con multa arte
Ai disegni animosi conlrastarse,
Nou perdon la speranza, anzi l'impresa
Yan seguitando più, eli’ è più difesa.
XXIV
Son le due schiere già sì giunte insieme.
Che *1 braccio con la man resta impedito ;
Nessun ritira il passo, c ciascun preme,
Senza avanzarsi il termine d' un dito ;
Ciascun gli altri minaccia, e nessun teme,
Né del suo percussor cura il ferito ;
E non gli scudi pur, ma dami in alto
Le celale c i ciuiier l' istesso assalto.
|jsT^j L’ AVARCHIDE
nr
Ma il feroce Brunore, che non rede
D’ ottener la vittoria alcuna via.
Mentre il *110 Din aitano a quei provvede ,
Con pochi dei miglior qneto l' invia
In quella parte, eh' alla destra siede.
Ore la minor pente e la piò ria
Stava di quei d’ Arturo, che 1* eletta
AH' insegna d' Eretto era ristretta.
XXXII
Ma di pregio maggior desire il prese,
Che di Creoso allor 1’ orme segnio,
Fin che, in van sospirando il suo paese,
Per le man di Nabon miser morio;
In Ciaero e in Assro, non nen si stese
Per qnel ferro medesmo il destin rio.
Che gli fe* d* nn sol parto uscire insieme,
E d’ una istessa morte ivi gli preme.
«n
Cremo il Senescial soletto trova,
Che presago di ciò, d' intorno chiama :
11 passo in ver di me correndo muova,
Chi la vita salvar cerca e la fama;
Che la schiera, ch’or viene altera e nuora,
Il nostro sangne e la nostr’ onta brama
E «e non prowegpiam con sommo ardire,
Porria forse adempir lo suo desire.
XXXIII
Uccise Gracedono il bel Dolopo,
Che della vaga Alarla era figlinolo.
Di C reuso sorella, eh* assai dopo
Il partir venne del Britanno stuolo ;
Nè le ricchezze, nè la forma ad uopo,
Nè T esser di tal madre incito solo,
Lasso ! gli faro, allor ebe 1' empia spada
Se gli fece nel cor mortale strada.
XXVII
Coti diceva, e poi eli* insieme ha posto
Lo tlnol, che di Cornubia area menato ;
Per dar baldanza a' suoi, quanto può tosto,
D’ assalir cerca il gran nemico armato.
Il qual è nel ino cor fermo e disposto,
Che '1 passar indi non gli sia vietato ;
E con impeto tal fra lor percuote.
Che la valla al romor la fronte scuole.
XXXIV
Di quella stessa man cadde Lampeto,
Nato in Arforda al promontorio U vallo.
Che fa nadriio in luogo ermo e segreto,
Da chi temea la pena del sno fallo ;
Perchè Fifeda del famoso Cleto,
Che del sno padre Ivano era vassallo,
11 partorì nel bosco, e ’n guardia diede
D' un pastor vecchio alla sincera fede.
XXVIII
Ma non rede per questo il buon Cremo,
Che lo scndn tìen saldo, e ‘1 ferro spinge,
Che in altra parte, e in altri tempi era oso,
Ove il terren di saogue si dipinge;
Ma poi elie ’l suo sperar torna delato,
Brnnoro irato contro a Ini s’ accinge,
E con la spada nello scodo il fere.
Che non potè più intero rimanere.
XXXV
Poi palesato il ver, dopo il perdono,
Fn dell* amante ino la donna sposa :
Ma qnanlo era per Ini più largo dono
D'incognito abitar la selva ombrosa !
C.h' or non saria dal fero Gracedono,
In troppo acerba età, qnal fresca rosa,
f.li’ ancor non apra il sen, disteso al piano
Dalla marmorea testa sì lontano.
xtrx
Che qnantnnqne si fin fosse 1* acciaro,
Che pochi altri n* avea simili ad esso;
Tntte 1* ottime tempre noi saivaro,
Che ’l sinistro ino lato ha in terra [messo ;
Cremo gli rendeo colpo più amaro,
Che di vibrante punta il colse, presso
Della gola in quel loco che sostiene
L’ osso, che dalla spalla al petto viene.
xxxvt
Ma Terrigano il grande Orene accise,
Lo scndier valoroso di Mandrino,
Che al piò basso del ventre il ferro mise,
E tremando il gettò col capo chino ;
La fronte in fino al ciglio poi divìse
A Calenor, che fa di Breslolino,
Dell'isola virina a Bangaria,
Ove l’arte piratica il nntria.
XXX
E passò alquanto dentro, ma il periglio
Fn del danno in quel punto assai maggiore.
Che se bene tornò *1 ferro vermiglio.
Non gli toUe però spirto, o vigore ;
Ma in qnesto mrm rivolgendo il ciglio
Cren so, ove sentia piò gran remore,
Nahon vede, Agrogero, e Cìracedono,
Che quasi tre leon fra* cervi sono.
xxxvn
Ed Agrogero il crudo presso a loro
Non men bagna il terren di nuovo sangue,
Ch' avea reriso al misero B inoro
Tatto il destro ginocchio, e fatto esangue;
Questi del re Gaven l' ampio tesoro
In guardia aveva, ed or povero lingue,
Senza sepolcro sopra, o pompa intorno,
Lonlan di Conturbi!, suo nido adorno.
XXXI
Degli oscuri guerrieri uccisi han tanti.
Che la terra dì lor parea coperta ;
D' altri poi duci e cavalieri erranti,
O scndicri, o cagin di fama aperta,
Morto è Lamete, che in destrezza, quanti
Ebbe mai la Cornubia al corso esperta,
Vince a già tatti, e vincerebbe ancora,
Se dallo stadio suo non ascia Inora.
xxxnu
Uccise appresso Clizio e Palidarco,
D' Essesia qnesto, e di Mildesia quello;
Percosse F un, dove ronginngon V arco
Le ciglia insieme, e trapassò il cervello;
Dell* altro al manco lato orribil varco
Fece, dove più il cor si addrizza in elio.
Or quando lai cader la gente vede.
Tutta allo scampo sno rivolge il piede.
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XXXIX
Quai giovinoti loon, che in lacci avvolta,
0 in mozxo ai cacciatoi*, la madre morta
Scorgon dogliosi, ond' ogni speme è tolta,
Ch* aver solean, della fidata scorta ;
Ch’ ove la selva è più spinosa e folta,
E dove è più la strada ombrosa e torta,
Fuggon per ritrovar se pon, l'albergo,
Nè per temenza mai guardano a tergo ;
U
Tal si vedeva allor 1* alili Uà schiera.
Che di tai cavalicr si sente priva :
Seguonta, quanto pon con vista altera,
1 quattro buon guerrier lungo la riva ;
Perchè non possa mai tornare intera
Nell' ordin primo, che disperso giva;
Ma poi che lunge assai mostrali le spalle,
Si ritiran fra' suoi per altro calle.
xu
E dove Dinadano, e 1 forte Eretto
Ilan di pari fra lor paline e cipressi.
Drizzami al fianro, in un drappello stretto,
Ove i Britanni scudi eran piu spessi;
1 quai guardando a quri, eh' aveano a petto,
Questi avvisar de' lor compagni istessi ;
Che chi ha nella vista, o lancia, u spada.
Non può sccruer sì ben, chi venga, o vada.
XLII
Trovami adunque d' ogn' intorno cinti.
Che con quri quattro poi sono altri molti,
Che da' lor duri fur ratti sospinti,
Pria che la sorte sua contraria volti,
Perchè maravigliando hanno dipinti
Di temrnza e di duol già tutti i volti;
Ma il giovili valoroso nulla teme,
Anzi con più furor minaccia e freme,
xtui
Dicendo: Or ch'egli è'1 tempo, vi sovvegna.
Onorati compagni e fratei cari,
Della virtù, rhe anticamente regna
Ne* maggior nostri sopra gli altri chiari;
E che seguite or qui l’altera insegna
Del gran re Lago eoi non visse pari
Oggi in consiglio, e già in opre leggiadre,
E eh* è non men di voi che di me padre ;
XLIY
E che là sotto il fosco c freddo ciclo
Dell’ Orcadi il terren nostro natio
Non si teme di morte il crudo gelo,
Ma di pigra viltà ]’ effetto rio :
Non s’ onora chi in pace cangiò il pelo.
Ma dii con I' arme in man giovin mono ;
Folle errore è il salvar la vita in sorte.
Che ti sia grave poi più eh' altra morte.
Con tai parole il giovinetto ardito
Di sostenere i suoi pregando adopra,
E non in vati, che da’ migliori udito
Il suo chiaro voler fu inciso in opra ;
Ma il popolo mimico, eh* è infinito,
Al breve stuol, eli’ avea, venuto è sopra,
Tal eli' è forzato Eretto a poco a poco,
Senza fronte voltar, cedere il loco.
XLVf
E si conginnge a quei, che indietro stanno
Che tra gli ordin piu larghi 1' han raccolto.
Poi lutti insieme unitamente vanno
Ove il fero avversario era più follo;
E nuova altra battaglia insieme fanno,
Ove non apparia vantaggio molto.
Tra’ primi colpi loro, in fin che vcone.
Chi gli altrui mise in fuga, e' suoi sostenne.
XLVtt
Venne il gran Marabon della riviera.
Con l' aspra gente, che tra 1’ Alpi giace.
Onde scendendo rapida Lisera
L' Allobrogo terreo fecondo fare ;
Margondo ha in compagnia con pari schiera
Di quei, che stanno, ove riposo e pace
Il Hodan porge al suo veloce piede,
E ‘1 mar di Gallia con due corna Cede.
XLVIll
Non può il valor degli Orcadi durare
Contro a numero tal, che nuovo è giunto ;
Ma in questa al verebio re le nuove amare
L'orecrliie insieme, r '1 core hanno compunto;
Ond* egli ordin lassando, clic restare
Deliba in suo loco Ivan, l’ istesso punto,
Appellando i miglior con ratto corso.
Dell' amato figliuol viene in soccorso.
XLIX
Di coi 1' ardente amor, l'onor del regno
Di tal foco avvampò 1' annoso petto,
Che di vecchiezza fuor non mostrò segno ;
Ma come fosse ancor d’ età perfetto,
Le membra ha pronte, e di vaghezza pregno
Di tosto pervenir dove era Eretto;
Così veloce va, che gli altri a pena
Han di lui seguitar si sciolta lena.
L
Leva quanto alto può lo scudo aarato
Con le vermiglie teste del Dragone :
Ch' a' suoi, che di lontan 1* aggiau miralo.
Sia di fermo sperar dritta cagione ;
Or come fu tra' suoi lieto arrivato,
Cominciò con dolcissimo sermone :
Non temete, figliuoi, eli’ ora è con voi.
Chi sempre vincitor condusse » suoi.
Li
Nè vi spaventi no, se gli inimici
Son piu numero assai, che voi non sete ;
Elie sempre i pochi e i buon son più felici.
Come per prova ancor tosto vedrete;
Abbatte uu sol falcou molle cornici.
Un leon mille gregge mansuete ;
Nè questo il primo di sarà, che i molti
Ho già solo, o con pochi io rotta volti.
zìi
Tenete pure in man forte la spada,
E *u petto di virtù smaltato il core.
Che in simil casi, alla mcdesroa strada
Va la dolce salute, c'1 chiaro onore;
Che più perde la vita, chi più bada
A voler lei scampar con suo disuore ;
E per prupria difesa il ciel ne diede
La mano c 1' arine, e non la fuga c 1 piede.
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L AVARO II IDE
Kl
Confortando rosi, tanto olirà pasta,
Che’l prode Eretto in gran periglio truova,
Perchè parte è ferita, e parte latta
La pente tua, che ’n vita ti ri truova i
Or vedendo il figliuol congiunta e batta
Al toreorto venir la trhiera nuova,
E 'I pio vecchio, e magnanimo parente,
Gran dolcezza e dolor nell' alma «ente.
UT
E dice: O sommo onor de' canati anni,
O dolci astino padre, e qual mia torte
Rea vi conduce or qui Ira tanti affanni.
In rischio, a mia rapina, d' amara morte?
Troppo to’ era il soffrir pii avuti danni,
Sovra i cari compagni e tidr scorte.
Senza che s* aggiungesse qm-l, per cui
Mille vite darei, salvando lui.
l.v
Deh! tornate, sipnor, poi che v’è stato
Amico il Cielo in tale aita darme ;
Cir altra forza bisogna in questo stalo.
Più intepri difensori, e più salde arme.
Rispose il vecchio re eoo volto irato:
Dunque vnoi tu, fipliiinlo, oppi privarme
Di quel, eh' io bramo più, ch‘e d' esser Ureo,
Per coi dolce m' è solo il mondo cieco?
ITI
Lattami pur venir, che poche notti
Ha in sua forza di me Fortuua fera,
E i giorni a Unto onor Gn qui condotti.
Qual mai chiuder porria più degna sera ?
Ester hen potino a te troncati e rotti
Mille disegni, ch'hai l' eUde intera;
A me il sepolcro sol punte esser tolto.
Che non fu dai migliori in pregio molto.
Lvtt
Così detto va innanzi e vichi truova
L* Aiiobropo Alritoo, di cui la tetta
Percuote si, eh' a lei salvar non giova
Ferro ben saldo, che partita resta ;
Poi vago d* acquistar vittoria nuova.
Segue olirà a tuo poter, nè mai t'arresta,
Fin che truova Apaitrofo e Peonide,
E de' dooi questo impiaga, e quello uccide.
tvm
Perdi’ al primo pattò la destra tempia,
E tutta l'altra poi Caputa spada;
Ma la Fortuua sua men dura ed empia
Ebbe il secondo poi, che vuol, che vada
11 colpo indarno, e non del tutto adempia
L* incomioriata pria mortale strada ,
Ch'entrò nel petto, e non andò si addentro,
Che potesse toccar dell’ alma il centro.
r.ix
Tale all’ alto valor, che ’n core area,
L'invi Itissinio vecchio allarga il freno,
Che quello stesso allora esser crede*,
Ch' al verde tempo, e di vigor ripieno ;
E tanto olirà varcò, che nou polca
Ritrarsi indietro, ch* a' nemici è in seoo,
Nè sbigottito vira per questo o stanco,
Ma piu die fosse ancor sicuro e franco.
Ma il giovin misere! , come s’ accorge,
In che stato dubbioso il padre sia;
Non più dogliosa appar, te '1 figlio scorge
Dentro all' onde cader, la madre pia.
Che qual può lagrimando aiuto porge,
E chiamando ciascun, che truova iu via ;
Tale er'egli iu quel punto, e in alle grida
Tutti appella color, cui più s'affida,
MB
Dicendo : Ora è, signor, qnel tempo eletto.
Nel qnal fi a guadagnar perder la vita.
Per salute di quel, dentro al cui petto
Ripose il Ciel la tua virlode unita;
Né possa esser già mai saputo o detto.
Che fra si altera gente e si gradita
Foste ucciso dell' Orcadi il re Lago,
Senza amplissimo far di sangue un lago.
uir
E ’n tai chiare parole ultra si mise,
E hen segnilo fu dagli altri suoi ;
Ippologo, Difmno, Anero accise.
Tatti Borgoodi, e Siri dando poi.
Tal che la stretta schiera si divise*
La porta aprendo a’ valorosi eroi ;
Cosi spingendo co’ compagni appresso
Trovò il famoso re da molti oppresso.
inn
E *n tra’ primi Nabooe ed Agrogem,
Qnasi del tatto all' ultimo suo punto
L’ avean condotto ; e bene avea mesliefo.
Che ’l soccorso di Ini fosse ivi ginnto ;
Ma quando udì virino il grido altero
Del carminio figlio, fu compunto
Di tal dolcezza, che ripreso ardire,
Ricominciò di subito a ferire,
LZIV
Dicendo : Or vegg’ io ben, che dai leoni
Non usciron giammai damme né cerve ;
Nè bisogna al buon cor verga nè sproni,
Perchè ’l dritto sentier d’onore osserve.
Non van con tal romor folgori c tuoni
Per l’aria errando alle stagion proterve,
Che'l prode Eretto per la schiera avversa,
Che tutto il suo poter nel padre versa. ‘
LKV
Dona an colpo a Nabon, che piò vicino,
E con forza piu grave il vecchio offende ;
Ma fu d' ottima tempra, e troppo fiuo
Il ferro, ehe la testa gli difende ;
Pur del grave suo peso, a capo chino.
Tutti smarriti i seusi, ai distende ;
Potei* in verso Agrogero il brando mosse,
E ’l destro braccio io allo gli percosse,
un
Per coi gli fé’ cader la spada a terrai
Cosi impedito l‘ uno e l’ altro duce,
Trinnfator della pietosa guerra
In teatro sentiero il padre adduce ;
Ma in questo mezzo si ristringe e «erra
Gran gente, che di nuovo riconduce
Rrunoro il Nero, e 1 forte G recedono.
Con altri cavalicr, d»e 'ntoroo sono.
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L AVARCHIDE
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L’ AVÀRCHIDE
uni
Qoal r ritira sta gì on talora avviene,
QnanJo il piò caldo dì le piagge fende,
Che d' atre aubi inghirlandato viene
L’ Auitro, che aovra il mar l' ali distende t
£ scurando le luci al ciel serene,
Cerer, Bacco, Pontone, e Palla offende
Con grandine sassosa, orrida, e eroda.
Che le piante e la terra ha fatta ignuda.
ixxxnu
Lì non ad un ad un, ma a schiera a schiera,
Stende tutti all' arena, e molti uccide.
Nulla parte di lor rimane intera,
Ch' ove insieme gli scema, gli divide;
Infili che Marebon della Riviera,
Che par che nel valor troppo s* affidi*.
Con gli Allobrogi suoi ristretto Iruove,
Che spiegate l' insegne incontra muove.
unn
Tal sopra i suoi nemici allor Boorte
Il valore c '1 furore iu un distese ;
A questo aspro minaccia, a qnel dà morte,
L’ uno empiè di timore, e 1' altro offese j
Poi rotte avendo le primiere porte.
Intento solo a quello il rentier prese.
Ove il re Cago, e 1' onorato figlio
Giunti cran ambo all' ultimo periglio.
tulli
Tosto che ’l vide tal l' accorto duce,
Cangia a’ consigli suoi novelle forme,
Che ’1 fren tanto ritien, che si conduce
Marabon per ferire all' ullim' orme ;
Apresi poi nel mezzo, e i sooi riduce
Egualmente divisi in doppie torme;
E nel lor destro, e lor sinistro lato
Dietro agli ordin primieri è ratto entrato.
LX XXIII
Perchè quel scura scudo, e senza spad*.
Che gli si ruppe in man, si vede, e lasso;
11 forte Cretto ha 1’ elmo su la strada,
E del destro braccial si truova casso :
Pur con 1' altro a guardar la fronte bada,
E eoi brando, eh* ba intero, cuopre il basso;
Il terzo è poco men che sbigottito,
Che'l sinistro ginocchio avea ferito*
xe
Cosi 1' aste schivando delle fronti,
Con sua piò sicurtà percuote i fianchi.
In prestezza rotai, eli' ancor che pronti,
Voltar non pomi, ove la forza manchi ;
Poscia entrato fra lor, confusi monti
D* arme e di gente fa, che vinti e stanchi,
E calcati son tutti dallo intoppo
Feroce de’ corsier, che peaan troppo.
LSXXlV
Come al tempo novel dopo la pioggia,
Che da Zcfir sospinta inondi e bagne ;
Che veder punsi in disusata foggia
L’erbc abbattute, e i fior per le campagne;
Che 'Isol poi chiaro e bel. che in alto poggia,
Porti dolce coufurto a chi si lagne ;
E di si bel ristoro il mondo adorni.
Che quanto era il dolor, la gioia tomi ;
XCI
Ma con sommo valor lirara strada
Ai suoi mostra il magnanimo Boorte ;
Sempre ha in danno d‘ alcun la grave spada
Di sangue aspersa, e dì color di morte;
Tosto eh’ ei può trovar chi inrontra vada.
Gli mostra aperte le tartaree porle ;
E di stuol popolare uccisi ha tanti,
Che del credere uman vanno piò inaiati.
LXXXV
Tai fur da prima, e lai sì fero appresso
I guerrier di Buorte all' apparire;
Per timor più «!' altrui, che di se stesso,
Che nessun cura il proprio suo morire:
Or poi che ’n fra le schiere olirà *' è messo,
Con 1’ urlo del cavallo, e col ferire,
Si larga e bella piazza intorno face,
Ck* ci può T arme ricor, che ’n terra giace.
XCII
Poi tra’ dori Aretaone e Pidila,
Del Rodan nati alla sinistra riva,
Dentro la nobil Vienna, in cui gradita
Di Roma è ancor la gran memoria viva:
Fu quello offeso di mortai ferita,
Ove al collo congiunto in alto arriva
Della spina del dorso il nodo primo,
E traverso il tagliò dal sommo all' imo t
txxxvi
Ri pon sopra i drilrier, eh' avea de'suoi,
Il vecchio re dell' Orcadi, e ’l figliuolo,
Palride al cerchio d' oro, c gli altri duoi,
Che fur feriti dal crudele stuolo,
Che possao dare ai loro ordine ; e poi
Quei sicuri lassando prende il volo
lnver Brunoro il Nero e Terrigano,
Che 'n luogo erau di là poco lootauo.
xeni
L’altro ne! destro lato fu percosso,
Ove T omero al braccio si contiene ;
E tutto interamente tagliò V osso.
Che piò largo e sotlil di dietro viene :
1 sandro ancor, che da pietà commosso,
Di vendicarli avea fallace spene
Con la testa in due parli compagnia
Fece ai cari cugio per l’atra via.
LXXXV1I
E messosi tra loro, ambo gli atterra,
L* un colla groppa, e I* altro cou la lesta,
Del suo nobil corsier, che in aspra guerra.
Or col piede, or col morso altrui molesta:
Poi nel popol vicin ratto si serra.
Che ’n nuova tema, e sbigottito resta ;
Cir ove pria si credea vittoria avere,
I due duci migliur vide cadere.
XCIV
Melanzio poi che la nevosa valla
Dell' aspro Tarantaaio patria avea,
Con la testa troncata dalle spalle
Diè fine acerba alla sua vita rea.
Che quanto ivi conlien 1' alpestre calle,
Di giogo insopportabile premei ;
Nè vi poteva alcun goder sicuro
La famiglia nò i ben, nò il patrio muro.
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ter
Adrrslo poi, del qual mai più felice
Non vide alcun la rapida Lisera,
Che ipota avra la vaga Berenice,
Che fu dell* alma tua la vita intera,
Per le man di Boorte, 1* infelice
Innanzi al mezzo dì fu giunto a aera,
CI»’ alla gola il percosse, ed ei morendo
Il suo lontano amor, chiamò piangendo,
xcvi
Ma il valoroso Lago, eh' è disciolto
Dal numero infinito, di’ avea intorno;
Sopra 'I cavai montalo, e ’n se raccolto,
Alla gurrra intermessa fa ritorno.
Dicendo agli altri con allegro volto:
Or gimo a vendicar 1* avuto scorno.
Che beu provvide il riel fidate scorte.
Poi die qua spinse il nobile Boorte.
xcvu
Cosi col figlio Eretto, e gli altri insieme,
Ove la gente avversa è più ristretta.
Con impeto rrudrl la pnoge e preme,
E sottosopra attraversata getta;
Quel morto è in tutto, e quel languendo geme,
Quel d'uscir della calca in van »' affretta,
E qnel, che più srampar credea la vita.
Più dagli stessi amici I* ha impedita.
XCVIlt
Por fra quei, che fuggir, resta Piroco,
Che 'n sul lago Lemanno avea la sede,
In cui gli abitator del ferlil loco
Avcan, piò che in alimi, speranza e fede;
E quello Dio fra lor, ch'ha in guardia il foco,
Il sommo sacerdozio gli concrde;
Ma questa volta, invan da lui pregalo.
Non potè in suo favor vincere il fato;
xcix
Che mentre al vecchio re con l’asta intende,
Disegnando a ferir quello e ’l destriero,
Nel forte scudo di traverso il prende,
E sfuggendo ha fallito il suo pensiero:
Ma il re spronando avanti in basso scende
Un colpo, che ’l trovò drillo al cimiero,
Ove sopra la inrudr avea Vulcano,
Ch’ un doralo mar tei sostiene in mano.
c
Quello abbatte lonlan, poscia divise
La celata, eh' avea di doppio acciaro,
Là fabbricata in maestrevol guise.
Ove il Rodan riprende il corso chiaro.
Da* servi del suo Dio, eh’ all" opra arrise;
Ma non per tulio ciò fé" gran riparo,
Perch’olirà anror la già sacrata leste
In due parti disgiunta iu essa resta.
ci
Ucciso Eretto avea Bellorofonte,
Che cosi s’ appellò costui, che nacque
Nelle fredde radici del gran monte.
Che a Li «era dà ber le gelide arane ;
Perché là intorno al suo nevoso fonte,
Vinto per le toc mani, e morto giacque
Un mostro rio di vista orrenda e fera,
Che fu simil tenuto alla chimera.
Cll
Ma il braccio contro a qnel ti forte allora.
Verso il giovine ardito or parve frale.
Pereti’ ove più il ginocchio spinge in fuora.
Perente invan, eh' a trapassar non vale ;
E l’altro a Ini nella medesiin’ ora
Sovra il cullo drizzò colpo mortale.
Che ’n basso gli gettò la fronte d'alto,
E fé* iu terra rotando amaro salto.
citi
Patride al cerchio d’ or 1* empio Proete
Con la gola impiagala morto stese.
Cui di torto regnare ingiusta sete
Indusse a tal, che ’l proprio frate offese ;
Nè il sen della pia madre Filemete,
Nè I' aspro lagrimar, lasso, il difese :
Dopo il qual fu tiranno ingiusto ed agro
Luogo il Rodan del popolo Yeragro.
civ
Plenoro, eh’ abbattuto era par dianzi,
E ch'ha d'offender quei dritta ragione ;
Come gli altri a cavai si mette innanzi
Là, dove incontra il misero Ezione,
Ch' a’ dolci versi e placidi romanzi,
Più eh' all* opre di Marte, studio pone ;
Ma teguia Graredon della Vallea,
Che di lui spesso udir diletto area.
cv
Tra lauri, aranci, e mirti era nodrito
De* colli Provenzai, che'ncontra stanno
Al mai sempre a' nocchier securo lito,
Che le Stecade in cerchio all' onde fanno;
Or qui I' empio destin I' ha fatto ardito
Di gir contro a Plenoro a suo gran danno;
Perchè, mentre eh" ei pensa ove ferire,
Pnò il cor sentir di greve punta aprire.
evi
Pian«er le Mnse allor, ma non poterò
Col dolce lagrimar disdire al Fato ;
Matagrante anco spinge il suo destriero.
Ove scorge Scamandro a lui voltato ;
Dona un colpo alla spalla, e tutto intero
Il braccio della spada gli ha troncato :
Cadile il meschino, e piange entro al suo seno
Che lassò mal di Sorga il lito ameuo.
evo
Or poi che vendicato in maggior parte
Ha gli oltraggi sofferti da' nemici,
1/ antico re dell’ Orcadi si parte,
E torna ove aspettato è dagli amici.
Che sbigottiti ancor sono in disparte,
Sena* online tener, lassi e’nfeliei.
Come greggia in tra lupi, che lontani
Aver senta da lei pastori e cani.
eviti
Ma quando vidrr lui lieto apparire.
Come sceso dal ciel gli vanno intorno ;
Ivi ciascun narrando vuole aprire
Il ricevuto danno, e 'I sommo scorno ;
Di vendicane ogni uom mostra desire.
Pria else nell' Ocean s’ altnffe il giorno ;
Poi sopra la Fortuna, o in altrui pone.
Di quanto avvenne, lor, I' aspra cagione.
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L AVARO II IDE
CIX
Il valoroso re ciascuno ascolta
£ come il merlo chiede, or bissata or loda;
Scusa l'altrui fallire, e ’n meglio il volta.
Esalta il forte oprar, che '1 buoo ue goda;
Poi la geute, che fu disgiunta e sciolta,
Alle intermesse schiere in un rannoda;
Così ridotti alla mede ini a via.
Con tal parole alla battaglia invia:
ex
Maraviglia non sia, a* avviea talora.
Che i più forti guerrier si veggian vinti.
Che nou sempre la grazia io noi dimora
Del ciel, eh’ a bene oprar ne tiene accinti;
Lo qual sovente t suoi piò cari ancora
Con avversa fortuna ha in basso spinti,'
Per ammonirgli e rendergli pii» accorti,
Ch' ai sommo del suo ben gli ha poscia scorti,
rxi
Rendiam pur grazie a lui, che ne dimostra
I»* errore, ove il pii» saggio più s* intrica.
Che non c la vittoria in forza nostra,
E ’ndarno senza lui I* uom s' affatica;
Ben sempre gli è nrlle terrene chiostra,
L’ onorata virtù, sovrana, amica :
Con la qnai dunque, c con la sua speranza,
Seguitiamo il cainmin, eh' ornai n’ avanza.
tregue la pugna ancor , u il fier Boorte
Uccide a mille a mille quei f A varco :
Aè Urunheno salute avvien che apporle
Ferendolo col suo desirissim’ arco ;
Ch'egli d' in metto a' suoi gli arreca morte,
F. di tntu Fermilo fa pur scarco;
Frappano ancora il biondo sposo Argino,*
Ma piagne poscia il suo fatai destino.
In Lai parole all'ordin suo primiero
Ricondotto ciascun, muove a battaglia :
Ma in altra parte vincitore altero
Rompe affinato ferro, e salda maglia
Il famoso Boorte, e già T impero
Ili tutti ha in mano, ove i nemici attaglia.
Che di Ini sol 1' aspetto e sol la voce.
Più che 1 ferire altrui, spaventa e uuocc.
li
Il grave scodo d’ermellini adorno,
Con Ire purpuree bande, che gli cinge,
Adoprava il medesimi quasi il gioruo,
Che di Medusa il capo si dipiuge,
Che per fuggir da lui la gente iu torno,
L' nu l'altro con timore urta c sospinge:
Cosi Irioufator per tutto giva,
E nessun piò di riguardarle ardiva.
iti
U cimicr, eh' una fiamma sostenta,
Che di vivo piropo avea colore,
La vaga stella, e Incida parea.
Che davanti all'aurora spunta fìtore.
Nella secca stagion, che all' onde rea,
N’ apporta Febo al suo più grave ardore,
Che vien più sfavillante e più soave,
Ch' altra luce, che in mar le chiome, la ve*
IT
Dopo il fuggir di molti, alfia ritraova,
Ove per altra strada ai danni grevi
Paiamoro ha condotto aita nuova,
De' suoi cavai, ch’ai corso avea più levi;
Cosi la crudel guerra si rionuova,
£ chi cadeva pria, par si rilevi,
£ tal riprenda ardire, e tal vigore.
Che già ’1 vinto minaccia il vi nei lare.
T
Non torba dò ’l magnanimo Boorte,
Anzi più lieto assai nel cor diviene,
Che gli sembra onorato per vie torte,
Chi per T altrui fuggir palma sottiene ;
Or che sente i nemici avere scorte
Di maggior forze, e di virtù ripiene,
Spera, quelle abbattendo, dritta lode
Riportarne più chiara, e ’u se ne gode.
vi
E gli pare or trovarsi a guerra eguale,
Che d'arme e di cavai sembiante fosse;
Or qual rapace necci, che stenda 1‘ ale
Alla preda affamato, il destrier mosse ;
Batto Esclaborre tra i priemier Tassale,
E con T asta durissima percosse
Lui, die la spada ha sol, ma il curò poco,
Nc per colpo cangiò pensiero o loco.
ARGOMENTO
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L AY ARCHIDE
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L AVARCDIDE
XXI
All’ apparir de'quai riprende ardire
Di quei, ehe ti fupgian, la miglior partei
Ivi altro unovo modo bau di ferire
Di loolan quelle genti, e n giro «parte ;
Poco puote il valore incontra gire,
Ch' han più che di leon, di volpe l'arte^
£ già piu d* un famoso cavaliero
È ferito da lor, più d' un destriero.
xxvm
Mosse il fido Baven tolto pietoso,
£ dì tema ripien del colpo rio,
Tirò lo strai, che intorno sanguinoso
Della piaga stillante fuori uscio;
Boorte schivo ancor d' ogni riposo,
Bi volto al ciel diceva : O lume pio,
Gli* accendi ogn’ altro, e fida scorta sei
Dei migliori, abbagliando i crudi c rei :
xxii
Non però di Boorte la virtnde *
Per novello accidente anco vien meno :
M.i con più sdegno, e più furor si chiude
Dell' aperte ali nel profondo seno ;
Nè gran ferro affocato sopra incnde
Balte mai fabbro, allor eh' al suo terreno
Vuol dare il pio cultnr sementa nuova,
Ch' al vecchio aratro il vomcro rinnuova ;
XXIX
Se* ti fa a grado mai 1' alta speranza.
Che ’n te sol ebbi, e non altrove uoqnauco,
Vengami oggi da le forza e baldanza,
Che la mia spada, o '1 cor non resti stanco,
Fin che Druschen, eh’ ogni perfidia avanza,
Per questa maoo offeso venga mmeo,
E eli io dimostri al mondo, che mal vada,
Chi non segue de' inni la dritta strada.
XXI II
Com' ei senza arrestar la grave spada
Sempre menando a cerchio gli percuote ;
Quel pon morbi riverso su la strada.
Quel della inano, e quel del braccio scnote;
Quell' urla col deslrier, mentre di' ei bada,
Ove alcuno impiagar più drillo puote ;
Tal che sol di lontan fallaci e leuli
Pon commettere i colpi in aria ai venti.
XXX
Co tal dicea. nè par finite a pena
Avea le devotissime parole,
Che le membra leggier, salda la lena
Trnova, e più fermo il cor di quel che suole ;
Già sente asciutta la percossa vena,
Nè 1' omer l' impedisce, o '1 colpo duole ;
Sprona lieto il cavallo, e si rimette,
Ove non cara ornai dardi o saette.
XXIV
Ma il rio Dro<cheno, che in Valenza nato
Tra ‘1 fiume Goldamoro era, e la Sema,
Poi che sente il suo popolo affannalo,
Di morte in preda, e di soverchia tema,
Qnanto può ascoso si tirò dal lato,
Ove Boorte allor la gente prema *,
Poi trnde l'arco, e di possente strale
Addrizza verso lui colpo mortale.
XXXI
Che se pria tra* nemici ardito c forte
Fa più d' alcun, come mostrò 1' effetto,
Or che gli sembra aver divine scorte,
In tre doppi valor ^li crebbe in petto ;
E con più grau desio dell* alimi morte,
Entrò tra i primi, ov* è lo stani più stretto,
Avendo sempre la crudel ferita
Più nel cor, che nell' omero, scolpila.
XXV
E nell' omero destro il prese a punto
Ove più la corazza in basso viene;
Passa tutto olirà, e gli Ita quel lato punto.
Da cui con molli rami cscon le vene:
Lieto grida Druscheno: a morte è giuuto,
Chi dava ai nostri iuevitabil pene ;
Non sia chi tema più, signor d' A varco,
di' alla nostra vittoria aperto è il varco.
xxxn
In guisa di leon, che levemente
Fu ferito al principio dal pastore.
Che difendea la greggia e '{mantenente
S'ascose in parte di periglio fuote,
Ch’ ei dell'ira novella ha il core ardente.
Né ritrovando qnel, doppia il furore
Sopra 1’ abbandonata e poverella,
Che col morso, e col piò strazia e flagella.
XXVI
Di tatti quei d' Arturo oggi il migliore
Fia scarco prr mia man di vita ornai ;
Rivesliam pure il solilo valore,
Per tosto vendicar gli avuti guai ;
Or risorge per me P ispano onore,
Che più che '1 chiaro sol dispieghe i rai.
Ovunque arco si tenda, o spada stringa,
£ quau tu 1' Oceano intorno cinga.
XXXUI
Tal è il chiaro Boorte tra i nemici,
Ove uccise con molti il fero Ormeno,
Che già fu numerato un dei felici
Signor, ch'avesse mai Valenza in seno,
Ricco d'alti tesori, e più d’amici,
Che 1 facevan gratissimo a Druscheno;
Or per piaga, eh' al petto s' attraversa,
Lo spirto e '1 sangue doloroso versa.
XXVII
Così direa vantando il fero Ispano,
Che lui morto credra, che vive aurora;
Boorte in alto di timor lontano
Chiama Bavrn, che presso a luì dimora :
Or noo vi pesi, o caro mio germano.
Di traruiì il ferro della spalla foora,
A ciò ch’io possa i fatti, o i detti almeno
Vendicar di mia man sopra Druscheno.
xxsrv
Percuote appresso lppenore, eh’ adduce
Sotto Loto i cavai, di' avea )’ lbero,
E 1 passò tutto dalla destra luce,
Fin dove ha la memoria il seggio altero ;
Lo scudier dì Roderco il nobil duce,
Che sopra il Cataan reggeva impero,
Aslinoo detto, sopra l‘ erbe stese
Di mortai colpo, che nel collo scese.
7
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L AVARCHIDE
lOO
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lxih
Perché non pituita sopra l'elmo a pena
Fu 1' nltima percossa, che Yerralto
N’ andò riverso su la secca arena,
Come svelto troncon, che caggia d’alto;
Smarriti ha i sensi, e non può trar la lena,
Non però morte ancor I' ultimo assalto
Gli ha dato al tutto, ma Boorte il lassa,
Come s’ ei fosse estinto, ed oltra passa ;
xuv
Poi che veggion Verralto quei d* Avarco
(Un dei dnci maggior) condotto a tale.
Con la schiera di qjuei, che suol con 1’ arco
Contro ai feri nemici esser fatale ;
Druscheno ancor, ch'assicurava il varco
A tutti lor col suo famoso strale.
Esser disteso sanguinoso a terra;
Ciascun pien di timor lassa la guerra :
lxt
E rifugge volando, ove le mura
Ha per sua sola speme e per difesa ;
Nessun più dell’onor, uè d'altro cura.
Che di scampar dalla presente offesa,
E con sì freddo ghiaccio ha la paura
Di ciascun 1’ alma strettamente impresa,
Che l’un l'altro in cammin preme e conquide,
E per morte fuggir 1' un l’ altro ancide.
LITI
Non vai di capitan prego, o conforto,
Nè altero minacciar, né forza osare,
Ch’ ivi non si discerne il dritto o '1 torlo,
Né’l maggior o*l minor, ch'ogni uomo è pare;
Quei, che truova cammin più ascoso e corto,
^ può gli altri fuggendo oltra varcare,
E tenuto da lor la scorta e ‘1 duce,
Ch* al desiato fin gli riconduce.
IJSVII
Siccome addivenir talvolta suole
Al combattuto legno presso al lito,
Che si veggia a (Tosca r di sopra il sole,
E ‘1 mar col cielo a gran tempesta unito,
Che ‘1 nocchiero avveduto in alto vuole
Rivoltarle a cammin largo e spedito
Per gli scogli schifar, ma il vento sforza,
E *1 fa rompere a terra a viva forza;
ixvm
In tal guisa miglior venia portato
Dal furor popolare al proprio danno,
E Boorte col ferro iusanguinalo
Va doppiando al primìer novello affanno ;
E nel mezzo di lor ferendo entrato,
Ove più per timor congiunti vanno
Tanti ha sospinti alle Tartaree strade,
Che del sno crudo oprar quasi ha pleiade.
LZLX
Ma I’ accorto Bntnoro, ch'ai fio vede
D' assicurar più i suoi chiusa ogni via ;
E ’1 soccorso cercar da Palamede
Con Tristano occupato in van saria ;
E distrutto sarà, se non provvede,
Inverso Seguran tosto s'invia,
E ritruoval, che ’n man la briglia tiene.
Per muover poscia, ore il bisogno viene;
LXX
E che presso di lui Clodino avea,
Ch’ è fuor d'impedimento e di periglio
Della spalla impiagata, e già tenea
Di toruare alla guerra ivi consiglio;
Brunoro irato allora, altodicea:
Or che attendete, o generoso Gglio
Del famoso e magnanimo Clodasso,
Che tutto il popol suo sia vinto c lasso ?
LXZS
E che *n torno alle porle ornai d' A varco
O che dentro di lor pur sia la guerra ?
Or non sapete voi, che d' alma scarco
Con Yerralto Druschen si giace a terra ?
E che Boorte di vittorie carco,
Qual le gregge il leone, i nostri atterra ?
Posti ha in fuga i cavalli, e i levi arcieri,
E i pedestri più gravi miei guerrieri.
uni f
Non offendon coslor le mie contrade.
Né ccrcan posseder quel die contiene
Eiiiso e Visera, ove 1’ algenti strade
Il Germanico mar bagnate tiene:
Contra il vostro lerrcn cingon le spade,
Per vendicar le ricevute pene
Dei vecchi padri lor, eh' ebber da voi,
E i regni racquìstar, che fur de' suoi.
i zzili
E voi gloria d'ibernia, o Segurano,
Che restate a veder coi vostri intorno ?
in fin eli’ ogni soccorso venga in vano,
Poi che fiaccato I' uno e 1‘ altro corno
Avrà de' nostri il popol Gallicano,
E 'I Britannico stuol eoo tanto scorno?
Ove durme il valor del sangue Bruno,
Che fu sempre onorato da ciiscuuo ?
LXX1V
Non vì sovvien, che la reale sposa
Nell’ assediale mura oggi si giace ?
E nel la vostra man sola ripuia
Le presenti arme, e la futura pace?
La mia dimora in altra parte ascosa.
Né teme di costor I* unghia^ rapace ;
E pur con «tutto ciò veder potete,
Quanto stupro per voi, che 'n posa sete.
LXXV
Né per voi mancherò, signor, giammai.
Fin eh io sostenga in mau lo scudo c 1 brando;
Ma gli affli Ili guerrier non ponuo untai
Contrastare al furor, che va montando,
Ch' è giunto a tal, che maggior forza a»sai
Conviensi opporgli o di speranza iu baudo
Porre i ciliari disegni, e gli alti onori.
Le desiate palme, c i sacri allori.
IX XVI
Or non soffrite più, cb’ uu ferro solo
Tutti ì vostri miglior conduca a morte;
E die si possa dir, eh' ilo tanto stuolo
Fugga davanti al giovine Boorte ;
E vi movete ornai, Signore, a volo
Con le vostre onorale e chiare scorte :
Farcia il vostro valor nel mondo seguo,
Che di regia beltà non foste indegno.
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l’ avarchidé
LUTO
Punse 1* aspro partir !’ invitto rote
D* ambe ì due cavalier, ch* erano insieme ;
Ma Itolo il tfelto in giovimi rossore.
Che '1 nome «li ti MI pio «l’altro teme,
Direa Clodìno : Il debito e l’onore,
Che integri conservare ho ferma speme,
M’ hao qui tenuto, e ’1 sacro pi ur amento,
Che di rompere al del troppo pavento
LXXXIT
Or non vi ipiarcia dunque avermi ndito,
E pensar poi di me, qual sempre feste;
E con questo «Irappel forte e spedito
Con Clndin gite, ove le genti ha preste»
Io vengo appresso, e nel mrdrsmo lito,
Ove le schiere avverse avem moleste,
Sarò ben tosto, e spero, allor che ’ii voi
Fia maggior lo sperar, eh' or qui «li noi.
LXXvnt
Perchè fuor di ragion sendn impiagato
Oaven, contro a cui sol la gnerra area.
Di far torto alla fede avrei pensalo,
Se innanzi a questo tempo arme dngea ;
Or eh' io veggio gli amici in tale stato,
E condotti da quelli a sorte rra,
Fo voto al ciel, che non per fare offesa,
Ma per difender noi torno all* impresa.
LXXXV
Con più qneto parlar Brnnoro allora
Risponde : E rhi fi a mai, rhe ’n tal fortuna
Non sia vinto dall’ ira ond' esca Inora
De' snoi primi pensier, che in core aduna?
Tutto il mondo sa ben, se innanzi eh* ora,
Io conosco il valor dell* arme Bruna,
E se già mille volte al paragone
Ho posto Seguran col suo Girone.
um
Cosi parlando, a Srgnran rivolto,
Seeue : Onorato mio ragnato e raro,
Io vi prego oggi, che tra '! popol molto.
Che ’ntorno avete si gradilo e chiaro,
D' alcun buou cavalìrr piò ardilo e sciolto
Non vi mostriate iu tal bisogno avaro
A chi tanto v’ onora, acciò eh' io vada
Ai miei ripor nella amarrila strada.
I XXXVI
Così risposto, eoi reai Clodìno
Tra molti cavalier ratto s’ invia.
Ove Boarie al fiume assai vicino
Empia di sangue V arenosa via ;
E eh* ha incontrato il misero Erogino,
Che ’n sul vago corsiero ivi appari*
Col ricco scudo, e 1' arme tutte aurate,
Che dalla donna siva gli furon date.
U1X
E *n qneslo mezzo, voi con greve passo
Verrete a sostenerne, e darne aita,
E ’l nemico ridnr si frale e basso,
Chela via di villoria sia spedila;
Il prode Seguran risponde : Lasso
Mai Qon sarò (in della propria vita.
Di far quanto v’ aggrada, e in voler vostro
Sia d' avere i miglior del corno nostro.
LXXXVtl
Ch’ una figlia «posò di Mnrassalto,
Re della Cartagenia e d* Alicante,
Androfila appellata, di core alto,
E di pensier magnanimo e costante;
E che ’l marito di porfireo smallo
Teuea fisso nell* alma o d’adamante;
La qual giunto al partir l’ultimo sole,
Glie le donò piangendo in tai parole :
IX XXI
E con Bmnoro poi dolce ragiona :
Vi ringrazio, Signor, dei gran ricordi.
Clic scendendo di mente amica e buona,
Non troveranno in me gli orecchi sordi.
Che quei, eh’ ad un sol (in virtudr sprona,
I)e veri gli animi sempre aver concordi,
E soffrir pianamente le rampogne
Di chi ’l suo ben, com' ei mrdcsmu, «gogne.
LXXXVtl 1
S*io potessi piegar gli nomini e i Dri,
E ’l desti» delle donne troppo avaro.
Beatissima al mondo mi terrei
Sopra ogni lame in riel piò altero e chiaro ;
Nè «li grazia maggior gli pregherei.
Clic di voi seguitar, signor mio raro,
Sirrome ho sempre in pace, ancora in gnerra,
E non vi abbaudonar viva e (otterrà.
ix xx r
Or per darvi ragion del mio consiglio,
Diro, che stalo »nn sempre in disparte
Con disegno di gir, dove il periglio
Si scorgesse maggior, che in altra parte.
Col piè pronto, e la mano a far vermiglio,
Ove piò mi rhiamasser Palla e .Marte,
Che P ultimo soccorso è quel, che spesso
L ' incanto vincitore ha in fuga messo.
t.XXXIX
E se rio m* avvenisse, nopo non fora
Di prorarriar per voi piu sicnr* arme;
Ch* io ’1 vostro scudo e la lorira allora
Contr'osni offesa altrui penserei farine ;
Sperando, o che Giunone, o l’altra onora
fasto amor maritai, dovesse allarme,'
E con voi mantener per sommo esempio
Di chi piò aggrade al «no famoso tempio.
Lxxxm
Io scorge* da man destra Palamede
Da Tristan risnspinto aldina volta,
Che lassar con venia la prima lede,
E ’ntieme rannodar la schirra sciolta.
Che mi fra dubbio star ; ma chi non vede
Se non la parte sua, che ’n guardia ha tolta,
Non può ben giudicar, come colai,
Che scerne il suo bisogno e quel d’ altrui.
XC
Ma poi rh'eiser non può, ri piaccia almeno
Di queste arme portar, ch'hanno il mio nome;
E dai perigli riguardar uou meno,
Che si «oglian le dolci amate some :
E qualor crollerete all* aure in seno
Sopra il cioiier queste dorale chiome,
Che riroverser già (lasse) la testa,
Ch'or di loro, e di voi vedova resta;
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xei
Vi «sovvenga (oimè) ron quanta doglia
Lunge han da lor la misera nutrire,
Temendo sol di non sentirle spoglia
Delia nemica schiera vincitrice ;
Ma segua pur di lor quanto *1 riri voglia,
Pur che torniate voi lieto e felice,
Da potermi narrare a parte a parte
I gran pregi e gli onor del vostro Marte.
XCII
Cosi dicea la pallida consorte.
Di doloroso amor bagnando il volto;
Ma il vago giovinetto in dura sorte
Dal prezioso don in inloruo avvolto:
Poi rii' or contro alla spada di Boorle
È dal fero «lesti» soletto accollo ;
E gli fa in ver di lui muovere assalto.
Per pietà di Druschcno e di Yerralto.
xeni
E con tutto il poter sovr'esso sprona
Con la lancia, eli* avea pesante e dura ;
E ’n mezzo al doppio scudo il ferro dona
Si, che i suoi più vicin n‘ ebber paura ;
Ma il franco cavalier con la persona
Non si vede crollare, e tanto il cura,
Quanto il robusto pi ri di borea il Gaio,
Che già il decimo lustro avea contato.
xciv
Poi rii* ha l'asta troucata, il lassò in prima
Senza impedirlo par, prender la spada;
Indi il fere altamente sn la cima,
Ov* è "1 dono amoroso, che gli aggrada;
E la chioma di lei, che troppo stima.
Intricata convien, eh* a terra vada.
Ma la fronte non fa dal colpo offesa.
Che dall'ottima tempra era difesa.
XCT
Poi che •’ è accorto I’ amoroso Ispano
Del prezioso e caro suo cimiero,
E che in mezzo alla polve era lontano
L'almo splendor del suo terreno Ibcro;
Qual tigre acerba lungo il lito Ircano
Priva de' figli suoi, divenne fero;
Spronò verso Boorte il suo cavallo,
Gridando in alto suono: O crudo Gallo,
xcvi
Già non U vanterai d* offeso avere
II più onorato rrin, che fosse mai,
Che la luce vincea dell' altre spere,
E dello islesso sol gli ardenti rai ;
Il quale alla sua donna mantenere,
E 'ntero riportar certo giurai,
E ‘1 fan» veramente, o ch'oggi il cielo
Sciorrà il mio spirto dal terrestre velo ;
XCVI!
E dicendo così, fere alla testa
Pendente alquanto dal sinistro lato,
Gli' orribil suon dentro all' orecchie desta
Del pio Boorle, ma non I' ha impiagalo ;
Poi di nuovo il percuote, e non s' arresta,
In Gn che '1 terzo colpo è raddoppiato.
Sul braccio qnesto, e quel sopra la spalla;
Pur di fargli assai danno in tatto (alla.
xcvi»
Ma V invitto gnerrier, da poi che vede
Chi fuor del creder suo troppo 1* offende ;
Qual sopra lepre timida, che siede
Nell’erboso suo nido, aquila scende,
A Ini »' avventa, e dispietalo il Cede
Col ferro micidial, che sotto il prende.
Ove il ventre allo stomaco •' aggiunge,
E quanto ivi trovò trapassa e punge.
xrix
L’ infelici armi allor del regio sangue
Fur di fuori oscurale, e dentro piene;
E 'I giovin miserei, pallido, esangue
Sopra il forte corsier uon si sostiene ;
E mentre cosi ancor morendo langue.
Della sposa frdel si risovvirne,
E col vigor, rhe in quello stato può te.
Si rivolge a Boorte iu queste note :
C
Alto signor, che così amico il cielo
Al gran vostro valore e largo aveste.
Se mai vi svegliò al cor pietoso zelo.
Pregar divolo di persone meste ;
O se mai vi scaldar sotto nn bel velo
D'onorata consorte Gamme oneste;
Consolale al posar dì questa salma
D' una promessa almea la misera alma ;
ci
E questa Ga di far di terra accorre
Le bionde chiome, eh' io nel mondo adoro,
E meco insieme in chioso albergo porre.
Coperto, coni' io son, dell' arme d' oro ;
E 'I tutto appresso nelle mani esporre
Di Morassalt«i al rorno di Brunuro,
Che mi deggia mandare alla mia dea,
Siccome al dipartir promesso avea.
Cll
Il pio Boorte, che in più amaro pianto.
Che P altro non diceva, intento ascolta.
Risponde: Or potrss'io ron nuovo incanto
Render cosi la vita, eh' io v' ho tolta,
E felice tornarvi e lieto, quanto
Giammai d' esser bramaste alcuna volta.
Siccome adempierò vostro desio,
E di ciò teslimon n' appello Dio.
citi
Ringrazio! con la vista e col sembiante.
Che la parola srior piu non polro.
Cosi condusse il già felice amante
In estrema sventura il destin reo:
La bionda chioma, eh' a' suoi piedi innante
Negletta si giacca, riprender feo
Boorte, poi condar col cavaliere
Dentro al suo padiglione, e '1 suo destriero.
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L AVARO H IDE
ARGOMENTO
■•SS-fr***
Minima i suoi Ciati in , ma con Boorte
A fronte non riman; tanta è la forzo.
Tanto t il valor di lui che spinge a morte
Molti campion, e il buon Rossano sforzo:
Ma Segarono a' suoi più lieta sorte
Reca col braccio invitto, e in loro ammorza
La tema si, che V inimico stuolo
Tugge ricolmo di spavento e duolo.
Già col fero Clodia giangea Brunoro
Coi guerrier, che menò di Srgurano ;
E di vi le parti hanuo io fra loro
Per rispiuger fra* suoi dii sia lontano,
E dare agli affamati alto ristoro ;
Quel muove a destra, e questo all'altra mano;
Poi riascun quanto può *1 pregare adopra,
Per riduccrii insieme alla prima opra.
il
Diceva lor Godili : Fratelli amali,
Per cui già tante palme riportai,
Or non volete ancora essere ornati
Di vittoria maggior, che foste mai ?
E rilornarven carchi ed onorati
Di spoglie ostili, e non d" ontosi guai ?
Nè smarrire il valor, per quel eh' c stato.
Mentre il vostro Godio non v' era a lato l
IH
E poi che ritornato intero e forte,
La Dio somma mercede, ora è con voi,
Se peusier cange rem, cangerem sorte,
E 1' amica Fortuna fi a con noi ;
Apriara de' nostri cor le chiuse porte
A virtù intera e i due seguaci suoi,
Lo sperare c '1 soffrir, cb‘ han forza insieme
Di portar sopra il ciel, chi ’1 centro preme.
IV
Q uso lo noi piò? ch'olirà ogni nostra insegna,
Avrrm di Seguran l'alto soccorso,
Con 1' aspra gente, che in lbernia regna,
Cb' al Britanno furor metterà il morso ;
Or pria, cari fratei, che questa vegua.
Drizzi am verso i nemici ratto il corso,
E che morte non sien, 1' opra dimostre,
Scn ben dorrnon lalor, le virtù nostre.
Dall’altro lato ancor Brunoro il Nero,
Quanti sparsi ritruova, in un raccoglie;
Non prega umil, ma gli minaccia altero,
E 'n lai note superbe i delti scioglie:
Non sia chi speri dall' artiglio fero
Scampar di morte le terrene spoglie,
Con fnggir quinci il ferro de' nemici,
Che 'I troverà più agulo fra gli amici.
vi
Qie questa armata man, ch'or voi vedete,
Mossa in vostra salate e ’n vostro onore,
In vostro danno e scorno sentirete
Purgar col sangue il pubblico disoore ;
Quanto più adunque gran cagione avete
Di tosto rivoltar 1* arme e ’l valore
Contro al doro avversario, che vi preme,
In cui di doppio ben si mostra speme ?
VII
Se voi gnardate ben, non è, eh* un solo,
Quel, che tutti vi scaccia, e vi spaventa ;
Non perchè valga più, che ’l largo stuolo,
Ma perché truova in voi la virtù spenta ;
Che s’ ancor si ralliuna all’alto volo
Del ino furor, che sopra noi $’ avventa,
Graverà 1‘ ali tal, che verrà in basso,
Come dal visco augello avvinto e lasso.
vili
Così dicendo lor, gli risospinge
Nell' ordin primo, e u dietro riconduce ;
L’ altra parte anco a guerra si racciuge,
Seguitando Godio suo primo duce;
E di sangue novel si ridipinge
L’ arenoso sentiero, e ’1 ciel riluce
D'altro splendor di ferro, or die *1 ritorno
Vicino appar del fuggitivo corno.
IX
Il mi tosto arrivar da prima diede
Maraviglia e temenza a* vincitori ;
E I popol volenlier raffrena il piede,
Attendendo il voler de' suoi maggiori;
Ma il famoso Boorte, che ciò vede,
Con ardenti parole accende i cori.
Dicendo: Or giunto è '1 tempo in cui di lutto
11 lungo affaticar s’ accolga il frutto.
x
Perchè il fnggir di quei privi n’avia
D'ampie spoglie onorale e di vendetta;
Or nostra btiuna, e lor fortuna ria
Ne torna la mercé, eh* era interdetta ;
Moviam pur ratti, e si ritroviti, pria
Ch' un’ altra volta in fuga si rimetta
La vilipesa e mal guidata schiera,
E di lei riportiam vittoria intera.
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A V A 11 C IH D E
XI
XVIII
Nè fallace pensiero il cor v* ingombre.
Pur sopra il suo cavai fermo si tenue,
Ch'or *irn il' altro poter, che diauzi furo;
Se ben nella sinistra torse alquanto;
Ma •' aliar come nebbie, or firn com’ ombre,
Ma poi eh' all' esser suo dritto rivenne,
Che ’l panato timor creare il fallirò;
Si volge al fcrilor, che torna intanto,
Ogni dubbio ciascun dall'alma sgombre.
Dicendo : Aspro gnerrier, se non hai penne
Che gli mostre il cammin piu alpeatro r duro
D’aquila, o di falcon fia breve il vanto,
Dell’altro infiuo ad or, ma fermo creda,
Che potrà per tua lingua essere inteso
Che quanto oggi veggiam sia nostra preda.
D'aver contro a ragion Boorte offeso.
XII
XIX
Come ha detto così, lassa Baveno,
Che nell' ordiue usato gli ri legna ;
Foi sprona avanti, ove d' orgoglio pieno
Tmova Clodin con la primiera insegna;
Tosto il conosce, e regger non può il freno
All' ardente desio, che in es*o regna
Di ritrovarse in pruova contro a lai
Per la conforme età, eh’ è in ambedui.
XIII
£ l'appella da luuge : O re famoso.
Dell' altrui povertà si ricco e altero.
Se voi siete d' onor tanto bramoso
Come vi vede ogn’ oom, di torto impero;
Volgete or verso me quel ferro odioso,
Ch' è sol contro ai piu vili ardilo e fero ;
£ per prova vrggiaiu, se sia mrn forte,
Di quel che fu Cavea, cou voi Boortc.
Poi con tntto il poter drizza una punta,
Che scoperto il trovò nel lato manco;
E dividendo il cor di dietro spunta
Nell’ osso più viciu del destro fianco.
All* estrrma ora sua l'anima giunta.
Lassò il terrestre vel pallido e bianco ;
Onde freddo convien, che a terra vada ;
£ dell' arme al rumor sonò la strada.
XX
Indi il leve deslrier ratto ritorna
Al drappcl. die Clodin gli asconde e chiude.
Gridando : 0 schiera di colori adoroa,
Assai piu che d' onore e di virlude,
Che fa il vostro gran dure e che soggiorna,
( li io mi credea, che fosse eterna inrude
Conira i colpi di noi gnerrier negletti ?
Or si fa scudo a me de’ vostri petti,
xiv
XXI
Gli rispose Clodin; Nuli' altro bramo.
Come pirciol fanriul di madre soglia
Che con voi ritrovarmi oggi a battaglia.
Contro all’ ape, a cui il mel furato avea ;
In cui spero ottener di palma il ramo,
Ma poi che in' è per voi tolta la spoglia.
Se non bene incantata avrete maglia;
£ perché più il dover che l' olii amo,
£' non vi)', che vantaggio alcun mi vaglia,
Della qual già vestito mi tenea;
Il danno sopra voi forse, e la doglia
Porria versarne la fortuna rea,
Questa lancia, eh' ho iu inan, lasso da parte,
Per far palese, come stolto adopre,
£ J medesmo farei, se foste Marte.
Chi per altrui coprir sé stesso scuupre.
XV
XXII
In lai parole 1' un ver 1' altro sprona,
£ ’n questa s' avventò sopra Rossaoo,
Pirn d’ ardente desio di giuria vera ;
Che dell' alta Pannonia avea le schiere.
Clodin fu il primo, eh' al nemico duna
Il Selvaggio appellalo, perch' è strano
Sopra la fronte, e d' atterrarlo spera;
Di costumi, di volto e di maniere;
Ma 1' altro alza lo scudo, e in esso suona
1 Ma il core ardilo, e pronta avea la mano,
La spada indarno, e pur rimase intera.
Quanto buuo cavalier potesse avere;
Se ben piegotte alquanto; oud’ ei turbalo
Or vedendo il nemico, eh' a lui spinge,
Slatinava nel suo cor le stelle e ‘1 fato.
Spiegando il suo valor la spada stringe ;
XVI
XXIII
Ma di Gave il goerrier con altra possa,
E stadia nel ferir d' esser primiero;
Abbassando la man, nell elmo il prende,
Così mosso il cavai veloce c lieve,
Io cui fece cadendo ampia la fossa,
Percuote in vista minaccioso e fero
Né però inliuo al capo il brando scende ;
Il ben ferrato scudo e saldo e greve ;
Ma 1 intonò si forte la percossa.
E ben che, essendo tal, restasse intero.
Che la briglia abbandona, e '1 braccio stende;
Quanto avesse già mai danno riceve.
E saria iu terra poco spazio scorso,
Boorte in te di maraviglia avvolto
Se non avea de'tuui tosto soccorso.
La virtù del Panuonio apprezza molto :
XVII
XXIV
Ma Rossan e Grifon dell' alto passo.
E gli dice : Signor, d’ oscure spoglie
Ch' allor da Srgnran compagni prese.
Ma di chiaro valor vi sento ornalo ;
Sostegno fur, eh' ei non cadesse iu basso.
Cosi spesso veggiam di sozze foglie.
£ Filarle a Boorle il corso stese,
Il frullo provenir dolce e pregialo.
Qual di Tromba Lalor rotondo sasso ;
(•Ite '1 sembiante di fuor non dà, né toglie
£ con la lancia all' omero 1‘ offese
Il buono o ’l reo, che n han le stelle dato;
Nel destro lato, e 1 colpo fu piu duro,
£ se nel giudicare oggi non fallo,
Che regger non porria colonna o muro.
Devrebbe csscjr Clodia di voi vassallo.
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L AYARCHIDE
Ma il drillo par, clic voi debbiate ancora.
Di ine, rom' io di voi, senlir la pruova }
E coti dello, alla niedeiim' ora
Con gran colpo la Ironie gli ritmova.
Sicché 'I veder turbalo gli dimora ;
Ma la tempra dell’ elmo intanto giova,
(’.lie non reilò ferito, e 'ramanleoente
Si ritchiararo in lui gli occhi e la mente.
E ’ncominriò : Signor, troppo ho sentilo
Aneli’ io quel che potete, e non me 'n pento;
Elie ’l trovar voi di fonte assai fornito,
Accresce in me il desire e 1* ardimento ;
Donimi pure il delo in questo lito.
Con voi morte, o vittoria a suo talento ;
Che questa unica fu, quell' altra chiara.
Da non aver di lei viù più cara.
XXVII
In lai voci ritorna alla battaglia,
E d' una punta il Gallo ripercuote,
Non nello scudo più, che quanto vaglia
Per le cose passale intender punte;
Ma in quelle ascose parti, che la maglia
Difende sol, d'ogn’ altro ferro vote.
Di sotto al destro braccio, onde Boorte
In rischio esser polca d’ acerba morte,
XXVIII
Se non che ammaestralo, e dotto all'arte
L’ ha con riguardo accorto preveduta ;
E rivoltosi alquanto in altra parte.
Nel bene armato petto gli è caduta :
Duolsi il Pannonio allor del crudo Marte,
E d' esser più de* suoi quasi refuta,
Dicendo : Òr se cosi mi toi gli allori,
Che puss' io più sperar de' tuoi tesori ?
E mentre che ’n suo cor disfoga l’ ira,
Il cavalier di Gave il brando pone
Sopra il suo scudo, c mezzo in basso il tira.
Or qncsto all’ avversario suo Rossano,
Ghe ’n tale stato ancor fuggir non vuole,
Con allegro sembiante ba posto in mano,
E '1 conforta da poi con tai parole :
La fortuna al valor, eh* è a lei sovrano
In ogni opra mortai contrastar snoie ;
E per seguir con voi I* usata strada,
V' Ita troncata così la forte spada.
xxxiti
Ma non Ga della vostra peggior molto
Questa, di cui vi fo cortese dono ;
E perchè il vostro onor non vi sia tolto,
A nuova altra battaglia presto sono;
11 selvaggio Pannonio in lieto volto
Risponde: li brando mio vie più che buono
Mi fé' intero acquistar sovente palma,
E troncandosi poi, più dolce salma,
xxxiv
Send' ei ragion, ch’or mi sia fatto antico
11 maggior cavalier, che lancia porte $
Nè cosa oscura, ovver novella dico,
Eh' a tutto il mondo ornai chiaro è Boorte;
Ricevo il don, ma non come nemico.
Cercherò mai per lui la vostra morte :
Ma da qui innanzi quello, e chi 'I sostiene
Sari in vostra salute, e ’n vostro bene.,
Ch' io non vorrei perù, che voi credeste,
Vedendo, cuoi' io vo negletto e vile,
Elie tutto eguale il cor fosse alle veste,
Ben che men del dever chiaro e gentile ;
O che ’ntrà le Panuonirhe foreste
Mai non surgesse olir’ all’ usato stile
Per 6 so riguardar vista possente
Della vera virtù la Gamma ardente.
xxxvi
E se non vi fusse altra, è pur la mia.
Che la somma, ch’è in voi, chiara discerne;
A cui, supplico il ciel, che largo dia
E d* accrescer dolor gli dà cagione;
Russali, eh’ al veodicsrse sol rimira,
K rii’ usa piu il furor che la ragione,
Gnu sì gran colpi 1* avversario assale,
Che ir uova al suo desio la spada frale.
XXX
Perch'or mentre il bracciale indarno offende,
Or dell* elmo famoso il ferro invitto,
In due parti troncata a terra scende,
Lassando il suo signor nudo ed afflitto;
Il cortese Boorte il tempo prende
Di mostrar, ch'amò sol 1' onore e ’l dritto;
E dal scudier Tostile a lui vicino
Si fece un brando dar sicuro e fino ;
XXXI
Ch ove la Celidonia al mare Scoto
Le selvaggie sue chiome in alto spande,
Guadagnò, allor di’ ei fe’ di spirto volo
Cou tal virtù Ehersidamante il grande ;
Eh’ ivi arrivato di terreuo ignoto
Si fea de’ prigionier crude vivande .
E quello appresso iu ogni parte a via,
Per usare ai bisogno, e' avvenia.
Tutto il favor delle sue luci eterne:
Ed io per ogui sorte, o buona o ria,
Delle forse di fuor, dell’ altre interne,
Quantunque nulla Ga, per quel eli ci merla.
Vi fo cou tutto il cor divota offerta,
xxx vii
Ma in questo ragionar, vicin si vede
Con le spiegale squadre Segurano,
Che cou arte e cou senno a' suoi provvede.
Che con vantaggio poi tnuovau la tnano ;
Ei con pochi guerrier, con lento piede,
lunausi agli altri va poco lontano.
Con I arme Iucca tisaima, die splende,
Qual Febo suoi, di' a messo giorno ascende.
XXXVIII
Mostrasi in alto ancor 1’ aarato scodo,
Elie 'I bel raggio solar saetta intorno,
Ov* è il nero Dragou, che iu atto crudo
Par minacce a’ nemici oltraggio e scorno;
Così ’l cimiero, ove Nettuno ignudo
Col suo tridente iu man si mostra adorno,
Perù eh avea del suo terreno Iberno
Sotto a tal deità posto il governo.
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A V A R C II I I) E
XXI»
Nè molto a lui lonlan Brunoro il Nero
To’ anni rimessi in un già il patio muovei
Ma poi rii’ aggiunti arrivano al sentiero,
In mi Boorle fea 1' egregie prove ;
Della polve, eh' alzava, oscurar fero
Nel ano seggio (ered'io) Saturno e Giove,
Ch' al fin cadmilo, di montare stanra,
Tulio il popol Britanno e *1 Gallo imbianca.
xr.vi
Disse Boorte a lui tutto ridente :
O famoso mio padrr, se ciò fia,
Troppo ad uopo sarà, sì larga gente.
Per far prnnva di noi, veggio per via : * *
Questi è '1 gran Segnran, cui veramente,
Chi noi pregiasse assai, torto faria.
Ma pur poi, eli* è mortai, vergogna fora,
Più che gli altri, e che sé stimarlo ancora.
XL
Siccome «noi nella assetata citate.
Quando lieto il villan di scioglier brama
Dalle pungenti spighe, e paglie aurate
Il buon seme geniti, che Cerer ama,
Che con le spoglie pria rotte e squarcialo
L* avventa in alto, e Zefiro poi chiama,
Ch' ovunque esse volando intorno spinge,
D’ oscurato color tallo dipinge :
XLVII
Cosi far si rnnvien, lieto risponde
Il saggio re, che nel medesimi errore
Può cader l'uom ,rlie in troppo ardire abbondr,
E chi soverchio ancor crede al timore;
Sommo senno e viri ode il Cielo infonde
In Separano il Bruno, e gran valore,
Nativo nel suo seme invitto ed alto.
Quale in Ettor, Girone e Galealto:
Xtl
Tali erano a mirar 1* arme e i destrieri
Di qnei, eh' ad incontrargli erano intesi,
1/ ornale sopravveste, i bei cimieri,
E gli scudi lucenti e gli altri arnesi,
Per cangiante vaghezza in prima alteri,
D' nn medetmo colore eran compresi ;
Nè I' un 1' altro scorgea, come se ’l velo
Notturno, e senza luna avesse il cielo.
Xl.VItl
C h' illustrissimi fnro, e senza pare,
E di cui tutto il mondo avea spavento ;
Pure ove alcun di lor polca trovare,
D' esser co' suoi nemici avea talento;
Perché le spoglie e le vittorie rare
Non s' han di loco di virlude spento;
Né mi fu '1 quinto Ciel sì avaro allora,
Che lodato non fuisi aneli* io talora.
XLIl
Già nel venir di quei son fatti avinte
Il nubi) re dell' Orradi e 1 figliuolo,
Palrtde al cerchio d* oro, e Matagrante,
E Pienoni, e Drianzo, e '1 forte stuolo
Di più d'nn dure e ravaliero errante,
Il qual desio d* onor conduce solo
A seguitar dell’ Orradi 1' insegne,
Non avaro pensier, che in esso regne.
XLIX
E %' io non (etnea lor giovine e forte.
Clic troncar mi poteano i miglior anni;
Ora a che per roslui curar di morte,
Ch* è sola il porto de* canuti affanni ?
E poi 1' alta presenza di Boorle,
Che lotto m' ha da perigliosi danni,
Ben mi può assicurar lo stato incerto,
E trionfo di lui prometter certo.
XUII
Le schiere di spavento pria ripiene
Han tornate eoi dir liete e sicure :
Il comandato loco ngn' uom ritiene.
Come chi d' obbedir, non d* altro cure ;
Nè nien che gli altri di minute arene
Fan l'aria intorno e le campagne oscure;
Or giunti ore il magnanimo Boorte
Fea di largo lesor ricca la morte,
i.
Ma perrhé riposalo alla battaglia
Vico frescamente, e noi lassi rilruova,
Ch' all' estremo calor, tra piastra e maglia,
Avem fatta di noi si lunga pruova;
K il mio consiglio, se di lui vi caglia,
Ch'ornai quinci nessun più il passo muova;
Ma sol s'attenda, e cerchi solenere
Il primiero furor di queste schiere.
. XI.IV
11 valoroso vecchio alquanto sprona
Il cavai verso lui, poscia gli dice :
O «lei regno di Gave alla corona,
E di quante mai fur la vincitrice ;
Tra 1‘ antiche memorie indarno sauna
Quell’ onorata cetera, e felice
Del buon Tididc, d'Ettore e d'Achille,
Che presso al foco vostro crasi faville.
U
Così fermo fra loro, i cavalieri
Si disteser per l’ali d* ogni lato,
Ove il re Prlinoro con gli arcieri
Quasi al medesmo punto era arrivato,
Ch’ a molti duci avevano, e guerrieri
Condotto con gli strai 1' estremo [alo ;
Or sentendo il bisogno, 1’ altra impresa
Lassaodo, al corno suo toma in difesa.
XLV
Ben poss’ io dir la vostra invitta mano
Della rovina mia fido sostegno,
CI. abbattuto e scarnalo ha di lontano,
Chi già sovra de' miei teneva il regno ;
Ecco che ’l bello oprar non cadrà in vano,
Ch* or più, rh‘ io fossi mai, bramoso vrgno
D assalire i nemici, e le mie schiere
Sarian più che leoni oggi a vedere.
Lll
E ’nsirmr esso, il re Lago, e *1 pio figliuolo,
Il famoso Boorte, e gli altri poi
Yan tulli intorno all’ ordinato stuolo,
E ciascun quanto può conforta i suoi ;
Ma il valoroso vecchio é quei, che solo
Sopra gli altri si sente, e dice : Or noi,
Siam qui, cari figliuoi, per mostrar chiaro.
Che noti a torto aviam nome ai raro.
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L AVARO II IDE
1.11 1
Sete ahltehi guerrieri, e non v* è a scoto,
Che '1 gran valor conviene al pran perielio ;
Fate a proova fra voi, chi piti bramosi»
Muova il suo ferro, e con più allegro ciglio ;
Certi, che 1' nom fugare e paventoso,
Sempre del sangue ino torna vermiglio ;
Il torte acampa, e con supremo onore
Vive iutra gli altri, .e poi famoso muore.
I.X
Or quai duo tigri giovili! eh 1 usali
Sien con la madre lor gregge a‘<alire,
Che già d'esse più volle insanguinali.
Senza la scorta poi prendono ardire,
Conlra ì più grossi armenti, e meglio armati
Di pastori e di cau, soletti gire,
Che da quei, più di lor sagaci e forti,
Sien col troppo voler battuti c morti ;
ttv
Fermi il passo ciascuno, e solo intenda
A non muover giammai di loco il piede t
£ se più non potrà tanto il difenda,
Cir al fiu morto di lui rimanga sede ;
Sé stesso a virtù sproni, e gli altri incenda,
Che vinti dal timor vicin si vede,
Con dir, chi cinge il ferro, cinga insieme
D' alte lodi acquistar desire e spense.
Lll
Tale allor questi due con Segnrano
F.bber di pari ardir simil fortuna,
Ch* ad ambo insieme la spietata mano
La vita e '1 giorno in nn momento imbruna;
Di questo getta il capo a lui lontano,
E quell* altro percuote, ove s'aduna
L’ ultima costa al suo sinistro lato,
E presso al pio fratello è riversato.
LV
Con tai voci arrestò 1* invitto corno,
Ristretto in un con raaestrevol arte ;
In guisa che lalor nel fosco giorno,
Quando inchinando il sol da noi si parte,
Folta nebbia veggiam, eh' astiede intorno
Di monte alpestre alla piu altera parte,
Allor che Borea, ed Austro, ed Coro giace
Co' suoi compagui iu riposala pace.
LXII
Pianse il vecchio pietoso, quando scorse
La valorosa coppia a morte giunta ; *
E ch'alia gioviu voglia uou occorse,
Di paterno dolor 1' anima ha punta,
E quasi al vendicargli irato corse :
Ma in questo mezzo strettaincute aggiunta
K 1* avversaria già con la sua gente.
Tal eh’ ad opra maggior piega la mente.
LVl
Già vico con largo passo Separano,
K ‘n superba sembianza s' appresola,
l)ireudo : Or tragga fuor 1' ardita mano.
Chi quest' arme, ch‘ io porto, nou paventa;
ludi una asta nodosa di lontano
Vibrando iu aria tra' nemici avventa ;
Nè corse in vau, ch'aggiunse Liromede,
Che 'n mezzo alla Cornubia avea la sede}
I.ZIII
E rivolgendo il guarJo in ogni loco.
Pur i suoi nel bisogno riconforta.
Che nessun per timor mollo uè poco
Al furor dei nemici apra la porta ;
Ma il fero Seguran, eh' ardcule foro
Negli occhi, nella mano, e nel cor porla,
Sopra i primieri, ove col ferro aggiunge,
Quanti puotc incontrar percuote c punge.
LV1I
E del nobil Cremo era nipote.
Ricevalo tra’ suoi con sommo onore;
E nell' estremo al ventre gli percuote
Il mortai ferro, e '1 trapassò di fuore :
Cade inverso la piaga, e mentre scuole
Le braccia intorno, e i piè, languendo muore;
Ma pietosi di lui Lieo c Driaule
Con voler del buon re si fanoo avanle.
LZIV
Truova, che ’nsietne Amintore e Dinea
A quei, che indietro snn, si fanno scudo;
I quai scampando altrui da sorte rea,
Hauuo in sé ricouverso il ferro crudo ;
Perch* all’ un col poter, eh' estremo avea,
Passò la spada, come fosse ignudo,
Per entro il petto alla incurvala valle.
Che nascosa iu tra lor formau le spalle.
L VI II
Eran questi Tralci del sangue usciti
Del famoso e grand' Orcado Prloro,
Che poi regnaudo ne’ Britanni liti
Fu possente tra tor di terre e d'oro,
Padre di Perifeo, che tra i graditi
Guerrirr, che a Pandragon più amici foro,
Era il primiero, e questi cari e soli
Della bella Ippodaoiia ebbe figliuoli ;
Mf
Dinea fere alla fronte, dove appare
Assisa in mezzo la piu larga veua ;
E '1 fe’ col volto iu allo riversare,
E di sangue irrigò la pressa arena ;
Segue ultra, ove più insieme risrrrare
Vede la folla schiera, e sta ripieua
D‘ ostinato voler di morte Certa,
Pria che lassargli inai la strada aperta.
L4X
I quai nodrì nel gemino valore
Del ferro illustre, e delle dotte carte ;
Nè scerner si potea, chi eoa più amore
Gli ricevesse in seno Apollo o Marte,
Che per 1’ uno e per 1' altro in sommo ouore
Eran saliti altrove e "u quella parte,
E di più d' uno alloro > eran ciuti
Di cavalier, eh' aveano uccisi o vinti.
UVI
Ivi con piti furor s'accampa allora,
E tutti i suoi miglior d* intorno accoglie ;•
Qual rapido torrente, a cui talora
Il semplice cultore il corso toglie,
E per altro cammin, del vecchio fuora
Spinger il vuol, contrario alle sue voglie ;
Gli' ove intoppo maggior traverso truova,
Tanto piu tì’ espugnarlo usa ogui proova.
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Tal l’aspro Seguran quanta ha virtnde,
Quant' ha forza e valor sovr* essi spirga ;
Ma ’l Britanno drappel, via più clic incude.
Sta saldo ai colpi, c non sì torce o piega;
Duce non ha, che non *’ affanni e sode,
E ’l valoroso re conforta e prega ;
E dove alcun de’ suoi reggia ire a terra,
Con nuovi altri gocrrier rustico la guerra.
errili
Nè il famoso Coorte indarno siede,
Che pronto ha in ogni parte il pauoe’l ciglio,
E nell* uopo maggior disceso a piede.
Tosto ivi accorre al pubblico periglio ;
All’ apparir del qual lutto si vede
Il campo più che pria farsi vermiglio,
Che spinge innanzi, e con l’ invitta spada.
Ove sta Scguran, prende la strada.
I.XIX
Il qual, come vicin venir lo scorge,
Il chiama, e dice : O misero Boorte,
Qual contrario pianeta oggi vi scorge
Nel Corir vostro a rosi acerba morte ?
Alta pietà di voi nel cor m» sorge,
Nè mi dolgo anro men della mia sorte,
Ch’ all’ occider mi sforzi un guerrier tale,
E di’ amai sempre alle mie luci eguale.
txx
Ben adiste già dir, ch’io giovinetto
Fui del re vostro padre intero amico :
Mrntr’ io piva formando il rozzo petto
Col suo valore, e col gran senno antico;
D’ ogni contento suo preudea diletto,
E quanti in odio avea, mi fu nemico ;
Nè mai saggio figlinolo amò più il padre,
Ch’io fei lui sempre e l’opre sue leggiadre.
LXXI
E *n questo istesso loco mi trovai
Seco con 1’ arme in man contro a Clodasso,
Là dove il popol suo colmo di guai
Rendei più volle, e Itti medesroo lasso ;
Infm che in altra parte me n'andai
Yerso il Castel del periglioso passo.
Che mi sforzò )* onore e 'I dever mio,
E ’nlaato il miserei del mondo nscio.
Ben mi dorrei, se mi sforzasse tale.
Che foste per mia man di vita in bando ;
E però vi riprego, che ’l fatale
Corso v’adduca in altro loco errando;
E sopra il nuovo popol, che n’ assale,
Possa la mia virtù mostrar col brando ;
Nè mi vegnan vittorie, onde le spoglie.
Più larghe, che gli onor, m’apportm doglie.
txxv
Ma l* ardito Boorte in alto altero,
Poi ch’ha quelo ascoltato, gli risponde:
Se '1 Ciel vorrà (che ’l tutto scerne intero,
E senza il cui voler non crolla fronde)
Che mi tolga del mondo il braccio fero
Di Scguran, cui tal valore infonde:
Il mio fuggirse altrove indarno fora.
Che scampar non porria, nè indugiar 1’ ora,
tv XVI
11 medesroo awrrria, signor, di voi.
Se ’l fin per qnesta man lassù v’è dato;
Però fia ben tentarlo, e ’l vedrem poi,
Che 1‘ uom conosce sol quel eh" è gii stato-,
L’ antico e chiaro amor, eh* ora è fra noi.
Anco dopo il morir non cange stato;
Perchè non drbbe odiar 1’ anima forte.
Chi col ferro d‘ onor la spinse a morte.
LXXYIi
Così detto, ripien d' alto desire
Di gloria rivestir con guerrier tale.
Drizza alla testa il brando, ma ferire
Altro non può, che del serpente 1* ale ;
Ch’ alto levò lo srudo a ricovrire
Il colpo, che scendeva egro e mortale,
L* accorto Scguran, che non disprezza
Quella giovine età nell’ arme avvezza.
Lxxvm
Non vien per questo men I* altera speme,
Ch’ al valoroso Gallo il petto avvampa.
Clic in diversi altri modi il punge e preme,
E 1’ arme iutorno perrolendo stampa ;
L’altro, eh* offender lui nell’alma teme,
Solo a difender sé le forze accampa,
E si cuopre or col brando, or con lo scudo,
Infm che ’1 vide poi di pietà nudo.
Dopo il qnal vi rimembre il sommo amore,
Ch’a voi, come a figlino!, portai mai sempre ;
Or se il Ciel, rivolgendo i giorni e I' ore.
Dell' esser nostro poi cangiate ha tempre;
Non avrà fona mai, die questo core
(Se ’l composto mortai non si distempre)
Non sia pure il medesmo in ogni sorte
Verso il nome onorato di Boorte.
Ma poi che sposo son di Claudiana,
E di Clodasso suo genero fido ;
Non sia stimata a torto opra villana.
Se di quella, c di lui difendo il lido;
E se già 1* altra età poco lontana
Yide Avarco de’ vostri antico nido,
Giove riguardi a ciò, che ’l nostro Marte
Volge la vista sua per altra parte.
Però che sopra il braccio il ferro scese
(Ch’ ei non poleo schivar) con tanta possa,
Che la man tutta, e ’l destro lato offese,
E dentro gl* intronò la carne e 1’ ossa :
L* ira di Marte atlor ratta s* accese
Nell’ aspro Iberno, e la pleiade ha scossa.
Dicendo : Poi che in voi non vai 1’ amore,
Yalga di Scguran 1* odio e "1 furore.
LXXX
E qnal levriera pia, che talor soglia
Co’ suoi stessi figliuoi mordersi a gioco,
Ch* ancor che i denti lor le apportin doglia,
Se moderata vien, la soffra un poro ;
Poi se passa il dever, cangia la voglia,
E ’l gran materno amor non ha più loco ;
Che disdegnosa al fin lor corre sopra,
E l'unghia e '1 morso a gastigargli adopra;
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L ÀVÀRCH1DE
imi
Tale arvfen di Boorle a Separano,
Che ’n disdegno»» pitta a lui t' avventa ;
L' invitta spada, la feroce mano
In basso spinge al vendicare intenta ;
Ogni ferro, ogni tendo era ivi invano,
Per far riparo alla sua vita spenta;
Ma il giovinetto «nello in leve salto
Serur si fe'dal periglioso assalto.
f XXXVIII
Nè si saria, cnm' or, con tanto ardire,
Di si gran cavalier mesto al p.irapgio ;
Il qual pensando in alto dì ferire,
Già dalla esperienza è fatto saggio,
Gir ei vede indarno il colpo riuscire,
E nel nemico «no tutto il vantaggio;
Che la spada gli pon sopra il cimiero,
E in due parli il ripose sul »ru litro.
LXXXlt
Ond* il gran colpo con dannoso scherno
Sopra 1’ arena scorse a Ini vicina :
Dietro al cui grave peso il fero Iberno
Le sollevate membra stese inchina:
Con più romor, eh’ al tempestoso verno
Non fa di cerro antico alla mina.
Che ’1 rapido torrente intorno svelse,
E del torbido corso preda felse.
LX XXIII
Il cortese Boorte ratto accorre,
E pensa ogn* nom, che per ferirlo vada,
Quando veggion pirto«o, che'l soccorre,
E lien Innge al suo mal l’agnta spada:
In questo mezzo d' ogni intorno corre
Genlr, che’ntra Inr slue chiude la strada;
E già le schiere son si strette in ano,
Che ’1 tuo loco a guardar torna ciascuno.
LXXXJV
Ma il forte Seguran, qnal rapii!’ orso,
Glie d’ alto arbor pomoso cadde a terra.
Che con tutto il poter d' unghia e di morso
Delle piante più basse i rami atterra;
Tal egli abbandonato all' ira il morso,
Scndogli tolto in Ini, muove aspra guerra
In quei, che primi incontra, e d'essi face
Qurt, che di cervi suol tigre rapace.
I.XXXV
Trovasi presso il misero Balante,
Che di Mamhrino il saggio era cugino ;
Panogli il petto, e eoo la fronte innaule
Giacque al suo perrustor tristo vicino ;
Ippaso poscia se gli oppose avanir,
Ch’ ebbe al compagno pi» pare il destino;
t hè come in grado egual vissero iusieme.
Una morte medesma anco gli preme.
LXXXVt
Ma ferito fu questi, ove la gola
Aggiungendosi al petto è cava alquanto ;
La vita appresso crudelmente invola
A Stirino, Mimico, Laso, e CIraiilo
Della progenie Uvallia, che già sola
Tra i più chiari Prmhruchi aveva il vanto
D’ aver domala la famosa Arforda,
Che col nobil legnaggio mal s’ accorda.
I. XXXIX
Vien dopo questo il nobile Efìmone,
Che nato d’ alta stirpe in Bangaria
Mezza soggetta avea la regione,
Che ’n verso Brestolina apre la via;
E ’ncontro al gran furor folle s’oppone
Del possente guerricr, ch* a morte ria
Di gir volando gli mostrò la strada.
Trapassalo nel ventre con la spada.
xc
Giva segnendo ancor, sicché in poc* ora
Uccisi avea tanl’ Orcadi e Britanni,
Clic nessun più d’ avanti &li dimora.
Ammaestrato in se dagli altrui danni;
Già più d’ un duce di speranza è finirà
Di rimedio trovar degli altri aiTanni ;
E più ch* alla vittoria, o alla viriate.
Volge ogni suo pensiero alla salute.
xn
Era gito Boorte in altro loro
Contro al fero Ondino, e ’l re Brnnoro,
Ove acceso trovò sì ardente foco,
Ch’ ei non può per altrui lassar costoro;
Ma il buon re Lago, poi che stanco c roco
E de’ suoi richiamar, che in fuga foro.
Come altra volta già, si spinge avante
Con passb e cuor di cavalicro errante.
xcii
Ma il pietoso figlino!, che vicin vide,
E molli altri suoi duci appresso chiama,
Matanzo il Bruno, e ’l caro suo Patridr,
Clic non inen di se stesso apprezza ed atua;
Malagranle, Plrnoro, e 1* altre fide
Scorte più amiche, e d' onorala fama ;
Le quai senza tardar gli vanno intorno.
Come sciolti levrieri in caccia al corno,
xctti
Quando il gran Seguran vicina scorge
A’ suoi danni venir l’ eletta torma ;
Quanta pisi puote, al cor baldanza porge.
Si che vieti al sno piè di cangiar orma ;
Sveglia ogni forza, e con le spalle insorge,
E nel saldo ferir se stesso informa :
Conferma ben nel braccio il grave snido,
E nella destra mano il brando crudo ;
L XXXVII
Bitruova, olirà a costor, l'altero Alito,
Parente di Serbino e Pellicano,
Del seme altero di Merlino uscito.
Ma dell’ arte di lor molto lontano ;
In cni te, conte i suoi, fosse nutrito,
Avrìa previsto allor, che ’n Segnrano
Fu riposto il suo fine, onde polca
Forse altrove indugiar la sorte rea.
xeiv
In guisa di cinghiai, che ’ntorno cinto
Tra cani e caccia lor del bosco fuorc,
Si vrggia in loco aperto esser sospinto,
Ove al suo scampo ha sol l’arme e 'I furore;
Che 'I dente mostra alla battaglia areinlo,
Incurva il dorso, c ’n minaccioso orrore
Drizza l’ ispide sete, raspa e freme,
E nel suo desperare ha solo speme.
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L AVARCHIDE
xcv
Sopra il primo, che vie», »e tinto sprona
L' irato Iberno, e scese 1' atpra torte
Nel pio Drianzo, a cui tal colpo dona
Sopra 1* elmo ben fin, che ’1 potè a morte
Poi con superbe voci allo ragiona :
Venga innanzi di voi cbi fia più forte.
Perchè posta sentir, te questa spada
Meo grave in Ini, che nel compagno vada.
cn
Torna alla sua sinistra là, dov' era
Creato, Ivano, e '1 nobile Mambriuo,
Nella parte, a cui stende la riviera
Il tuo lido arenoso più vicino ;
Ch* a battaglia ivi perigliosa e fera
Son con Rrunoro il Nero, e con Cludino ;
Ma cosi van di par, eh' essi non sanno.
Chi più s’ aggia di lor vittoria o danno.
XCVI
Ma 1* altra schiera insieme va ristretta,
Che così gli ammaestra il vecchio saggio,
Dicendo : Chi desia di far vendetta.
Noi deve refular quand'ha vantaggio;
S* io fossi ancor di quella età perfetta,
Che fu degli anni miei 1' aprile e 'I maggio.
Andrei certo più tosto ignudo e solo.
Ch'or con tali arme, c eoo si largo stuolo.
Citi
Ma nel primo apparir di Separano
La volubil Fortuna il dubbio solve:
Ch' a pena giunto ancor, la cruda mano
Ha gettato riverso tra la polve
Il forte Attorion, cugin d' Ivano ;
Il qual, mentre ehe 1' alma si dissolve.
Chiede al suo vel terrestre sepoltura.
Per non restar di cani empia pastura.
XCVII
Ma il meglio è d' obbedire alla natura,
E quali ella ne dà, le forze usare ;
E tanto più colui, ebe sol procura
La salute e'I ben pubblico servare:
Però senza tenere or d' altro cura.
Clic di questo erudel quindi levare,
Andiam congiunti insieme, perchè invano
Sarebbe un sol di noi con Segurano.
ar
E Inogo ebbe il pregar, ma non ai tosto,
Ch’ allora è in altro aliar ciascuno iuteso;
Perchè non lunge a lui per terra ha posto
Il giovin Mencsteo da morte offeso,
Ch’ al possente forore indarno opposto
Sperò di sostener più grave peso.
Che nou fu ’1 suo valore, e se n accorse,
Quando il colpo morule al venire scorse.
XCVIll
Ch* ancor che’ sia di me più giovin tanto,
Ch'io non fussi giammai seco a battaglia,
Sento da lutto il mondo dargli il vanto
Sovr’ogni cavalier che vesta maglia;
E benché ceda a Lanrilolto alquanto,
Al possente Tristan forse s’ agguaglia t
E I’ un scndo lontano, e 1* altro irato,
Deviam ben riguardare al nostro stato.
cv
Dopo costoro uccise io nn momento
Sfeleo, Ctonio, Micipso, e Licofone,
Che tutti avean suggelli e reggimento,
Ove nel mar Sabrina si ripone ;
Passa olirà il crudo, e tra '1 fugare armento
Sembra affamato e rabido leoue.
Che d'altra preda pria spoglialo fosse
Da pastorale schiera, clic '1 percosse.
XCIX
Cosi dicendo, angusto cerchio fanno,
Che ben doppiato fia da ciascun lato.
Al feroce guerrier, che mortai danuo
A' Matagraule d' una punta ha dato,
Che gli ha passato il cor, ma gli altri l'hamio
Col sovente ferir lutto intonato,
Si che gli sembra il mondo gire intorno,
Di color varii, c di facelle adorno.
evi
Creuso il Senesciallo, e *1 prode Ivano,
Coi miglior cavalier, di' aggiano appresso,
Ben ristretti fra lur, drizzati la mano,
Ove il popol vicin più viene oppresso ;
Ma quaulo oprano in ciò, ritorna sano,
Che lo stnol paventoso in fuga messo
Avea chiuso il canuniuo, e ’u tutta forza
Di fermare ivi il piè ciascuno sforza.
c
Onde sforzato al fin ritira il passo,
E poi con dignità fra* suoi si resta,
Di sdegno più, che di fatica lasso,
O che d' aspre percosse della testa ;
E quando è in se d' ogni speranza casso
Di passare olirà il vallo, ehe 1' arresta,
Rivolta in altra parte, e in altra strada
L' aspro furor della mortale spada.
Ctll
Surge Mambrino il saggio d' altra parte,
Che men l’aspra tempesta avea sentita;
Sveglia chiamando il buon popol di Marte,
E ’n lai conforti alla difesa invila ;
Ora è '1 tempo a mostrar, se 1’ anlic’ arte
Del militare studio è iu noi fallita,
Che fu già si pregiata in Bangaria,
Che di tutta Bretagna in vanto avia ;
CI
Simile a quel possente altero fiume,
A cui l’arte e '1 valor d'umani ingegni,
Ove il corso drizzare avea costume,
Chiuser con gravi sassi e duri legni;
Né sia di forza tal, di' apra e consume
Di sotto, o intorno i validi sostegni ;
Che per altro sentiero abbaile e svelle
Quanto incontra, e 1 rumor vola alle Stelle.
eviti
0 se siamo i medesmi, ehe più volte
Al Belico furor ponemmo il freno ;
Che già con mille navi insieme accolte
N' avean privati del natio terreno ;
Onde tante poi far tra fiamme avvolte.
Quando del sangue lor, c'euipiemmo il seno;
O quelli stessi, di' al vicino Iberno
A viani fatto so veute e danno e scherno.
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A V A R C H I D
CtX
Qnesti, di coi lenirle il guardo solo,
Son tulli dì color, di eli* io ragiono,
Nati e nodriti dal medesmo polo,
Nè dal ciel piò di quelli han proprio dono ;
Ora al primo valor si spieghe il volo,
E rinfreschi di lui 1' antico suono,
E seguile il mio piè, che vi conduce
Alla vera di gloria eterna luce.
ex
Cosi dicea Mambrino, e mostra loro,
Per piò infiammare i cor, 1' altero scudo,
Clic di perso colore e d' ostro e d’ oro
Diviso appar, d* ogni animale ignudo:
E lassando Oiouel eoi re Bruuoro,
S' invia co’ suoi, dove l' Iberno crudo
Opra in danno d' Ivano e di Crenso
Oltre a quel che convegna al mortai uso.
cxi
E Ini con grande ardir primiero assale,
E gli dà in mezzo al capo aspra percossa,
(-he ben I offése assai, ma non fu tale,
Che impiagare, u impedir dì nulla il possa}
L’ altra stia compagnia formata in ale
Da sinistra e da destra insieme è mossa,
E con l‘ aste e coi brandi gli slan sopra,
E di metterlo a terra ogni uomo adopra.
cxn
Ma qnel rìgido scoglio è sempre in piede,
Nè paventa il furor di questo mare ;
Pria di tutti Mambrin nel braccio liede,
E gli fece la spada abbandonare ;
Poi fra gli altri guerricr, che ’n torno vede,
Tra fugaci colombe aquila appare,
(•he chi in fronte ferito, e chi nel fianco
Tra *1 fuggire e ’1 morir venuto è manco.
ex in
Or poi che s* è veduta quella speme,
Che piò gli sostenea, cadere io vano ;
E che quanto egli incontra abbatte e preme
L’ allo valor del fero Segurano,
Ciascun si forte ornai la morte teme,
Che sprezzalo ogni dnce e capitano.
Stendendo il corso per l'angusta valle,
Al nemico vicio voflan le spalle.
CANTO Vili
ARGOMENTO
accoglie; i fuggitivi il prode Arturo
F. rieri contro di nuovo a Separano ;
Torna quindi per ambo il vincer duro ;
Ma dal campo il secondo va lontano,
Che (.lodano lo appella entro del muro
Ove al Aume sacrifica, nè invano ;
La sposa abbraccia , e con ('.lodino poi
Torna alla pugna a sostenere i suoi.
C. 1 ,
s-/i tosto come avvien cl» al grande Arturo
Le sollecite orecchie ripercuota
Del re Lago e de' suoi lo stalo oscuro,
K r aspra fuga di speranza vota;
b a che I re Caradosso il bianco e puro
Bel vessillo reale al vento scuola;
E le Minore trombe in quella parte
Sveglin dal nido suo P invitto Marie.
il
E de* suoi cavalier l'ornate squadre,
Che nell* aperto campo avea distese,
Vien tutte rivedendo, e qual pio padre
Lor rinfresca d’ onor le voglie accese.
Dicendo : Or vien dell’ opere leggiadre
(Alle qnai sempre aviani P aniine intese)
La stagion convenevole, da poi
Ch' ogni estremo rimedio è posto in noi.
ut
Ben potete veder, eli* or sola giace
La salute comune alla man vostra :
Che se fia del valor, di’ a lei confacc.
La vittoria e la gloria iu tutto è nostra ;
Ora a quel sommo onore, e ben verace,
Che la grazia di Dio n* alluma e mostra,
Andiam con lieto cor, se-guiam l’ insegna,
Che ’l celeste scntier con l’ orme segna.
iv
Così detto a ciascun, posalo e tardo,
Ben fra loro agguagliato il passo muove,
Infin di' all' avventar di lancia, o dardo
Viene, ove Seguran fa Palle pruovc ;
Indi come cervice, leone o pardo,
Che la preda affamato in selva truove,
La polve tosino al sol destando in allo,
Sprona il corso veloce al fero assalto.
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AVARCHIDE
Il romor de* deslrier, dell' arme il tuono,
Nell’ oscuro sentier che non appare.
Sembra all' autunno il tempestoso tuono,
Che copra il fosco ciel ci sente andare.
Spaventando rolor che carchi sono
Di pensier crudi, e d’ atre culpe amare |
Poscia in ardeule fulgor sì converte.
Che le gelate nubi ha intorno aperte ;
ti
£ con mortai fragor girando scende,
Ov* han I' ombra maggior gli eccelsi monti,
Ch' or Ossa, or Pelio, or Apennin» offende,
Ove d* Amo, e di Tebro rsron le fonti ;
Or I* alte torri, or col furore incende
De' sacri tempii le famore fronti;
Or degli arbor più antichi abbatte r doma
11 piè, le braccia, e la cangiala chioma.
TU
Con sembiante furor, di notte avvolta
A ferir vien quest' animosa schiera.
Riempiendo d' orror qnel, che I' accolla,
Ala più di lei cchivar (lasso) non spera ;
Giunge ove Srguran con gente folta
L'attendeva orgoglioso, e ’n vista frra ;
£ s'ha d’aste e di scudi fallo schermo.
Quanto può, contro a lur sicuro c fermo.
Tilt
Ma non ha il mondo forza, che soslegna
Di Unte lance, e lai I' estrema possa ;
Tal eh' in un punto col la regia insegna
Fa di mille guerrirr la terra rossa.
Che nessun resta in piè 1J», dove segna
D" esso colpo primier I’ aspra percossa ;
Nè sol quei, ch'ivi fur, ma molti poi
Dal medesimo urtar caddcr fra' suoi.
IX
Passando ultra i destrieri, e mille ancora
Premendo van sotto il ferrato corno ;
Quasi simili a quei che Iraggon finirà
Della spoglia il frumento al caldo giorno,
Quando il villan cui freii saldo dimora
Del loco in mezzo, c fa girarse intorno
Di giumenti c di buoi I’ elette torme,
Che l'arido suo vcl tritio con 1' orine.
x
Rutta la lanria poi, si rrra in mano
Ogui buon cavalier la grave spada,
£ con quella da presso e da lontano.
Ove spinga il cavai, s* apre la strada ;
Tal che piùd' un guerrier, che sia sovrano,
Con vien per opra lor, eh’ a morte vada,
Oltre alla turba abbietta rd iiiGuita,
Che tra gli urli e ’i furor lassa la vita.
XI
Uccise il gran re Arturo Ciiiufonte,
Congiunto amato di Brimoro il Nero,
Nato io Usfalia alla gelala Ironie,
Ove al Cimbrico mar volge Visero,
Di sangue illustre, e di ricchezze conte
Sopra molti vino teneva impero,
Saggio nel consigliar, nell’ oprar forte,
£ 1‘ onore e '1 valor gli erano scorte.
Le quali ad aspettar soletto a piede
L' ohhligaro mi tal re di tanto nome,
Clic d’ alto allor sopra la fronte il fiede,
£ di sangue gli empiè I’ elmo r le chiome ;
E della sua virtù venne a mercede
Lo srarcar 1* alma di terrestri some
Per la piu chiara man, che fosse allora
Dal mar d'iberia a’ liti dell'aurora.
xni
Il nobile e famoso Cliildebcrlo,
L' allo erede primier di Clodoveo,
Quantunque giovinetto e poco esperto.
Diede aspra morte all’ infelice Argeo ;
Che nacque ove più mostra il fianco aperto
Ver la Canlabria il salto Pi re neo ;
Che sposò di Yerrallo la sorella
Neil’ eli sua dascuu fiorita e bella.
xtv
£ *1 privaro in quel dì le stelle infiJe
Dell' alma e della fiamma oud’ egli ardca;
Che dalla destra spalla gli divide
Il braccio, che la spada sostenta ;
Cadde il miser, chiamando le sue fide
Genti in aita, che ben lunge avea ;
£ lo spirto, che breve in lui dimora.
Dal premer de' cavai fu trailo fuora.
xv
Clotario uscito dal medesmn Franco
A Mrlanippo il rio la vita toglie,
Nato in Poraeria, ove le bagna il fianco
Con I onda Orlelo, clic le nevi accoglie;
Questi del padre suo canuto e bianco
Reudeo sanguigne le sacrale soglie ;
Perchè il fratei, che di lontana sede
Dovrà tosto tornar, non fesse erede.
XVI
Or per quell' empio cor, eh* a fabbricare
Il pensiero infernale era stai’ oso,
La giustissima spada ol trapassare
Fe' io fato al dorso il giuviue famoso ;
Nè Clodamiro il frate vuol mostrare
D* esser manco de' duoi d' onor bramoso ;
Come il quarto con lui Teodoriru
D" esser uicii di virtù, ette gli altri, amicu.
XVII
E rosi questi due congiunti in uno.
Non liiuge mollo all' onorato Arturo,
Clic qual padre provvede, che ciascuno
Sia di lor ben guidalo e ben sicuro,
Triturano insieme Ifilo, e Crnmio il Bruno,
Fratei Burgundi, e nuu di saugue oscuro;
Ma cugin ili Clolilda, clic già feo
Questi quattro ligtiuoi di Cluduveo.
xv ni
Ma le parli seguiau di Gunebaldo,
Che di lei il padre Cliilperico uccise ;
Nè il legame fraterno intero e saldo
Al desio di reguar termine mise.
Or questo unico par sicuro, e baldo
Gli incontrali nemici si divise ;
Clodamiro percosse ju fronte lGlo,
L utìu sovra la gola è il colpo gito.
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l’ avarciiide
XIX
Ferito è Cromi o nel sinistro lato
Dal buon T collerico, e posto a terra;
Indi truova Agraveno il forte Acato,
Cbe tra* suoi pochi pari aveva in guerra,
Nel natio regno intorno circondato
(Come invitta città muraglia serra)
Dalla frondosa Ereinia, e poco meno
Era in Praga onorato, che Drumeno.
XXVI
Dopo rostor Bralleno ed Amillano,
Taurino, i frati, e Meliasso il Bello,
Il Bruii quei senza gioia, ed Urianu,
Con l’altro invitto c nobile drappello.
Nei suoi nemici insanguinò la mano,
E fere sopra lor largo flagello ;
Nè T un mai più dell’ altro apparta lasso,
E d' una riga egual moveano ti passo.
XX
Gli trapassò la gola nel traverso,
E di lei l’aspra (istilla divide;
L’ ardito Gargantin, Unione il Perso
Della patria medesma, seco nccide,
Che di sangue iuGnito il petto asperso,
Disumando il riel, ch'a quella sorte il guide,
Rolando gio, come in sospesa piaggia
Suole il secco troncun, cbe spinto caggia.
xxvu
Come dopo 1* aprii si pon vedere
Gli accorti mietitur per gli ampi prati,
Dipartirle fra loro in larghe schiere,
E ’n drittissimo (il gire agguagliali;
Poi nell' ordin medesmo far cadere
Gli aridi firn per terra riversati
Con 1’ adonche sue falci ; e ’n eotal forma
D’ Arturo ivi apparia l'egregia torma.
XXI
Il ravalier famoso di Norgalle,
Che tra' miglior guerrieri il mondo stima,
Che quelli avea della Lomnnda valle.
Che '1 Grampio adombra con 1’ altera rima,
Nel petto fere, e '1 passa oltra le spalle,
Off leste, che (ien la gloria prima
Nel possente luttare, e fu il più chiaro
Del terren, che ronlien Rodano c Varo.
xx mi
Ma il fero Seguran però non manca
Di mostrar la virLidr, ond' è ripieno ;
Sosticn la gente spaventosa e stanca,
E raccende il valor, ch'ha spento in seno;
Or nella destra parte, or nella manca
S' avventa, come il folgore o *1 baleno ;
Or Ira i nemici in mezzo si vedea,
Or dietro a tutti i suoi, che gli spingea.
XXII
Ma non gli valse illor eontra la spada
Del nobile e fortissimo Britanno,
Uh* abbattuto conviro, ch'a basso vada,
Avendo de' mortai t’ultimo danno;
Segue rotini per la medesma strada
L' Iberno Cebrinn con meno affanno,
Perché nel cor da Ganetmoro aggiunto.
Senza doglia sentir muore in un punto.
XXIX
Quale invitto norchier, che da tempesta
Perigliosa sorpreso esser si vede;
Ch'or col fischio, or rnl grido mai non resti,
E nel tuo cominciar tosto provvede ;
Ch’allenta e lira or quella corda, or questa,
Com' or drillo, o traverso il vrnto Sede ;
E secondo il furor, che il legno assale,
Cresce, o tarpa di ini le candide ale;
XXIII
Malchino il Grosso, ch'ai giganti sembra,
Incontrò di Sassonia Polentone,
Che smisurata forza anrh* egli assembra,
Più d'altro assai di quella regione.
Per tallo ciò con le possenti membra
I)' un colpo nel cimiero a terra il pone ;
E sonò nel cader 1’ armala spoglia,
Come d’eccelso pin rovina soglia.
XXX
Ma poi che ’l suo sentier sente, che sforza
IV una sol parte l'Austro, o 1’ Aquilone;
Con bassissime vele, alla sua forza,
Tutto romito in se, la prora oppone;
Volge il timon contrario, e stringe l'orza,
E di uon traviar la cura pone i
Clic se '1 ratniuiu, che intende, gli sia tolto
D' avauzar per allor, uol perda mollo ;
XXIV
Fere il medesmo il nobile Gerflelto
A Reso il Provenzal ferito al fianco ;
Polilm poi con larga piaga al petto
Resta abbattuto da Finasso il bianco;
bandone il destro tra i miglior perfetto,
11 cui sommo valor non fu mai stauco,
Con la punta mortai del fero brando
Pose il uiisrr Litico di vita in bando.
XXXI
Tale il gran Seguran, poi eh' al furore,
Che improvviso sorvenne, è in piè rimaso;
Rinforza il tutto poi dentro e di fuore,
Che possan contrastare ad ogni caso.
Con 1' aste i suoi guerrier di più valore,
Che di Connacia avea verso l' occaso,
Pon nella fronlr, e di lor duce feo
11 sdo più chiaro amico il forte Alceo.
XXV
Non resta indietro il saggio Talamoro
Con la doppia virtù, ch'ha in guerra e'n pace,
Ch'uccise Ileo, come il engin Ma odoro
Spento il miser Coon di spirto fare ;
E per man del ricchissimo Arganoro
Della testa privalo Emouio giace ;
Quel, che nato tra' Goti Orieulali,
Pochi al fero suo cor trovava eguali.
XXXII
Qnei dell' Ullonia pose alla man destra
Sotto il signor di Persa Banduino ;
Gli altri, eh* ha di Lagima alla sinestra,
Ove il fiume dell’Euro avea vicino;
Questi alla guerra intrepido ammaestra
Mogarto il Biondo, col fralel Sabrino ;
Quei di Momonia stende alle sue spalle,
E duci han Terrigano c Morialic.
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XX1III
Come ha ben provvedalo Separano,
E le forze addoppiate in ogni lato;
Già di lutto a Clodin la rnra in mano.
Ed a Bramirò il Nrro avea lassato ;
E rol Nero perduto, e con Rossano,
Sopra nn alto corsiero era montato.
Per gir con arme egtial verso quel loco,
Ove Arturo acccudca 1' ardente foco.
ixmr
In questa erro arrivar di sudor carco
Il più onoralo araldo di Clodasso,
Il saggio Ideo, che li venia d'Avarco,
Mandato a Separa» con ratto passo;
E gli dire: Signor se in alto varco
Vi sollevi oggi il cielo, e spinga in basso
Adoro, il nostro re prega, che vui
Lassando ngn' altro aitar, regniate a itti,
xxxv
Per cosa appalesar, che molto importa
Allo stato minime, e molto il preme ;
E d'altro tanto il supplica e conforta
La consorte rral, la figlia insieme ;
E meniate con voi la rara scorta
Del famoso Clodin, lor somma speme;
E "I vostro dimorar si breve fia,
Che danno indi nessuno uscir potria.
navi
Mentre ascolta il guerriero, il dubbio core
Sente in mille maniere entro caogiarse ;
Muovrlo il suo gran re, muovei 1’ amore
Della sposa gentile, ond' arde ed ar»e ;
D* altra parte il ritiro P ira e *1 furore,
E l'ardente desìo di vendicane;
Pur di*pon d'ubbidir, vedendo pure
Di lassar le sue schiere assai secare.
XXXVII
E chiamato Clodin, gli dice : Frate,
Ov* è il uostro re, gir ne conviene,
Come Ideo vi dirà ; però lassate
A Brunor, che di voi vece sostiene.
Che con riguardo pio, fin che torniate,
Provvepgia intorno, ove il bisogno viene:
Cosi fece egli, e mossero indi il piede,
Inverso la reai d’ Avarco sede,
XXXVIII
Ove schiera infinita innanzi accorre
Di donne, verrinerei, di turba inerme,
Pregando il Cielo, e quei di line imporre
Ai gran perigli di lor vile inferme.
Vanno ultra poscia, e sovra un'alta torre
Di gran mura ricinta antiche e ferme,
Onde aperto veder si punte in basso
Ciò che 'I campo facea, Irò va n Clodasso,
XXXIX
Che con Albina sua, P antica sposa,
E ron l'amala figlia Claudiana,
Slava a mirar con P anima dogliosa
De’ suoi *1 valor conira la gente strana :
E perché avean già scorta la famosa
t .oppia, clic per venir niovea lontana.
Insperata non giunse, ma sì cara,
Che lor fece addolcir la cura amara :
XI
Siringe il tenero padre il ginvin figlio,
E ’l valoroso genero indi abbraccia ;
La madre pia con lacrimoso ciglio
Appellando ambe due stende le braccia ;
La vaga sposa avea d' un bel vermiglio
I)' intorno ornata P amorosa faccia ;
Nè sa, elle farse, e 'n lei combatte insieme
La vergogna e 'I desir, che punge e preme.
XI.I
Ma con tremante ror tacita attende,
E del paterno amor si lagna ornai,
('.he si lunga ora in ritenere spende
Chi più degli occhi suoi Lieo caro assai.
Ma il su» buon Segnran, clic solo intende
Di rivolger la vista ai dolci rai.
Si tosto come punte indi si scioglie,
E l'onesta consorte lieto accoglie.
xui
Da cni di dolce lagrime bagnato,
Senza parola udir, tutto si sente,
lofio che di Clodin, eh' era da lato,
La svrglia il ragionar soavemente,
E le dice : Sorella in questo stalo
Dimorar suol colei, che sia dolente,
Non chi vede il consorte in somma gloria
De’ suoi feri nemici aver vittoria.
XUII
A cni risponde allor: Fratei diletto,
Del presente esser suo già non mi doglio;
Anzi ringrazio il Ciel, che I* abbia eletto
Per domar ai nemici il crudo orgoglio ;
Ma chi può navigar senza sospetto
Di tempo avverso, o di nascoso scoglio,
E sia pur queto il mar, sereno il ciclo,
E la stagion miglior, che incide il gielo ?
XIJV
Chi può securo star sotto la luna,
Ove si cangia il tutto in un monteulo ?
Sono i doni e gli onor della fortuua,
Siccome arida fronda, o paglia al vento;
A cui starnali fu chiara, oggi s'imbruna,
E '1 passato dolzor volge in tormento;
Tal eh' ogni uomo a ragion vive in timore,
E per un mille un amoroso core.
XLV
Qui fini» 'I sno parlar, che 'I regio veglio
Il grao genero appella, e 'I pio figliuolo :
E dire ad ambe due: però che il meglio
Fu di ricorrer sempre a colui solo,
Ch' è d' arme c di valor P altero speglio,
E che del quinto ciel corregge il volo ;
Dico il possente ed onorato Marie,
Che n’ ha gradili ogn‘ ora, e iu ogni parte ;
xi vi
Perchè venner di lui P antiche genti,
Onde '1 sangue Vandalico discese ;
Mi par, eh' a lui deviam drizzar le meati
In tai perigli, e n sì mortali imprese;
E supplicarlo unni, che uccisi e spenti
H ernia i nemici, r libero il paese.
Che col favor di lui di ferro cinto
Ilo iu sommo mio sudor conquiso c violo.
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£’ AVARCHIDE
XI. VII
LIV
E di nò ragionando a Clitomrde,
Qui si tacque il re anliro; e’I frro Iberno,
Che del *no Mimmo tempio é sacerdote.
Che stima il suo poter sovr' ogni fato.
E le ro*e future aperte vrdr,
Gli amorosi ricordi prende a scherno.
Come noi le passate, e le piò note.
E risponde iu terinon d'ira infiammato:
Dopo alquanto mirar d* un' alta sede
Or non sapete voi, che ’l proprio inferno,
In quai voci presaghe 1' ali srnote
Con quanti ha mostri, e furie in ogni lai»,
Opni rapare uecel, petardo nel foco,
Non desleriano in me tanta puura.
Ch* è 1* elemento mio, pur in quel loco :
Che di forza, qual sia, leuessi cura.
xtnn
I.V
Indi a me ritornando in lieto volto,
Nè sete voi *1 prlmier, nè Clilomede,
Mi disse: Alto mio re, irroro spero,
Che di lui m’ ha narrate aspre novelle ;
Che ’n sanpue e morte 1* avversario avvolto
Perchè la Fata, che nel lago assiede,
Tosto vedrete, e vincitore intero
Mentre il nutria per le stagion novelle,
Sepuran Ha, se di quantunque tolto
Sovente mi narrò, eli’ aperto vede.
Ayrà di preda al suo nemieo fero,
Per quanto al nascer tuo mostrin le stelle.
La qninta parte alinen promette in voto
E per quel che Mtirlin gli solea dire.
Al nostro altero Dio, piano e devoto.
Ch’ io per la spada sua dovea morire.
XMX
tri
E non lasse pa««ar l* ora fngaee,
E mentre m* acrogliea con quello affetto.
Mentre die Lanrillollo sta lontano ;
Che far si putta un più leale amico,
Il qual se eon Arturo ivd mai pare,
Quante fiate di' ha piangendo detto.
Ogni nostro sperar sarebbe vano :
Che si dolca del fato empio nemico,
Cbe morte arrrba, o gran periglio piare
Cagion, che per suo figlio avesse eletto,
lu quella cruda man per Sepurano ;
Chi sormontando il vero onore antico,
Ma se vorrà di Ini schivar la spada.
Farebbe il nome eterno esser di lei,
Sicurissima avrà tuli* altra strada.
Ma la fin recherebbe ai giorni miei J
L
ini
Soggiunse poi, che vi consiglia ancora,
E così spesso al mio cospetto poi
Cli' a singular battaglia oggi dilaniale.
Chiamando lui, che fanciullo era ancora,
Fra riaseun ravalier, di' ivi dimora.
Giurare il fe' sovra i parenti suoi,
Il miglior di valore e di kontatr ;
E per la deità, cbe pio s' adora,
CertA rhe som ogn’ non quaggiù v’onora
Di non cinger mai spada contro a noi,
Il fero Marie, die voi solo amale.
Per qualunque ragion portasse l'oro;
Per mi sarete a somma gloria indulto.
Quel ch'ei sempre servo, rhe in ogni parie,
Se schivate il furor di Lanciotto.
Ov' io non sia co* suoi da me si parte.
LI
LVItl
Nè ciò sembri viltà, di’ avvenir punte,
Che mille volle e più, quand' aggio udito
Che sovente in alcun minor virlude
Delle prove, eh* ri fa, 1* altero grtdu,
Sia dal girar delle superne ruote,
Bramoso di veder se sia mentito,
Ond’ ogni bene e mal quaggiù si chiude.
Ho cangiato cercandolo arme e lido ;
Guardata ti, ch’ogni sua fu ria scuote
Ma dopo ai primi colpi, ov’ ha sentito
A qual troovi maggiore, e ’ndarnu sude
Dell'occulto mio gir 1 abito infido,
Ogni altra al contrastar, di' alfm conviene
Bipoli la spada allnr, volge il destriero,
Yiuritricc esser lei, cbe ’l Ciel sostiene.
E sdegnoso da me torce il sentseru.
*
LIX
Non si deve onorar per saggio o forte,
Ond' ho sempre portala, e porto doglia,
Chi spera il suo valor torre alle stelle ;
Che da Ini vilipeso esser mi sembra,
E chi fuor di ragion dispreiza morie,
E rerto son di riportarne spoglia.
Via più ch’ardito e buon, crudo s'apprlle;
Se d‘ adamante ancora avesse membra :
Ceda il mortale alia mortai sua sorte.
Minacele pare il Ciel, dica clic voglia
Nè stenda le sue voglie empie e rubelle
Tutto il concilio, eh' a predir s'sMmIn^
Olirà 1’ ordin lassù, ma per la strada.
Che Lancilotto solo iu guerra chi amo.
Che gli è mostra miglior, contento vada.
E con sommo desio sul es*o bramo. i
Ufi
ut
S’ egli è dato dal Ciel, che Separano,
Ed a voi chiaro suocero e signore.
Il cui chiaro valor l’ umano ecceda,
Dolce padre onorato e re sovrano.
Aggia iulrepido core, invitta mano
Avrò per obbedir con sommo autore
Sì, che d' ogni guerrier riporti preda;
la ogni stato il cor proto e la inano ;
Ma la sua sorte al tiglio del re Bauo
Ma che mai di rustni tema il furore,
(Ben che di meu virtù) la palma ceda ;
Il vostro affaticar dei tutto è vano:
Soffrir couvicusi, e ringraziarlo appresso,
Che piu caro il morir per lui mi lia,
Clic ’l poterla schivar ne fia concesso.
Ch* allungar gli anoi mici per questa via.
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L AVA 11 C R IDE
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' . *
L AVARCHIDE
tur
Ma le m* amaste ma», come sovente,
Ch* io mel creile**» pur, desio mostrajte ;
E i* è di merlo aleno T amore ardente.
Che ’nfiammi di Giunon le Toglie caste ;
Allor che ’n mezzo alla nemica pente,
Intra »pade pun penti e ripide atte
Spronerete il corsier, ri risovvegna
Del mio prepare umil, *' io ne son degna.
min « |
Ridarete qui presso i gnerrier vostri,
Ch* a quest* alma città guardili le mura.
Ove d* Curo e d’ Oron gl» ondosi chiostri
Meo la parte di lor rendon sicura ;
In fin che’l ciel con miglior segni mostri
Della vostra virtù tener più cura.
Che non sempre ha lassù le voglie rgnali,
Ch’or minaccioso, or pio volge ai mortali.
UXTI
E dite io eoi medesimi: Claudiana,
Che ’n ai anpoacioae pene oppi lasciai.
Se per temenza immapinata e rana
Se le o*cnrar co»i del sole i rai.
Che fari* raiserrlla, ae lontana
D’ opni conforto, c tra infiniti puai
Si trovaste al più rio del corto umano,
Senza la «corta aver di Sepnrano ?
Lizzili
E ’n questo tempo tutte ai santi altari
Sacrifici porgendo, e doni e preghi,^
Con meste voci, c con sospiri amari
Snpplieherem, f he *n voi la vista pieghi;
E le notti felici, e i giorni chiari
Per le nostre vittorie amico spieghi ;
F. doni a voi girlanda in questa riva
Di trionfante lauro, a noi d* oliva.
canai m
Che non è sposo *ol, ma padre e frate,
E mille dolri nomi appinnti insieme;
1/ orme ornai calca all’ ultime piornate
L’ onorato Clodasso. e morte il preme ;
De* suoi tanti perman di salda rtate
Solamente in ('.lodili chiude opni speme,
Giovine incanto, e ben che d' alto cor»,
Nou forte a sostener si gran furore.
txxxiv
E se avrrm le battaglie a noi vicine,
Potrò il vostro valor vedere almeno;
F. contar meco T anime meschine.
Che del fero Pluton porrete in seno ;
Pregando allor, che le virtù divine
Al vostro troppo ardir reggano il freno;
Nè T ostinato corvi porU in loco.
Ch'ogni sforzo al tornar poi fosse poco.
Lxxvtii
E chi sarà il suo scampo, poi che’n aeno
Fi a de* Franchi e Britanni il nudo Àvarco,
Che non la prenda allor Tempio Gaveno
Da lei per mia capino d’ ingiurie carco ;
E sfoghi tolto in lei T aipro veleno,
Del qual, mentre vivrà, non fia mai scarco,
E tra le aelve sue mattina e sera
Oprando T apo e '1 fil la tenga a schiera I
LXXXV
E non sempre ndirò fra doglia e tema
Di messaggier fallace le parole.
Che ’l ver come gli aggrada accresce e scema,
E sempre ultra il dover s' allegra e duole;
E ’l mio misero cor, ch'or arde, or trema.
Più sovente il peggior creder ne vnole ;
In questo loco almcn gli occhi vedranno
Il lor proprio conUnto, e ’l proprio danno.
LXXIX
E 1 misero figliuol, eh* al terzo mese
Pori’ io. del nostro amor predilo pegno,
Cerchi a nascer lontan l'altrui parse.
Per restar servo fra i nemici indegno ;
E dell' alle tovine in noi discese,
E delle lor vittorie eterno segno?
E dir possa il più vii con fero ciglio :
Quei son di Scguran la sposa, c I figlio ?
LXXXVI
Poi tatti i nostri duri e cavalieri,
Che si vedran de’ suoi le luci sopra.
Si mostreranno in arme assai piu feri,
CIT ove T altrui viltà *’ asconda e copra ;
Però che in oom, che bassi aggia i pensieri.
La vergogna e ’l punir più d’ altro ailopra;
E tal qnì con Tristan si farà ardito.
Che là dal suo scudier saria fuggito.
un
Non sempre troverà cortese afletto.
Come già in Lancilotto in altri tempi,
Che al padre la rendeo, contro al disdetto
Di quei, che la voleano, avari ed empi ;
Ma trovandola ancor, se '1 patrio tetto.
Se le pubbliche mura, e i sacri tempi
Saran destrulli, e tutti anciti i sui.
Ove la tornerebbe, e ’n man di cui?
uuuevn
Qui si tacque piangendo, e Segnrano,
Nel coi feroce cor dolce pietade
Pur desto avra 1' umil sembiante umano,
E le lagrime pie di tal beltadr.
Risponde : Il contrastare in lutto é vano
Al voler di lassù, nè Iruova strade
Secure il piè mortai, che '1 meni dove
Non si strada il poter del sommo Giove.
MUSI
Deh consorte onorato, aprite alquanto
Alla preghiera umil T orecchie e’I core,
E trmpre in voi 1' nttior del nostro pianto
Qnalchr favilla al marziale ardore ;
Né vogliale spregiar del «aero e santo
Vate, le voci pie scarcbe d* errore.
Perché veduto avem per prove antiche.
Che le sulle al predir sempr' ebbe amirlic.
I.XXZ Vili
Sicché ’ndarno oprerei»!, se Ca pur vero
Quanto n’ ha ragionato Clitomedc ;
Ma non vola lant'allo iimau pcusicro.
Né la vista dell' uom si addentro vede ;
Però, eh' aggia mentito, affermo, e spero
Di lui veder di tutto il danno erede.
Che per voi lusingare a me predire,
E me più ch'aucor mai cou voi felice.
Digita
L AVARCHIDE
USUI
Or dolcissima apnea, a me piò rara,
Che le m ed cerne luci, e questa vita,
O •’ altra cosa mai più amica e rara
Mi può in sorte venire, o più gradita ;
Spogliate il cor di questa doglia amara,
Ch*a temer troppo, e lacrimar v'invita;
K ’1 rivestite ornai di quella spene,
Ch' allo spirto reai di voi conviene.
Rivolto appresso alia famosa Albina,
L' alma suocera sua, cosi dicea :
Ovunque intenda la virtù divina
Di condurmi o Fortuna o dolce, o rea ;
Madre onorata, con la mente inchina
Yi prego umil, che la mia sposa e dea.
Che di voi nacque, in tanta cara agpiate,
Che non sia cruda in se la sua pielate.
Che chi nata è di sangue cosi altero
Il pensier femminil da se divida
Di quanto possa mai sotto al suo impero
Recar fortuna instabile ed infida ;
Sicché 1’ animo resti invitto e'ntero,
Difeso dal valor, che ’n lai •' annida ;
E morte o servitù che da lei vegna.
Non oscure il candor, che in esso regna.
xei
E chi lotto al pensier ti pone avanti
Ciò che puote avvenir nell' alle imprese.
Di se il morir, de' suoi più rari i pianti,
E de’ nemici poi le crude offese :
Degno non è tra cavalieri erranti
Vestir di Marte l'onorato arnese;
Ma di riposo inerme, e d'ozio vago
Tra le femmine usar la rocca e 1' ago.
Qni si tace, e l'abbraccia, e 1* asta presa,
Che ’n terra al suo venire area confitta,
Rivolge il passo alla lassata impresa.
Ove aocor I' attendea la schiera invitta.
Della vecchia infelice, che compresa
Dal primiero languir rimane afflitta,
Al soverchio, ch'area, s'aggiugne il duolo.
Quando vede il partir del suo figliuolo ;
xcvtn
Il partir di Clodin. che già seguia
Del caro Seguran gli alteri passi,
Il qual rapprlla sconsolata e pia.
Dicendo : Or fate alinea, che gli ocelli lassi
Possan «li voi saziarsi alquanto, pria
Clic ritorniate uve crudele stassi.
Di voi, di tutti noi bramando morte,
Il fero inesorabile fioorle.
Convieni! all' alto cor, da poi che scorga,
Che non senza ragion segue una strada,
Per quantunque ella scenda, o in alto sorga,
Col cominciato passo innanzi vada,
Solo al fin destinato gli orchi porga.
Che mal si può avauzar chi altrove bada.
Sia lontan d* ogni tema, e '1 meglio attenda,
Poi quanto ha 'Icicl disposto in grado prenda.
Ni post'io ben saper, che *n Dio sol giace,
Lassa, s’ io debba mai rivederv' anco,
O s* aocor aggia meco tregua o pace
Il ciel, eh’ ai donni miei nou veggio stanco.
Che '« dodici fipiiuoi breve e fallace
Pizcer mi dii, poi che venuta è manco
Già la parte maggior di tutti, ed io
lu vita resto aucur per danno mio.
Ben vi giur* io, carissima consorte.
Per le fiamme d* amor, eh' io porto in core.
Che mrn grave mi fia riflessa morte,
Che il lassarvi lontana in tal dolore ;
E che per non rerarvi a peggior sorte
(Pur di' io nou squarci il marziale onore)
Guarderò dalle iusidie questa vita,
Ch'io prezzo sol, perdi' è da voi gradita.
Fu nel passare il mar di Laneilolto
Che in tormento di me nel mondo è nato,
lu un punto medestuo a fui condotto
Ercole il forte, e '1 raro mio Dentato ;
Poscia, allor che Grifon fuga fi* e rotto
Fu presso all' Era al suo sinistro lato.
Lassò il verde terreo di rosso tinto
Per I* istessa sua uian decimo c quinto.
Ma di qai rimenar le genti indietro
Itnpossibil saria seuz'onta avere,
Che più frali assai soo, che ghiaccio o vetro
Per chi cerchi cangiar le assise schiere;
Che ingombrate talor da incerto e tetro
Timor, non le può a fren poi ritenere
Duce nè cavaliero, e meno ancora,
Se'l passo ritirar convegni allora.
Gli’ or volge il sesto sole, allor di* avea
Di nuovo aurato pel fiorilo il volto
L' uno e I' altro di lor, sicché parea
Nel più cortese aprii germe ben colto ;
L' aitr' anno appresso per Fortona rea
Il mio dolce Settimio mi fu tolto
Dall'arme di Bavcu crudele e fera
Sopra il lito fatai dell' empia Cera.
Ma bastivi, che '1 loco, ove noi seno,
Non men, che 'ntoroo a qui, ne dia vantaggio;
E se '1 ciel non ne sia nemico estremo,
Dello avversario ornati tema non aggio ;
Vivete lieta pur, rhe poi di' avremo
Vendicalo di noi l'antico oltraggio,
Fia dolce il rimembrar del tempo rio ;
E se’l contrario avvieu, sia posto in Dio.
Nonio non molto poi da Lionello,
Del maladetto seme anch' ei di Gave,
Pur qui vicino al tuo paterno ostello
Retto impiagato da percossa grave
Nell’ osso della fronte, eli’ al cervello
Fa di sopra, e di fuor cuverchio e chiave ;
E senza il gran valor di Palamede
Gli dimorava in mau tra I* altre prede.
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K
L AVARO II IDE
Ma difeso da lai, di polve e «angue
I.r giovinette chiome e *1 volto pieno.
Mi fa portato, oimè, pallido esangue,
C.b* ornai poro di spirto aveva in seno;
Poi, qnal vermiglio fior, che collo iangne,
Fra queste braccia misere vien meno ;
E mi tenn* io crudel, che 'n quella vista
Non andai innanzi a lui dogliosa e trista.
CIY
Ma sou rimata ancor, per quel ch’io temo
E già vidi per prova, a peggior sorte;
Però che acerbo allor di vita scemo
Il poverello Albin fece Boorle ;
Elie perdi' ri fu di tutti il parto estremo,
Troppa il cielo accusai della sua morte ;
K perdi’ oltre al voler del pio marito
Del mede imo mio latte era nutrito.
CY
Cosi l'unica figlia Claudiana,
E cinque altri di voi mi restan soli,
Che mi parca d'ogn’ altra esser sovrana
In numero e beltà di lai figliuoli ;
K eli' io sia di timor venata insaoa
Che 1 mio fero deslin voi ooa m* involi,
Mi riprenda colei, che se ue truoya
Sette volte, com' io, già stala in prova.
evi
Io non veggio arrivar mai messaggiero
Inviato dal rampo in questa parte.
Ch’io non senta aggricciar l'alata e 'Ipensirro,
E I rare sbigottirle, e batter parte;
Che mi par sempre udir, che 'I drslin fero,
Congiuralo al mio mal eoo I’ empio Marte,
Per aggiungermi ognor luminiti a doglie.
Voi, clic priiuier portai, del inondo spoglie.
Però, dolce figliuol, per gli ullim* anni,
Cl» a squarciare il mio vel soo presti ornai;
Per quelli antichi già sofferti affanni,
Che del peso di voi gravosa andai.
Il simulato oprar, gli ascosi inganni
Che i Britannici, e i Franchi ai nostri „
Telson la notte e '1 di, saggio schivale,
Nè vi dia troppo ardir la verde e tate.
guai
Con tal parole al fin gli oerhi e la fronte
D amarissime lagrime gli inonda.
Come suol sotto speco ombrosa fonte,
Che larga stille dall' erbosa sponda;
I.’ affannato Clodin con le più pronte
Parole, eh’ al dolor la lingua infonda,
Dire ; Ornai sou finite, o dolce madre,
L’ ore dei vostri ben rapaci e ladre.
eie
Sperate pur, che dopo oscura pioggia
Si suol vago e seren vedere il cielo.
Che uon serva ad ognor 1* usata foggia.
Come non sempre è caldo, o sempre e giclo ;
Ora il nome d’ Avarro illustre poggia,
Cui grau tempo oscurò gravoso velo ;
E chi vive dei vostri in gloria e *n pace
Vedrete, e ’n sommo onor chi morto giace.
ex
E vi prometto poi per quello amore.
Che ’n verso madre tal convieue a figlio.
Che i veraci ricordi in mezzo il core
Mi staran sempre, e *1 vostro pio consiglio:
Qui baciando la man con dritto onore,
E tno'lraudo ver Ini pietoso il ciglio.
Altresì poscia alla sorella pia.
Dietro al suo Segurau ratto s’ invia.
Digitizet
l’ a V A R C II I D E
XI
Ch’io intendo visitar del sacro Varie
11 gran tempio divin eoo loro insieme;
E delle palme mie donargli parte.
Onde il erodo Britanno e '1 Gallo geme,
Pregandol, eh’ ei risvegli i cori e 1* arte,
E 1* antico valor del primo seme
Nei nostri duci illustri, e meni a morte
Il possente Tristano e'1 rio Boorle.
XVIII
Ove dentro apparia la regia soglia,
Di ricchissime logge, e d* atrii adorna.
Non tnen lucenti, ch'ai buon tempo soglia
Sorgere iu tauro il sol quando s' aggiorna;
Le superbe colonne furo spoglia
Del bel paese assiso in tra le corna
Del gran Rndan famoso e di Garona,
Ove al Gallico mar sedea Nerbona ;
HI
A Polidetlo poi comanda : Andrete
Alle caste matrone d’ ogn’ intorno,
E per nome d* Albina lor direte,
Clic vrngan ratte al sno reai soggiorno,
Dispogliando da sé le vesti liete,
E dell' aurato vel 1’ abito adorno.
Per gir di Palla alla virgiuea soglia.
Che rivolga iu dolzor la nostra doglia.
XIX
Ch’allor ch'ella coi suoi nel sangue avvolta,
Della vita, e dei ben nuda rimase
Per la man Visigota, e ’n cener volta.
Come l'empio furor le persuase;
Quella più integra parte indi raccolta
Di pietre atte ad ornar le regie case,
Maudó a Clodasso il giovine Odorieo,
Che fu sempre dei suoi perfetto amico.
Sili
Cosi detto Clodasso, ivi si accinge
L'uno e l'altro di lor tacito all'opra ;
1 più pigri e i lontan muove e sospinge,
E per tolto adempir 1’ ingegno adopra ;
Ma la turba devota si dipinge
l'ale in cor lo sperar, che vien di sopra,
Che muove senza spron veloce il corso,
Ove credea trovar pace e soccorso.
XX
Eran d* egregio sii 1 nel muro stese
Del fero Stilicon le glorie antiche,
Che per patria ebbe il Vandalo paese,
E le stelle al principio troppo amiche ;
Del gran seme del qual Clodasso scese,
Ma dentro a regioni assai più apriche
Di quelle, onde i suoi fur, però ch'ei nacque,
Ove Liuia e Ducro insalan l' acque.
XIV
La dolorosa Albina e Claudiana
Con voler del gran re mnovono il passo,
Sospirando fra lor la sorte umana,
E i viaggio mortai gravoso e lasso ;
E che la coodizion regia e sovrana
Noli è sempre miglior, che ’l viver basso ;
E ’n tai foschi pensier con pochi a tergo
Si ritruovan condotte al proprio albergo.
XXI
Lì Teodosio il grande si vedea.
Che del nome Roman regeendo impero,
Agli estremi suoi giorni in uiau pouca
Di Stilicon sotto T arbitrio intero
Il figlio Onorio, a cui lassato avea
Dei liti Occidental lo scettro altero,
Il qual poi giovinetto |' obbedii».
Qual maestro onorato e padre pio.
XV
E montate di lui 1* altere scale,
1 suoi ricchi tesor truova ciascuna ;
E quel, che sia più degno, e che più vale,
Per disccrncr poi meglio, iosieme aduna-,
E l’ esperte donzelle iu opra tale
Son chiamate al consiglio ad una ad una,
Che in sua donuesca e semplice ragione
In mezzo pou la propria opinione.
xxil
Si eh* a sposar contento si conduce
La figlia Euchcra, nè di lei sì sdegna;
Ma d' appellar lei sola scorta e luce
De’ segreti pensier l'ha falla degna.
Indi il suocero sno rettore e dure
Si vede andar d’ ogni romaua insegna
Conira il Gotico popol, che infinito
Ingombrava d Italia il uubil li lo.
XVI
Ma intanto d’ ogn* intorno si vedea
Delle donne apparir 1' egregia schiera,
Delle qnai tutte accoglier cara avea
La vecchia Ornmnda con la vaga Aldera
Dentro al ricco palazzo, ove spleudea
Di mille statue d’ or U corte altera ;
E ’n seggi ricchi poi di sete e d ostri
Le faceano asseder per gli ampi chiostri,
XXIII
Sotto il furor del crudo Radagaso,
Che fn il primo tra' suoi di tanto ardire ;
Nè di fame timor, né d* altro caso,
Né l' Alpi, o 1' Apcunin potè impedire,
Ch* ci non venisse ove in più altero vaso
Vede il picciol Mugnon 1' onda sua gire, ,
Tra i monti Fiesolani, ove a Fiorenza
Guastò il nido gentil la ria semenza.
xvu
Dicendo poscia in bel pregar soave,
E con dolci parole e pellegrine,
Che non venisse lor noioso e grave
D'alquanto ivi aspettar Palle regine;
Ma la più giovin turba, che sempre ave
Bramoso il cor di viste peregrine.
Sciolta d’ ogn’ altra cura andava iutoroo,
Riguardando il più bel del luco adorno.
XXIV
Tra 1’ aquile romane Uldino e Saro,
Degli Unui duce quel, dei Goti questo,
Si vedea tratto da disegno avaro
Conira i mctlesmi suoi venir molesto :
Ivi han serralo I' avversario amaro
In laogo a' suoi disegni agro e funesto,
Dentro aspre valli, in tra sassose strade,
Ove cuu talli i suoi misero cade.
IO
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L AVARCHIDE
Con Tallito datale Stilirone
Spronar ti scorge, e confortar le schiere,
Ch’ or al torno tinitlro T arme oppone,
Or nel dettro, che vien, percuote e fere ;
In fin thè interamente a batto pone
Le minacrianli gotiche bandiere,
K rbe tanti di lor vede per terra,
Clie senza dubbio aver Tinta è la guerra.
xxn
Il miser Radagaso ivi apparta,
Cbe la vette reai da tè spogliala,
Senza compagni aver ratto foggia
Per deserta campagna altrui celata ;
Ma il fa incontrar la sua fortuna ria
Gente, cbe di quei luoghi ammaestrata
Sovra il giogo dell'Alpe atreto il prende,
E u man di Slilicon legato il rende,
XXVII
Il qual senza pietà la regia testa
I)rl siiu busto crudel fece privare ;
E 1* altro popol suo, cbe 'n vita resta,
Per prezzo a servitù perpetua dare ;
Puc' ultra si vedrà non meno infetta
Altra gotica insegna radombrare
Dell' iufelire Italia il seno aprico,
Cbe ’n fortuna miglior segue Alarico.
XXVIII
Al quale è Slilicon, non men eh' allora,
Con la rnedetma gente a fronte gito,
Ma più lunga slagion con lui dimora.
Or quel colle ingombrando, or questo lito,
Cbe senza T arme osar prolunga T ora,
Con più torlo pensier, che forse ardilo j «
Poi uri fin gli dà pace e gli concede
D’Aquitania il tcrren per propria sede.
E senza cura aver del nome pio,
D' esser suocero suo, nè della figlia,
Poi ch'appellato fu nemico e rio,
Con quel, cIT amava in prima a meraviglia,
Eiichero il figliuolo, acconsentio
Di far del sangue suo I' erba vermiglia ;
Ma il discreto pillor nell'aspra sorte
Tutta colma d' onor ritrasse morte.
xxxtit
Poe* ultra si vedrà soletto andare
Per monti alpestri il fido Marialle ;
E 'I picciolo Iraronso via portare
D' Buchero fìgtiuol sopra le spalle
Per T ombre ascoso, e le giornate chiare
Fuggir leineiido, e Tallitalo ralle.
Tanto di' al Gn, come a fedel amico,
Il pose in insti del gotico Alarico.
xxxiv
Che con paterno amore in gnardia il prese,
E ‘I tenne infino al dì, ch'abbatte e doma
Quasi al terz'auno in si crudeli offese
Il seggio altero della nobil Roma,
Indi adornato di reale arnese,
E di ricchi tesor con larga soma,
Securo il manda nel paese Ispano,
Ove regnava il Vandalo Marano.
XXXV
Il qual di Slilicon sendo rngino,
Avea col suo favor tutto acquistato
Degli alti Pirenei T aspro confino,
E lo scettro truca di ciascuo lato ;
Che quanto alla Garona era vicino
Dall Aquilano Orcan circondalo
In Gallia possedeva; e nella Spagna
Ciò cbe il Canlabro mare e Linia bagna.
Nè molli giorni poi, cbe senza cura
Vide il Goto furor restarsi in pace.
Nel silenzio maggior di notte oscura.
Che tra 'I sonnu e tra'l viti sepolto giace,
Quel, di' all' aperto sol gli fea paura,
Trnta di far; ma il sno pensier fallace,
Mal conseguito al fin, dannoso e voto
Fu per l'alto valor del fero Goto;
Lì si vede il fanciul cosi nodrito.
Come uscito di lui con somma cura,
Poi di Clodia sua Gglia esser marito,
E d' acquistargli un regno assai procura :
Tanto che dei Santoni il ferlil Lito
Con insidie e con forza ai Galli fura ;
Di cni fatto lracunso eterno erede,
Dell' amala sua Cludia un figlio vede :
Cbe in si ostinato ardir gli batte il fianco,
Che le insidie scoperte in fuga volge ;
Nè potè Slilicon lo stuolo stanco
Rilroer più che fredda tema iu volge;
Cosi 'I suo disegnar vernilo manco.
Nel cammino, oude venne, si rivolge ;
E vinto dal furor con ratto piede
La palma e 'I loco al gran nemico cede.
E 'q memoria di lei Clodio T appella.
Ma il Vandalo vulgar volse in Clodasso ;
Che poi crescendo per T eli novella,
Seguio degli avi il glorioso passo ;
Li giovinetto ancor sopra la sella
D'uo feroce corsiero, or allo or basso
Si vedea rivoltarlo, or sciulto il morso
A' suoi caldi desir, muoverlo a corto.
Posria adunata ancor novella aita,
D' altra guerra mortai si pone in pruova,
Ch'assai men della prima al Càci gradila.
Più eli ' ancor rotto e vinto si ritruova;
La cni calamità, poi eli' ebbe udita,
4 Hlr' ugni creder suo dannosa e nuova,
I.' imperatore Onorio giovinetto,
Cli' ci gli sia dislcal, prende sospetto.
Poc' olirà andar poiché l'età fioria,
Tra infiniti guerrier di ferro cinto
Più inverso i Celti, e quanti trito va in via.
Ha eoo pace acquistalo, o in guerra vinto;
Né il gir vittorioso gli desvia,
Nè 1‘ ha fatto più tardo, o ndietro spinto
Ceranla, Scura, Lindru, Vienna, e (.era.
Che non mcui il suo sluol virino all Era.
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L AVARCHIDK
mn
Ove poscia incontrò feroce intoppo
Del famoso Boorle e del re Bano,
Che 'I suo correr veloce stanco e zoppo,
E 'I disramo orgoglioso rrndco vano,
Ma perchè il snu potere era pur troppo,
E 'I soccorso di quei molto lontano
In tra mille battaglie si vedrà,
Che'l valore alla forza soggiacea.
U
Si scorge a a fra inGniti cavalieri
Soletti I* arme oprar Bano e Boorte ;
E sopra ogn' oso umano ardili e feri
Grande schiera di lor menare a morte ;
Ma I numero soverchio de’ guerrieri
Gli sforzò di tornar dentro alle porte
Del grande Avarro, a cui d’intorno fanno
Alle genti nemiche estremo danno.
XLI
Ma del continuo affanno, e del digiuno
Del lor popol fedel mossi a pieladr.
Ambo il lassar, non nel silenzio bruno.
Che ’n torno oscuri e cnopra le contrade;
Ma nel di chiaro, e’n vista di ciascuno
Per mezzo il campo lor si fero strade ;
Ove di sé lassar si largo segno,
Che di questa memoria era ben degno.
XLII
Non Innge indi apparia Benicco e Gare,
L' un dopo C altro poi, non men, ch’Avarco,
Da lor difeso in tango assedio e grave.
Delle stesse miserie intorno carco;
E’n guisa di leon, che nulla pavé,
Che di cervi entri al dilettoso varco.
Si vede or questo, or quel con morte, o doglia
Degli nemici suoi portarne spoglia.
XLIII
Nè di quegli invidioso asconder volse
Al famoso pittor la virtù loro ;
Ma fa che tutta aperta ivi la sciolse
In pregiati color distesa e in oro ;
Perchè tanto più in sè d’onore accolse,
Quanto fur più le lodi di costoro :
1 quai di nutrimenti al Gn privati,
Ambe duoi di lasciar furo sforzati.
XLIV
Ma innanzi al dipartir sì largo rio
Là intorno fan dell’inimico sangue,
Ch’ ancor ne ’nginnea il lor terrea natio,
E I rinntor nella vittoria langue ;
Voltan poscia il pensiero, e ’l passo pio
Verso il popol di Trible, tutto esangue
Per la tema, eh’ avea, visto 1' esempio
Del passato per gli altri iniquo scempio.
XLV
E perch* era già innanzi provveduto,
E d’assai uodrimento era sicuro ;
Poi ch* han dentro e di fuor riconosciuto
Se sia il fosso profondo, o saldo il muro ;
Consigliati a cercar novello aiuto
Dal gran re Paudragon padre d' Arturo,
E dal re Vararnonte, dove bagna
L' aspro Ocean I’ Armorica Bretagna ;
Lassando in man di Sergio, il qnale allora
La lor vece reggea di quella terra.
Con gente assai, quanta al bisogno fora,
Per sostenere in piè la lunga guerra ;
Partiti a pena, alla medesim* ora.
Il disleal la chiave, onde si serra
La porta del castel manda a Clodasso,
E d’ entrarvi co’ suoi gli spiana il passo.
XX. VU
Il qual per tormentar con nuovo affanno
Da lunge i cavalier la mette in foco;
E quei, mentre pensosi altrove vanno,
Yoigon la vista indietro, e d' alto loco
Veggion di tutto il lor l’estremo danno:
E come più sperar niente, o poco
Drbban nel mondo, c con l' islessa sorte,
L* uno e l' altro di lor desia la morte,
xr.vui
Nè molto andò, che ’n solitari boschi,
Senza conforto aver di cosa alruua,
Tra i pastorali alberghi, e n pensier foschi,
Lamentando del ciclo, e di fortuna ;
I miseri gustar gli ultimi toschi
Di quella fera, ch'egualmeutc imbruna
La chiarezza mortale, e fur sepolti
Da rozze mani, e u bassa terra avvolti.
XLIK
DÌ lai pitture dottamente ornale
Intorno rìlurean le regie mura.
In coi le giovin donne ivi adunale.
Mentre attendono anror, ponevan cura.
Ma la coppia reai mille Gale
In guardo sottil cerca e procura.
Coi consigli fra lor, che miglior sono,
Di trovar per la dea dicevo! dono.
L
Quelli scelsero al fin, che veramente
A lor degui parean d’ onor divino ;
Trovò la madre candida c lucente
Di chiarissime perle, e d’ oro Gnu,
La vesta, onde »’ ornò priinirramenle,
Quando partì dal vecchio padre Albino,
Che d' Olvernia fu re, da quel disceso,
Clic già resse del mondo il terzo peso.
l.i
Da qoello Albin, che in Gallia imperadore
Per le man di Severo oppresso giacque,
Non per Fortuna men, che per valore,
Ove il Rodano e Sona assembrali I’ acque.
Di cui ’l picciol Ggliuol fuggì 1 furore
Dentro ai monti Cerneni, ove alGn piacque
Al ciel, che conosciuto olirà molti anni.
Fosse ornalo da’ suoi di regii panni.
Ut
Da cui di prole in prole il quinto venne
II sttocer di Clodasso, a lei pareute.
Che fregialo d’onor lo scettro tenue
Con giustizia e pietà fra quella gente;
E la Gglia, e ’1 suo genero mantenne
In piè eoiilra ogni assalto, che sovente
E di dentro e di fuor gli sentia mosso.
Che del regno acquistalo nou fu scusso.
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L AVARCH1DE
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*53
L AVARCHIDE
Lini
Da (ai detti racceso, e di tal padre
Il giovili Srgnran, ch’ardeva in prima
D'alto desir dell' opere leggiadre,
Brama di tatti quei salire in cima;
E congiunte de' suoi più ardite squadre,
E le qnali a virtù più intese stima.
Con porlii legni al più gelato verno
Driua le prore lor nel lato Iberno.
i.xvin
E col favor di Pallade, che gli era
Sempre in ogni consiglio amica e fida,
Ruppe al primo arrivar possente schiera,
Che di farlo fuggir seco a* afTida,
Essendo ei tutto sol nella rivivrà
Del Roando disceso, ove s' annida
Col mar, che lassa in ver Boote alquanto
11 promontorio alpestre di Novanto.
LXIX
Ove gli altri inni legni risospinti
Fnr dall' onde scendenti all* ora sesta;
Nè poter seco in guerra essere accinti.
Ned ei per tatto ciò ferir »’ arresta ;
Cosi questi primieri ed altri vinti,
In sue furzr il terren quel giorno resta;
L'altro poi Lamorallo, r nuova gente
Il viene a rincontrar, cha i danni sente.
i»
Ma in questo la smarrita compagnia
Nello spuntar del giorno è posta in terra;
La quale aggiunta al gran valor di pria,
Non avea dubbio alcun la nuova guerra;
Ma I «amoralto il fero alto s' odia
Dir contro a lui: Quanto vaneggia ed erra
Chi si fida d' altrui, che di sé stesso,
Come la praova poi gli mostra spesso !
UUI
Se voi sete il possente cavaliero,
Che vorreste parer con I' arme io roano ;
Sia posta la qneslion di questo impero
Tra Lamoralto solo e Seguraoo ;
Nè s* ingombre il terreo d‘ altro guerriero.
Nè si facrian perir le genti invano ;
Quanti compagni ahbiam restio da parte,
E sol venga con noi Bellona e Marte.
LXXIt
Il vostro Segnran, di' altro non brama,
Patteggiando a battaglia si conduce,
Ove ueeise il signor di altera fama,
Ottimo cavaliero e sommo dure:
Allor I' Isola tutta allegra il chiama
Suo vero imperalor, sua chiara Iure ;
E l'ha con tale amor poscia ubbidito,
Qual mai fosse altro re per altro lilo.
i. xxui
E 1* argentato scudo, eh* esso avea.
Col purpureo leon, che quinci appare,
Fia per memoria all'onorata Dea
Dell' opre illustri, e delle glorie chiare
Dell'alto Seguran, perchè più rea
Non gli voglia giammai Fortuna dare.
Ma miglior tutto il "giorno, acciò che poi
La possa incoronar dei pregi suoi.
Lxxrv
Cosi la bella donna ha posto in mano
Della vergine Onoria sua donzella
Questo candido scudo, che già in vano
Difese Lamoralto in su la sella ;
A Lamia diede il vel, dove in sovrano
Lavor Febo lurea con ogni strila ;
Poi tenendo alto il core, e gli orchi bassi.
Della madre segtùa gli antichi passi.
l*xv
La quale avea la gonna preziosa.
Che poro a lei davanti era portala
Da Marzia anlira, rhe per madre ascosa
Del suo medesimi Albino era già nata;
Srendon urli' ampie logge, ove sì posa
Delle matrone poi* la schirra ornala,
Che dentro Avarro avea più nobil sede,
Di chiara pudicizia illustre erede.
f.XXVl
Cosi sen va l' onesta compagnia
Terso il tempio Uivin tacita e mesta;
Del «acro limitar le porle apria
Silvia, l'alta vestale, in bianca vesta;
Poi tutto il casto coro la segtiia,
Che ’n dolci note di laudar non mia
La dea, che senza madre u*cì di Giove,
Quella che 'nfonde il scnuo, e l'arme nuove.
txxvn
Ivi, poi rhe condotte ai divi altari
Fur la vecchia regina, e l'alma figlia,
Prrsen laudo i bei don Incidi e cari,
Mossrr le donne, e 'I tempio a meraviglia;
Posria in caldi sospir grevi ed amari,
Tenendo fìsse pur I* umide ciglia
Nell' immagin divina in alto assisa.
Disse Albina per tutte iu questa guisa :
IXXVIII
Sacrata Dea, eh* al gemino valore
So vr’ ogn’ altro lassù l'impero stendi.
Trai da lungo periglio, e dal timore
Il tuo misero Avarro, e noi difendi;
E col Franco il Britannico furore
Dal tuo gran Seguran sepolto rrndi,
E dal tno buon ('.lodino c Palamede,
Per quella, che ’n te aviam sceura fede.
XXXIX
Qui finito il pregar l'alta regina,
L‘ alma figliuola sna, con l‘ altre insieme
Raffermando il suo dire, a terra inchina
L’ addolorata fronte, e piange, e geme ;
Voti facendo a sua virtù divina.
Che sciolto ogni timor, eh' allor le preme,
Nuovi doni offiriran larghi e devoti ;
Ma giro i preghi lor d’ effetto voli.
LX*X
Or già l'antico re dall'alto sito.
Onde veder potrà I' orribil guerra,
Tornato era all'albergo, e *u parie gito,
Che i più cari suoi beni agli altri serra ;
Seco ha sol due scndier, Mastore e Clito,
Che sovra gli altri amò, rhe nella terra
Già Vandalica nati, dai primi anni
Gli fur sempre compagni ai lunghi affanni.
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1 55
L AVARO H IDE
i56
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L AVÀRCIIIDE
xcv
Pur dopo nui parlar col re Yagorre,
E con gli altri suoi tre, che con lui sono,
Dispone al fin, che sia ragion di porre
AH'immagin di Marte il terzo dono,
E che d* essi il primìrr si deliba torre
Quel, che diede il principio all' alto suono
Del suo giovin valor, nel primo giorno,
Che n guerra uscisse mai dell’ arme adorno.
xcvi
Fosse il secondo poi quel, eh* aU'etade
Più perfetta gli venne, e fu il maggiore,
Allor eh' ei non lemea di mille spade,!
Che intorno Avesse il periglioso orrore;
L' ultimo quel, eh* all' onorale strade
Trovò l'albergo, quando imbrunan l' ore
Yerso il torbido occaso, ove il noioso
Già passato cammin chiede riposo.
XCVII
Così prender comanda di Tarsano
1/ acquistale da lui reali spoglie,
Allor che il vecchio Vandalo Marano
Giovinetto il nutria fra le sue soglie ;
Venne costui dentro al terreo Ispano
Seguendo d~ Urirn I* altere voglie,
Il fero Alan, eh' al regno suo Numido
Yolca giunger ancor d* Iberia il lido.
XCVflt
E ‘1 dì, che trasse a fin la lunga guerra
E privò gli African d'ogo' altra speme,
Stese morto Tarpan sopra la terra
Di Clodasso la man, che nulla teme.
Tal che ’u tutto il paese, che si serra
lo tra 'I Tagu e ‘I Duero, e I’ onde estreme
Del Lusilanio mar ne corse il nome,
E di lauro gli ornò le bionde chiome.
xcix
Or tolse di costui la spoglia opima.
Che 'I forte scudo avea di culor perso,
Nel cui piegato sen verso la cima
Una falce splendea d'argento terso;
Soli* essa eguale a lei ruvida lima
D* una dorata incudc era al traverso.
Che *1 seggio tien sopr' arido terreno
Di secca erba segata intorno picuo.
C
Fu *1 secondo suo don d' Eliadello
He dei Nortoinbri allor l'arme e I insegna,
Ch' ci vinse e spense al nobile duello,
Ove '1 fertil terrea Gironi segna ;
Quando il popol miglior fatto rubello,
Per dovuta cagion di lode degna,
S' armò contra il Knsmundo Visigoto
Di pietà insieme, e di giustizia voto ;
ci
Che Clodasso di lui venne in aita,
E dell* afflitto stuol fn l'altro duce;
Un grande scoglio avea di calamita,
Che '1 ferro di lontano a se conduce,
1/ insegna alla sembianza colorita
Del piu tranquillo mare, ove il sol Iure ;
D’ oscura tempra, e d allegrezza ignudo
Splendea d ardente fulgore lo scudo.
Cll
Fnr quelle d’ Escanor della Montagna
Per offrir al gran Dio 1' ultime spoglie,
Ch' al Santonico lito, ove ’l mar bagna,
Di Clodasso assalio le patrie soglie,
Già nel tempo canoto, ove accompagna
La mente il senno, e di' alle membra toglie
Il già stanco vigor, non però Unto,
Che del primiero aucor non resti alquanto.
cui
Come avvenne al gran re, coi già vicina
Co' gravosi suo* incarchi la vecchiezza
Non fu Ul sopra lui donna e regina,
Che 'I dispogliasse anror d* ogni fortezza,
Ond' ei sospinge all' ultima rovina
Il giovine Escanor, che non l'apprezza;
E con quel brando il pose morto a terra,
Che mai più dopo il dì non strinse in guerra.
civ
Del grave scudo suo, che candid' era.
Un nero crocodillo il mezzo imbruna ;
Chiudeva in sen la verde sua bandiera
Sopra squarciate ruote la Fortuna ;
Dietro e davanti una celeste spera,
Ove oscurare il sol farea la luna ;
Nelle spalle e nel petto avea l'arnese
In tra picciolc stelle in giro accese.
cv
Dopo questi tre don, di fino acciaro,
E di ferro novcl peso infinito,
Che di quanto inai fu più illustre e chiaro
Avea fatto venir di più d' un lito,
fumé al posseute Marte amato e caro,
E più eh argento ed or da lui gradilo,
Sopra possenti carri ordine diede.
Che seguisser di lai 1' elette prede ;
CTI
Con cinque alti corsier, eh’ aveano il pelo
Del vello del lion più osruro alquanto,
Nati e noilrili sotto al Tracio cielo,
Che '1 valor marziale onorò tanto,
E eh* avran di Strimon bevuto il girlo,
Ove de' suoi fratelli ha Borea il vanto:
Poi che lutto è disposto esso s'invia
Con 1' «morata e uobil compagnia.
eri»
Perchè tulle già intorno eran ripiene
D'antichi cavalier le altere soglie,
Che riascua quanto può veloce viene
Divoto in adempir le regie voglie;
Passa innanzi la turba, che sostiene
Con sollevata mau le offerte spoglie;
Dietro lor segue poi la lunga schiera
Dell' eletto drappel, che venut' era.
eviti
Dopo gli ultimi lutti è il re Clodasso,
Tra 'I domestico stuol di ferro avvolto ;
E 'n vista di dolor movendo il passo,
Reverendo il facea l'abito incolto;
Or torua, or va chi fa largare il passo
Del riguardante popolo ivi accolto;
Poi che giungon del teinpiu alla gran porta,
11 piè ferma ciascun, che ) doni apporla.
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L AVARCniDE
C con la istessa forma d* ogni lato
Si dividon fra lor, lassando strada
A rlii lor dietro vien, che riservato
Tutto 1' ordii» primiero ivi entro vada;
All' arrivar del re di mitra ornato,
£ sostenendo in man la sacra spada,
Con la purpurea stola infino al piede
Si fa incontra il gran Vale Clilomede.
ex
E con altri onorati sacerdoti
In basso mormorare umil I’ acrolse ^
E per nome di Marte i doni e i voli,
E ‘n vero onor di lui lieto raccolse ;
Poi che locati fur gli occhi devoti
In sembiante pietoso al ciel rivolse,
Tenendo al re sopra la bianca testa
La spada e *1 lembo della sacra vesta.
ext
Indi cosi dirci: Possente figlio
Di Giove nniversal, di tutto il padre,
Coni’ ci col tuo valor pose in esiglio
Di Pelio e d’ Ossa le superbe squadre;
Cosi d’ Euro e d' Oron fa eri a n vermiglio.
Col favor sol dell* opre tue leggiadre,
Il tuo caro Clodino e Segurano
Dei nemici erndei 1* erboso piano.
CXll
Qui tacque, e per la man poscia il condace
Ov* è sopra 1' aitar V immago altera.
Cui da lampadi ardenti innanzi luce
D’ atro piceo color la fiamma fera ;
E di qnel re già ucciso, e di quel duce
Di spoglie ha intorno sanguino»! schiera;
Ella in vemhiante è tal, che sol la vista
Rende la mente altrui pavida e trista.
cxiit
A quella il vecchio re tutto tremante
Con le ginocchia nielline alto dicia :
O sommo Dio, che di vittorie tante
Ornasti questa man mentre fioria ;
Or che debil s’ arrende, le tne tante
Lnci rivolgi alla Fortuna ria.
Che sentendomi giunto all* ore estreme,
Con ogni suo poter m* abbassa e preme,
exiv
Drizza inverso di lei le tue chiar' arme.
Mostra, che cuulro a te niente punte ;
E voglia il tuo valor dritto salvarme
Dal gravissimo peso di sue rote ;
E s* io posso per te mai librrarme,
Nè le preghiere mie riloruin vote.
Di tutto il mio tesor la quinta parte
Prometto al tempio tuo, possente Marte,
cxv
Non potè altro più dir, che'l pianto e'1 duolo
Gli contese all' uscir la voce stanca ;
Tacilo adunque col suo amico stuolo,
A cui tema e pietà la fronte imbianca,
All' albergo tornando, incontra il volo
Dell' aquila in cammin dalla man manca ;
E perché il gran desio la mente appanna,
Ch’ei venga in suo favor sé stesso inganna.
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L AVÀRCIIIDE
ARGOMENTO
+**<-«*
In sul campo al venir di Segarono
Si rinnova la pugna orrida e. fera ;
Ma poi che il vincer gli tornava invano
Sfida il più forte delt avversa schiera :
Gli ti fa incontro il giovane Tristano ,
E combatte con lui fino alla sera :
Ac vincente , nè vinto è ilei rivale.
Quei gli dà il cinto t ed egli a lui il pugnale.
****<**&*•
T *
Il fero Segnran con ratio piede.
Poi che col tuo Clodioo era arrivato,
Ove 'I famoso Artoro in larghe prede
Ha condotto Bruooro in basso stalo ;
Al bisogno, eh’ avvita, tosto provvede,
Riconforta e rispinge in ciascun lato
Quei, eh’ ri veda tuggirse, e ’n dolci modi
A chi gii altri «ostica, dà larghe lodi,
il
11 medesmo Clodin di far non resta,
Rivolgendo il cavai per ogni parte ;
Questi innanzi ricaccia, e quelli arresta,
£ che si spieghi egoal 1’ orditi comparte;
Già rasserena il cor la gente mesta,
£ le riveste il sen desio di Marte ;
Già il partito valor tornato addoppia
Al bramalo arrivar di questa coppia.
Hi
Nè più dolce di quella apparir suole
Ai già lassi aocchier l'anra soave;
Ch'haa coi nodosi remi al caldo sole
Lungamente sospinto il legno grave ;
Già della fuga sua si scusa e duole
Questo e qnel cavalier, che l’onla pavé;
Ogn* uorn purga sé stesso, e gli altri imbruna
Poi tutti insieme al fin la ria Fortuna.
rv
Ma il chiaro Segnran tatto consente,
Ogni detto conferma, e nullo ascolta ;
Che in altra parte l' occupala mente
Contra i crudi nemici avea rivolta;
Poi sprona il buon destner, dove la gente
Vede più in arme Incida, e più folta,
£ tosto gionge, ov’ il suo fato reo
Gli fa incontra venire ltimoneo,
Che Rifeo sacro della bella Acesla
Ebbe di Somma in so 1* erbosa riva ;
Feri l’asta al traverso della testa
La destra lempia, e della vita il priva :
Clodin, poi eh’ ei partì, saldo non resta.
Ma viein qnanto può sempre veuiva ;
£ quasi a un tempo stesso seco uccide
Trapassandogli il cor, l’ altero ICde,
vi
Che di Alastore il Biondo era Ggliuoto,
Ove il Belgico sen la Schelda bagna ;
£ Brunor, che dei due va dietro al volo.
Di questa vita Andremone scompagna
D' Elicle uscito, e eh' ebbe il natio suolo,
Ove ’1 Neuslrio terrea vede Bretagna ;
£ 'I passò con la lancia, ove la gola
Dona viein gli spirti alla parola.
VII
11 gran Nero perduto che non lunge
Segue i passi di quei, Iruova Ippione,
E nella terza costa a destra il punge,
£ qual ramo abbattuto a terra il poue ;
Ch' accusava ’1 destin, eh’ ivi il disgiuuge
Dalla sua chiara e nobil regione
Della ricca Lotezia, ove la Sena
D’ antichi onori e di moderni è piena.
vili
11 Selvagg io Roscan nel lato manco,
Ove il loco riman d’ogni osso ignudo.
Del possente Aretoo trapassò il fianco,
Che noi potè salvar reietto scudo;
Cadde ivi il miserrl languido e bianco,
Nè si mosse a pietà '1 suo Fato crudo
Della sposa infelice Artcnopea,
Che ’ntra i Morini indarno 1' alieutica.
IX
Dopo costui Grifoo dell’ allo Pasto
Incontrò il grande Ann ori co Falcete,
Nato non lunge all’ Era, dove in basso
Al suo padre Ocean tragge la sete;
E d’nn colpo nel cor di vita casso
Nel legno il pose del nocchier di Lete ;
Cosi d’ Avarco l’abbattuta schiera
Ritorna or più che mai feroce e ’nlcra.
x
Ma non cede però dall’ altra parte
D’ un passo indietro il glorioso Arturo,
Che col medesmo ardir, con l' istessa arte,
Come al soo incominciar, resta sicuro,
Sostenendo il furor del nuovo Marte,
Come d’ nn picciol rio possente muro ;
£ volge il suo potere in ciascun loco,
Ove seuta il bisogno o molto o poco.
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L A VARCHI DE
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*^63 l’ avarchide ^ h-T"
xxr
Par dovreste saper, che Lancilotto,
Che tanto più di voi nell' arme vale.
Se mai «eco a battaglia è stato indotto,
Assai gloria stimò Tessergli eguale;
Ricercar ne eonvien ^uerrier piò dotto,
E sostegno miglior d‘ un peso tale.
Per eh* impero o tesoro o nobiltade
Non abbatte il furor di tali spade.
xxxn
E ’n colsi gius* oprando, non ha loco
Il cordoglio d' alcun, che aia schernito ;
Nè può l'alma scaldar d'orgoglio il foco
A chi più il suo valor senta gradito;
Nè T intelletto nmin, che vede poco,
Dalla nebbia mortai viene impedito;
Come in me può incontrar, quantunque a tntti
Mi stringa eguale amor, secondo i fratti.
sxn
Al verace parlar tosto Gaveno
Il volere e T andar tacito acqueta.
Colmo di sdegno e di vergogna il seno,
Che ‘1 disegnato onor chi può gli vieta :
Ma già intorno al gran re preme il terreno
Schiera di cavalier che ’n vista lieta
Chiede, e per ti ciaseun, d* aver T incarco
Contra '1 duce maggior di quei d* Avarco.
XXXItt
Quando ha il sno dir finito, ilbnon re Lago,
Ch' al principio dell’ opra era arrivato,
Risponde : Alto mio re, siccome vago
Degli onori e del ben del vostro stalo,
Dirò con umiltà, ch'io non m'appago
Del moderato slil da voi lodato.
Di porre in man di Dea cieca e fallace
Quello, in cui tal onor per noi si giace.
xxvn
In tra i primi a venir fu Pelinoro,
Boorte appresso, e '1 caro suo fratello,
Ch* avea d’ ogni virtù largo tesoro,
Io diro T onorato Lionello,
Bavcno, il pio cugin d' ambe due loro,
Florio il Toscan, dei Gotici flagello,
Nrstor di Gave, e *1 saggio Maligante,
E quel del core ardito Gosscmante.
XXXIV
Or non direste voi di mente insana
Chi fabbricar cercando un regio tetto,
Rimettesse al voler di sorte vana
Qnel, che dell' opra sua fosse architetto ?
Nè si eleggesse alena d' arte sovrana
Tra i migliori appellato il più perfetto ?
Quanto è poi più da dir, chi in lei ripone
11 pregio d' infinite, e lai corone?
xx vm
Fu V ultimo a venir pensoso e lento
Di Lionese il nobile Tristano,
Che qnanto porta in cor più d'ardimento.
Tanto più nei sembianti apparve amano,
Dicendo : A chi vorrà lieto consento.
Che si vada a provar con Segnrano ;
Ma quando manchi ogn'altro,s'al re aggrada,
Yeuga in rischio con lai U nostra spada.
XXXV
Affermo io si, che i nove cavalieri
Tengon d'alt» valor sì ben la cima.
Che non porrian fallir d' essa i pensieri,
E rendesse a qual sia la voce prima ;
Tutti saggi al consiglio, ali' arme feri.
Tutti di sommo ardir ciascuno estima ;
Pur non si trunvan mai fra noi mortali,
Come mostran ili fuor, le cose eguali.
XXIX
Qnando sente il gran re la degna offerta
Di lai nove guerrier, che ’ntorno stanno,
De' qnai tutti eiascuo T impresa merla
Senza molto timor di scorno o danno ;
Nella mente reai dubbiosa e 'ncerta
L’ abbondanza dei buoni apporta affanno ;
Che ben sa, che d' un sol si largo onore
Dee di sdegno ingombrar degli altri il core.
xxxn
Ma perchè a tanto re pesar dovria
Un si grave giudizio in mezzo porre,
Nè gli saria sentenza utile o pia.
Per donare ad un solo, a molli torre;
Ho pensato in mio cor quest’ altra via.
Ch'ogni ben ne dimostra, e non s* inrorre
Ove invidia col tempo, ira, o disdegno
Possa aperto in altrui stendere il regno.
XXX
E poi che i suoi pensier seco rivolse
Senza risposta far tacilo alquanto,
Con lai dolci parole al fine sciolse
Il buon voler sotto cortese manto ;
Famosi cavalieri, a cui Dio volse
D' infinite virtù donare il vanto,
Ma si pari in tra voi, eh' ei sol porria,
Per disceroere il più trovar la via;
xxxvn
Quest' è, che nell’ arbitrio ai ripose
Dei duci e cavalier, che quinci seno,
I qnai con voci a tutti gli altri ascose
Nell' orecchie di voi sacro e supremo
Moslriam colui, che T orme valorose
Al lodalo senticr d' onore estremo
Più degno di stampar dette il pensiero,
E secondo il dever parlarne il vero.
xxxt
Per non fare a nessun di Unti offesa,
E perchè ’l giudicar sovente è torto ;
Se la sentenza mai non vien contesa
Da chi veggia di me più dritto e scorto :
Direi, eh’ a sì onorata e dubbia impresa
Fortona sia, che ne conduca ai porto ;
E mischiando in chius* urna i nomi vostri,
Chi deve esaer di voi, la sorte il mostri.
XXX Vili
E cosi non potrà T avversa sorte
Con T ingiusto giudizio farne oltraggio,
Nè d' invidia o d’ amor le luci torte
Discorrire o covrir l'altrui vantaggio;
Quel si può veramente appellar forte,
E senza dubbio aversi ardilo e saggio,
Ch' al pubblico stimar colale appare.
Il qual rado o non mai ai vede errare.
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L ÀVÀRCHIDE
170
Mentre così diceva, nno «radierò
Del magnanim' Arturo, Alcandro detto,
Gli presenta un fortissimo corsiero,
Tra mille, di' ei ne pasce, il più perfetto.
Ben membruto a ragione, alto e leggiero,
D‘ animo invitto, e fero nell’ aspetto,
Di candido colore, e tutto intorno
Di vaghissime ruote il manto adorno.
L* esperienza poi, che *1 tatto insegna.
Più che nell’ avversario, era in lui molta;
E cangialo avea I core, in cui più regna
11 voler giovimi, ch'ai furor volta;
Nè tale era però, che ’n lei si spegna
De' verdi anni miglior la forza accolta ;
Ma del cerchio mortai pretnea quel punto
Ove il senno e '1 vigor va insieme aggiunto.
Giunto, ov’è il boon Tristano, a terra scende,
Ed a loi reca in man l'aurata briglia;
Bidente in vista il cavalier la prende,
Tutto ripien di dolce meraviglia;
E grazie al sno gran re larghe ne rende,
Con voce umile, ed inchinate ciglia;
Indi al montar non mette staffa in opra,
Ma d’ un salto leggicr gli salta sopra.
Fu d* infinito ardir, come il mostraro
Le palme innumerabili e i trofei ;
Orgoglioso il faceva il sangue chiaro,
Ch’ ei pensava venir dai primi Dei ;
Perchè I' unico Febo, non pur raro.
Onde il sommo Giron discese, e quei,
Che fer poi lui, peusavan della prole
Esser nati quaggiù del proprio aule.
11 medesimo Alcandro gli presenta
Il suo scudo maggior di sette scorze,
Di cosi saldo acciar, eh’ ei nou paventa
Ostinato furor di umane forze ;
Ove il leone aurato s* argomenta
Con l'unghie di mostrar, eh* abbatta e sforzo
Ciascnn altro animai, che con lai perde,
Posto iu seggio reai di color verde.
Era il giovin Trislan dall'altra parte
Non pervenuto ancor nei cinque lustri.
Spronato dai desir, che 'nfnode Marte,
E dal volere eguar gli antichi illustri;
Ben tutta conosrea la forma e 1’ arte.
Qual più deggian seguire i duci industri
Ma d' usarle sdegnava, e la virlude
Sol nell' invitta spada esser conchiude.
11 fino elmo da poi si duro e greve,
Ch'era troppo a ciascun, gli pone in fronte,
Per la forza, e per V uso a lui si leve,
Che di men non avea le membra pronte;
Sopra 1* alto rimier carco di neve
D’ argentato color sorgeva un monte.
Nella cima del quale in più d' nn loco
Si vedean fiamme uscir d'ardente foco.
Ma 1' intrepida forza era in lui tale,
Che d'altrui sormontava ogn* altra cura;
Tanto eh* a Srguran per quella eguale
Il poteva stimar, chi ben misura ;
Ma come sempre avvien, ch'or scende, or sale
In chi brama, or la speme, or la paura ;
li Britannico stuol, che '1 vede accinto,
Or dell’ una, or dell' altra era dipiuto :
Porgeli i elianti, e I* asta poi si grossa,
Che nullo altro dell'oste la sostiene,
Fuor che sol Lancilolto. che di possa
Dei miglior cavalier la palma tiene;
Prcndela il buon Tristano, e poi che scossa
L’ ha in giro alquanto, per veder se bene
Corrisponde a ragion la cima al basso.
Rivolse al suo grau re U vista e '1 passo,
E riguardando il ciel, dieea : Signore,
Ch' addrizzi con ragion sempre ogni torto,
Rendici il pio Trislan con lieto onore,
K resti Seguran prigione o morto ;
Se por di lui pietà ti stringa il core.
Non sia con onta nostra e disconforlo;
E ’l devoto pregar tanto ne vaglia.
Che sia pari lor tra 1' aspra battaglia.
Dicendo: Alto signor, col voler vostro
All’ impresa onorata addrizzo il piede,
In cui spero adeguar col valor nostro
Qnella avuta di me sì larga fede;
E s' altro non potrò, 1’ erboso chiostro
Fia del mio sangue si famoso erede,
Che non potrà mai dir, che indegno fosse
11 core almen del bnon Meliadosse.
tur
Così detto altamente, al gran nemico,
Colmo di bel desio, la fronte volge :
Ciascun, eh’ è ’ntorno dello stuolo amico.
Tra speranza e timor 1* animo involge ;
Qual unni sia più, tra lor nell' arme antico,
E eh' ha veduto più, seco rivolge
Del fero Seguran, tacito in seno.
Il sapere « U valore, ond* è ripieno.
E con men di costor 1' oste d* Avarco
Di contrarie preghiere il ciel percuote ;
Pur d' assai meo timor 1' animo ha carco,
Che sa quanto I* Iberno in guerra pnote ;
Ma perché quel dell' arme è dubbio varco.
Troppo soggetto alle volubil ruote
Della cieca Fortuna e disleale,
li timor della speme aggrava l'ale.
Lavi
E tanto più, che la rovina importa
Di tutto insieme il perder Segnrano ;
Perchè solo è di lor sostegno e scorta
Il suo lunge vedere, e la sua mano ;
Senza le quali ogni fidanza è morta,
E lo scampo di poi s'aspetta in vano:
Così 1 soverchio pubblico periglio
Noi lassa rimirar con lieto ciglio.
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L AVARCHIDE
U»l
Nè rimate al ano tendo il retto sano,
or anni 1* ultime tre tutte piegaro ;
E tenti dentro al braccio, e nella mano
L' Aratori co gurrrier dolore amaro ;
E dubita in fra tè, ch'ai tovr* umano
Toder di Sepuran non fia riparo,
S' altra percotta ancor limile attenda.
Pria che Ini gravemente non offenda.
uun
E con forza maggior, che mai batteste
La siciliana incnde t>pro Cirlopo,
L* elmo di nuovo al fero Iberno prette
Si, eh* averlo ti buon gli venne ad uopo ;
Però eh* allor tenia tuo danno rette
Al piu grave furor, che prima o dopo
Potette tmtenerr, e mostrò in parte
Quanto tia da pregiar 1* incantai* arte.
LXXXtlt
Che per ordin sacrato di Merlino,
Col favor delle stelle, fabbricato
Fu dai pio dotti spirti, e *1 ferro fino
Nelle Stigie riviere era temprato ;
Che mentre Segnran, caro virino
Della Fata del Lago, in dolce stato
Sero si ritrovò, quest* elmo tale
Fa di lei don, che mai non ebbe egnale.
lxxxit
Fu lo scampo di lui dunque in qnrH’ora,
Che ’n fin sopra la sella in due diviso
11 fero busto dell' Iberno fora,
Ch* esser per altra man deveva anciso ;
Riman tutto smarrito, e rade fnora
Dell* alla sede il naturale avvito,
Ma non lunga slagion, che I* alma chiara
Sforzò sé stessa di vendetta avara.
LXXXV
K qtial nodoso ramo, uscendo fnore
Dal tronco ettreino, e che *1 cammino ingombra,
Che con ambe le mani il viatore
Torce in traverso, e *1 suo passaggio sgombra;
Che poi eh’ è rilassato, in tal furore
Al seggio torna, ove solca far ombra,
Che chi a dietro riman si ben percuote.
Che mal reggersi in piè sovente punte ;
Lxxxvi
Tal lo spirto di lui si basso spinto
Dal possente ferir sopra il cimiero,
Più che fosse ancor mai d* orgoglio cinto.
Disdegnando risorge ardito e fero ;
E ritruova Tristan, die s* era accinto,
Per ritrar della palma il frutto intero,
Ad nn colpo novel, che se *1 giungea.
Nel disegnalo fin posto 1' avea.
uxxvn
Ma il forte Segnran, nel destro braccio,
Me» tre eh* alza la spada, il rolpo stese ;
E 'I finissimo aecìar, qual vetro, o ghiaccio,
Dal taglio micidial poco il difese.
Che’nturno si schiantò, pur tanto impaccio
Diede al furor, che molto non I* offese ;
Quantunque pur del sangue, eli' indi uscio,
Sopra I‘ arme apparisse un picciol rio.
ixxxvni
E la spada e la man s’ inchina a forza.
Che non pnò contrastar, sopra la coscia ;
E se non che '1 buon cor troppo si sforza,
La natura cedea forse all'angoscia;
Ma il vivo spirto ogni dolore ammorza,
Che ‘l corpo offrnda : e si può creder poscia,
Che rilevato il brando si riserra
Yerso il crudo nemico a maggior guerra.
LXXXtX
Il qoal rivolto a Ini : Chiaro Tristano,
Brn dovreste apparar, dicea, per pruova,
Ch* al maturo valor s* oppone in vano
L'anror giovine forza e l'età nuova;
E quanto, e come alla possente mano
La lunga esperienza in arme giova;
E non basta I’ ardir, se non si mesce
Col senno poi, che '1 suo migliore accresce,
xc
Non risponde Tristan, ma d* una pania.
Quanto più salda può, truova lo scudo,
Ove il nero dragon la lingua spunta,
Tinta di verde tosco, e ’n vista crudo :
Passai tati' ultra, e sopra ’l braccio giunta
Trapassa il ferro, come fosse nudo,
E di sangue irrigò lutto il sinestro,
Non men eh* ei prima a lui facesse il destro.
x«
Poi disse altero: E Segnran comprenda,
Quanto a) giovin poter sia il senno frale.
Per saldo contrastar, ch* ei non 1* offenda,
Ove piu del saper la forza vale:
Qual vipera mortai, ehe l sole arrenda,
Quando del suo cammin più in allo sale,
Si fece il cavalier, mentr* ode e sente.
Non più il braccio impiagare, che la mente.
xcu
E con si gran furor muove il destriero,
E ‘n cosi angusto giro 1 ha rivolto,
Che 'ntricandusi i piè, sopra il sentiero
Si trnova steso, e ’n fra 1* arene avvolto;
E quantunque il cadere al gran guerriero
Tutto il suo destro lato offese molto :
Pur l' industria e '1 valor si ben raecoglie,
Che del peso, eh* area, tosto si scioglie.
xeni
Ritorna in alto, e più che mai s'accinge,
Richiamando il nemico a nnova guerra ;
Né il cor tema gli agghiaccia, o ’1 volto pìuge
Di gir contra uu corsier soletto in terra ;
Alza il percosso scudo, e ’l ferro stringe,
E per la sna vendetta il passo serra ;
Ma il pio Tristan, come levato il vede,
Con un salto leggier si mise a piede,
xciv
Dicendo: Io non so ben, se ’l senno antico
Mi dovesse insegnar torre il vantaggio:
E se chi sia cortese al suo nemico
E dai vostri dottor chiamalo saggio ;
Ma sia, che vuol, che per fidato amico
Più l'onor sempre, die 'I profitto, avraggio.
A cui 1' altro rispoode: È ben si deve,
J»he quel vive immortale, e questo è breve ;
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A V A R C II I D E
Non intenti’ io, Tristan, che'l senno mostre
Altra via, che di lui, eh’ è ’1 sommo bene ;
Ma che regga col fren le voglie nostre,
Che non passino il fin, di’ altrui conviene;
£ più al giovine cor, che indarno giostre
Sovente contea il cielo, e che si tiene
Di sormontar cotal, sotto al cui regno
Non pur 1' arme portar sarebbe degno.
xcvi
Qaal v* avvrrria, se ’l vostro cor credesse
Potere or contr’a me gran tempo stare;
Cosi dicendo, si vicin gli presse
L' orme, che '1 può cui brando ritrovare;
£ eoa forza cotal poi 1’ elmo oppresse.
In cui tutto il furor volea sfogare.
Che tardando lo scudo a ricoprirlo.
Come il disegno fu, venue a ferirlo,
xcvii
Tal che, se la aoa tempra era men fina,
Fora la guerra lor condotta a riva,
Sqtiarriollo al mezzo, ma non tanto inchina,
Ch‘ offesa entro ne sia la parte viva :
Come al robusto pin la neve alpina
Fa la rima avvallar di forza priva,
Piegò la fronte il cavaliere allora,
Ma la rileva poi senza dimora.
xcviit
E col proprio furor, ch’orso impiagato,
Che addosso al cacciator rabbioso vada,
In fronte a Seguran, l’ istesso lato,
Ov’ ei percosse lui, drizza la spada ;
Ma 1* altro, che 1 sentia d'ira infiammato.
Ratto al greve calar chiude la strada,
L' aurato scudo suo levando in alto,
Conir' a chi romper la marmoreo smalto,
xcix
Ma lo spietato colpo tal discese.
Che per mezzo il dragon proprio ha partilo,
Che 'n diverse maniere ad ali stese
Ingombrò il seoo all’arenoso lilo;
E ‘1 braccio, che di punta prima offese,
Novellamente ancor restò ferito ;
Ma non tanto però, che le sue forze.
La percossa, eh' avea, di nulla ammurze.
c
Noi caro Seguran, ma lieto grida :
Or sarò più leggier senz’ esso rucarco,
E mi basta la spada amica e fida
Al securo passar per ogni varco ;
Così dicendo, il gran valor, eh' annida,
Men che mai d' adoprar si mostra parco;
Ma quanto (usse ancor più ardito e fero
Verso il suo percussor calca il sentiero.
ci
E ’1 buon Tristan nell' arme si ri serra,
E col cor alto alla sua gloria intende ;
Onde ardea più che mai cruda la guerra,
Colai l'ira c horror ciascuno incende;
Questi il possente scudo avea per terra,
Il rotto elmo di quel poco il difende;
Cosi lauto agguagliala era la sorte,
(di' ogni noni forse di lur correva a morte*
Ma gli Araldi reali, il saggio Amarro,
Cl» è di saugue Britanno, e '1 pronto Atloro,
Che per Clodatso er' ivi, al duro caso
Gli scettri, rh'haono in man, gettan fra loro,
Dicendo : Cavalier, già nell' Occaso
Ha rattuffale il sol le chiome d’ oro.
Nè convicnsi a guerrier por 1' arme in opra,
Come il notturno vel 1’ aria ricuopra.
cui
Ciascuno è cavalier d’ alta virtode,
L' uno e T altro è dal del di pari amato,
E non vuol, che'l valor, che ’n voi si chiude.
Sia di si nobili alme oggi privato;
Noi romandiam, eh' alle percosse crude
Sia posto ultimo fio per ogni lato,
Con quel poter eh’ aveui ; cui chi disdice,
Chiamane disleale in guerra lice.
av
A qnel grave parlare il piò ritiene,
E raffrena ciascun l’ira e la mano;
Che san quale ha disnor chi contravviene
Al pubblico vietar del re sovrano :
Or tosto d’ambe due quete e serene
Si fer le menti, e ’n parlar dolce umano
L' un 1' altro loda, e con amica gloria
Sopra il nemico suo pon la vittoria.
cv
Ma il chiaro Seguran seguendo poi,
Dieea : Tropp'oggi ho il cor lieto e contento.
Onorato Trislao, vedendo in noi.
Che pur non sia scemalo, nou che spento
L' onor paterno, die tutti altri eroi
Si lasciò indietro, e di’ io col piede intento
Segui qual duce e padre, e poi col core
Gli fui sempre vicin cui sommo amore.
evi
Il qual vogli per sempre, che si stenda
In voi, mentre vivrò, se’ non vi spiace;
Quantunque questa mano oggi difenda
Colui, che contro ai vostri guerra face;
Ma il ciel sa ben, con quanta doglia offenda
Il grande Arturo, e detto sia con pace
D’ ugn' altro re, che tutti solo eccede
Di quanto ad sol la pia sorella cede.
cvii
Ma seguir mi conviene, ove '1 destino
M' ha mostrato ‘I cammino c *1 troppo amore;
A cui per contrastar, più che divino
Valor convienne, e d’ adamante il core;
Or sia che può, che nella mente inchino
Lui sempre, e tulli voi con sommo ouore.
Pregando il ciei, di' altra cagion mi vegna
Di far guerra per lui di lui piu degna.
cri u
E perchè ’1 mondo sappia, eh’ a battaglia
Non ho per odio alcun fatto l'invito,
Ma bramando provar di quaulo vaglia
Il guerrier, eh’ è tra' vostri il più gradilo;
Questo agulo pugnai, che rompe e smaglia
Qual sìa ferro piu duro in alcun lito,
Vi prego, in uoiuc mio, preudiate in dono.
Con memoria iunnorlal, die vostro sono.
L AVARCHIDK
Coli ilrlto, plirl porge, eh* ave* intorno
Il ricchissimo albergo di fin oro,
Di rubin tulio, e di smeraldi adorno,
E d'altre gemme con sotti! lavoro;
Quel tembra attorto della copia il corno.
Queste i frulli, ch'avea, moitrao fra loro;
lu cui di lettre aurate scritto appare:
Tal abboude il gnerrier di virtù rare.
ex
Il cortese Tristano allegro il prende.
Il bel dono, e ’l suo cor lodando mollo;
Poi la larga ciolura, onde gli penda
La forlissima spada, s* ha disciollo.
La qual, non mcn di quel, tutta risplende
Di lorente tesoro in essa avvolto;
E quanto in atto può soave e piano,
All' avversario suo la posa in mano,
cxs
Dicendo: E ’n nome mio portando questa.
Vi potrà sovvenir, che la semenza
Del buon Meliadusse avrete presta
In ogni vostra altissima occorrenza,
Non uien eh* aveste lui : se ben non resta
Della infinita sua chiara eccellenza
Minima dramma in lei ; pur, come sia.
Di potervi onorar brama ogni via.
cxu
Cosi dello, si toma, ove aspettalo
Cou sommo desiderio era da tulli, %
Ma più dal grande Artnru, di' abbraccialo
L'ha dolcemente, e non cou gli occhi asciutti.
E dice in alta voce : O di bealo,
Che dell* arbor gentil si chiari frutti,
E di si gran virtù si raro mostro
Producesti in onor del secol nostro !
CXllI
I duci, i cavalicr, la plebe ignota,
Come a rosa immortai, gli stanno intorno;
Ivi s’ accoglie ogni noni, lassando vota
La piazza star tra 1' una c I* altro, corno :
Ogni atto, ogni suo detto ascolta • nota,
E come da Pintori faccia ritorno
Il miran tutti, poi che dalla mano
Scampato il pon veder di Segurano.
exiv
Nella tenda reai cortese il mena
Arturo, ove il di chiaro si vedea;
Chiama Serbili, che gli saldò la vena
Dal «angue, che nel braccio disccndea;
Indi alla mensa di vivande piena
Il suo caro Tristan, che non volea,
Sopra la stessa sua dorala sede
Con dolce forza, e *o bella lodi assiede.
exv
Cercan gli altri poi tulli il proprio albergo,
E '1 sofferto del «li passato affanno
Già con soave oblio lassanti a tergo,
Poi che l'esca gioconda gustai' hanno;
ludi d'arida paglia al lasso tergo,
Quanto più «lolce pou, riposo fauno;
Il medesmo addivien dentro iu A varco
Al p«ipol d'arnie, c di sudore «carco.
a
m « va
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L AVÀRCHIDE
CANTO XI
ARGOMENTO
onda ad Arturo proposta di pace
JI re Clodasso t r tregua anco domanda.
Questa è concessa, quella a lui non piace
E gli Araldi con doni ne rimanda.
Per no re dì /“ ira di Marte tace ,
E la pietà de' morti al cuor comandai
Ottengon essi preci e sepoltura
Tra il pianto de' parenti entro le mura.
C im«*i suoi biondi erin la bianca Aurora
Sovra il Gange spiegando anntmzia il giorno,
Il pio rrltor dell’ Orradi rien fnora
Dell’ albergo virin con l'arme intorno;
E cinto di pensieri, ove dimora
Del re Britanno il padiglione adorno
Entrò «inietto, e già il ritmerà in piede,
Ch* al bisogno comune ivi provvede.
it
Nè giunto a pena fo, ch’ogni altro Dace,
Ogni altro cavalier di grande onore,
Ch* era del suo splendor la maggior luce,
Venne con riverenza e sommo amore,
Per saper in qnal parte si conduce
E’ allo voler del sommo imperatore ;
I quai posti a seder gli prega Arturo
Che ’1 debban consigliar del di futuro.
iti
Il re Lago il primier (come degno era)
Già levatosi in piè, cosi dicea :
ler poteste veder la lunga e fera
Guerra per ambe dne tanto aspra e rea,
Che non si porria dir, qual parte altera
Render grazie ne possa a quella Dea,
Che con l'ali cangianti in alto giace,
E vola or quinci or quindi, ove le piace,
ir
Perdi’ io la vidi almen mille fiale
Or tra i nostri allegrarsi or tra i nemici,
Or tntti coronar di palme aurate.
Or ripor tra i più miseri e ’nfelici ;
Tanto rhe tono al fin si bene ornate
Del sangue di ciascun queste pendici.
Clic possiam dire rgual la nostra gloria,
E di duol pareggiata la memoria.
Perch’io direi, che la pietà eh avere
Di chi mnor con onor fra noi si deve.
Ne sforzi a ricercar via di potere
Covrir quei, rhe perir, di tiimol leve;
E ’nsieme ristorar le vive schiere
D’ alcun dolce riposo, ancor che breve ;
E chi percosso sia, eh’ alquanto possa
Con più pace curar l’ impiagai* ossa.
vi
Nè pnò biasmo sentir d’ anima vile
Il cercar da' nemici alcuna tregua.
Ma di spirto pietoso e signorile
Il bramar, rhe *1 suo dritto ai morti segua;
Lo qual chi sprezza, allo spietato stile
Delle fere salvatiehe s'adegua;
E chi per tal richiesta sprezzi noi,
Guarde pur se medesmo, e guarde i suoi.
ni
Si dirà ben, che chi sì ardito il core
In guerra, e così pronta aggìa la mano,
Non possa esser compreso da timore,
Ritrovandosi in pace, e di lontano ;
Ma sia, che può, che ’l candido valore
Non dee biasmo curar, che venga vano ;
Bastigli, che ’l pensier lodato e pio
Egli stesso conosca, e ’l veggia Dio.
Vili
E se per poca gloria, e così frale
Si lasseranno i nostri ai corvi preda ;
Non avem da temer, che la mortale
Crudeltà nostra in noi mrdesmi rieda ?
La vendetta del del tarpate I* ale
Non ha, piu che si soglia, a quel ch’io rreda;
E ’nchinarse ai nemici in si degli" opra,
È via più bello onor, che star di sopra.
IX
Come ha ’l buon re finito, ogn’altro insieme
Del consiglio reai l’ istesso afferma ;
Ma |a cura mrdesma il petto preme
In Avarco la gente afflitta e ’nferma ;
Ch'ivi turba infinita intorno geme
Di giovinette donne e d'età ferma ;
Clic chi I padre, rhi ’l figlio ave smarrito.
Chi '1 frate! cerca indarno, c chi '1 marito,
x
Tal che mosso a pielade il re Clodasso,
Adunato ogni duce e cavaliere,
I)irea : Da poi eh’ a si dubbioso passo
N' ha condotti. Signori, il deilin fero;
Pria che *1 nostro cader vada piu basso,
E mentre ancora in noi I’ arbitrio intero
Riman di poter dare all* aspro assetilo
Con men dannoso fin pace e rimedio ;
L AVARCH1DE
XI
Parati, che noi deviam volger U mente
A metterne in rammin, che* sia più piano ;
In cui non pera lai la miglior gente.
Né aia tempre in periglio Separano {
Del qual te privi temo amaramente.
Preda regnata degli inimici iu mano,
Quantunque tomaia ho pur speranza e fede
Nel supremo valor di Palamede.
XVIU
Ni vi do per timor 1' ulil consiglio,
Clic la soverchia età naviga in porlo ;
Ma per levarti' ornai 1* aspro periglio,
Ch' io veggio sopra noi cadere scorto.
Or non peusale voi, che '1 sacro ciglio
Del gran Giove lassù couosca il torto,
Ch' a voi stesso ed a lui di ciò seguio.
Dispogliando del suo quel seme pio ?
Hi
£ d’altri molli poi, che foran degni
Per le rare virtù di tornino impero,
E di salvar, non eh* nn, mille altri regni,
Con l’alma invitta, e col giudixio intero;
Ma quello e*l mio Clodin ai chiari pegni
Son degli anni miei «Lincili, ch'io nou «pero,
Ch'altri potette mai servarme in vita,
Se mi loglicaac il cicl la loro aita.
xtx
Né vi sovviene ancor, che lunge poco
D’ etto seggio reale, e di quest* ora,
Voi prometteste in si famoso loco
A quel padre maggior, che più s* adora,
Chiamando leslimoo del sole il foco,
E l'ombra eterna, die la giù dimora:
Che s'ci viocea Gaveu, queto e sicuro
Lassereste il paese in man d' Arturo ?
XIII
Or adunque ti cerchi, amici e figli.
Il icnlier più onorato c ’1 più aicuro,
Che nou reggiamo (oimé) tempre vermigli
Dell* Euro i liti, c ‘1 tuo cammino impuro,
E di' io non viva ognor con lai perigli
Fra la notte angoteioaa, e '1 giorno oteuro;
Ma tenz* altro timor di nuovi affanni
Putta al rogo portar questi ultimi anni.
XX
E che poi fu sturbata la battaglia,
E ferito Gaveu cou vostra fede ?
Com' or pensate voi, che piastra o maglia
Regga contra ragiou, che in essa fìede ?
O di £oerricr fallace il braudo vaglia,
Che di tanta perfidia è fatto erede ?
E la colpa è di voi, s' ei fu ferito.
Poi che 1* ingiusto oprar non è punito.
XIV
Posto fine al tuo dire, il re Vagorre,
Clic di grado c d’età quelli altri avanza,
Comincia il primo: Perché iu Giove porre
Deve il più saggio cor la tua speranza.
Per la fede, di’ ho in lui, rio che m'occorre.
Dirò con sienritaima baldanza.
Scusa riguardo aver di chi poi forse
Dica, che '1 mio parlare il puiuc e morse.
XXI
E si chiedesse ancor, consiglierei
Tregua per qualche di, per che si possa
Dei morti iu guerra agli infernali Dei
Col foco consacrar le misere ossa ;
Che d’un sccol integro i giorni rei,
Pria che varcar la sventurata fossa.
Non trapassin vagando, e noi restali
Appellin con ragion crudeli e ’ugrali.
av
Parmi, o sacrato rg, che si devria
(Senza indugio iuterpor) proprio iu quest'ora
Mandare al re Britanuo, e dir, che pria.
Che si mostri al balcon la uoua Aurora,
Gli porrete il paese in tua balia
Dì là dal varco, dove larga irrora
I lieti campi 1‘ ouorata Cera,
In fin dove il tuo corto arriva all' Era.
XXII
Qui si tacque Vagorre, e ’l fcr Clodino,
Che d* impedirlo avanti avea talento ;
Se non che Scguran, eh' era vicino,
Di lassarlo finire il feo contento ;
Risponde : Or prima avvegna, che ’l destino
Mi torni in giro, come polve al vento,
lo tra 1* Alpi nevose, al tempo crudo,
D'ogui amico, e di bea povero e nudo}
XVI
Perdi’ ei posta di quel (che pure è mollo)
Largamente rifar Benicco e Gavc,
E con tuo largo onor Irovarte sciolto
Di si dannosa guerra, e di sì grave ;
Perché d' ogni trofeo di palme avvolto
La profittevol pace è più soave;
E tanto più. che spetto è’I più lontano.
Chi la vittoria aver ti pensa in mano.
XXIII
Ch' io consenta già mai, eh* un re famoso
Qual or Clodasso il vecchio mio parente,
Il coi giovine oprar sì glorioso
Già dall' Indico Gange all' Occidente
Empiè d'alto romor, dagli anni roso
Si veggia or tributario a quella gente:
Della qual mille nomi e mille spoglie
Cingon dei Tempii suoi 1* aurate soglie*
XVtl
E di tutto poi quel, che ritenete
Che primiero agli scettri soggiacea
De’ Britanni, e dei Frauchi, promettete.
Che sarà sotto a lor, qual ei solca,
E ’1 suo dritto a ciascun ue renderete,
t ome il re Ban, come Boorte fea :
Nè ve '1 tenete a vii, che ’l vero saggio
Per ragion mantener fugge il vantaggio.
XXIV
Or se qui Lionel fosse e Boorte,
E Laaeilolto ancor, 1' animo fero,
Qnal ne porrìan bramar più dura sorte,
O dei disegni lor lermin più altero ?
Che non cercan di noi l’ acerba morte.
La qual tardi, o per tempo usa il suo impero,
Ma di condurne all* ultimo dìsnore,
Ch' è *1 verace morir d' un nokil core.
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l’ a V A R C II I D E
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"TgT^j l’ àvarchide ;j^T
XXXIX
Xf.n
Gii r uno e 1* altro Araldo si ritinge
Dall* empio Segoran nasce il disegno.
Della vesta reai per quello eletta,
Clic voi con tatti noi sempre ebbe a vile;
Che in celeste colore alto dipinge
Nè di più largo don vi stima degno,
Il pino anrato, eh' Aquilone alletta;
Che di breve terreno in nido umile ;
Poscia il gemmato scettro in mano stringe,
Ma contro gli oratori il giusto sdegno
E pronto al suo dover* il passo affretta,
Vorrei versar in si spietato stile,
E d' Arturo all' albergo è sopraggiunlo,
Ch’ ei restassero esempio in ogni loco
Che volea i tnoi mandar quasi io quel punto.
A chi ut dignità preudesse in gioco.
xt
xtvu
F.d esposta al gran re lotta altamente
Ma il famoso Tristan, eh* udir non vuole
1/ ambasciate d’ Avareo, in grand' onore
Nel consiglio reai si lorde voci.
Fnr ricevuti, e poi cortesemente
In dolce ragionar 1’ aspre parole
Per attender risposta messi Cuore.
Chimica dicendo : I ravalier feroci
Lì domandato il primo qnel che sente
Esser devrien sotto l’aperto sole,
Di questa offerta il suo discreto core,
Con 1’ arme intorno, e contro ai falli atroci ;
Fu il saggio re dell* Orcadi, che fisse
Non all’ombra, in consiglio, e 'nverso quelli
Ambe nel citi le loci, e cosi disse j
Disarmali, innocenti, e poverelli.
xtl
XLVIII
Dammi, Signor del del, grazia, ch'io prenda
Che colpa è di rostor, se ’l re comanda.
Il verace senter col mio consiglio,
Ch’ ei vi vengano a far la vile offerta ?
Onde poi con onor per noi $’ attenda
E che orgoglio è del re a’ offerta manda,
Il desialo fin d' ogni periglio;
Ch’ a voi, men che ’l dover si mostri aperta?
Or con fermo sperar, che in me »' accenda
Che vergogna è d’ Arturo, che si spanda
Quel sacro spirto, che creò il tuo figlio,
D’ ambasciata colai la fama certa ?
Dirò senza temer, eh’ e* non mi piace
Ben superbia saria, fallo e dimore.
Dopo guerra colai sì indegna pace.
Il non far oggi lor richiesto onore.
SUI
itti
E che si possa dir che tanti regi,
Direi ben, sacro re, che in alcun modo
Tanti gran duci illustri e cavalieri,
(Sì come infino a qui dagli altri è detto)
E ch'ornati fur già di tanti fregi,
Non si debba accettar, ma sciorre il nodo,
Che sovra ogni altra età vadano altieri,
Che ’l tessuto iaceiuol non abbia effetto ;
Per si poca mercè, ch’ogn'uom la spregi.
E che si segua ognor confermo e lodo
Aggiano in tal sndor tanti guerrieri
Tanto, che giunta aia nel fio perfetto
Già indarno affaticati si lunghi anni,
Qnesta pia guerra, in cui di certo spero
Che tutta Europa ornai ne senta ì danni.
Veder tutto ridurre ai vostro impero.
nr.sn
L
E se ’l Ciel ne darà (com* esser pónte)
Ma la tregua accordar necessitaste
(Che nessun vede aperto nel futuro)
E giustissima legge ne coastringe;
Le speranze, eli' aviam, d’ effetto vote.
Che chi de’ morti suoi non ha pleiade,
E'I cammino al passar più acerbo e doro;
A selvaggio leon siruil ai finge ;
La colpa fia delle fallaci rote
E conviene onorar l‘ antiche strade,
Della cieca Fortuna, e non d’Artnro,
Là dove ogni mortai natura spinge ;
Com’ or sana, se di vergogna carco
E di quei più, che solo iu vostro onore
Per sì poco terreo lassasse Avarco t
S’ hanno al mezzo del dì troncate 1* ore.
XI.» V
r.i
Il qua!, s' è ver, che 1' intelletto umano
Dopo Trislzn l’accorto Maligante,
Possa ai vati divin credenza dare,
Lionello, e Raveno, e ’1 pio Boortr,
Secondo il preveder di Pellicano,
Ogni altro duce, e cavaliere errante
Dehbe alle vostre man tosto tornare;
Segue del suo parlar 1’ istessa sorte :
Poi F aver noseo il nobile Tristano,
Arturo allor dal fido Gostemanle
Non ci fa d' ogni onor sirari andare,
Fa del suo padiglion 1* aurate porte
Con voler ostinato in ogni torte,
Agli Araldi d’ A varco ratte aprire,
D’ esso, o di tutti noi veder la morte f
£ rende la risposta in dolce dire:
XLV
ut
Non avea fatto fin, quando Gaveno,
Questi onorati frati, e fidi amia.
Al furor cieco usato, che’! trasporta.
Che più die '1 proprio cor mi tengo cari.
Interrompendo il vecchio, allarga il freno
Ch’ai perigliosi tempi, e gl’infelici
Ed all’ ira soverchia apre la porta,
Non mi fur mai di lor medeimi avari.
Dicendo : E perchè placido e sereno
E lontan le native sue pendici
Si mostra il volto, a chi ambasciata porla
I lìgliuoi, le consorti in pianti amari
Simile a ciò ch'io sento, Arturo invitisi.
Han per me abbandonato, e per l' impresa,
Che macchia il vostro onor, la giuria «'1 drillo?
Che cop tanta ragioo da noi fu presa ;
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L ÀVÀRCHIDE
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IX TU
Perchè d* nn mon licei levata in piiia
Fn di pietre durissime ricinta.
Che non pntea dai tempo esser conquisa,
Né senza alta fatica in basso spinta ;
Del maggior colle sn la rima assisa,
Ch' ove rade del sol la luce estinta
Guarda all* Orraso, e «l'Oriente al varco
Scorge non lunge a lei sedere Avarco,
LXX IV
Poi fatto ivi di lor si altero monte
Che troppo a chi *1 vedea pietà commuove,
Tatto il popol miglior con voglie pronte
Nella vicina selva il passo muove,
E fon ferro mortai 1* annosa fronte
(Senza temere alcnn 1' ira di Giove)
Dell* antica sua quercia a terra getta.
Che non solca curar pioggia o saetta.
lavili
Ivi H divo german con l'altro coro
De* snoi chiari ministri e sacerdoti,
Per gli onorati spirti di costoro
Porgon colali a Dio preghi devoti:
Non rivolgere il guardo ai falli loro.
Che dei santi precetti andaron voti ;
Non giustisia opra in te, ma la pietade.
Che col tuo gran figlinol n’aprio le strade*
LlXV
Chi dell* eccelso frassino alle incide
(Ond* ombra si Tacca) l'aperte braccia;
Chi *1 gliiandifero rerro al pié divide
Dalle attorte radici, e’n basso caccia.
Quel 1* orno abbatte, che coi rami asside
Sopra il vicin, che di cader minaccia ;
Rimbomba il bosco, e le sne piagge oscure *
Per 1* alto snon delle taglienti scure.
r.vix
Ài qnal canto divin presenti faro,
la sembiante lugubre e *n vesti nere,
Pien di celeste spirto il sommo A ritiro,
E de* suoi ravalier T ornate schiere,
Che *n silenzio umilissimo, e n cor paro
Aiotavan di quei l' alle preghiere;
Poi dato al lotto fin, largo s* infonde
Il famoso terreo di sacrale onde.
LXXVI
Chi coi medfsmi carri indietro apporta,
Ove mostra il camrain pin aperto calle ;
Chi per pin angusta strada assai più corta
Il depredato bosco ha sa le spalle ;
Chi traeadol per terra agli altri scorta
Facendo va per 1* intricala valle.
Tanto che *n breve andar fornito il loco
Fu nel bisogno pio del sacro foco.
LXX
Ha in diversa maniera d* altro lato
Fan qnei d* A varco il lor funebre onore;
Che poi che i cavalier d* altero stato
Della torba piò bassa han tratto fuore,
Dentro alle chiose mura era portato
Ciascnn da’ suoi eou lacrimoso onore,
K coi pin rari pegni in allo loco
Nel sen riposti a prezioso foco;
LXX VII
Ove poi eoo dotto ordine locate
Far le frondi, e i gran tronchi in doppi giri,
D'assai tristi lamenti accompagnate,
In tra pianti durissimi e sospiri
D’anime miserelle sconsolale,
Che ricordando indarno i suoi martiri,
E bramando di quei I' afflitta sorte,
Con voci di dolor chiamavan morte.
uxt
Le cui ceneri appresso in ricchi vasi
Di fino or fabbricati, o terso argento ;
Descritti intorno gli animosi rasi,
Onde lo spirto lor giaceva spento;
Molti d’ essi in Avarco eran rimasi,
Ch’ èbber di lui vicino il reggimento,
Che sopra alte piramidi luearo,
Consumale da poi dal tempo avaro.
lxxvhi
Ma già i raggi ascondea nell’ Occidente
Allora il sol, che la campagna imbruna;
Cosi dentro alle mura amaramente
Nel sno nido nata! torna ciascuna.
Li sol riman della pin ardila gente.
Chi al freddo corso dell* algente luna
Sia fida guardia alle infelici schiere
Da' morsi ingordi di rapaci fere.
LXXII
Gli altri, eh* ebber lontan la patria sede,
l)oii lunga compagnia di faci accese,
Con l’ insegne acquistate, e con le prede
Mandati furo al dolce suo paese,
Nelle pie man di chi chiamato erede.
De* suggelli, eh* avea, lo scettro prese;
Con chiari» amhasciador, che ben mostrasse
Quanto il lor doro caso al re gravasse.
LXXIX
Gli altri all* albergo vanno, ove riposo
Agli affannati corpi insieme danno,
Pui che fra 1’ esca e '1 vin rimase ascoso
Di tatti altri, e di lor 1’ avolo danno ;
Il rnedesmo Tacca col re famoso
Ogni Gallico duce, ogni Britanno,
Ch' ove manca il rimedio, nn nobil core.
Il lungo lamentar tiene a disnore.
f.xam
Indi lo stoni maggior di qnei guerrieri,
Che senza nome aver coopre il terreuo,
Tutto lontan da* pubblici sentieri,
Ove pii* de' dne colli allarga il seno,
Sopra possenti carri alti destrieri
Traggon ratti rotando, in fin che pieno
Il veggian d’ essi, e ’n torno la campagna
Di tanti, che n' avea, vola riraagna.
LXX X
Po» che di nuovo Apollo all’Oriente
Saettava i bei raggi all' aria intorno,
Tosto d' Avarco la dogliosa gente
Ali’ intermesso oprar facea ritorno;
Ma innanzi a tatti in vista riverente,
In oscuro, e lugubre abito adorno,
Tulio coperto il capo, a lento piede
Giva il gran sacerdote Clitomcde.
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L AVARCHIDE
UUI
Nella forma medesma poi regola
Tra mille cavalieri il re Cimiamo,
Che 'I bel fregio reai depositi avia,
E ripreso color doglioso e basso ;
Né longe ivi da lui dietro venia.
Pallida il volto, e di dolcezza casso,
Pur con vesti neglette, e 'acuito crine,
La coppia illustre delle pie regine.
luiii
L'altro popol più vii mischialo lancine
Senz'ordine servar correva appresso,
E ’l gran danno de' suoi sospira e geme,
Con ramoscello in man d’aspro cipresso;
Chi '1 frutto acerbo piange del suo seme.
Chi '1 suo raro german, chi *1 padre islesso,
llimanrndo privato in teneri anni
Di chi lasso il nutria tra mille albumi.
LUIIU
Le femminelle al fio d' oscura sorte
Tra gli estremi seguian con più pleiade,
Biasoiando spesso il ciel, non pur la morte,
E I crudo oprar di peregrine spade.
Chi del figlio si duol, che troppo forte
Il cor portava in non matura ctade;
Chi lo sposo piangea, eh* a gran perigli
Non si «loveva oppor pensando a' figli.
lxxxit
L' acerbe virgioellc, che rimase
Son senza madre, e del parente prive,
Piangon, eh' al sostener 1' alili Ile case
Nulla verde speranza iu esse vive :
Quella accusa il vicin, che persuase
Al fratcl, clic godea 1' ombre native,
Di cercar giovinetto in guerra fama,
E crudo e disleal piangendo il chiama.
lxxxvih
Avesse a noi concessa questa vi la.
Come agli Angeli suoi, d’ eterno corso s
E tal or consentisse, die rapila
Fosse di morte a alcun dal erodo morso;
Quel, che men di tatti altri stabilita
La grazia avesse del divin soccorso,
Ben die ciò ch'ai ciel piace sia ragione.
Pur di alquauto dolerse avria cagione.
LXXX1X
Ma ei qui ne ripon con egual sorte.
Che dopo un breve andar si torni a lui.
Quanto è infelice errur pianger la morte
Di se medesimi misero, e d altrui !
E l‘ ore misurar, se lunghe o corte
Sien di se stesso, o dei nemici sui !
Se quai di paglie ardenti le faville.
Come si fugge un di, ne fuggon mille !
xc
Perchè adunque dolibiam con largi pianti
Di cuslor richiamar gli andati passi.
Ch’or fra i giusti Minossi, e i H stiantasi li
Tosto tulli tarao del inondo lassi ?
A cui lieti narraudo i pregi e i vanti
De* nemici, eh' han qui di vita cassi,
E di' alfin per la patria furo uecisi.
Gli farsa cilUdiu de' campi Eliaì.
nei
Non ne debbe doler d' alcuno il fine
Ma il modo e 'I suo sentiero, onde si parte,
Rendeudo grazie alle virtù divine,
Che gli han locali in si onorata parte :
E pregar poi, che noi medesmì inchine
A lor con loda- egual l'invitto Marte,
E nel nostro passar (con’ io confido)
Lieto e ’n pace rimanga il natio nido.
Tosto eh' è giunta al destinato luogo
La gran pompa reale, e gli altri poi ;
Si distesero io cerchio all' allo rugo.
Osservando i gran re gli ordini suui ;
E quei, di' antichi di milizia al giogo
Fur per somma virtù coi primi eroi
Agguagliati in onor: poi l’umilptrbe
Più lunge assiede in fra 1' erbose glebe.
UZXri
Le due donne reali in altra parte
Dalle matrooe nobili ridale,
Dei cavalicr sedevano in disparte.
Di curiina sotlil da quei distinte ;
Le minor di fortuna in basso sparte
Sedean vicine di dolore avvinte.
Come fu il lutto quelo, in alla sede
Salio '1 gran sacerdote Clitoiucdc;
l xxx vii
E con grave mirar l'occhio rivolto.
Ove il rogo sorge», fiso riguarda ;
Indi agli ascoltator tornalo il volto,
Ruppe il silenzio al fio con voce tarda :
Se quel, ch'ha il sommo bene in seno accollo,
E con T ordine suo sfinge e ritarda
D’ocni cosa il tamiuiii da lui segualo,
11 cui certo voler s‘ appella l'atu ;
Il qnal (come eh a noi nel tempo avvegna)
(Ch'io non so ben ridir qual io vorrei)
Veggio, eh' a farlo ampissimo disegna
11 concilio immortai de' nostri Dei ;
E che patria sarà lodata e degna
Di molti antichi e nohil Semidei,
Che di rami verran dell’ arbor Franco,
Poi che quel, che reggiana, sia secco e manco.
xeni
I) qual certo illustrissimo poi fia
In fin che gli ombrerà la tolta sede
Nuovo troncoo, che per ristesse via
Sarà degli aurei fior famoso erede ;
Alla cui gran semeuza c larga e pia
Fia ciascuna virtù, che in allo siede.
Di cui molli bei germini radici
10 questa terra avrauuo aline e felici.
xciv
Ma via più di tutte altre, poi che ‘1 sede.
Dirci secol rivolti, c dieci lustri,
Di Francesco primier 1’ della prole
Vedrà qui superar gli antichi illustri
Più di virtù, che di color non suole
. All' apparir del sul rosa i ligustri;
11 cui nome reai fia detto Enrico,
D' ogni raro valor perfetto amico ;
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L AVARCHIDE
ICV
Cl»' alla sna realissima sorella,
Ch'avrà più di virtù, che fiori Aprile,
Di questa alma città gradita e bella
Ne farà dono a tale altezza umile.
Perchè lauta bontà fia posta in quella
Alma, più di' altra mai, chiara e gentile,
Cir a prua quanto il ciel vede e riroopre
Degno premio saria di ti bell' opre.
xcvi
Fia '1 chiarissimo nome Margherita,
( li a lei si converrà più d’ altra mai
Candida e pura, e ’n questa bassa vita
Spiegherà più che ’1 sol lucidi i rai;
Del niondu schiva, e ’n ss bel nodo unita
Con T eterno Motor, che gli uman guai
Non potrà» penetrar la divi»' alma,
Nè di lor sentirà terrena salma.
xevii
Fia mandata quaggiù per vivo esempio
De' suoi santi tesor dal sommo Giove ;
Sarà il pudico petto altero Tempio
Delle tre caste grazie, e delle nove
Sue dotte figlie, al cui parlare ogni empio
Cor perderà le scellerate pruove.
Ch'ogni desir villan, che i pravi ingombra,
Si vedrà dileguar di quella all' ombra.
XCVIlJ
Spiegherà le medesme amiche insegne
Della sua famosissima Minerva,
Come sola di lei, non d' altra, degne
Nella mortale età dura e proterva,
Si che T aspra Medusa non si sdrgue.
Che la fronte fatale ad essa serva ;
K 'I serpe e 'I fosco augel, eli’ Atene onora,
Cou voler della Dea firn seco ognora.
XCIX
£ non senza cagiou. però che ad essa
La divina scienza, orni' ella è madre,
Come a dolce sua figlia, avrà concessa,
t-on cortese approvar del sommo padre ;
Da cui verrau, come da Palla istcssa,
Pensicr celesti, ed opere leggiadre.
Senno, grazia, modestia, e rarilade,
£ quante altre virtù sian belle e rade,
c
Dentro all' altero petto umile il core,
£ ripien di dolcezza avrà la sede,
Che tutte abhraccerà con poro amore
L anime afflitte, che Fortuna fiede,
Solo al vero valor porgendo onore,
Non al carco furor d’ iugiuste prede ;
E fia dritta dei buon nella sua vita
Stella, timo», nocchiero, e calamita.
Ci
Or qual dunque di noi fortuna avvegnx
Non può danno apportar, che a questa spoglia;
Perchè pinma verrà non forse indegna
Più d'ogn' altra lalor, che scriver soglia;
Ma quando fusse pur, la farà degna
Questa terrena Dea, che 'n carte scioglia
Il nostro affaticar di lodi carco,
Tal che mai non morrà 1' antico Avarco.
cu
E però, cinti il cor di questa speme,
Non contrastiamo al ciel coi nostri pianti;
1 quai mal ti convengono al grau seme
(Quale il uoslr' è) dei cavalieri erranti ;
£ chi troppo il morir del mondo teme.
Dì generoso spirto non si vanti ;
Ma lassando dell' arme il nobil uso,
Spenda gli auui miglior tra I* ago e I fuso.
cui
Voi miterelle donne, se piaugrte.
De' sostegni miglior trovarvi prive;
Gli occhi all’ alle regine rivolgete,
In cui somma pietà per tulle vive.
Se del lor breve corso vi dolete.
Ripensate alt' onor dell' opre dive,
C.he iu lor riluce, e $' al comprar sia caro
Per si poca stagion nome si chiaro.
civ
Gl’ innocenti, figliuoì, che in teneri anni
I dolcissimi padri hanuo perduti,
Truovaii largo il guadagno tra lor danai,
Sendoue al partir d‘ uu mille venuti ;
Ch’ Avarco intero, e i pubblici suoi scaiiui
Abbondar si vedraii nei dolci aiuti ;
Nè più largo tesoro al figliuol, eli' ama,
Può il buou padre lassar, clic illustre fama,
cv
Dato line al suo dire, in terra scese
II sacro Clitomede, e ‘u basse note
Mormorando tra se tre faci prese
Dal più vecchio degli altri sacerdote,
E ’n tre parli del rogo il foco accese,
Delle quai la primiera era a Boote;
In vista poi di riverenza piena
Per tre volle baciò V arida arena.
evi
Già il tenebroso fumo intorno ingombra
E per torto camuiin nell'aria sale,
Mentre ancor di Piropo i legai adombra
Ynlcano in basso, eli' avvampar non vale;
Già con fiamma crescente il nero sgombra,
E s'addrizza nel ciel cou lucide ale,
E di faville ardenti ha larga preda
Tra le frondi sonanti, eh' ei depreda.
crii
Quel tre volle accerchiò con larghi giri
L* inerme popolar cou ratto piede,
II cui suou di lamenti e di sospiri
Einpiea tutta del ciel la prima sede ;
Ricordando ciascun gli aspri martiri.
Onde al partir de' suoi rimane erede :
Fanno annali il medesimo i guerrieri,
E i duci, e i cavalier sopra i corsieri.
eviti
Chi getta sovra lor I’ elmo o lo scudo,
Ch’ era d' alcun di lor lodala spoglia ;
Chi la spada o lo strai, eh' agulo e crudo
D' aspra morte al vicin portò la doglia ;
Chi 'I suo piò caro arnese, perchè nudo
Miser non scenda alla Tartarea soglia :
III questo mezzo I* infinite trombe
Fau, clie I' aria, la terra, c l ciel rimbouibc.
I 3
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L AVARO I! IDE
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ARGOMENTO
ri mentre che in consiglio son raccolti
i guerrieri iT Avarco, Arturo ossa Ir
La citta spaventata. Accorron folti
Alla difesa i prodi , e pugna eguale
A nle fra lor ; ma net merigge tolti
Sono ad Artur gli allori , e tanta e tali
£ la rotta che soffre , che nel campo
Proprio ritrova miserabil scampo.
*
1 1 doralo ImIcuii dell’ Oriente
(Poi rlie Collima tregua a fin venia)
La spota di Tiloii vaga r riddile
C.on le rosale mani al menilo apria;
L' impigro Seguran rou poca genie,
('lie piu cara e miglior sempre il segni-),
All'albergo reai ilei suo Clodasio,
I*ien d' alierò desio, rivolge il passo.
il
Nè molto dopo Ini dei duci eletti
L.’ altra schiera onorata arriva insieme,
K n pnbblieo consiglio son ristretti
Sopra il tempo passato, e rii' or gli preme;
1 cor vari fra lor fan vari elTelli,
Che l'un spera soverchio, e l'altro tenie;
Chi vorria sol guardar la patria terra.
Chi di nuovo tentar più acerba guerra.
Ili
Fu il primo a ragionare il re Vagorre,
Qual più antico e più degno, e eosi disse:
Saggio è il eonsigliator, che sol ricorre
A quell' ultimo fin, che in eor si fisse;
Quel sol rimira, e tutto l'altro abhorre,
Come al «no proprio danno consentisse;
K ehi farà in tal guisa, raro fìa,
Che d'incontrare il ver perda la via.
tv
Da poi che volle il riel, che di Clodasso
In Bretagna primier fugalo e rotto
Fu l'oste allor nel periglioso passo
Per la troppa virtù di Lanrilollo ;
Di qua poscia dal mar di vita casso
Più d' un suo figlio esseudo, a tal ridotto
Fa il nostro stato, che di tanta guerra
Ogni speranza è chiusa in questa terra ;
La qual mentre sta in piè si debite avere
Dell’ altro ricovrar sirura fede ;
Che non può lungamente sostenere
Il numero infinito in questa sede
Arturo o Clodoveo, eh' han tante schiere
Di si varie nazioni, e già si vede
Mancargli alcun, eh* io sovra lutti esalto,
Come il gran Lancilolto e Galealto.
vi
Perchè passato è già più che *1 sesl'anno
Ch*a queste invitte mura sono intorno;
Tanto che stanchi ornai dal lungo affanno,
E del gran faticar la notte e '1 giorno,
Si può sperar, che senza nostro danno
Tosto nel lor lerren facciali ritorno,
Che non più stimerau, eh' al tempo addietro,
I tentali ripari esser di vetro ;
VII
Pur che senza provar novella sorte,
Come a nostra rovina spesso avemo,
Siano uniti i voler, chiuse le porle,
Poi con cura maggior ci guarderemo ;
F. sprezzando il romor il’ invitto e furie
Che del proprio devcr passi I* estremo,
Volgerem sol la cura e la fatica
A difender di uoi la patria antica.
Vili
Or senza ricercar piò gloria in vano,
Ma segtieudo del ver l' istesso fine,
Armiam solo al salvar la nostra mauo
Del sacro A varrò il nobile confine ;
E poi che 'I gran nemico fi a lontano
Sovr’ altre region dei suoi vicine,
Ove non sia di noi sì gran periglio,
Ne potrà il tempo dar nuovo consiglio.
IX
Qui sì tacque il buon vecchio, e si ripose
Nel suo seggio reale, onde levotse.
Al fero Segoran non si nascose,
Che per lui ratfrenare il re si mosse;
Pur con voce assai dolce gli rispose,
E quanto orgoglio avra dell' alma scosse,
Direndo : Al saggio dir del re Vagorre
Non si può con ragion levar, nè porre.
x
Che senza dubbio avere, intera apporta
La salute d'ogn'tiom guardare Avarco,
A cui basta il tener chiusa la porta,
E difender di lui l’ angusto varco
Con sollecito studio, e fida scorta,
E d'ogn' altro desire andare scarco;
E come al segno fa l’ accorto arderò,
Drizzar solo a quel fine ogni pensiero.
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*D!)
L AVARCHIDE
aoo
XI
Ma questo al re Va porre ti conviene.
Che nell' ultima età pia muove il patto \
Ma non a Srgnran, che «lesio tiene
Di lassane in onore opn' uom più lusso,
E rhe in quella slapion con pii anni viene.
Ove il senno »’ arereste, e *1 valor lasso
Non è «lai tempo ancor, ma repnan l'ore,
In cui più «i* ambe due nsplende il fiore*
XII
Io non venni d’ Àvarro pia in aita
Con tanti ravalier dal regno Iberno ;
Nè a Claudiana mia sempre gradita
Con bel laccio d* Amor mi cinti eterno,
Per menar poi nascoso oscura vila,
E degli antichi miei restare scherno ;
I quai, fossi sprezzando, argini e mori,
Sol della spada loro rran sicari.
XIII
Senta in prima di mr 1 cenere sparso
De' venti in preda al tempestoso rielo,
O da vii foro consumalo ed arso
Da' miri stessi nemici il mortai velo;
Che d' onor ricercar mi faccia scarso
D'altrui ricordo, o di temenza pirlo;
E eh* io non sia tenuto da ciascuno
Dcpno crede fra lor del tangne Brano.
xtv
E te ’l suocero mio con tutti voi
Sol di guardar Avarro a vea desire,
Nè volea per valor d' alcun de' tuoi
In alcun tempo mai le porte aprire :
A che si lange in van richiamar noi,
E tanti cavalier di tanto ardire ?
Perdi* assai mrn valore, assai men gente
A difendervi dentro era possente.
xv
Ma per un sì gran re non basta solo
II suo seggio sovran aver difeso,
E tarpato al nemico I* ali e '1 volo.
Che nel vostro terreno ave a già preso ;
Ma quel romor, rhe l' uno e l'altro polo
Delle vostre vittorie avea compreso,
Mantener vivo sì, che faccia fade,
Ch' all' estreme giornate anco non cede.
XVI
E chi ben peserà con dritta lance.
Quanto piove il mostrare ardilo il core
lu assedio colai, non fole, o riance
Stimerà il nostro andar sovente fuore,
E le piastre smagliare, e 'I romper lance,
E *1 tenere i nemici in tal timore,
Che cimi sicuro cor goder non ponno
Il giorno il riposar, la notte il sonno.
xvit
Se voi restaste ognor dentro a quei fossi
E vi mostraste sol sopra le mora ;
Sarian d'ogni sospetto gli altri scossi,
Come i vostri ripien d' ogni panra ;
Che sempre han da viltà gli spiriti mossi
(Chi con la prnova assai non gli assicura)
Quei, che vengon novelli alla battaglia,
Nè san I‘ arme d' altrui quel, ch* ella vaglia.
xvm
Poi noi siam tanti duci insieme e tali.
Tanti gran cavalier di nome altero,
Ch* a tre volte più schiere di mortali
Non udremmo d* un piè sr torre il sentiero:
Non fa il numero sol le forze eguali.
Non di bramala palma arreca impero ;
Ma il gran senno, il valor, l'ardire, e I* arte,
Di cui certo è fra noi più larga parte.
XIX
Non sia dal vostro dir dunque oggi tolta.
Sacratissimo re, la chiara strada
A così gran virtù per voi raccolta
U' insanguinar talnr la rliiara spada,
E diradar di quei la schiera folta,
A cui il nostro morire e I' onta aggrada ;
Ma n* aprite il rammin di gire al rido,
Dcll'albor cinti del signor di Drlo.
xx
Detto ch'ebbe cosi, s’as«ise c tacque
L* invitto Iberno, e sorse Palamoro,
Ch' al Santonico mar non Inope nacque.
Possente di lerren d'impero, e d'oro.
Di Clndasso parente, a cui già «piacque
Veder le nozze, che concesse foro
Al fero Segoran di Claudiana,
Ch'era allor del suo cor donna e sovrana;
XXI
E sposata I' avrebbe, se non fo*se
L* aspra necessità del vecchio padre.
Clic per lei sola Segnrano indusse
Di venirlo a servir con le sue squadre ;
Or così acerbamente a Ini perrusse
Il eor I' invidia, rhe dell’odio è madre.
Che contea ogni opra sua, cantra ogni dello.
Di nemico ad ognor mostrò I* effetto.
XXII
Sorse dunque, e poi disre ; lo non saprei
Condannar, Seguran, quel rhe voi dite ;
Che ’l valore e 1’ ardir dei sommi Dei
Grazie son sovra tutte alte e gradite ;
F. rhe sten fra i mortali i Semidei
Quei, eh* ardore onorato all'arme invile.
Deprezzando del mondo ogni aspra sorte.
Per la vita immortal comprar con morte ;
XXIII
Ma diro ancor, eh’ ove il bisogno sprona,
Che si debba temprar l'arme e '1 desio;
Che divin )' intelletto il ciel ne dona.
Perchè scerner possiamo il dritto e *! rio;
Nè quella opra medetma è sempre buona,
Nè per nsaria ngn’ or l’ha fatta Dio;
Ma il modo, la cagione, il tempo, e ’l loco
Dan sede alla virtù tra ’1 troppo e '1 poco.
XXIV
Se noi siam per guardar la patria terra,
E nuli’ altro voler nr preme il core ;
Perche drviam con perigliosa guerra
Cercare indi acquistar privalo onore ?
E non aver de’ ben, che ’n sen riserra.
La dovala per noi cura e timore,
Che non vengano in man de’ nemici empi
Le matrone, i figlinoli, e i sacri Tempi *
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Se stimale voi sol (si come è certo)
Illustrissimo e ’nvillo ravaliero,
Molli altri ancora, ed in di qualche merlo
Esser erediam nel pubblico pensiero;
Ma perchè ronnsciam chiaro ed aperto,
Ove del dritto oprar giace il sentiero,
Conienti cì chiamiam, eh’ oppi d‘ Avarco
Solo ai Britanni c' suoi si chingga il varco.
xxri
Poi, se *1 tempo (tari, volger la mente
In acquisto nove! di sarro alloro,
Forse non firn le man più pigre e lente,
Che del pran Seguran, di Palammo;
Ma mentre or la pietosa e inferma pente
Che da noi spera sol pace e ristoro
In gnardia arem, serriamo npn* altra cura
Dentro a queste onorate e sacre mura.
XXVtl
E non si faccia in van tante chiare alme
Di tanti alti giirrrier nostri e lontani
Lassar per terra le terrene salme
D' impurissimi corvi esca e di cani ;
Nè col sangue di lor P antiche palme
Faerian qni rifiorir le vostre mani ;
K per mostrarvi ardito alla battaglia,
Di perder i miglior poco vi caglia.
XXVIII
Nè date snspizion, eh* essendo Innge
Dalla vostra reale Iberna sede,
Mrn eh' a noi più virin, tema vi punge
Di lor veder degli avversari prede.
Ma eh* al nostro desir tutto •’ aggiunge
Quel che portate in sen, ne farcian fede
Il lassare ogni gloria, e ’ntender solo.
Che non possan sentir vergogna e duolo.
Non è semplice onor quel, che mi spinge
A cosi spesso andar con l'arme Cuore;
Ma il dever della guerra, che ne stringe
A frenar dei nemici il gran furore ;
Che di si fero ardir lalor sì cinge.
Che senza essergli opposto altro valore
Di quel, che pon mostrar le chiuse spade,
Mal secare sarien queste contrade.
XXXIII
E se molti ne son (come voi dite)
De* nostri cavalier condotti a morte.
Non han già più di noi dure le vile
Gli aspri avversari, eh* all' istessa sorte
Larghe schiere dì lor volando gite
Suo per man nostra alle tartaree porle;
E mentre noi piangiamo i nostri danni,
Non haa cagion di riderne i Britanni,
xxxiv
Nè men gente di lor, nè meno illnstre
K, da poi eh* io ri son, venuta manco $
Nè vide qnesla terra ima e palustre
riè il nostro ancor, che I lor valore stanco ;
E s’ ci, ehi più d'ogn' altro il nome illustre
Tral'Armorico stuolo, e ’l popol Franco,
Han Boorle e Trista», eh' a nullo cede ;
E noi Brnnoro il Nero e Palamede,
XXXV
Che dall* Ebridi al nido dell* Aurora
De* suoi chiari trofei colmò le strade ;
Alla coi gran virtù fu «lato allora,
Come si vede incoi, cinger due spade ;
Or mentre tal gnerrier fra noi dimora,
Chi vorrà contraddir, che le contrade
Non firn secare del famoso A varco,
E sia d* ogni timor Clodasso scarco f
Quando ndi qnesto il fero Segnrano,
Che d' attenderne il fin disposto avia,
Risponde; Adonqne cor tanto inumano,
Tanto pien di veleno al mondo fia,
Che pensar debba sol, che per lontano,
Che dal mio regno proprio Avarco sia,
Poi che venato «on d’ esso in aita.
Mi possa esser men caro, che la vita ?
Arem poi Marabon della riviera,
Con Bustarino il grande e Terrigano,
Del Fortunato la persona fera,
Il selvaggio Rossan col pio Parano,
E d'altri eguali a lor lodata schiera.
Che non prezza il Britanno, o ’l Gallicano;
Tal che a chi teme sol quel ehe si deve,
Il nostro guerreggiar non sarà greve.
Non I* amor del terren, dov* io son nato,
Più che la data fè, trova in me loco,
La qnal dee sol pregiar l' uomo onorato,
E tuli' altro appo lei recarse in gioco;
Or s* ogn' altro eli* Avarco sia servato
Scalda ardente desio, me fa di foco ;
E fien le membra mie trofeo di morte,
Pria eh* io soffri vederlo in altra sorte.
XXXI
E %' in non fossi tal, che pnr il sono,
Non ho dentro in Avarco il maggior pegno,
Che ne posta dal ciel venire in dono,
Ch’ avanza ogni tesoro ogni altro regno ?
Potrei por qnella cosa in abbandono,
Ch'assai più che ‘I mio cor gradila legno?
E per ter car, qual dite, gloria vana,
Lassare in si gran rischio Claudiana ì
Così mentre fra lor con aspra lite
1/ un I* altro in duri morsi ripreodea j
Già le schiere al prim’ ordin riunite
Artnro inverso Avarco conducea ;
Tal che 'n voci tremanti ed impedite
Anfion pien di tema si vedrà
Arrivato gridar nel regio albergo,
(die gli armati nemici erano a tergo.
XXXVIII
Al cui tristo rumor l'alto ronsiglio
Senza nullo aspettar tosto è ditriollo;
Nè alcun vi fu, di' al subito periglio
Di legalo Iremor non fosse avvolto.
Solo il gran Seguran con chiaro ciglio,
E più eh’ avesse ancor, con lieto volto
Disse : Or perdiamo il irmpn in nostre riance
Mentre i feri avversari opran le lance.
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XXXIX
E ti inoltri qui dentro accorto e saggio
Ciascuno al confortar 1* ozio e la pace.
Mentre Arturo là fuori al tuo vantaggio
Quanto pnote aspirando «prona e tace.
Lieto d' aver ti debile paratia
Della nostra virtù, di' a lai «oppiare ;
Non per forza minor, ma per la voglia
Pigra oppi in noi, eh' ogni valore «poglia.
xtvt
Rise il pio Seguran dicendo i Ascoso
Non m' è 1 vostro valor, Signor mio caro;
Or gite innanzi col drappel famoso
Dri vostri cavalier d' onore avaro ;
E spuntale al nemico l’orgoglioso
Primo furore , e noi farem riparo
All* altro ti, che si porria pentire
(Com* altra volta ancor) di troppo ardire.
«t
Coti dicendo ancor, ratto s' avventa,
In guisa di paslor, di' all’ ombra oscura
Latrare il fido can non innge tenta,
Che delle gregge care aggia la rara ;
Trini va il misero tinnì, che si «gomenta,
Voto d* ogni «prrar, pien ili panra.
Di vecchierelli infermi e femminelle,
Che in divolo pregar guardan le «tdle.
XI. vii
Cosi parlando, giunse alia gran porla.
Che va inverso i Britanni, e falla aprire ;
Ivi i duci appellando, gli conforta.
Che dimoslrin quel di l'antico ardire;
Manda appresso Clodia, poi che la scoria
Vede di Palamoro innanzi gire,
E dietro a lui Yerrallo coi guerrieri,
Ch'avean Parme più levi fra gii arcieri.
XLI
Poi rivolto ver lai gridan : Signore,
Or ne valga il valor, die ’n voi ti «erra,
Si rhe ne sgombre il periglioso orrore
Dell' aspra, e lunga, e saaguino»a guerra.
Ri«pond' ei lieto lor : vestite il core
Della dolcezza, eh’ ogni duolo atterra,
Srcuri di vedere il mio ritorno
Di ricche paline de’ nemici adorno.
XLVIII
Nè da lui limge il fero Palamede
Coi suoi lutti dell' Ebridi era andato,
Ver le radici, dove il colle assiede.
Che ’l fiume scorge al suo sinistro lato ;
Ed ei col resto (poi eh’ ogni altro vede
Al devoto raminìn bene inviato)
Col numero maggior il passo move.
In più animoso cor, di' avesse altrove.
ii.ll
Pregate pure il del, che non ti mostri.
Pio di qnrl che ti soglia, a noi nemico,
Nè più consenta agli avversari nostri
Cli’ a noi Fortuna il suo voltare amico ;
Che tosto renderò d’ Orane ì chiostri,
Più che fossero ancor nel tempo antico.
Lieti e felici : e di quel sangue molli
Per molti anni a venir fertili i colli.
ZL’X
Già non molto lonlan da quelle porle
Il fero Palamoro, e 1 «no Vrrralto,
Con Maliganle aveano, e con Boortc
Principio dato all* onorato assalto;
E fu P incontro lor tant’ agro e forte.
Che di ra valli e d‘ arme il verde smallo
Si vide ricovrire, in quella guisa
Clic suol prato il villau dell' erba iucisa.
XUII
Cosi dicea passando, c poscia chiama
(Che ’n conica gli venia) Brunoro il Nero,
E dice : Or dove è or di tanta fama
Degli altri cavalier lo stuolo altero?
Già non deve aspettar chi l'onnr brama.
Ove l'uopo è maggior, d'altrui l'impero,
Ma presentane tal, che dia cagione
Più del morso adoprar, che dello sprone.
L
E perché a tutti i suoi davanti giva
Con lo scudo alto il cavalier di Cave,
Fu dal buon Palamoro, clic veniva.
Ben conosciuto, che notizia n* ave ;
Gli sprona incontra, e furioso arriva,
E di colpo il feri dannoso e grave,
Che ‘1 famosissimo elmo gli percosse
Si, che fuor del suo loco quasi il mosse.
XIV!
E'n questa ivi arrivar vede Clodino,
Con Rossano e molti altri; e poi fra loro
Minacciante splendei di ferro fino
Con sembiante onorato Palamoro;
Il qnal, tosto di' a lui si fe' vicino,
Grida : Ecco Seguran, di’ io non dimoro
(Quando il bisogno vien) qual pigro c vile,
Ma dei miglior guetrier segno lo stile.
LI
Nè di men forza er' uopo al sostener se,
Che quella del guerrier, eli’ ogii' altra passa;
Ma il destriero avversario non sofferse
Il furor di Boorte, onde s* abbassa
Si, che cunricn clic Palaniur riverse
Sopra il terreo cadendo, e dietro il lassa
Tra i cavai, che veoian, si c!»V polca
Levemente condurse a morte rea;
XLV
Nè fui veduto ancor tornare un pasto
Coi miei levi cavai per tema alcona;
Nè mai di guerreggiar mi vide lasso
Caldo raggio di io], nè algente luna ;
Se ben nel consigliare il mio Clodatso
Temo in servigio suo l’aspra Fortuna,
Ch’ornai condotto l'ave in grado tale,
Ch'ogni pieciol cader tarìa mortale.
Lll
Ma Calarle, che ’l segue, e Ferrandone,
Alla gente, che vien col ferro iu resta,
D’ amor carro ciascun ratto s'oppoue
Si, che poco al varcar gli fu molesta :
Poscia in nuovo corsicr tosto il ripone.
Perchè '1 vigor del suo tardo si desta ;
Poi tutti in un con 1* altra schiera stretta
Spronali con nnovo ardire alla veudclta.
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L’ AVARO 11 IDE
ini
Dall'altro lato anror ron Maligantr
Il mrdrnno Verrallo fatto avia,
Oi* era sopra un destriero agli altri arante
Della schiera «F arder, rii' a piè il seguia ;
E 1’ uno e 1* altro ravaliero errante
Di furia e di bontà si ben fìoria,
E si pari in Ira lor, eh' nnili insieme
L'un e l'altro il lerren cedendo preme :
U
Nè il re Lago e Gaven, che ’n torno vanno
Al fero Segurano, e ’l re Brunoro,
Facean di lor mrn sanguinoso danno.
Che quelli, e che Clodia fatriaa de’ loro ;
Ferrile in fronte a ciascuu di pari stanno
L’ aspro cipresso e '1 trionfale alloro ;
E con forza si cgual 1' un 1* altro preme,
Ch' ugn’ noni senza timor si cinge speme.
tir
E 1* uno r 1* altro nel medesmo punto
Sciolto dal suo ravallu è in piè tornato ;
E già col brando in man s* era raggiunto,
Per provar la sna sorte in altro stato ;
Se non che tosto d' ogni parte è giunto
Lo sluol, che gli seguia, quantunque armato
In diversa maniera, ove si vede
L’ un su' levi destrieri e 1 altro a piede.
Or quanto il sol rotando in alto sale.
Ch' ancor non scalda il giovinetto giorno,
Tenne sempre fra lor lo stato eguale
Quella Dea, che caugiaudu gira attorno;
Ma poi di' ai mezzo di spiegando 1' ale
Fa iuverso l' Ocran Febo ritorno,
Prese la lance in mano, ond' ella suole
Librando andar quel ebe in futuro vuule ;
Vr
Maquesto a qnel,rhe sprona, aperto il seno
Nostra, dell ordin suo formando l' ali ;
E come olirà è passalo, a sciolto freuo
Drizza intorno di lui gli apuli strali;
E di molli di qoei bagna il terreno,
Pria che potersi ai colpi micidiali
Volgersi iu giro stretto, e ’n breve spazio,
Poi dei saetuUir far lungo strazio.
UUt
E le sorti d' Arturo e di Clodasso
Nelle pendenti sedi ripooea ;
Poscia alzandole par, cadere in basso
Chi reggeva i Britanni si scorgea ;
L altra volger in su l’altero passo.
Che allor quella d' A varco soslenea ;
Tal clic seulrnza die’, che in essa guerra
Quelli aiutassero al cid, questi sotterra.
Lvi
Or già con Palamede il buon TrisUoo,
Con più grave battaglia si ritruova ;
Piede a piede hau congiunto, e mano a mano,
E scudo a scodo, con mira Lui pruova ;
Spinge forte ciascun, ma spinge in vano.
Che nessun è di lor, che ’ndietro muova ;
Ma spesso questo o quel d' agute spade,
E chi d* aste percosso, a terra cade.
Ulti
E con aperti segui dimoslrosse,
Che in un momento solo intorno il cielo
S' empieo d' oscure nnbi, e "u lui turbosse
La froule chiara del signor di Deio ;
Tre volte sullo i piè muggeodo scosse
La terra in giro il suo frondoso velo ;
Tal di timore empiendo quei d' Arturo,
Clic uesson della morte iva scettro.
mi
Né prima è morto l'un, ch'ai proprio loco
Chi si tri»ova vicin, 1' orma ristampa,
E '1 terzo e '1 quarto poi ; si grave il foco
Dell' onore e dell'ira i cori avvampa;
Ciascuno il suo morir si preude in gioco,
E par mosso a pietà di chi ne scampa ;
Nè si sente ivi voce di dolore.
Ma d'altere minacce e di furore.
HIV
E ‘1 re inedesmo il primo sbigottito
(Senza intender di die) quasi fuggia ;
Trislan (di’ è troppo a dir) sembra smarrito
Né del suo gran valor truuva la via ;
Boorlc e Maligantr in altro lilo
Sommersi stan dalla temenza ria;
Il popol fugge tutto, e non s’arresta,
Come soole Alcioo i' atra tempesta.
Lvltl
Ma il famoso Trislan in quella parte,
Come leon famelico, s'avventa;
A questo il braccio, a quel la fronte parte,
E chi non può ferir, lunge spaventa ;
Ovunque ei si rivolga spira Marte,
Ed ha già tanta gente intorno spenta,
Ch' a* suoi colpi mortali è fatta incude,
Che '1 gir più iunants a se medesmo chiude.
UV
Solo il Luon re deli’ Orca di rimato
Era senza fuggir tra quelle schiere ;
Perchè Forati per suo maligno caso
Con lo strale il corsier gli fe' cadere,
Ch'uve allarga la froute sopra il naso,
Benché possa gran colpo sostenere,
11 ferì si, clic morto cade a terra,
E 1 suo vecchio signor sotto si serra:
LIX
Nè mrn dall’ altra parte Palamede
Sopra i Franchi e i Britanni era feroce,
Che larghissime d' essi manda prede
Al gran Nocchier della Tartarea foce;
Né di ardente valore al Gallo cede,
Nè di lui uien tra gli avversari nuoce ;
Ma si bru opra aneli' ei l’altera spada,
Che di morti copria l’ istcssa strada.
LIVI
E restava li anciso o prigioniero.
Perchè di Seguran la schiera arriva ;
Ma il suo chiaro Boorte in alto fero
Chiama altamente sì, eh* ogu* uomo udiva:
Cbi porla in petto cuor di cavalicro,
E eh' abbia di disnor 1’ anima schiva,
Veglia a scampar dall' avversarie squadre
Del studio militar l'antico padre.
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' t
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L AVARCUIDE
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L AVARfiHIDE
Il qual per f[iuiU prua ho giuramento
Non finger «T arme al termine d' un mctr,
Ma di lattarlo star tra'l vile armento,
Cinto d abbietta corda, in rotto a mete ;
E di dare e te il pregio oggi contento
Di quanti uscir dei Betiro paete.
Di destrezza, d'ardir, d'arte, e di posta,
S' ultra ai porterai di quella (data,
ex
E da poi che qni a vera compito c vinto
Quetto giorno fatai (ti com' io spero)
Sempre di culto fieit li vedrai cinto
L'albergo chiaro, e ’l tuo pretepio altero;
Ove in vago lavor tara dipinto
Il tuo sommo valor, degno d' impero
Sopra quanti ha destrieri in altra parte,
Nè s’ opporrà al mio dire Apollo o Marte.
Coti dicendo, il drizza al drslro lato
Del fosso, ch'alia porla era vicino,
Lontano alquanto, ove Tristano armalo
Difeso a suo poter tiene il confino ;
Il fer cavai, come te fosse alalo.
Con acceso desio prende il cammino,
E quanti incontra nella turba stretta,
L* un sovra 1' altro riversati getta.
xu
Ivi un monte mischialo si vedia
Di cavai traversali, e gente a piede;
Chi già morto era in tutto, e chi languia,
Chi si lassa oppressar, chi cangia sede ;
Qnrl chiama aita, e quel la borra apria,
M.i lo spirito fi/l l‘ aria non fiede ;
L'altro miglior, quantunque steso a terra,
Ancor muove la spada, e spira a guerra.
CANTO XIII
ARGOMENTO
-****«<-
asta il fosso T audace Segarono
Strage portando entro il nemico rollo :
Si fan contro Boorte % Arlur , Tristano ,
E torna orrido aliar di Marte il ballo.
Scorre la Parca ria ; furore insano
Mesce e confonde caralier , corallo ;
Si ritira Tristan , pari a Itone ;
Al sangue e alt ire fin la notte pone.
L I •
animoso Tristan, dove più vede
De* suoi eh’ oppressi ton grave il periglio.
Con quei che 'ntorno aveva, ivi provvede,
E tieu pronta la man. Cocchio e ’l consiglio;
Talor sospìnge innanzi, e talor cede.
Poi che ’l brando dei lor fece vermiglio ;
E tanto oprando va, eh’ a poro a poco,
Ove securi sien gli scorge al loco.
n
E ben eh’ aggia Baveri, benché Boortc,
E molti altri famosi cavalieri.
Non può impedir, che per C istesse porte.
Onde entravan fuggendo i suoi guerrieri.
Molli con lor delle nemiche srnrte
Aspramente mischiati, arditi e feri
Non gli seguisse dentro, e tali r tanti.
Che poteauu addoppiar gli andati pianti.
Ili
Ma il fero Srguran, che allor si sdegna
Di stampar il scntier per molli aperto,
In man prendendo una purpurea insegna,
Sprona Eton nel ramni in più stretto ed erto;
Passa il fosso d’ un salto, e l’argiu segna
Ove dal chiuso vallo è più coperto.
Ma con T urto medesmo il getta a terra,
E s* arma sol contra infiniti a guerra.
vi
Nel cui primo apparir non allrimenlc
Fogge il Britanno popol da quel lato.
Che suol la greggia vii, che vede e sente
Nella maodra arrivar lupo affamalo ;
K 1 grande Iberno di desire ardente
D’adempir di costor l’ultimo fato,
Quanto più saldo può, fra loro sprona,
E con gravi minacce alto ragiona ;
v
Or tornatevi indietro o femminelle
A ritrovar per voi più dcpno loco
Di là dal mare, ove I' amiche stelle
V inchinano all'amore, a l’ozio, al gioco;
Ed a noi d‘ogni pace alme rubrlle
Lassate iu preda gir di Marte il foco,
Che ne scalda dì e notte, e ne sospinge,
Ove largo il terreo di voi si pinge,
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a i f>
L AVARCHIDE
2lG
VI
Chi v* ha condotto, o popolo infelice,
Senza aver mai il' Avarco avuto offese,
Nella sua strana Gallica pendice
Lassando, o stolto ! il bel natio paese
A certissima morte, ove non lice
Mai de’ rostri sperar nuove difese ?
E contro alle noslr’armi, folli, opporvi,
Per esca rimaner tra cani e corvi ?
vii
Duoimi certo di voi (che non lontano
È da* vostri confini il lito Iberno)
Qui veder per desio (rapile e vano
Condor miseramente in pianto e scherno ;
Seguendo tal, eh' ultra lo stato amano
Ricercando fra noi lo scettro eterno,
Tien la cura di voi, che si terna
Dell' armento più vii, eh’ al mondo sia.
vili
E cosi rapionando, con la spada
Non rpuale al suo dir mostra pielate;
Che «pianto può, di morti empie la strada,
E 1' arrpe ha per tatto insanguinale:
Non si tmova più alcun, che innanzi vada,
E pià tolti han le fosse abbandonate,
Che ciupevan la parte verso Avarco,
Si che aperto riraan del campo il varco.
IX
Se non che il buon Trislan pure e Boorle,
Con quei pochi poerrier, che seco stanno.
Dal fuggirsi ciascun, dal sonar morte,
Scnton virino il comincialo danno ;
Consegnale a Baven le chiuse porte.
Come aquila e falcon, volando vanno.
Coi l'orecchia intonò de' figli il grido
Per la serpe mortai, ch'assalta il nido.
X
Nè molto andati son tra'l popol loro,
Che temendo foggia, eh' han ritrovato
Il fero Segnran, che già Brunoro,
Ma per altro rammin, si trova a lato;
E gran nomerò ancor segue costoro
Drl drapprl de' migliori, e più pregiato ;
Ma tatti all' arrivar di questi dnoi
Pongon freno al furor dei passi suoi.
XI
Tristano a Segnran fu greve intoppo,
Che rol grave corsiero il petto trova
Del forte Elon, si che gli parve troppo;
E per la fona inusitata e nova
Convien, che arresti, e dia fine al galoppo,
A mi I' esser armato molto giova ;
Che s’ avesse scampata la caduta.
Non riraanea secar d* aspra feruta.
Tll
Or restati ambedue nel mezzo corso,
Senza crollane pur, ferman le piante ;
Poi *1 famoso Trislan, qual ferito orso.
Clic il darò perrussor si veggia innante,
Svegliando il sno con duro sprone e morso,
Al fer d' Iberni a cavalieri! errante
Trovò lo scudo in sì mirabil forza.
Che *1 fende in mezzo, come frale scorza.
xm
E non tanto però, che come intero
Non gli servisse ancora in qnella guerra;
Ma non senza vendetta il colpo fero
Offese Segnran, che ’l brando serra
Sopra T ornato suo vago cimiero
E quanto ne trovò fa gire a terra.
Che far duo* terzi almen, I' altro rimata
A gran pena scampò dal duro caso.
XIV
Gii l'un e l’altro al seguitar s* appresta
Ed era sanguinosa la battaglia ;
Ma la turba d* A varco vieti molesta,
E fa, che ’l faticar poco gli vaglia,
Che la spada d* entrambi a ferir presta
Fa, che in alto vibrando indarno saglia ;
Che come furiando entrò fra loro,
D' assai spazio lontan divisi foro.
XV
11 medesmo a Boorte era avvenuto
Col fer Brunoro, che ferito avia,
E dal destro brarcial tutto abbattuto
11 cerchio suo, che *1 gomito ropria ;
Ed eì dall* altro in fronte ricevtìto
Sopra il furi’ elmo egoal percossa ria.
Si che non potea dir d avere offeso
Chi ben sno dritto non area difeso.
xvi
Ma parimente a lor fu forza allora
Di lassarse portar dal corso altrui.
Che in tal modo rinforza in poco d' ora.
Che con gran faticar ponno ambedui
Salvar l' istessa vita, ed nsrir fuora
Del popol folto, e degli artigli sui.
Che s'era ai buon guerrieri in guisa avvolto.
Ch'ogni chiaro valor ritnan sepolto.
• XVII
Or quei, come leon, che ’ntorno cinti
Si ritruovin tra reti e cacciatori.
Ove soverchio ardir gli avea sospinti
Per lunga fame, che del bosco fuori
Bramosi trasse a nuova preda accinti.
Senza curar per lei cani o pastori,
Il gran nnmrr de' qnai cresciuto troppo
Ila il primo disegnar rrndulo zoppo,
XVIII
Tal che posto in disparte ogni altra voglia
Solo allo scampo suo volgon la mente;
E dove men la turba sì raccoglia,
Addrizzan quanto pori I' artiglio e 'I dente;
E mentre questo e quel la vita spoglia.
Con orrendo furor fra gente e gente.
Già vinto in parte il comincialo assalto.
Quanti in giro han laccinoi passan d un salto.
lix
Così il rhiaro Trislan, così Boorle,
Che troppa a forza umana trovati possa,
Già temendo de* suoi l'ultima sorte,
Poiché i nemici lor varcan la fossa,
D‘ indi ritrarre il piè cercali le porte.
Già d' ogni altro sperar la niente trotta ;
E congiunti ambedue, per altro verso
Del popol, che venia, vanno a traverso.
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L AVARO H IDE
XX
E Unti «ir Ilo stuolo a morie danno,
Che noi poma contar vore terrena,
Ma di quei piò famosi, e dì piu danno
Avrà posto Tristan sopra l'arena
L' Iberno Perislro, che quei, ehe stanno
Dentro all’ Ultonia con lo seellro a (Frena ;
Che *1 passò d‘ una pnnta, ove il palato
Sopra il Gts della lingua è riversato.
XXVII
E rosi ragionando, ratto prende
La bianca insegna sua dall’altrui mano;
E dove è il padiglione, il passo stende
Di Maligante a tutti prossima no,
Che in mruo astiede, e lui seenni rende
Quel de) buon Lanciotto, e di Tristano ;
Che qnai d‘ ardire e di virlnde amici,
Yolscr la sede aver presso ai nemici.
XXI
Dopo il qua), sopra I’ elmo Erioneo,
Che del gran Segurano era scudiero,
Con la spada percosso cader feo,
Dipartita la fronte sul sentiero;
Nè men di qnrllo il forte Lilìbeo,
Che sovra la Laginia aveva impero.
Di percossa mortai nel lato manco
Mandò in man di Pluton gelato e bianco.
xxrtti
Ivi adunque il gran re, con chiare grida
Chiamando i capitani, allo direa i
Ov'è’l primo valor, che ’n voi s'annida,
Che sprezzar suole ogni fortuna rea ì
Or nell' albergo ascoso si riGda,
E la pigrizia vii tien per Idea ?
Ove gite son or di tutti quanti
Le ventose promesse, e i falsi vanti,
XXII
Arehetlolemo poi Boorte Iroova,
Che gli vuole impedir, misero, il passo ;
Ma l’alta nobiltà nulla gli giova,
Ch* era di Segnran poco più basso ;
Che l'arme gli passò d’antica prnova,
Onde cadile il meschin di vita casso.
Passato in tutto, ove rongiunto al petto
Tiene il suo seggio il core ascoso e stretto.
XZIX
Ch’allor che fummo all’isola di Vetta,
Di Coro o d'Aqnilon chiamando il fiato,
Udiva a mensa far tenendo stretta
La man con Bacco al suo liquore amalo ?
Che minacciava ogn' uomo aspra vendetta
Sopra *1 popul d* Avarco ove arrivato
Fosse di Gallia al desiato loco,
E d' accender ivi entro eterno il foco 1
XXIV
Dopo ’l qual per sua sorte incontra Alora
Che di Momonia ricca aveva il regno,
Che ’l largo fosso trapassava allora,
E gli par d’alta gloria esser al segno;
Cosi Fortuna alla medesinT ora
D' aspra morte e d’ onore il rendeo degno;
Che gli fece ampia strada nella gola,
Onde I* alma fuggendo in alto vola.
XXX
E ehe ciasenn di voi sarebbe a renio,
Ed anco a più di quei di forza pare ?
Ma create dal vin le portò il vento,
E le spense da poi l' ondoso mare ;
Ch’ora, a qnel di’ io ne veggio, a quel ch'io sento
Del vostro dir tntto il contrario appare;
E eh’ oggi in questa misera battaglia,
Più che mille di voi V un d’ essi vaglia.
XXIV
E ’n latrando abbattendo or questo or quello
L'illustrissima coppia in dietro riede ;
E districala dallo stuol rubri lo
Corre veloce dove Arturo vede,
Che ’ntorno solo avea piccini drappello
Di quei di più valore, e di più fede ;
C he di qiiauti altri son la maggior parte
Smarrito ha per timor la forza e I* arte.
xxv
Nel core allor si rasserena alquanto,
I due reggendo, che più d* altri stima ;
K gli orchi oppressi da sdegnoso pianto,
Dice:. Or son io d' ogni miseria in rima,
Or I* empio Seguran verace il vanto
Si potrà dar, eomr già falso in prima,
Ch' ei d’ ogni dubbio sol trarria Clodasio,
E I Britannico onor porrebbe in basso.
XXVI
Ma il tempo altro chieder, che lamentarse;
Però vi prego il pondo soslegnale
Con «luesti pochi, eh' han le forze scarse,
Se dal vostro valor non sono alzate ;
Ed io men va’, dove nascose e sparse
Son I' altre nostre genti spaventate,
E seilrò eoa minarne e con preghiere
Di rispingerle fuor con le sue schiere.
XXXI
Poi con più dolci note, Maligante,
Oli' è già r«*rso al suo dir, prega e conforta:
Or non votele voi spingere avanle
Con la vostra onorata e fida •«‘orla,
Ch' a nessuna iva dietro, a molte innante.
Ed or par, eh’ a villade apra la porta?
Torni quel core in voi, eh’ io sempre vidi
Splender in tra i più arditi e ’n tra i più fidi
xxxn
E ve’n gite volando, ove Tristano,
E Boorte illustrissimo lassai,
Che mantengon di qui lo stuol lontano,
Che ne minaccia pur gli aitimi gnai ,
E seguendo Brunoro e Segurano
Fìa del nostro terreo signore ornai,
Se voi <*on gli altri duci insieme a«*colti
Non gli avete con l’arme indietro volti.
xxxm
Il medesimo da poi pregando afferma
Al nobile Abondano ed Agraveno,
E discaccia il timore, e ’l cor conferma
A Gcrilelto, Arganoro, ed a Gavvno,
E la turba, che fogge, Ira via ferma ;
E con parlar di riverenza pieno,
Senza lor danno far, senza minaccia,
Al difendersi indietro gli ricaccia,
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L AVARCHIDE
XXXIV
Direnilo : Ove (oppile, o sciocche schiere?
Non vedete voi ben sempre il periglio
Via piò prave e maggiore in quei cadere,
Che rivolgo» le «palle, dove il ciglio
Non può il vantaggi» suo presso vedere.
Nè pigliare in cammino olii consiglio ?
Nè mai I' annata man difesa trnova
Contra chi dietro a lei battaglia muova.
XXXV
Nè il loco, ove fuggite, è più sicuro
Di quel, che *n tal vergogna abbandonate ;
Ch* altro non è più in qua (òsso, nè maro,
Fuor di <jaei, che da tergo vi lassate;
Or non vi fila *1 miglior seguire Arturo,
E la fede e 1' on or, eh* ora sprezzate,
Che furando il devere a tutte insieme
Seguir chi di scampar non mostri speme ?
xxxn
L' alte e vere parole, e '1 sarro aspetto
D a un si famoso re, tale han vigore,
Che in un punto cangiò 'I pavido petto'
I dannosi pensier eh' aveva in core ;
Ferma il passo ciasruno, e giunto e stretto
Si rivolge al nemico, e cerca onore ;
E tacendo obbedisce ad ogni dure,
Ch' al lassalo cammino il riconduce.
xxxrii
Come gregge talor, cui pause tema
Di lupo, o di leon, che presso scorse.
Ch’ai fin del colle, o della piaggia estrema,
Li ’ve il rischio è maggior, semplice corse.
Ivi lassa, s'arresta e grida e trema.
Fio che '1 fido pastor ratto le porse
VI soccorso fedele, e d* orror piena
Alla maodra lassala la rimena;
xxxrui
Cosi indietro ritorna, e i cavalieri
Davanti il passo lor spronando a prova,
Più, che fossero ancor, d'animo alteri,
Che ‘1 valore smarrito, ogn' intuì rinnuova;
Ma Trislauo e Boorle ardili e feri
Li, dure con più genti si rilruova
II prode Seguran, largando il morso
Dei possenti corsicr, drizzano il corso.
xxxix
Ma perch’ era il cammin serrato intorno
Da molti altri gucrrier, che ’n giro vauno;
Senza tolto Gaccar di quelli il corno,
Non si può penetrar dov' essi stanilo ;
A chi aìlor di fuggir temea lo scorno
L'ano e l'altro di lor fa greve danno,
E tanti fa cadérne a poco a poco,
Che d'andare ove vuol se gli apre il loco.
XL
Trova Trislan fra i primi Amopaonc,
Che nell' Ebridi fredde aveva il nido,
E con un colpo in fronte a terra il pone,
Richiamando la patria in allo gridu ;
Poi nato nella islessa regione
Agenore con lui pose sul lido,
Trapassato nel cor di mortai putita,
Ch'uve il cavo è maggior veniva aggiunta.
xu
11 feroce Boorte, ch'era presso,
Ila trovalo in cammino il geeman (so,
E gli ha in cima dell' elmo il brando messo.
Che gli passa scendendo in mezzo il viso ;
Ei dall' ultimo sonno cadde oppresso,
Infili sopra le spalle in due diviso;
E Bienore seco, il pio cugino,
Pon nel fianco percosso a capo chino.
XLIt
Così va insieme la famosa coppia
Con P istesso desire, e col valore,
E l'un I* altro imitando, i colpi addoppia.
Pareggiando fra loro il largo onore;
E tanto innanzi van, che in tozza e stroppia
Del fero Seguran I* alto furore
Che come a se vicin venir la vede.
In nuova altra maniera a* suoi provvede ;
ili il
Che appellando Brunoro, e 1 suo Rossano
Ch' uccidendo i Britanni, non vau lunge.
Dice : Or dobbiamo oprar l'occhio e la mano
Poi che novellamente si congiunge
Con l'altero Boorte il gran Tristano,
E fresca schiera de' nemici giunge,
Che saran più dei uuslri, de' quai rari
Han potuto passar questi ripari.
xuv
Però fermare il passo ue conviene,
E sostener per or r impeto loro,
In fin che nuova gente per uoi viene,
E col nostro Clodia sia Palamoro,
Ch' assai fa nel bisogno, chi mantiene,
Non meu che chi 1' acquista, un bel tesoro:
Tenete i nostri saldi, e a me si lassi
Il romper di cuslor la strada e i passi.
MLY
Cosi detto, s* accinge all'atta impresa
Di contrastar ai due lutto soletto,
E sopra il buon Trislan la prima offesa
Muove col doro brando in mezzo il petto ;
E se non che fu invitta la difesa
Dell’ acciar, che '! ropria più che perfetto.
Fora in quel giorno istesso, c ’n quella puuta
All’estremo suo fin l'anima giunta;
XL VI
Ma senza altro suo danno indietro torna,
E 1’ aria accende di faville ardenti ;
Nel gran re di leon drizza le corna
L'ira avvampando, e fa stringerli i deoli;
E dove il bel ciniier la fronte adorna
Con nn groppo annodato di serpenti,
Furiando gli pon la grave spada,
E gli fa rotti andar sovra la strada.
XL VII
E col lor giù cader sostegno furo
Al fio elmo, eli' avea, che integro resta ;
Ma il mondo iutoruo di colore oscuro
Si mostra, e ’n giro gli volge» la testa;
Ma in brevissimo andar ritorna puro
Ogni turbato senso, e ’n lui si desta
11 primiero valor con tanto sdegno,
Che del pensiero uman trapassa il segno.
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XLVIII
E come aspro cinghiai, ratto s* avventa,
E con tolta soa possa in fronte il fere ;
Ma Trislan con lo scodo a* argomenta.
Che ’l destinato fin non possa avere,
E ’n quello mezzo in più d'uo luogo il lenta;
Ma. come prima ancor, le folle schiere
Quinci e quindi arrivando son ragione,
Ctr ebbe termine allor 1' alta quislione.
LV
E chiama alto Tintbreo, eh* era scudiero
Del famoso Tristano, e n guardia avea
11 sno più grave scudo, a lui leggiero,
E che nuli’ altro io guerra soslenea ;
E gli comanda poi col dolce impero,
Ch’ un sì caro al signore usar polca,
Che’l pianti nel terren tenace e fermo,
Perch* ai suo saettar ai faccia schermo.
XLIX
Nè con forza minor ritien Boorte
Di Brnooro e Rossano il corso a freno ;
E di più ultra gir ai ben le porte
Chiudendo »a, che il lor furor vien meno;
E mentre 1’ un percuote, all’ altro morte
Va minacciando e ’n guisa di baleno,
Che nell'estivo ciel la notte splende,
Si vede il brando suo, che sale e scende.
ITI
Lo sguardo appresso accortamente gira,
Ove piu incontra vien la schiera stretta ;
E ’l gnrrrier più onorato io essa mira
Di destriero, o d' arnese, o d’ arme eletta;
E ’n quell' arco spietato intento lira,
E potigli in mortai loco la saetta ;
Poi qual picciol faociul di madre al lembo,
Dello scudo fedel s’ accoglie in grembo.
L
E ’n si leve rotare intorno il gira,
E si snello e leggier muove il destriero.
Che meutre l'oa uella sua morte aspira,
Già cun l‘ altro il rivede iu alto fero ;
A quel d' aguta punta, a questo tira.
Come fa in Mongibel Piracmo altero ;
E ’n modo opra con lor, che dopo lui
l’oa più sicuri andare i guerricr sui.
LVII
Furo i primieri Argolico e Parmeno,
Ch’ egli uccidesse, e '1 nobile Sileste,
E )' un presso dell' altro sul terreno
Renderò al sno Fa t lor 1* anime meste;
Con lor Delore, Cirnio, e Lotofeno,
Nutriti traile Iberniche foreste,
Poi eoi fero Enodorn, Erisilune,
Quai cervi il caccia tor distesi pone.
LI
I quai vedendo aver si fida scorta
Di lai buon cavalirr, che innanzi vanno,
K ’ndietro un si gran re, che gli coufurla,
Già mettono in oblio 1' andato danno ;
E ciascuo nuova speme in petto porla
Di poter riversar 1* istesso affanno
Nello spietato esercito d’ A varco,
Del qual troppo da lui si se ulta carco.
LVUI
Giunge in questa il re Ariano, e quando vede
Il giovin lionel non ancor sazio,
Lieto dieta : Nè men vendetta chiede
Già dei nostri e di noi l'antico strazio;
Che d' ogni vostro beo già stata erede,
Dopo il torvi i parenti, tanto spazio,
E la torba criniti di fede incerta,
CU* assai danno maggior di questo merla.
LH
Or già spiega le forze il sacro Arturo,
E poi eh' ha iu ordin posto il grande stuolo
Sprona il forte deslrier lieto c sicuro,
E tra i primi nemici addrizza il volo ;
Aman ritruuva, eh’ ove il freddo Arturo
l’iù restriuge il sno cono al uostro Polo
Nato di chiaro sangue era in Norvegia,
Che d’ ogn' altro, clic sia, 1’ ouor dispregia.
LUI
Ah, dicea Lionel, sapete bene,
Invittissimo re, s* io soglio ancora
Con allr’arme ferir, quando conviene
Il valor dimostrar, rhe ’n noi dimora ;
Ma il popolo infinito, che ne viene.
Per ispegner con lancia, è larda T ora ;
Poi coutra gente d' ogni vizio incude
Clù vorrà ricercar fallo o vjrludc ?
LUI
E nel mezzo dal cor con 1' asta il passa
Si, che senza spirare in terra cade ;
Seguila ultra il cammino, e morto il lassa
Troppo Jonlan dall' aspre sue contrade;
Il tornato Gaven la Lucia abbassa,
E del suo sacro re segue le strade ;
Ed Anlimaco incontra, die venia
Onde stende i confai 1' Arba Russia ;
U
Ben' è vero, il buon re gli rispondea,
Che non sempre il medesmo il tempo approva,
Nè la medesma cosa è buona o rea,
Ma con la sua atagìoo cangia e rinoova;
Or che ne aggreva la fallace Dea
(.ou la rota infedel, fare ogni pruova
N' è lecito, e ’l cercar per tutto scampo
A salvarne 1' onore, e *1 nostro campo.
LI V
E per fama acquistar, con poca gente
Di Rossano il selvaggio seguia Torme;
Or sanguinoso il scn, tardo si pente
Che lassò del suo slil 1 antiche forme :
Il forte f.iouel, che vede e sente
Degli arcier lievi suoi svegliar le torme,
Poi di' è disceso a piede, c preso ha l'arco,
Ove son più nemici, elegge il varco.
-
ut
E voi, figlinol, che non aveste a sdegno
Or per pubblico ben gli strali e V arco,
Di sempiterno ooor chiamerò degno,
Nè di voi celebrar sarò mai parco;
E se ’l ciel ne darà compito il regno,
Che n' è d' intorno, e 1* espugnare A varco.
Vi farò lai, che non avrete pare
Principe alcuno o re di qna dal mare.
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LXU
Io vi ringrazio, mnile allor risponde
Con somma riverenza il giovinetto ;
Ma non Insogna aver I' esca d' altronde
Al foco»» desio, eli* io porto in petto
Di voi servire, in fin che *1 ciel m’ infonde
Dell' usata sua grazia all' intelletto,
E mentre eh' io potrò presso o lontano
Porre io opra per voi 1’ arme e la mano.
talli
E dicendo cosi, d* nn nuovo strale
Su la rigida corda pon la cucca,
Ed a Merou drizzò 'I colpo mortale,
Che gli venne a passar proprio alla bocca;
Indi «piega al cervel le pennate ale
Si ben che del destrier (lasso) trabocca,
E la lesta piegò pallido e smorto,
Come tener papavero in cbius*orlo;
LXIV
Che dalla folta pioggia nell'estate,
Quando il seme ha miglior, gravato sia ;
Era costui di tenerrlla etate.
Nato in Avarco della vaga Elia
Cara a Clodasso, e che mille fiate
Già punse il dubbio cor di gelosia
Alla sua sposa Albina, che sentiva,
Che troppo al suo parer cara veniva.
UT
Scocca nn* altra saetta, e *n mezzo il petto
Va sibilando al misero Ippodamo,
Ch’ a cader va de* suoi nel calle stretto,
Come percosso ucce! dal verde ramo:
Era esso Ibero, c nuovo duce eletto ;
Onde il pupo! di lui grave richiamo
Al ciel farea, che I* una e l'altra spooda
Par di Ini non avea, clic *1 Beli inonda.
lxti
Dopo il costui morir, Merope appella.
Ch'egli è sempre vicino, il suo scudiero,
Che gli adduca il cavallo, e monta in sella
Dicendo : Or sia chi vnol per oggi arderò,
Ch' io con altr'anne in man l empia e rubclla
Turba or voglio assalir da cavaliere,
E vegga ugn* imm, che chi di Gave nasce
D ogo arme oprare, e di virtù si pasce.
LXVII
In tai parole sprona in quella parte,
Ove il caro fra lei Boorlc scorse,
Che parca fra' nemici il Gallo Marte,
Ove irata la man più in guerra porse ;
Trnova il Gela 1 peroro, che ’n disparte
Lassando gli altri audar, sopra lui corse:
E nel petto egualmente s’ incontrare,
Ma fu 1' un colpo piu dell'altro amaro;
Lxvm
Perchè l'asta dell'altro in Ironrhi sale
Volando al ciel, senza lassare oticsa ;
Quella di Lionel fu micidiale,
Che sprezzando del ferro ogni difesa,
Passò dove il polmon con lepide ale
Maulieii 1' aura vilal nell alma accesa ;
E ‘n terra se n’ andò del mondo seiolto,
Ove fu iu seu de' suoi subito accolto.
nix
Indi col brando in man ritrova Opito
Aleandro figlinol, che ricco nacque
Del nohil Taragone al basso lito,
Ove Teli di spuma imbianca Tacque;
E «li sdegno d' amor s'era parlilo
Dalla vaga Serpilla, a Cui non piacque
D' averlo sposo ; ond' ri con aspra sorte
(Come allor ritrovò) crrcava morte
LXX
Incontra il suo german detto Soreo,
Che in ogni sua fortuna gli fu appresso,
E d’ un rolpo alla fronte in morte il feo
(Come nel viver pria) compagno d'esso;
Poi d’altra patria il rrodo Dioneo,
Che J’ Africa il terrcn teneva oppresso
D‘ Aliante al mar, di sangue Visigoto,
D’ orgoglio e di vigor fé* nodo e vóto.
t-XXI
Ma mentre esso, il fratello, e’I pio Tristano,
Mostrando allo valor, battono a trrra
Questo e quel duce illustre e rapitauo,
E fan mara vigliosa e cruda guerra ;
Palamoro, Clodino, e Dinadanu
Di qua dal largo fosso, che gli serra
In sicurtà di lor, nell altrui danno
Conducendo gran turba intorno vanno.
USUI
Si che mal far riparo si polca,
Nè sra*riar i nemici da quel lato,
Che dritto in verso A varco ri«poiu!ea,
Che tutto pienamente era occupato;
Ma il saggio Maligante, che vedrà
Di tutto il campo il periglioso stato,
Con infiniti carri utili a guerra
Attraversa il cammino, e I passo serra.
I XXIII
E mentre che Tristan, tenendo a bada,
Il furor, che venia, saldo sostiene,
A nuovo fosso che profondo vada,
Quanto a si breve tempo si conviene.
Fa, che 'I popolo armato, il qnal la «pada,
E la lancia, e lo scuilo a terra tiene,
Con gli agresti istrumeuti si raccòlga,
Si che i carri di fuori intorno cinga.
txtiv
E con studio maggior, ch'alia stagione,
Che comincia a scaldarse il buon cultore
Alla pregiata vigna i villan pone,
Per voltare il terren, che troppo umore
Duna all' erbe crudri, che son ragione,
Clie'l doler arbor di Bacco o (angue, o muore;
Che pon vedrrse al rusticano assalto
Mille zappe luceoli andare iu alto.
LXXV
E tanto era lo stuol, che *n tempo breve
Già potrà la difesa esser sicura ;
Chi la terra rompea, chi larga e greve
Gleba all' argin portar prende la cura;
Chi «lispon bene il loco, in cui si deve
Le guardie porre in guisa d’ alle mura ,
Chi le porte disegna in dotte forine.
Da spingere e rilrar de* suoi le torme.
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LXXVI
L* aerarlo Bandegamo io altra parte
Dei tubili coosigli ammaestrato.
Or a questo or a quel discopre l’arte,
Ch’ usar si deggia iu simigliante stato ;
A chi olioacce, a chi prieghi diparte,
E ti ritraeva pretto io ciascun lato ;
E per esempio dar come »' adopre,
Quinci e quindi con lor pou mano all’opre.
i.xxru
11 felice Abondan 1* is tesso face,
Nè men Lucano il bratto ed Egrevallo,
In quel modo adattando, che cooface
A chi più rappresenti argine e vallo ;
Sollecitando ognor, mentre la pace
Non può lor disturbare nomo o cavallo ;
Che ritenuto a forza era lontano
Dal valor di Boorte, e di Tristano.
LXXVIII
Blanoro e Costernante il core ardito,
Mandrino ed Ozzonelio d* Estrangorre,
Con molti cavalier, nel vicin lito
Per più lor sicurar ti vanno a porre.
Che nessun sia impiagato, o sia impedito
Da qualche leve arder, che spesso corre
Non scoperto d’ attrai fra gente e gente,
Che via miglior di lui può far dolente.
LXXlX
Così son nel passar di non lnnghe ore
Si ben di onori fossi intorno cinti,
Che di vedere ornai cessa il timore
I marziali alberghi accesi o vinti ;
Ma che i molli gnerrier, che fien dì fnore,
Dal numero minor sian risospinti;
Tal eh* al nuovo periglio sopraggiunto,
II rimedio e '1 dolor nasce in un punto.
txxx
E bene ad nopo viro, che tanto cresce
Il furor de* nemici e lo spavento
Di quei d' Arturo, che del termin esce
Chi di viltà mostrar, chi d'ardimento;
Lo sluol Franco e Britanno in un si mesce,
E nessun cura onore o reggimento
Di duce, o di Guerrier, che grida o chiama,
E per suo scampo ornai sprezza ogni fama.
LXXXI
Corre intorno Tristan, corre Boorte,
E di fargli arrestar s’ adopra in vano ;
11 vecchio re dell' Diradi, si forte,
Ch* esser può ben udito di lontano,
Dicendo va : Qual più sicura sorte
Speri trovar nel piè, che nella mano,
Popolo abbietto e vii, che non l’ accorgi,
Ch* al palese morir te stesso scorgi ?
Lxxxn
Non t’avvedi tu stolto, che fuggire
In sicuralo loco ornai non puossi,
Poi che lassato ariamo il varco aprire,
Spianare il vallo e ragguagliare i fossi ?
Ben, se rivestirem l'usato ardire,
Del qual senza cagione or sete scossi,
Di tosto rivedere ho ferma speme
Tornar gli argini, i fossi, e i valli insieme.
lxixiii
Ma poco opra il suo dir, che più che prima
Senza nulla ascoltar fngge lo stuolo ;
E *1 gran Britanno re, che pure stima.
Che più d’altro onorar deggian luì solo,
Boto dell* ira il cor dall’ aspra lima,
E di sdegno ripico, colmo di duolo.
Col deslrier suo davanle s’ attraversa,
E mordendogli, tal la rabbia versa :
Lxsxrr
Se voi fuggite sol, diletti amici,
Per secura portar con voi la vita,
Datemi oggi legato a' miei nemici,
E ha strada più aperta e più sped'la,
Che gir vi lasseran lieti e felici,
Ove il molle desio, lassi, v’ invita,
Dentro al vostro nativo e dolce loco.
Tra le vii femminelle all' ombra e al foco.
LXXXV
Ed io mi rimarrà famoso pegno
Del Gdato valor de’ miei guerrieri,
Che di Bacco e Ciprigna al lento regno
Conir' a chi sia lonlan son erodi e feri,
Ove Marte alza poi 1’ armato segno,
Al fuggirsi lontan pronti e leggieri,
E del suo itnperadore han quella cara,
Cbe *1 pasciuto rnonton di vii pastura.
LXXXV!
Le sdegnose parole, e i veri detti
D* un si onorato re di lauto nome,
Ben pungean de’ migliori i chiari petti,
Carcando i cor di vergognose some,
E dalla torba vii chiusi e ristretti
Yorriau pur ritornar, ma non san come ;
Che trasportati son da quella forza,
Qual nave eh* aquilon percuota all* orza,
LXXXVIl
Che *n ver lui quanto può drizza la prora
L’animoso nocchier, nè ceder vuole,
Che’l cammino acquistalo per lunga ora
In un momento sol perder si suole :
Ma poi eh' egli ha dalla surgente Aurora
Travagliato al corcar del lardo Sole,
Pur con vicngli al soffiar, che maggior poggia,
Contraria al suo desio Untar la poggia;
IXXXVIII
Culai fan qnelli a fili ili, che di doglia,
E d* onta, e di pietà retlan compresi
1)’ esser lordo trofeo, fugace spoglia
De’ suoi nemici sopra loro ascesi ;
Ma i pjè impediti a cosi pronta voglia
Non pun bene ubbidir, da troppi olirsi :
Cosi, mal grado suo, coi peggior vanno
All' estremo, qual sia, disnore e danno.
LXXXiX
E *n tal guisa convien, che i buon dico loco
Alla viltà dei rei, questi alla tema;
E come avesscr dietro ardeute foco,
Per più tosto fuggir, 1’ un I’ altro prema ;
Già son tutti condotti a poco a poco
De* nuovi fossi su la riva estrema
Là dove Maligante, ed altre scorte
D' entrarvi a sicurtà mostrati le porte ;
t AVARO II IDE
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Ma in questo mezzo il sol calali i rai
Dietro al Marmerò avea nell' occidente,
Tal che di speme e di litnor di guai
Già imputili ha il (ina all'ima e l’altra gente;
Onde il Britanno stimi s' allegra assai,
E/l granile oste di Avarco n* è dolente ;
Pensando, che i' ancor durasse il giorno)
Girsen polca della vittoria adorno.
ev
Il fero Segnran cedendo all’ ore,
Che ’n dietro ogni gnerrier reco »’ aeroglia
Fa intorno comandar l’alte e sonore
Trombe, e che ’l guerreggiare ornai si «doglia;
Ma poi clie’l negro ed nmido colore,
I)’ ogni luce, eh’ avea, l’aria dispoglia,
So la sinistra man lieto gli mena,
Ove irriga I’ Orati la secca arena,
CTI
Ivi sopra il cavallo, in man tenendo
La spada ancor, che non la vuol riporre,
Intorno a coi di crudo aspetto orrendo
Il Britannico sangue largo corre,
Parla a Intti : Signori, io ben comprendo,
Che ’l ciel non ha volato oggi disporre
La vittoria per noi, però eh’ e’ vuole,
Che con più onor l'abhiam nel nuovo sole.
cvti
E fia ’l nostro miglior, perchè la notte
N’ aria tolto il seguir la nostra sorte ;
Che mal ptiossi all’ oscuro aver condotte
Tali, e si grandi schiere integre a morte ;
Clic molte dei confin piu che noi dotte,
Fuggir potean per vie chiuse e distorte;
Altre, ove l' ombra più nascosa preme,
Per di nuovo assalir, mettersi insieme.
enti
Ove al primo apparir di quella luce.
Che risorgendo il sol nnova ne mostre,
Ogni buon cava litro, ed ogni duce
Rimenando a ferir la genti nostre
Con l’antico valor, clic ’n voi riluce,
Prima che tutto il ciel s' indore e mostre,
Preso il lor rampo, e messi in foga avremo.
Poi I’ altre ore tu seguirgli spenderemo.
cix
Ma per non perder tempo nell’ aurora
A rimettere in un le sparse schiere,
O per ristretto ralle trarle fimra,
E eundueerle al loco, ove si fere,
Qui la notlorna fia nostra dimora.
Là dove d’ ora in ora rivedere
Del nemìeo po trasse ogni consiglio
Senza crederlo alimi, col proprio ciglio.
TX
Or qui dunque di spessi r largì fochi
Farmi del nostro Orone il lilo adorno ;
Onde scerner poi rem per tutti i lochi
Ogni laccio, ogni insidia tesa iotorno ;
Nè ci porgano offesa i molti, o pochi,
Che nel fin sopra lor non sia lo scorno;
E potimi discoprendo anco impedire,
Se calati da noi vorran fuggire.
exi
Vada Attore l'araldo entro alla terra,
E narri al re Cloda*so i pensier nostri;
Che per quanto quest'ombra il lume atterra,
Non abbandoncrcm d* Orone i chiostri,
E ch'egli intanto a quel eh' A varco serra,
Come guardar si deve, a' suoi dimostri ;
E i vecchi e i giovine»! con somma cura
Aggian I’ albergo lor sopra le mura,
ex II
E che Palle finestre, e Campir strade
Le femmine vegghiando empian di faci,
Sì che non sian le peregrine spade
Ascose in lor da tenebre fallaci ;
E qui, dove sol nude han le contrade
I gnerrier di valor chiari segnaci,
Di preziosi vin gran copia maude,
E di mauiere assai larghe vivande.
cxiit
Attor volando gin nè mollo stette
Che già carri infiniti seenan Corine:
Già vengon di monlon le grrgge elette,
E di cornuti buoi le grasse turine;
Già ciascun lieto all* opera si mette
Dell’albergo apprestare, e nessun dorme,
Infin eli' hanno i gradili cavalieri
Adagiati e pasciuti i lur destrieri.
exiv
Già i larghissimi fochi io alto vanno,
Ch' alle nubi occupar drizzano il piede;
Tre volle mille foro, e’n ciascuno hanno
Almen trenta gnerrier mischiata sede ;
E tolti in cerchio della valle stanno
Con sì chiaro splendor, eh’ ivi si vede
Ceder al lume lur C umida notte
Con le leuebre sue fugate e rotte.
ext
Ilari di lunge sembianza al elei sereno,
Quando Delia il fratello opposta mira
Dall' atto ponto, e che di stelle pieno
Lucentissime e vaghe intorno gira;
Che l’ombre scuote, che ti truova in seno,
Coi dolci raggi che ciascuna spira ;
Onde il Colle vicin chiaro si scorge,
E 'I pastor lieto a contemplarle sorge,
ex vi
Tali eran gli alti fuochi, a cui vicina
Parte ornai del digion ristoro prende ;
Parte al lento riposo gli occhi inchina,
E C affannate membra a terra stende;
Parte ai fossi del campo t' avvieni*
E celata ascoltar I' animo intende,
Ricangiandusi, tal cb* a ciascun tocchi
II qurtare c svegliar gli spirti e gli occhi
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»33
L AVARCHIDE
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XXV
Darogli in pare poi gradite squadre
Di cavalieri ardili in compagnia.
Che 'I segniran, qual pio signore e padre,
Come fia il tuo piacer, per ogni via ;
Coi qnai potrà nell* opere leggiadre
Spender gli anni miglior, come desia.
Di lauri ornando la famosa chioma,
£ di gloria avantar la Grecia • Roma.
XXTI
E al ben d' arme ornati, e di destriero,
Che pochi incontreranno egoali a loro;
E perchè il ferro cade di leggiero
Senta sostegno aver talor dell' oro,
Da poter ben nutrirgli un anno intero
Provvedrò l'andar suo d'ampio tesoro;
Dopo il qual, se non prima, dalla spada
Di trovarne maggior Ga fatta strada.
XXTII
E se sfogar gli alteri soci disegni
Di Nettano vorrà premendo il dor*o ;
Cento ampissime navi, e cento legni
Di fortissimi remi arrisili al corso
Avrà, che in tolti i liti, e 'n tolti i regni
Il mar dentro e di fnor sia prima scorso,
Ch* alcun saldo lavoro in lor si stanche,
O de’ suoi conduttori il cibo manche.
XXVIII
Poi, perch* altra non ho conginnla e cara
Piti clic sta Lodaganta, la sorella
Di Ginevra mia sposa, unica e rara
D' ogni virtnde^e sovra ogn' altra bella;
E che per l'alto cor di se fu arara
A mille re famosi e fu rubella
Sempre Gn qui del giogo maritale,
Perché nullo a* suoi merli estima eguale ;
XXIX
Quella in dolce pregare a lui prometto
Di far cara compagna, e pia mogliera ;
E con ti larghi don, che sarà detto
Di fortuna ricchissima ed altera ;
In cui posta trovar pace c diletto,
Poi che il suo bel mattin vada alla sera,
Come in tra' nuovi germi uliva suole,
Di dolcissima cinto, e chiara prole.
XXX
Nè a tal rendergli onor viltà m* induce,
Nè quella, ov' io son or, necessitade,
Ma l'amor, eh* io gli porto, in ciò m’ è duce.
Già cominciato in lenerclla etade ;
Dal primo dì, che la superna luce
Di venirmi a trovar gli aprì le strade ;
Che ’n Ira gli altri inGniti elessi solo
Lui per pegno gratissimo e figliuolo.
xxxt
E quantunque I' al Ir' ier sì amaro sdegno
Mi percolo se il cor dei detti suoi,
E che d* odio io quel dì mostrassi segno,
Tosto il primiero amor risorse poi ;
Nè mi fora più a grado ogni gran regno,
Che ‘I vederlo tornare amico a noi.
Quanto esser mai solea ; chiaro del tutto,
Quaudo foste anco ciò sena' altro frutto.
xxxn
Or ti pensi fra voi, qnal più ti deve
A lui tosto inviar, che gli sia raro ;
Ch'assai più l’un, che l'altro in dolce e leve
Può il peso convertir greve ed amaro ;
Perehè 'I ricordo altrui, che si riceve
Come da spirto poi, fedele e chiaro
Penetra a maraviglia un core amico,
Come d’ aprii la pioggia il campo aprico.
XXXIII
Alìor dice il re Lago : O sommo onore
Col Britanno terren del mondo insieme,
Ben dich’io con ragion, che ’1 tuo splendore
Quante mai luci furo offusca e preme :
Poi eh' a quella pietà s'arrende il core,
Ch’ aver si dee delle miserie estreme
Di chi segna con lui l' istessa sorte,
E per dar vita a quel s' esponga a morte :
xxxrv
E per salate altrui da se dispoglia
Contr'a minor di se l'ira tenace;
E più tosto la tna, che di Ini doglia
Vuole, e co’ suoi minori indegna pace,
Il disegno abbattendo, e l'aspra voglia
Di arguire il cammin, eh' al senso piace :
Or per Itene adempire nn tal desio,
Mitigante è ’l migliore al parer mio;
xxxv
Ch'ultra che sovr'ngni altro ei l’ama e cole
Ha si dolce, movente, a vago il dire.
Ch'ascoltar non si pnn te sue parole
Senza al lor dimostrar pieno obbedire ;
Che, se non fossrr sordi, al maggior sole
Faria gli Aspi acquetar, le rabbie e l'ire:
E sia seco Lambego, il vecchio antico,
Che ‘1 nodri giovinetto al padre amico.
XXXVI
E potrà molto oprare in Laneilolto
Quel primo ricordar, che mai non cade,
Già dalla verga sua formato e'ndolto
A buon costumi in tenerella etade ;
E perchè dai medesmi esser prodotto,
E d' anni e di voler la paritade
Han gran forza, e ‘I seguir f istessa sorte ;
Per terzo ambasciador vorrei Boorte.
xxxvii
Così detto, ciascun, che ’ntorno siede.
L'impresa e gli orator lodaudo approva;
E i Ire duri onorali il core e 'I piede
Han pronti e mossi alla novella prova *,
E dritti vanno, ove in solinga sede
Lancilotto, e lontana si rilruova,
Sciolta quasi dall* altre, al se zzo varco,
Onde può più vìcin vedere Avarco,
xxxviu
T rovanlo, ch’era ancora a mensa asaiso
Già pervenuta a fin la parca cena,
Col fido Galealto, che diviso
Non ha mai la slagion fosca o serena ;
Cli’ erano ad ascoltar eoi pensier fiso
Il chiar Euterpo, che con dotta vena
Allo cantava ne' passali lustri
Del cortese Girone i fatti illustri.
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XXXIX
Come vr<lr apparire amici tali,
Ch’ a lotti altri in amor piò innanzi vanno
Dopo il ano Gali-alto, dice : E quali
Cagiou nuove. signor, menati v’ hanno
All'albergo di quel, che trai mortali
Vivo è sepolto in infernale affanno ?
E così ragionando, e riverente
Surge all' incontra lor lieto e ridente.
XL
Poscia fa, che Fatano un suo scudiero
Nuovi seggi a ciascun vicini apporte :
Cosi alla mensa pur ghirlanda fero
Tutti i cinque soletti e poi le porte
Fur serrate il intorno per l'impero
Di Lancilolto, e poi che d' altre scorte
Fu del tutto sgombralo il chiuso loco;
Alaliganlc i compagni guarda un poco :
xu
E ’n cortese parlar dolce gli prega,
Ch'ei vogliano a pensier la lingua si forre;
Ma 1 un e l’altro vergognando il nega,
Che braman sopra lui T incarco porre:
Ed esso al fin, eh' al lor desio si piega,
Tacendo alquanto con la mente scorre ;
Poi con voce soave, e 'n pio sembiante
Così diceva al cavaiiero errante :
XIII
Valoroso signor, quando il ciel vuole
Scorger alcun mortale al sommo onore,
Per vie luughc, aspre, c faticose suole
Tra periglio inviarlo, e tra sudore;
Tal che soveute 1' non» si lagna e duole
Clic sol discerne quanto appar di fuore,
Di quello, onde finito il sentier rio,
Grazie uc rcude poi divolo a Dio.
XLIII
Simile avvien di voi, per quel eh' appare,
Ch*a sempiterna gloria alzar procura.
Che per porri in affanni, e ’u doglie amare
Nei trapassati di stese ogni cura ;
Tal eh' ove più speraste in alto andare,
Di gravissima pietra alpestre e dura
In maniera colai v’ oppresse il volo,
Ch' al centro gio, dove aspirava al Polo.
sur
Or eoo ambe le man quindi vi tira,
E con sommo favor v' accoglie in seno,
Se vorrete, qual spero, alla nuov' ira.
Che vi trasporta ancor, por giusto freno ;
Perchè del nostro re nel core spira
Dritto voler, d’ ogui salute pieno,
D’ esservi amico ornai drillo e verace,
A ricercar da voi gradita pace.
XIV
E per questa cagione a voi ne ’nvia
Taì congiunti d' amor, come sapete,
Perché piò il cunseulir dolce vi sia,
E la credenza in noi u* aggiunga sete ;
Che 'I ragionar di lingua amica e pia
Delle dubbiose insidie altrui segrete
Puote il vero squarciar con quella fede,
Che nel caudido petto ha degna_scdc.
XLYt
E perché il mondo intenda apertamente,
Che, quantunque sia re, s' inchina a voi,
Se vorrete la man chiara e possente
In difesa spiegar di tutti noi
E la vostra animosa e fera gente.
Col fido Galealto, e gli altri suoi.
Della chiara Britannica sua insegna.
Come facea 1' altr' ieri, scorta vegna ;
XI. vi#
Che quanto ha in fino ad or tolto a Clodasso,
E quanto nel futuro avere spera,
Che non sia di Tristan, là 've piò in basso
Per distorto cammin discende T Era,
O del gran Clodoveo, che 'adombra il passo
Piò in alto alla medesima riviera,
E quanto é tra 'I Pirene, e la Garona,
A voi, come a Ggliuo), cortese dona.
XLvin
Poi di sette citili nel sno bel nido.
Onde il nome da poi vedrete in carte,
Che sien fra 1' altre di piò altero grido,
la premio al faticar vi farà parte;
F. rol bel d' Imeneo legame fido
I.ndaganle leggiadra, in cui le sparte
Virtù, Ycuer, Gionoue, e Palla aggiunge.
Di Ginevra sorella a voi conginngc.
mi
E poi cb' avrà per voi di qnesta guerra
Col favor delle stelle amico fine ;
Di qoel seme miglior, die viva in terra,
Vi darà genti nostre e peregrine.
Per acquistar quanto circonda e serra
Del gran padre Oceano ogni confine ;
O s' amerete il mar, gran legni c navi
D' armi, d' oro, e di cibo ornate e gravi.
L
Onde possiate solo, all' alto nome
Di qnanti oggi si parla, andar di sopra,
E di mille girlande ornar le chiome,
li cnì diiaro splendor lati' altro cnopra ;
Si rhc i regni abbattuti, e genti dome
Si mettano al narrar le piume in opra ;
Tal di' ai gran vostri onori aggiano invidia
L* India, i Hifci, 1' I berta, e la Nutnidia,
LI
E benché tutto ciò render dovria
Ogni aspro e duro cor soave e piano,
Non I* ho detto però credendo sia
Quel, che muova di voi 1’ alma e la mano ;
Ch’ amor solo, e pietade, e cortesia
Ponno il chiaro figliool del gran re Bano
Condurre al vendicar d' estrema sorte
Anco i u cinici tuoi con propria morte.
Llt
Senza dunque parlar d'altra mercede,
Che por sempre stimar si deve assai,
Muova l'altero cor, che aita chiede
Fer trar, chi ha speme in Ini, d estremi guai;
E che 'I gran re di Pandragone erede,
Ch* a fortuna, o timor non piegò mai,
Hipenlilo ora a voi tutto si piega,
E di voi ricovrar domanda c prega.
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LUI
Qual piò ricco trofeo, qual spoglia opima
Pai» bramare in fra noi duce onorato,
Che *1 vederti ripor di lode io cima
Dallo ittesto parlar, che I' ha sprezzalo,
E doppiato T onor, che avera in prima,
Dalla medesma man, che 1' ha furalo ?
E sentirti chiamar per ina difesa.
Da chi fatta gli «tea primiero offesa ?
Lnr
Scacciate, alto goerrier, Tira e lo sdegno,
E del re ricevete il prego amile,
Che ’1 soverchio etter duro passa il segno
Del generoso spirito e gentile,
E d* orgoglioso nome ti fa degno.
Vie più che di magnanimo e virile ;
Che come il contrattare è bel talora.
Cosi '1 non ceder mai si biauna ognora.
LV
DÌ mille alte vittorie ornato sete
Più d’altro cavalier sotto la luoa,
Ma il numero maggior comune avete
Con l'arme, coi gnerrier, con la Fortuna:
Or te voi sol voi fletto vincerete.
Nè di lor, nè d' altro: sia parte alcuna.
Vostro il consiglio sia, l’opra, e la palma,
E del divino onor 1’ eterna salma.
LVI
Fate, eh* ei corra il grido in ogni parte
Che 'n voi sia più che gemino il valore,
E te I' armata man non cede a Marte,
Non t'arrende a Minerva il saggio core;
E che la cortesia, le grazie tparte,
la qnal regno mai fu di vero amore
Verso il patrio terreno e i signor suoi,
Più, eh* altrove già mai, splendano in voi.
LVU
E prendete or del re le rare offerte.
Non per eh' un tal guerrìer l'apprezzi mollo,
Nè per che il vostro ardir vie più non merle
Ch' ha il duro giugo alla Britannia tolto ;
Ma per far de' mortai le menti certe,
Ch' avete un coiai re con pare accollo
Come fa il prerator grazia divina.
Che coi devoti doni a lei s' inchina.
Lvm
Nè vogliate soffrir, che tali amici,
Qnal vedete noi Ire, che quinci temo,
Riportiamo aspri detti agli infelici,
E compagni, e signor nel punto estremo;
Ma che sarto più che già mai felici
Per 1' oprar vostro, e ‘I rio Clodasso scemo
D' ogni tua terra e V empio Segurano
Avrà con meno ardir più lenta mano.
LIX
Qui lìnio Maligante e ’n lai parole
11 duro Lancilotlo gli rispose :
Perchè sprezzando il dir, dell' opre sole
Alto desire in me Natura pose
Voi, che sete fra noi lo speglio e I sole
Drl saggio dimostrar le altere cose.
Scusale il mio parlar semplice e greve,
S' assai sia del dever più rozzo r breve.
U
Non pensate, o famoso re di Gorre,
Che mai più per Artnro io stringa spada ;
Nè eh' io possa anco mai lo sdegno porre
Sì, ch'ai cospetto suo chiamato vada;
Onde altre fune al suo periglio sriorre.
Altra aita procacce e in altra strada
Cerchi i tuoi buon guerrir, cerchi Gaveno,
Che in largo minacciar tien gli altri a freno.
LU
Che 1* altezza del cor, la cortesia,
Ch' è compagna, al valor, come diceste.
Usar conviene, ove raccolta sia
Dall' alme chiare, e non ai buon moleste ;
A coi invidia e viltà rhingga la via
Di discernere il ben, qnal voi vedette
Avvenir d'esso a me, che l'altro giorno
Ebbi del bene oprar vergogna e scorno ;
LXIt
Ch’ or eoo prrzzo vilissimo l’ ingrato
Pensa di ristorar di terra e d* oro,
Nè si ricorda ben, eh' io sono osato
Di dare, e non di tor regni e tesoro ;
E senza suoi guerrieri, o legno armato,
D' Euro al nido lontan, d' Austro e di Coro
Non mi manca l'ardir di farmi strada
Col mio buon Galealto, e con la spada.
LXttl
Nè voglio io Lodagante, la sorella
Di Ginevra onorata, aver mogliera,
Come troppo per me leggiadra e bella.
Di virlude, d* onor, di sangue altera ;
1) altrui sia sposa, a coi benigna stella
Il cielo allumi, e non turbata e fera.
Come a me face ognor, ti di' aggia vita,
Quanl’ io bassa e ’nfelice, alla e gradila.
LXIV
E s* aleno mi dirà, che la pielale.
Ch'aver debbo di voi, m'aggiunga sprone;
Risponderò che a torto fabbricate
Del vostro mal voi stessi la cagione :
E perchè folli ornai non ritrovate
Ciascun la sua nativa regione
Più tosto, che servire ingrato ed empio.
Che si fa sol onor del vostro scempio ?
LXV
E se non fosse pur, ch'io temerci
D' esser tenuto vii da Segurano,
Snn molti giorni ornai, di' io calcherei
Altro nuovo sentier di qoì lontano;
Si che con mio dolor non adirei,
Chi di servo tornar mi prega in vano ;
E col breve poter, che saria meco,
Forse avria di me luce il mondo cieco.
LXVt
Or potete tornar, diletti frati,
E di noi riportar la ferma voglia ;
Certi d' esser da me non meno amati,
Che le sue proprie loci e '1 cor si soglia.
Restan dell' alme lor quasi privati
I tre buou cavalier, colmi di doglia.
Udendo il fer voler di Lancilotto,
Ch' avea già il suo parlar tacendo rotto.
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UVII
Ma il buon vecchio Lambego, il rollo cinto
D* amarissime lagrime direa :
Perdi ' a ai bianca etatle hi, lasso ! spinto
Il lungo viver mio Fortuna rea?
Pereh* io reggia il terren molle e dipinto
D’intorno Avarco, a cui tant* odio avea,
Del sangne dei Britanni ivi condotto
Dal scettro sperare in Lanciotto ?
LXXIV
Nè tien del suo dover più cura alcuna,
Nè degli amici ancor pietà la raoove ;
! qn.ii sospinti all' ultima fortuna
In lei drizzao la speme, e non altrove;
Guardate pur, che se lassù s* imbruna
La chiarissima grazia, che 'n voi piove,
Com’ or vi fa il maggior, tosto porria
Porvi io sorte minor, eh' al mondo sia ;
civili
Come a ragion dovea, che dai primi anni,
Cli’ abbandonaste il latte e la nutrice,
Viviana, che vi avea dagli aspri affanni
Del Lago posto all' nmida pendice,
A me vi diede ed io de’ vostri danni
Rimostrando la piaga agra e ’nfelice.
Nella memoria ancor tenera e fresca
Di vendetta al desio nodriva 1’ esca.
tur
Che la preghiera urail di Giove figlia
Le ginocchia ha rattralte, e '1 collo storto,
Gli omeri corvi, e bieche ambe le ciglia,
La fronte afflitta, c di colore smorto ;
Ma dritta, snella, e pronta a maraviglia,
Con le membra robuste, e *! guardo accorto,
Quale ancilla fcdel, per ogni calle
Sempre ha la ponizion dietro alle spalle.
MIX
E'o quei primi trastulli, eh* all* elafe,
Ch* a gran pena snodar la lingua suole.
Più dolci sono, or sopra carte ornale
Di pneril pitture, or con parole
In fanciullesco suon d’altrui cantale.
Or sotto alle verdi ombre, or sotto il sole
Rappresentava sol l'empio Clodasso,
Che '1 gran regno de’vostri ha posto in basso.
LUTI
Ma chi quella nel seno amica accoglie,
E con pietoso cor dolce P ascolta,
Del gran parente pio piega le voglie,
Ch* alla seguace sua la forza è tolta ;
Or se ’l austro pregar da voi non spoglie,
La troppa ostinazione in seno accolla.
Guardate pur, famoso mio figliuolo,
Che *1 nostro sopra voi non eaggia duolo ;
UI
Io vi mostrava ognnr Bano e Boocte
Or con forza scacciati, ed or con frode;
E rh’ei del loro esilio, r della morte, <
Non men che dei snoi beni, invido gode ;
E ’n voi dolce pietà dell' aspra sorte
Con quel favoleggiar, che dolce s'ode,
Acrendea notte e dì, fingendo poi
Morti di vostra man lui stesso c* suoi.
asxvn
E che venga poi tempo, ia cui vorreste
Al mortai nostro mal donar rimedio.
Che impossibil vi sia, poi che le meste
Genti oppresse saran nel tristo assedio;
E con rampogne allora agre c funeste
V assalirai! pietà, dolore, e tedio,
E la disprrazinn, che segue ognora
Quel, eh' a sceroere il ben troppo dimora.
1 xxi
Poscia che di dì in dì crescendo giva
L* intelletto, rhe '1 cielo e 1' uso infonde,
Con più gravi ricordi allora apriva
Quel, eh* ai cor giovinetti ancor s* asconde;
Ch* al supremo d' onor quel solo arriva.
Cui d* onesto desir 1* anima abhonde
Di vendicare i «noi, rendendo sciolto
L* almo patrio terren tra i lacci avvolto.
axxTiit
Or vogliate appagar queste mie voci,
Ond'ho per vostro ben £Ìà tante spese;
Spogliate al cor gli spinti feroci,
Che prepongoo le basse all’ alte offese ;
E nei vostri nemici aspri ed atroci
Spiegate drittamente le difese
Per quelli, a cui più sete caro assai.
Che fratelli, o iìglinoi, eh' avesser mai.
UHI
E ricercando ognor ragion novella
Ve n* empirà notte e dì la vaga mente
Si ben, che in breve andar vedeva in ella
Il medesimi, che in me, volere ardente :
Tosto poi, ch’ai montar sopra la scila.
Ed all' arme vestir fotte possente ;
Di portare altamente mi giuraste
Sempre in danno di Ini le spada e Paste.
LXXIX
E vi sovvenga ornai, che *1 cielo islesso
Nell’altrui ripentire al Cu ti piega,
E del tutto il fallir largo ha rimesso
A chi, com' or faccsam, divolo il prega ;
Prendete il largo onor, che v’è concesso,
Ch’ a via maggior dì voi talor si nega,
E i ricchi doni in segno di virtnle,
E della data a noi per voi salate.
Lxxin
Nè infiuo a questi dì giuraste in vano,
Tal gli apportaste ognor danno e disnorc,
Mentre che avea l'esercito lontano,
E paco il suo terreno avea timore ;
Or che vicina è si la vostra mano,
Ch* offendere il porria nel proprio core,
E punir mille offese in un sol giorno,
Fa sdegnosa dei suoi pigro soggiorno ;
uni
Qui P amare sue lagrime asciugando
Tacque il tenero vecchio, al qual rispose
Il duro Lancilollo : Or come e quando
Si contrario io volere in voi si pose ?
Che già ogn' altro pender lassatola bando
Chiaro mio uulritor, sol quelle cose
(.he m'erau care vi scntia gradire,
D' uno stesso col mio fermo desire ;
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AVÀRCHIDE
uni
E più non ri sovvien quante Gate
Il Britannico re biasmaste mrro,
Di superbo parlar di voglie ingrate,
E 'riverso i merli mici d' animo bieco ;
Ch’or tolta contro a me l'ira voltate,
Che in più dritta ragione avreate aeco ;
E dove eoo accasar più ai conviene,
Al mio aoverchio mal giungete pene.
untati
E con più aperto cor rispondo a voi,
Che dei promessi don nulla mi cale ;
Ch’ assai regni ed onori ho senza i aooi
Dalla Bontà inGnita ed immortale,
Mcntr' ella lasserà lo spirto in noi
Senza torgli il veder, nè troncar 1’ ale ;
Che per grazia di lei tant' allo aspira,
Che ai Lasso teaor quaggiù non mira.
uutxmt
Nè vi sembri di cor lodata altezza
L’ esser inesorabile all' offese,
Che ai più saggi parrà cruda Gerezza,
Poi eh' al chieder mercede altri discese :
Qual Ga padre già mai di tale asprezza
In chi 1' unico figlio a morte stese,
Che al Gn per umiltà, per preghi e doni
Con generoso cor non li perdoni ?
USUI
E voi, per breve suon di poche noto,
Ch' a sì famoso re dettò lo sdegno,
Delle voci pentite, e *n voi devote
Non tenete il pregar di pace «legno ;
E tale ogni ragion dal cuor vi scuote,
Che ponendo in oblio la patria e *1 regno,
I suoi cari signori, e gli altri in tolto.
Non vi cal di vedergli in morte, o in lotto.
Nè mi accresca il dulor, caro Lambego,
Il veder voi di me dolerse a torto ;
E s* olirà 1' uso mio questo vi nego,
Condannate d’ alimi l'oltraggio scorto;
Secur, che'l Ciel, come devoto il prego,
Mi scorgerà il cammino a miglior porto;
E con onta di quello il nostro stuolo
Di periglio trarrà tosto, e di duolo.
LXXXIV
E per questo sperar con lieto core
Di restar nel mio albergo disponete ;
Ch’ ornai troppo per voi son tarde l' ore,
E 'n nido peregrino altrove sete;
Maliganle e Boorte al lor signore
Porleran le risposte, o triste, o liete,
Quali ordinò Colui, che'l lutto vede,
E dov* è il suo voler n' addrizza il piede.
I.XXXV
Acconsente il buon vecchio, che disdetto
Al suo più che Ggliuol mai non farebbe ;
Ma l'illustre Boorlr, poi che in petto
Tutto il crudo parlare accollo s' ebbe,
Volto al compagno suo con fosco aspetto
Gli dice : Maliganle, se non debbe
Altra risposta farne Lancilollo,
Ritroviamo il cammin, che n’ ha condotto,
LXXXVI
Dicendo a tutto l’oste del re Arturo,
Che per l' ira d' un aol, che 'n sen ri serba,
Nega ostinatamente fermo e doro
Di scampar molli suoi da morte acerba ;
E d'espugnar di quella sede il mnro
Ch' è di tanti suoi danni alta e superba ;
E vedere il ano onor di luce casso,
Piia che la mano armar contr’ a Clodasso.
LXXXVtl
Ma pensate in fra voi, che potrà dire,
O chiarissimo erede del re Baco,
Chi vedrà in voi poter le privai' ire,
Più che 'I pubblico amor, che prega in vano;
E che ’ndarno soffriste i detti udire
Di lai due vostri amici, e d* un germano,
Che v* han sempre onorato ron quel zelo,
Che più sacro e maggior s* aspetta al cielo.
E so ben, che di me 1* antiche prove
Vi ponno assicurar, che tema alcnna
Al ragionarvi tal nulla mi mnove,
Nè il turbato voltar della Fortnna,
Ch' altra aita non vo’, che ’n ciel da Giove,
E da questa mia man sotto la luna ;
Ma l'impero del re, 1' altrui pleiade
Mi fece al venir qui trovar le alrade.
xci
Con parlar dolce Lanrilotto allora
Risponde: O mio chiarissimo germano,
Nel cni buon cor tanta virtù dimora.
Che d* ogn’ ravaliero il fa sovrano;
Ben cnnosch’io, che forse alquanto fuora
Vo' dal drillo canonia del corso umano.
Traportato dall'ira, ch'oggi è (ale,
Che a ritenerle il Cren nulla mi vale;
xat
Ma miraeoi non sia, che troppo pesa
AU’ anima gentil, che gloria brama,
Il sentirse da quello a torto offesa,
Che quel sacro immortale onora ed ama,
Prendendo contro a lei per nom difesa.
Che d' allo orgoglio sia, di bassa fama,
E acacciarse spregiando, come cosa
Inalile, vilissima, c noiosa ;
xeni
Poi mandarla a chiamar, quando lo stringe
Il bisogno maggior, che vinto giace.
Con mille alte promesse, che si Gnge
Per lei ingannar lo spirito fallare ;
Come accorta nutrice, che rispinge
Col mostrar dolci pomi a nuova pace
Fanciullo irato, cui plorar fa lunge
Della verga il dolor eh’ ancora il punge,
xciv
Or s'a grado vi sia, con Maliganle
Al Britannico re direte ch* io
Non intendo di qni mover le piante,
S' altro non disporrà nel cielo Dio,
Se pria non veggia in orrido sembiante
Assalir Segurano il pnpol mio ;
Ma eli’ allor farò si, thè a questo albergo
Vedrò quanti saran voltare il tergo.
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l’ AVÀUCHIDE
fXT
Qui pon fine al *uo dirt, e 'I pio Boorle
Pien di dolore il itn tacito rota ;
Altresì Mainante a cui la sorte
Del suo misero stool troppo è molesta ;
Poi che nou trova più, che’l riconforle
La speme, eh’ apparsa vicina e presta
D’ aver Clodasso in mano, e la sua terra,
Se ’l fero Lancilotto usciva in guerra.
Cll
E '1 medesmo, eli' io dico, anco Boorte,
Che ’l riprese e ’l biasmò, narrar porria,
Lambego no, che chiuse gli ha le porte,
E di qui ritornar tronca la via ;
Irato contr’ a lui, che l'altrui sorte
Seguiva, e non la sua, come sofìa ;
Mentre il buon vecchio uman piangea di doglia
Noi potendo ritrar dall’empia voglia.
acri
Pur chiaro quanto può fingendo il viso,
Dopo alquanto pensar dicea: Signore,
Quel supremo Motor, eh' oggi diviso
Tien dai nostri desiri il vostro core
Cou si gran duol, con altrettanto riso
Nè porria ricoogiungere io poch* ore ;
E se pur uon sari, per altra via
Quel eh' esser dee di noi fari, che sia.
cui
Qui fimo Maliganle; e '1 re famoso,
E qnanti altri ha con lui muli reslaro ;
Chi del comune onor resta pensoso.
Chi temea di sè stesso il fine amaro ;
Ma il nobile Trislan non tenne ascoso
L* Armorico valore invitto e chiaro,
E dicea : Sacro re, poi che da voi
Non manca d' acquetar gli sdegni suoi,
1CVI1
Al qual, per quello amor, eh' io gii portai
Al vostro alto valor, devoto chieggio,
Che voi tenga lontan da siniil guai,
In cui, vostra mercè, noi cinti veggio;
Yostra mercé dirò, se tristi lai
Di quei, ch'oggi il morir temono e peggio
Tanto pon muover voi col soo cordoglio,
Quanto puote Aquilone orrido scoglio.
CIV
Nè vi puote accasare il vostro «ionio,
Che troppo a danno suo foste ostinato ;
Non prendete di ciò soverchio duolo,
Che forse miglior via troverà il Fato;
E '1 soverchio pregar talora il volo
Cresce al furor d' un cavaliero irato ;
Ma serrato in se stesso, a poco a poco
Torna io cenere alfin ogni aspro foco.
XCVIII
Cosi detto, soletti fan ritorno
I due, che ivi rimase il vecchio antico
A cui gii molti servi eraoo intorno
A sgravarlo dall' arme in atto amico 5
Poi 1 dolce letticciuol gli fanno adorno
Secondo il piccioi loco in sito aprico,
Ov* ei vegua a posar le membra stanche.
Fin che’l notturno vel 1* aurora imbiauche.
CT
E non temete in van, che di Ini privi
Noi dobbiam dei nemici essere in mano;
Nè per ciò di vittoria al colmo arrivi
Il superbo Clodino e Segurano :
Mentre tanti altri duci integri e vivi
Sono ancor vosco ; e mentre che Tristano
Può la spada vibrar, regger lo scudo ;
Nou vogliate di speme essere ignudo.
scia
I tristi cavalier dall' altra parte
Con la risposta lor ratti inviati,
Dalle genti in cammin, eh’ erano sparte,
Son con sommo desire accompagnali;
Hanno speranza tutti e temon parte.
Come il più spesso fan gli sconsolati:
Ma nessun di spiar baldanza prende.
Se il lor gran re primiero non 1* intenie.
evi
Nè Ì1 ricevuto danuo dia credenza,
Che non sia il vostro esercito quel, eh' era,
Nè che i nostri avversari altra eccellenza
Aggian, nè più che pria nell’ arme fera ;
Tengasi pure in bando ta temenza,
E 1’ arme al guerreggiar ti serva intera
Con richiesto riguardo, e dentro e fuore,
di' ei non n'avvegoa mal per nostro errore*
c
Giungon poscia all' albergo, dove Arturo
Tra molli cavalier bramando siede,
Il qual del suo pensar poco securo,
Comincia a domandar, come gli vede ;
Resta ancor Lancilotto acerbo e duro 1
0 par dal vostro dir piegato cede
Dispogliando al suo cor 1' ira e Io sdegno,
Dell’ antica ragion tornare al segno ?
CVII
Ristori pur ciascun le membra ornai,
E di cibo e di vin, di’ al souno appresso
Possiamo in guardia dar gli avuti guai,
E '1 vigor rinforzar frale e dimesso,
A fin che pria che ’l sol raccenda i rai,
Sia nell’ ordine suo ciascun rimesso,
Per difender noi stessi, 0 premer quelli.
Se pur 1' occasion mostre i capelli.
Cl
Colai domanda: e'1 saggio Maliganle
Risponde : O re famoso, Lancilotto
Col pio nostro pregar non più che innante
Nel soccorso dei nostri sverno indotto,
Nè chiari don, nè le promesse tante
Del suo sdegno il cammino hanno interrotto;
Ma più 1* han fatto assai largo ed aperto,
E di sempre esser tale afferma certo :
eviti
Cosi detto, all' albergo ha mosto il piede,
E gli altri duci ancor 1' i stesso fanno,
E di Meliadnste il grande erede
Sovra ogni altro gnerrier lodando vanno;
L'altro popol minor, che seule e vede
Il suo volto e '1 parlar, 1' avuto danno
Pensa già ricovrar, si chiara luce
Di speranza nel cor Trillano adduce.
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AVARCHIDE
E con sommo desio ciascun ri Ir uova
Sotto il suo Lasso osici l' incisila cena,
Nella qual ragionando si rinooova
L’ aspra guerra morlal di sangue piena :
E n dolce sicurtà diletta e giova
In rimendirar fra lor V andata pena ;
E poi di' hanno al digiun sazie le voglie.
Giocondissimo souno in sen gli accoglie.
CANTO XV
ARGOMENTO
■•**•**►
Si consiglia la notte il re Britanno
Con Tristano , Gacen, Lago e Boorle ,
/ quai celati agl' inimici vanno
Ed uccidon di lor le prime teorie.
Seguran corre a riparare il danno
Tra le sue schiere fuggitive e smorte :
Ma già il nemico il battagliar sospende :
Questo c quel campo la nuov alba attende.
T *
11 fosco carro suo la notte avea
Dal mezzo del cammin poco disgiunto.
Quando il chiuso dolor, che '1 sen prrmea,
Il Britannico re desta in un punto ;
Scuotegli il cor la tema, e gli parca,
Quale il passalo dì, che fusse giunto
Il fero Seguran con nuova possa
Per gli argini spianar dell’ altra fossa.
ri
Del letto, in cui piace*, ratto discende,
Chi gli sembra vicin vedere il giorno;
L'antica spoglia poi, ch'appresso pende,
D’ un feroce leon si cinge intorno ;
Ponti il «appello in testa, ed in man prende
Il gemmato suo scettro, e d'oro adorno,
Però che armalo il collo, e le due braccia
Del ferro avea, che mai non spoglia o slaccia*
rii
Come del padiglion trae fuor la testa.
Il sospetto del dì subito sgombra ;
Che ‘1 Vulture cadente il manifesta,
Che del meridiano il calle ingombra ;
Volge la vista poi dubbiosa e mesta
A molli fuochi, che vinceva» I’ ombra
Di quei d' Avarco, e rhnanea dolente
Di veder si vieina, e si gran gente.
Indi tosto a chiamar manda Gaveno,
Che di tutti all’ albergo era il più presso.
Che ratto appar di meraviglia pieno.
Come del pio signore ascolta il messo.
Senza il suo manto avere, e sciolto il seno.
Che di nuovo accidente il campo oppresso
Miser teme a più d' altro ; e con ragione.
Poi che di tal miseria era cagione,
▼
E gli dice: Alto re, qnal nuova cura
Del riposo miglior coti vi priva ?
Or non sapete ben, che poco dura
Di quel la vita, che del sonno è schiva ?
Nè mai si ritrovò I’ alma natura
Mantener senza lui persona viva ;
E tendo il ben di tanti posto in voi,
Non dovreste sprezzar gli ordini suoi.
vi
Non son, disse il buon re, caro nipote.
Alti a giungerti in un l'arme e *1 riposo;
Che I* un dell* altro ogni migliore scuole,
E sospinge il compagno io loco odioso ;
E tanto più se le celesti rote
Hanno il benigno lume altrui nascoso.
Come al presente a me, che sempre ornai
Ho carco il sen di dolorosi guai.
vn
Ma d'altro è la stagion, che di tai detti ;
Però gite all* intorno e qoetamente
Trista» chiamate, e gli altri duci eletti
Che lassando gii alberghi immantenente
Vrngan senz' arme taeiti e soletti.
Non rompendo il ristoro all'altra gente.
Al loco, ove le guardie assise stanno,
Ch’ ivi attendendo lor mi troveranno.
Vili
Partesi allor Gaveno; e ’l re sovrano
Con poca compagnia s'addrhtza a piede,
Ove il re Lago sta poco lontano ;
Ma quasi agginnto alla pretoria sede
Nell’albergo entra, e ben eh' accorto e piano
Le secche arene con la pianta (lede,
Tosto sveglialo l‘ Orcado domanda.
Chi sei tu, eli* entri quinci, e dii là. manda ?
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l' A V A R C H I D e
u
Or rispondimi tosto, e ferma il passo;'
Che non viene, ov‘ io son, ehi 'I nome tace ;
Se non che resterai di vita casso
Dal mio brando fede!, che presso piace.
Risponde Arturo allora! Io son quel lasso
Britanno re, ch'aita Fortuna spiare
Gii son più fiorili, e ’n cosi acerba sorte.
Che senza suo disnor brama la morte.
SVI
Gli consente il re Lago, e cinge solo
11 brando, e picciol’ asta ha preva in mano ;
Poi perchè pur raffredda il fosco Polo,
D'aspro lupo a’ avvolge il vello estrano i
Indi vèr Malignate il primo volo
Drizzano insieme, ch’era prostimano;
Giunti all'albergo suo 1’ 0 rendo chiama:
O di Gorre gnerrier d' altera fama :
X
Quando conosce il re, sol darò ietto
Appo? piato 1' un braccio, alza la fronte.
Dicendo: O sacro Arturo in terra eletto
Per imprese onorate, altere e conte,
Chi vi scorge in tal loco, e si soletto.
Quando son più al dormir le taci pronte?
Voi sete d' adamante, il qaal non ponno
Domar fame, lassezza, sete, o suono.
xvtr
Volete voi passar nell’ ozio 1’ ore,
Che spender si dovrieno in miglior uso ?
Tosto il buon eavalier sente il romore,
E fuor del padiglion corre confisso:
Come scorge ambi due, ron unii 1 cor e
Dice : O sacrati re, troppo ro’ accuso,
di’ or mi troviate pigro e neghittoso,
Come lepretta vii nel nido ascoso.
XI
E quale alta ragion qui vi conduce.
Aliar che riposar dovreste alquanto
Per tornar poi nrlla novella luce
Più forte a vendicar de' nostri il pianto ?
Non potevate almen qnalch' altro duce
Mandar d'intorno, e voi quetare intanto?
Che '1 tutto oprar da se non si conviene,
Ma vie più il comandar, chi scettro tiene.
tati
Ma quale alta cagione a noi vi spinge ?
Forse altero pensier di nuova impresa ?
0 par che Seguran le schiere accinge
Per muover verso noi notturna offesa ?
Risponde Artoro a lai : L' alma ne stringe
Nuovo timor, che la Fortuna, intesa
Del tutto al nostro mal, non ci ritreovi
Senza ben provveder eoo danni nuovi. .
su
Ben, gli risponde Arturo, è certo e vero,
Onorato mio padre, il vostro dire ;
Ma nel tempo, qual or, contrario e fero
Fuor dell’ uso cornane è forza gire »
Né solo esercitar di re l’ impero.
Ma piegarse umilmente, ed ubbidire
Al minimo goereier, per fare strada
A chi poi dietro a Ini più lieto vada.
XIX
Cosi svegliando andiam quei cavalieri.
In cui fondate aviara nostre speranze j
E Gaven va calcando altri sentieri,
Perchè Tristano il suo venire avauze
Là, dove per guardar locò i guerrieri,
Lì fuor del vallo in più seccete stanze,
Sotto gli occhi de'qnai dell'altra torme
Ogni duce maggior fecero dorme.
xin
Mentre così dicea, già fuor del letto
Era nscito il buon vecchio, e si eingea
Di drappo porporin gli omeri e '1 petto,
Che noti molto olir* al basto gli pendea ;
Poscia in abito acconcia, ch'alto e stretto
Per 1* arme sostener pronta tenea.
Grossa pelle vestla di cerva annosa.
Ove senza impiagar l' incarco posa.
XX
Tosto ritorna allor dentro all' albergo,
E sol prende il soo scudo Maligante;
E per non s’ impedir, 1’ adatta al tergo,
Che di maglia coverto era davante ;
E col suo brando sol segnia da tergo
L' alta coppia reai, eh' andava innante ;
Nè molto così van, die ’n su le porte
Delie tende, eh’ avea, Iruovaa Boarie ;
XIV
La splendente corazza e 1' elmo fino,
Che non cedendo agli anni ancora adopra.
Però che sempre in loco a lai vicino
Veder gli vuole, e a lui pendevan sopra.
Tra la taocia e lo scudo, che Merlino
Gli fe' già fabbricar con divia' opra ;
Ma per voler del re gli lassa allora,
Perch’ altro oso chiedea la uottura' ora.
XXI
Che nell' aperto del sovra la pelle
Stese ha le membra di salvalic' orso,
Ove il tristo vapor d' umide stelle,
O di rigido giel uon cura il morso ;
D’ arme coperto ancor lucide e belle,
Per aver più spedito ogni soccorso,
Sopra lo srodo suo la fronte avea,
A cui posto vichi r elmo lucra.
zv
E gli dice : Moviam, che *1 tempo sprona
A gire, ove le guardie hanno la sede
Per ricercar s'al sonno s'abbandona
Di luro alcun, ch’alia lassezza cede;
E ’n camrain chiameremo ogni persona
Di maggior sangue, e eh’ al consiglio assiede,
Per ragionar dì noi quel ch’ai dì fia,
E del campo di là cercare spia.
XXII
Li dagli ornati legni in giro appese
Mille aste si vedesti di varia sorte.
Di piede e di cavallo atte eli' offese.
Che dell'ano e dell’altro aveva scorte;
La laocia è in mezzo, eh' a più altere imprese
Sopra il più gran destrier porta Boorte :
La qual crolla olir’ a lui nuli' altra mano,
Foor die di Lanciiolto, e di Tristano.
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xxm
Molti suoi parimente intorno «Unno
In nuli lare usanza stesi a terra,
Che ristorando il lor passalo affanno
Prendon fresco vigor per nuova guerra ;
I tre famosi re vicin gli vanno,
Nè gli scioglie il gran sonno, che gli atterra;
XXX
E che molti gnerrier d'alto ardimento,
Che *1 volsero assalir, rondasse a morte;
Per la fama del qnal chiaro talento
Di volerlo provar venne a Boorte ;
Nè di seco lattare ebbe spavento,
Fin che si ritrovò di lui più forte;
Onde il re Lago alla vellosa sede
Il franco cavalier sveglia col piede,
xxiv
Lieto dicendo a lui: Come or dormite,
O rettor famosissimo di Gave,
Mentre così vicino, e'ntorno udite
Dei nemici accampati il romor grave ?
Svegliale i sensi, e col gran re venite,
Ove a trattar d'alta materia s'àve,
Nè v* incresca il lassar le molli piume,
Da poi che '1 nuovo sol raccende il lume.
XXV
Alla percossa e al dir tutto turbato
L'onorato guerricr dal sonno sorge,
Ed al brando fedel, eh' avea dal lato.
In atto di ferir la destra porge ;
Poscia in dolce vergogna rivoltato,
Tosto che 1 re coi due compagni scorge,
Del sabito furor, qaanto più puole,
Scusando 1* error suo la colpa scuote ;
XXVI
E dicci Mi parea, che Segurano
Assalisse improvisli i nostri fossi;
Sì eh' ogn* altro soccorso era lootano,
Ond* io soletto alla difesa fossi ;
Però non sia miraeoi, se la mano.
Spaventato al chiamar, nell* arme mossi ;
Che come sempre desto, cosi io sogno
Col medesmo pcnsier l'istesso agogno.
xx VII
Ma per qnel che mi sembra, non si mostra
Del giorno anco vicin segno apparire;
Quantunque io so, che la pigrizia nostra
Mal si possa scusar, non che coprire,
Sendo gii in piè 1’ alta persona vostra.
Per far gli altri peggior del nido uscire ;
Tal che non più ne supera d’ onore.
Che poi di vigilanza e di valore.
XXVIII
Ah, risponde il re Lago, io v'assicuro
Che qualor vi vedrà sotto a tal tetto
Stellato in oro, e di cristallo paro,
Nodo in tal guisa, e ’n così dolce ietto,
Che vi perdonerà I’ eccelso Arturo,
Nòdi cor femminil v’irà sospetto;
Ed ei dolce ascoltando appella i suoi
Già desti all' arrivar dei grandi croi.
XXIX
Arma la lesta poi di duro acciaro,
Ma di quel più leggier, eh’ a piede adopre;
Poi dell' irsuto vello, eh' è il più caro
Yestimeulo, eh* ei porte, si ricuopre
D' un orso alpestre, gii stimalo al paro
D* ogni fero leone in core e in opre,
Che già i Norici monti assai lunghi anni
Tenne in aspra temenza, e 'n gravi danni ;
Ch'olirà ogni altrui credenza il pose a terra
Poi ferendolo al cor finio la guerra.
XXXI
Nè vesti mai da poi piò ricco aroese
Da quel giorno, ch'ei I’ ebbe, il qual dnges
Con lacci aurati, oode gli fa cortese
Il buon Efeo, che 'I No rico reggea ;
Poi per fare alle genti più palese
Quanto il servigio in grado si prende*,
Di mille aste gli fece olirà quei dono.
Che durissime e lunghe ivi entro sono.
xxxn
Or di si altera spoglia ricoperto
Prende lo scudo solo oltre a la spada ;
Già son venoti, dove al campo aperto
II riparo novel taglia la strada :
L'accorto Bandegam dell'arte esperto
Truovan, eh' al fosco cielo intento bada
A dar fine al lavor, cui Maligante
Avea dato principio il giorno avaute.
XXXIII
E col popolo agreste, eh* è infinito,
Di legni e di terrea ritinto ha iu torno;
Ove i carri pria fur, tutto quel lito
E di piccole torri in cerchio adorno.
In cui stia degli arder lo stuol partito
Per securo ferir 1’ avverso corno,
Che nel fosso scendendo dalle spalle
Senta di mille strali offeso il calle.
xxxiv
Quando vede il gran re, che in si poch'ore
Tal sia fatto de* suoi saldo sostegno,
Volto al buon Maligante: Il sommo onore.
Dice, accende più d’ un nel vostro reguo;
Ben di voi sa seguir l’ allo valore
li pio vostro germao, né mica indegno
D* esservi tale ; e I' opre sue leggiadre
Del nome degno il fan, ch'aveva il padre.
XXXV
In lai parole intorno a Bandegamo
Con amoruso cor le braccia stende ;
Ed egli allora : Ogni fatica chiamo
Ben locata, signor, che ’n voi si spende,
Poi che'l prezzo maggior, ch’ai mondo bramo
La vostra alla mercede, a noi si rende}
Ornandone voi qui di tante lode,
Onde un' alma gentil più d' altro gode.
xxxvi
Poscia i fossi varcando, ha ritrovalo
Il famoso Trislan, che in cerchio gira,
Se le guardie ben son nel dritto lato,
E secondo il dover s'ascolta e mira;
E ch’accasando l'un, l'altro ha lodalo,
E sopra i pcccator versata l'ira;
Che quanti può veder, che’l sonno coopra,
Ch' ei non si deslin mai, col brando adupra.
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xxxvn
Quando scorce il gran re, che'l pio Tristano,
Che tanto a* affannò l'andato giorno,
Area senza posar gli oechi, e la mano,
Al duro faticar fatto ritorno ;
Comincia : O cavalier di sovrumano
Senno, amore, e valore, e forza adorno,
Ovunque io fermi il passo, ovunque io vada,
Vi ritroovo d' onor calcar la strada.
XXXVIII
Qnai parole potrei, quali opre usare,
Per lodare e pregiar lai merli a pieno ?
Che converrebbe in voi tutti spiegare
1 tesori e gli onor, ch'ha Giove in seno;
E poi eh' altro per nom non si può fare,
Accettate il borni cor di desio pieno
Di non esservi ingrato, e porvi in parte,
Ch* a voi fossero eguali Apollo e Alarle.
Segue il saggio parlar con dolce amore
11 sacro re dell' Orcadi, e gli dice:
Veramente il fidar si gran valore
All' orror tenebroso si disdice.
Quando ne mostra il di luce maggiore,
E piò ralloma il sol questa pendice,
E che *1 mezzo eammin fra noi ricopre,
Spiegar sol di Tristan si devon 1* opre.
XLV
Vero i, che a gran ragion fatto saria
Per le cagion, eh' ci disse, e per avere
Dei consigli nemici alcuna spia,
Del modo e del eammin, ch'hanno a tenere;
Se di espugnarne ancor cerchcran via,
O di cosi l'assedio mantenere.
Ristringendo di noi te forze e '1 corso,
Fin ch'egli aggiano altronde altro soccorso.
Gli risponde Tristan : Noli* altro voglio,
Sagra tissimo re, eh* esservi caro,
E servirvi ad ognor non men ch'io soglio,
Di coi piò che di viver sono avsro ;
Ma dei mio non poter troppo mi doglio
Trarvi in un pnnto dell* assedio amaro,
E che *1 giusto bramare al fin non regna
Di portar sovra ogo’ uom la vostra insegna.
xt
Or io per ragionar di qnel che preme
Più nell* ora presente, loderei,
Per più aperto mostrar, che non si teme.
Nè vogliam soggiacere ai casi rei,
Ch' io solo andassi, o con un altro insieme,
In poca compagnia d’ alcun de* miei,
Assalire i nemici alla fotc' ombra,
Or che '1 sonno tra ’1 vin gli lega e ’ngotnbra.
Ma deve io tale affare essere eletto
Chi non fosse fra noi di si gran danno,
Di piè snello e leggier, di forte petto
Da soffrir senza pena il mollo affanno,
Di core allo e sicuro, che'l sospetto
E 'I timor di morir sovente fanno
Cose apparire altrui mostrose e fere,
Men che oscuri fantasmi, o sogni vere.
XLTII
Al ragionar del vecchio, Valigante,
Che di quanto ei disegna, era fornito,
Il passo sciolto aveva, il corpo aitaote.
Fermo e saggio il pensiero, il core ardito.
Esperto del eammin, che ’ndietro e innante
Mille volle ha calcalo il proprio lilo,
Dire: A quanto raccoglio, io son quell'io,
Ch* a tale opra compir sarà il men rio,
E di lor penserei si larga palma
Ben tosto riportar, che quasi fora
Dei ricevuti danni egual la salma,
Ch* or di peso maggior fra noi dimora ;
Che di gente infinita sana l' alma
Dalle indomite membra uscita fuora,
E le schiere svegliale in fnga messe,
Pria che d’ arme il romor sonalo avesse.
Citò qnando pur di me fortuna avversa
Il già mai ritornar contenda a voi,
Sopra me solo il danno si riversa
Che multi altri ri sono eguali a noi,
E la schiera, eh' io meno, sia conversa
In seguir Baodegamo, e gli altri suoi ;
E congiunta con lui, concorde sia
Di Cicestra la gente, e dì Rossia.
Il Britannico re con lieto volto
Risponde : E chi potria sì chiara impresa,
Se non con alto dire onorar molto,
Come d‘ in. ilio cor, qual è discesa?
Ma in noltnrni perigli udire involto
Ogni sostegno mio, troppo mi pesa,
rrrch'ogui altro soccorso avvia per vano,
Se mi furasse il Fato il mio Tristano.
E s* io non porto a quei danno e disnore.
Ed a voi qui di lor novelle certe.
Sia teuuto oscurato il nostro onore,
E le parole mìe menzocue aperte :
Il vero è ben che’n solitario orrore,
E per vie perigliose avvolte e'ncerle
Non porria lungo far, nè chiaro il volo
Come faria roestier, chi fosse solo.
Però per quello amor che mi mostrate,
E che col raro oprare aperto veggio,
Che 1’ ardente vostr animo tempriate,
Ove l'uopo è minore, in grazia dileggio;
E che tal alma iu rischio riserviate,
Ove il nostro morir si mostri, o peggio;
Nè si creda alla notte, e gli error suoi
Quello iurilto guerricr, che sete voi.
Però, t* a voi parrà, qnalch' altro meco
Di quei, che più vorran, vegna all'impresa,
t he sia in vece di scorta all’ andar cicco,
E nell’arme adoprar salda difesa.
Poi il ragionare, e’I consigliarsi seco,
O nel ritrarre il piede, o in fare offesa,
Mentre ch'aiata l'un, l'altro conforta,
La vittoria o lo scampo spesso apporta.
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AVARO H IDE
u .
Mentre con liete voci Arturo appratirà ,
C 1' offerta onorata in grado prende,
Giunta è già con Gaven la schiera nuova
Di molti cavalier, che questo iulende:
E ciaacnn de' miglior ai inette in pruova
D* esser esso il compagno, e in esso spende
Larghe preghiere al re con caro affetto.
In cosi degua impresa esser eletto.
triti
Fu da danni n. com' ottimo, il consiglio,
Ma più dal re Britannico lodato,
Ch* a lui rispose eoo allegro ciglio :
Non lia '1 vostro disegno indarno nato.
Sol che mi promettiate al gran periglio.
Dal geueroso cor troppo invitato,
Di non scorrer nn passo più lontano
Di quel, che detto aviam, caro Tristano.
Ut
Fu Boorte il primicr, poscia Gaveuo,
11 buon Neslor di Gave e Lionello,
11 cavalier Norpallo, il pio Baveoo,
Eretto, Gargantino, e Florio, quello,
Che del tosco Arno suo già nato in sesso,
Del Gotico furor fatto ruhello.
Per così lungo mar co' suoi venuto
Del Brilanuico stuolo era io aiuto.
US
Cosà con poca luce, che mostrasse.
Fot dei nomi di quei descritte carte.
Ch'entro al fondo d'nn elmo scorse e basse.
Come a guardia fedel, diedero a Marte ;
Ed una ad una poi mischiando trasse
Il buon re Lago, e le leggeva parte ;
E la prima a venir dell* altre tante
Fu con favor cumuli di Maligaute.
lui
Nè men vuol Gossemante il core ardilo,
Come Lucano il Bruto, ed Agre vallo;
Ivano, cd Aboodan di voglia unito
11 medesmo domanda e Persevallo ;
Cosi quindici son, che sovra il litn,
Ove le gnardie slan di fuori al vali»,
Cercan con ogni sforzo, e in ogui via
D" esser di Maligante compagnia.
ut
Fu di Norgalle appresso il cavaliero
Indi Fiorio il Toscano, e poscia Eretto,
Con Gossemante il core ardilo e fero,
Indi vien Lionello il giovinetto
A far dei sette il bel numero intero.
Fu da Fortuna Persevallo eletto:
Ora ha d' essi ciascun sì lieto il core.
Come quei, che restar preaica dolore.
LIV
Quando il saggio Trislan la lite vede,
Della quale ri medesmo era inventore ;
Di dar ordine al tutto al suo re chiede.
Ed egli il consenti» con lieto core;
Ond' ei: Poi che l'andar non mi si cede,
Ov’io sperai trovar supremo onore,
Contento sto, che indegno è il cavaliero,
Che non vuole ubbidir, d'avere impero.
ut
Ogn’oom dei venti suoi lo stuolo adduce
Con quell' arme più oscure, die si trnove;
Ogni piuma, ogni arnese, che riluce.
Dando in guardia al vicin, da se rimuove:
11 giovin Lionel, che o' era duce
Ha seco tutti arder di antiche pruove ;
Il cavalier Norgallo, che ’l seguia,
Ha di fortissime aste compagnia.
I.T
Io vi ronsiglierri, che Maligante
Con sei di quei guerrier, che voglion gire.
Con venti poi ciascun gissero avante
L empie schiere nemiche ad assalire ;
Pochi andasser primieri che '1 restante
In parte ascoso, ove potesse udire
Ben del tutto avvisato, e stretto stesse,
A rispinger da' suoi chi gli premesse.
LUI
Il medesmo àve Eretto c poi gli altri hanno
Con gli scudi leggier pungenti spade.
Per poter più schifare, e portar danno
Senza grau faticar per lunghe strade ;
Già dal campo partili ascosi vanno.
Ore son più intricate le contrade;
Ma Liouel con l' arco, e Maligante
Con lo scudo c col braado ivano avante.
ivi
Ed io con cinque insegne poi de' miei
Non di mollo lonlan sarei da' fossi,
E l'inchinate schiere sosterrei
Di quei dal loro lor per forza mossi ;
Poi la Fortuna chiara seguirei,
Se da lei favorito in parte fossi ;
Nè saria da sprezzar, perchè sovente
Vincitrice vid io la minor gente.
Utili
Già il franco Lionel da presso scorge
Un, che ascoso intendea, di quei d' Avarco;
Fa fermar Maligante e innanzi porge
Sì come presti avea, lo strale e 1' arco
Scocca verso il meschin, che non $' accorge,
E che pensa secar tenere 11 varco ;
Sopra ambe due le ciglia in fronte il prese
Tal che senza rumor morto si stese.
LVII
Or prrcbè troppi son qnei cavalieri,
Cui del novello onore ha punti sprone,
E dell' oste, e di voi sostegni interi,
Di tutti in»ieme andar non è ragione ;
Ma però die di sdegno ai petti alteri
Porria l'elezion donar ragione.
Da poi eh' esser non può se non perfetta,
Di fortuna all' arbitrio si rimetta.
tur
Or par loro ai disegni aperto il passo, •
Che d’indi olirà seguir non sia disdetto,
Van con l'orecchio a terra, or alto, or basso.
Nè di sentire alcun prendon sospetto ;
Si eh' ove era colui di vita casso
Lastan l'altro drappel venir ristretto;
Cui dicon, eli' ivi ascoso e cheto attenda.
Fin che in alto gridar dtiamarse intenda.
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L AVARO II IDE
IX»
E lattati, di’ a Fenice e Tratìmede
I miglior due guerrieri, e di più ardire,
Tulli quegli altri, ove il bisogno chiede,
Come a lor duci debbano ubbidire;
E i tette poscia in mi muovono U piede,
Ove «peran trovar cieca dormire
Di quei di Seguran la maggior parte,
Tra 1' arenose rive intorno sparte.
LXXII
Ivi il lassa tremante su la terra,
E qnal fero leon, fra gli altri spinge
Il crudel ferro, e lì medesmo atterra
Tepulto il fero, che dormir si finge,
Perché de' suoi virin la cruda guerra
D'infinito timor l’alma gli stringe,
Nè d’ indi rifuggir vede la via,
Che non sia dal nemico oppresso pria.
tXVI
Qtiai sette lupi van, che dalla fame
Per più dì molestati etron del bosco ;
Ch' ove più delle mandrc odor gli rliiamc,
Drizzano il fero corto all* aer fosco ;
Le qtiai rilrovin miserelle e grame,
Ove il cane è indormito e ’l pastor losco,
Si che molte hanno uccise della greggia,
Pria clic senta il mastino o’I guardia» reggia.
(.XXIlt
Così tacito sta, ma non gli vale,
Che’l feroce Toscan sopra la testa,
Che bassa tien, gli dà colpo mortale
Tal, che degli altri tre compagno resta ;
E Maligante intanto gli altri assale,
Che dei morti primier sono alta testa
E fa, che *1 crudo Arpin, che ascoso dorme,
Nel tartareo terreno stampi 1' orme.
LXVII
Tai gingnemlo rostor sul lato manco,
Ove al fiume lontan più sorge il colle,
Il fer gotico stool fero no al fianco,
E fan del sangue suo 1* arena molle ;
Che la sera assetato, afflitto, e stanco.
Di vivande e di vin si ben satolle
Avea lieto in Ira se Pavide voglie,
Che dal sonno al romor non si discioglie.
r.xxtv
Nè indietro si riman 1’ altero Eretto,
Clic *1 ricchissimo Arnaldo spinge a morte;
Che gli mise la spada in mezzo il petto,
Onde 1* alma al fuggir trovò le porle :
Era cosini nnovo signore eletto,
Ove il Partenopeo con dora sorte
Era d’ ogni sno bene, e d’ oomin voto
Dal rabbioso furor dell’ Ostrogoto.
t XVIII
Il primiero a ferir fu Lionello,
Che pon lo sleale al Gcpido Atcalese
Dietro alla fronte, e penetra il cervello
Sì, che dolce sognando a Pluto «rese ;
Il qual, se beo soli' altro paralcllo
Nato era lunge al gotico parse.
Pur sotto il f eroe* Iba si conduce,
Cli’ all* uno e l* altro popolo era dure.
LXXV
Il nobil Costernante core ardilo,
Che l‘ imparo Circoli trova riverso,
Con un colpo al destr’ occhio sovra il Ilio
Di sangne il lassa, e d* atro vino asperso ;
E’I chiaro Persevallo avea ferito
Drntru al cavo del cor, proprio a traverso ,
Sagonlo il biondo, di Serali figliuolo,
Che d’appellarsi re sostenne solo;
r.xix
11 cavalier Norgallo appresso viene,
E con 1’ asta pnngente uccide Aroco
Del sangue Goto, il qual sopra 1* arene
Il notturno rigor temprava al foro.
Trapassò '1 tutto, ove alle spalle avviene
In fin della corazza, che si poro
Al gran colpo mortai gli porge aita,
Che col suo contrastar perde la vita.
txxvi
E nel mezzo di servi, e il’ altri intorno
Di serici tappeti il letto avea.
Condotto ivi d' A varrò e *n ghisa adorno,
Che non mcn delle fiamme rilucea ;
Ma il chiaro cavalier per suo più scoruo
Il sostegno con Ini seco traea ;
Poi Torante, il suo amiro, a lui vicino
Pose in fronte percorso a capo chino.
IXX
Il buon Fiorio Toscan, tosto che ’n tende,
Che questo era lo sluol, eh’ egli odia tanto ;
E che '1 bel nido suo rapisce e'ncende,
E I tien sepolto in miserabil pianto;
Più spietato che mai, sovr* esso stende
Il fortissimo brando, e Irtiova Alanlo,
Che di Teodorico era nipote,
E eh’ hanno in sommo onor le genti Gote ;
Ut XVII
Ma dei danni il rumor per tutto è scorso,
Mentre i sette ponean le genti al fine ,
E 1' abbattuto sluol rhiama soccorso
Dalle genti eli' a loro cran vicine;
Si che già largo numero era corso
Delle lor proprie schiere c peregrine ;
Ma mentre appcllan quei, questi altri v attuo,
I buon sette gucrrier gran prove fauuo.
IX XI
E dietro al destro orecchio entra la punta,
Ove surge durissimo quell’ osso,
11 qual d’ ogni furor la forza spunta,
Da qual colpo maggior vegna percosso;
Ma come in lui vibrando é sovra giunta,
Noi potendo del loco avere smosso,
Va nel cavo vicino, ed olirà vola,
Ove il collo è interralo con la gola.
IX XVIII
L’altero Seguran, che d’ alito lato
Il suo seggio da quei letica lontano,
Clodia con molta genie avea mandato
A ’n tender se ’l romor sia certo o vano ;
Ma poi, che per più voci ha il ver trovai»,
Che dal barbaro popolo inumano
In sonno, in tema, in trnehre ravvolto
Coli duro lamentar cresciuto e mollo ;
>7
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^ L AVARCHIDE
uxu
Lassando ivi per lui Brunoro il Nero,
Con poca compagnia fra Goti arriva,
E ritroova assai genie sul sentiero,
Gli e del lutto era morta, o mezza viva;
Guarda le piaghe, e ben di colpo fero,
E di man, che non sia di forza priva,
Srnihrangli in vista e la credenza prima
Di Tristano c Boorlc opra le stima.
I.XXXVI
Ove senza apparir tacili stanno,
Lassando avvicinar chi gli seguia .
1 quai sciolti di tema, e sparsi vanno.
Come gli conducea 1* oscura via ;
Nè posson discovrir 1* ordito danno,
Ch' ultra la notte o«cnra gli impedia
La luce e ’l loco, clic si lassan dietro,
Che facea lor parer 1’ aer più tetro.
I.XXX
Allor con più desio domanda intorno,
Ove sien giti nuci, che gli hanno ancisi ;
E trnova, che n brevissimo soggiorno
Ilan dell* anime sue questi divisi,
E che poco lontan lento ritorno
Senza trmrnza fan d* esser conquisi;
Onde irato l'iberno alla vendetta
Pur con pochi de' snoi di gir s* affretta.
LXXXVII
Con alle grida allor, con voci orrende
Di trombe, e militari altri instrnmenti.
Il nascoso drappello il corso stende
Con varie aspre maniere di spaventi;
E ’n nn tempo medesimo gli offende
Con gli strai, che su gli archi erano intenti;
Che ben clic venti sien, mille sembrare».
Poi tra 1* aste gli scudi a paro a paro.
LXXXI
Nè mollo innanzi va, che gli ritrova,
Tome sette leon ristretti insieme,
Glie dopo allo predar, di gente nuova
Srnton venire stuol, che 'nlorao preme ;
Gli’ or si mettono io fuga, or fanno prova
Di rivolgersi a quel, che men gli teme ;
E rhi trnovin dagli altri esser disgiunto,
Dall’artiglio, o dal dente è morso o punto.
LXXXVItl
Non fu core in tra quei di tanto ardire,
Ch' all' improviso assalto non tremasse ;
Chi scampa il primo urtar, vorria fuggire.
Se ’l senlier bene aperto ritrovasse ;
Ma da quei, che son gli ultimi a venire,
A cui tardo il romor da lunge trasse,
Ilan ingombrala si la dritta strada.
Che rilengon ogni uom, che ’udiclro vada.
LVXZII
L* accorto Lionello ad ogni passo
Scocca dell’ arco tuo novello strale ;
Questo in fronte ferisce, e quel più basso,
Ghi riman morto, e chi seguir non vale;
Il cavalier Norgallo avvinto o lasso
Non mostra il suo valor, ma di mortale
Colpo in chi più nel corso gli era presso
La pungente atta sua nasconde spesso.
UUXil
Ivi i sette buon duci, che primieri,
E gli altri confortando son rivolti,
Qncl clic di damme fan pardi c cervieri,
Facean de’ mi serrili in fuga volti;
Son già d* essi ripien tutti i sentieri.
Che tra ’l sangue e Tamia erano avvolti;
E si folla di lor la turba cade.
Ch'agli stessi uccisor facca pleiade.
(.XXXIII
Fiorio, dovunque senta o grido, o voce,
Che’l gotico seriuon parlando spiega,
Cou la spada si addr>zza aspro c feroce,
E dal preso sentiero indietro il piega ;
E tanto lieto è più, quanto più nuoce
All' odiato drappello: e ‘1 citi riprega,
Che la possanza egual doni alle voglie,
Perchè dal seme rio la terra spoglie.
xc
Solo il nemica Fiorio, a cui rimembra
Del flagri ricevuto sopra T Arno,
D' affamalo leon più crudo sembra,
E ’l pianger e ’l pregar si getta iudarno ;
Quell' ucciso riman, quel cou le membra
In più parti impiagate, esangue e scarno ;
Quel pensando fuggir, dal proprio piede.
Che ’n soccorso venia, premer si vede.
I.XXXIV
Nè men fa il chiaro Eretto e Governante,
Che ritirando il piè n nccidon molli,
E se non fosse il saggio Maligante,
Da' nemici alla fine erano avvolti.
Perchè perdono il tempo, e gli altri innante
Corrono al vendicare insieme accolli ;
Ma quegli alto gridando dice : Ornai
Aggiam, cari signori, oprato assai :
XCI
Ed ei quanti di lor più sceme a terra.
Di tanti uccider più t' arma le voglie,
Avria bramato solo in quella guerra
Di quanti uacqucr mai T ultime spoglie ;
Ma il numero de' morti il passo serra,
E di più ultra gir la strada toglie ;
E già il fero Clodino c Segurauo
In aita de’ gnli arman la mauo.
I.XXX V •
Or è il tempo di cedere a chi viene,
E sicuri tornare a miglior seggio,
O del nostro fallir pagar le pene
Ci apparecchiamo al grave stuol, ch'io veggio;
Obbeditegli agui uom, come conviene
A chi nulla Ita sperauza, c teme peggio ;
E ciascuu rifuggendo il corso stende
Vrrso la schiera lor, clic dietro attende;
XCII
E con forze maggiori han penetralo
Fcr mezzo al lin del fuggitivo stuolo;
Ma il saggio Maligante «l’altro lato
A’ compagni gridando aflrena il volo ;
Al suo impero ciascuno è ritornato,
Ma in tra folti nemici Florio solo
Tratto dal gran desio s' è tanto spinto.
Clic si scorge da quelli iu giro ciuto.
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^36i^| l’ A V a U C 11 I D E
xeni
Ma qual loro selvaggio, clic ti Irove
Da cani, e da pattar chiuso ì! sentiero.
Che ’n torno guarda, e non può secrner dove
Sia lo scampo di Ini scettro e 'nitro ;
Che disperato al fin ratto si muove,
E ’n orrendo muggire, e ’n vista frro,
Con la cornuta fronte armata e bassa
Riservando e ferendo a forza passa ;
c
Perchè prima conviengli con la spada
Salvare i suoi dal subito periglio,
E d* opporsi al ferir mostrar la strada,
Po! di ritrarre il piè trovar consiglio ;
E mentre a qnesto e quel fra l’ ombre bada,
Sente il ferro Britannico vermiglio
Or del gotico sangue, or dell’ Iberno,
E molte alme di lor poste all' inferno.
xnv
Tale il famoso Fiorio, che si sente
A dietro richiamare, e vede intorno,
Che dalla nuova e prima affina gente
Senza speme impedito ave il ritorna ;
Congiunto il braudo al suo snido possente
Con furioso orlar fiaccata ha il corno,
Che di dietro il ringea, si ben, che a viva
Forza, ove gli altri suoi, correudo arriva.
CI
Onde in suo cor rabbioso si lamenta
D’ esser, come guerricr semplice, incorso
Nelle notturne insidie e quasi spenta
Si stima ogni sua storia al primo corso ;
Or all’ alto furore il freno allenta.
Or con miglior pentier ritiene il morso ;
E perchè di Tristano udito ha il nome,
Scarca in lui di furor le gravi some,
xcv
Indi con Mitigatile addrizza il passo,
E rosi quanti son, 1* ordin tenendo
Verso il rampo e riascnn ron 1* arme basso
Va T impeto nemico sostenendo ;
L’altero Segnrano il popnl lasso,
E ripien di tiinor va sospingendo ;
Poi minacciando ai sette alta ruiua,
Con l'animosa schiera s'avvicina.
Cll
Dicendo: F. chi v’apprese, 0 in quali scuole,
Alto re dell’ Armorico Leone,
Di ricovrar 1' onor perduto al sole,
Nella più oscura ed orrida stagione ?
Qual la tìmida volpe, 0 il lupo suole.
Che negli inganni suoi la speme pone :
La notturna vittoria ai buoni è scorno
Vie più eh’ esser oppressi al chiaro gioruo.
XCVI
E larghissimo danno fallo avria
Se *1 famoso Trislan col pio Boorle,
Che per compagno suo chiamato avia
A passar seco la medesma sorte,
Con cinque sole insegne in compagnia
Non presentava a* suoi fedeli scorte,
Che '0 cosi orribil suon la schiera mosse,
Che la valle d’ Oron 1* arene srosse.
cui
Non risponde Trislan, eh' ad altro intende
Ma il saggio Maligante gli dieia :
Dell' ottimo guerrier la gloria splende
Sempre in ogni fortuna 0 buona 0 ria ;
E quando ascoso è il di, quando risplcnde,
E di terra e di mar per ogni via,
Per ogni occasion, che '1 ciel gli scuopra,
Con generoso cor poo 1’ arme in opra.
xeni
Maligante, e i compagni han già la fronte
Con piò animoso cor che mai rivolta ;
Ma il saggio Segnran, che viene a fronte,
Come l'impeto e '! grido presso ascolta.
Ben s’ acrnrg’ ei, che più dannaggio ed onte,
Che mai d'altra stagione, a questa volta
Riporterà, •* al subito periglio
Or non più che la mano use il consiglio.
CIV
Ma voi, quale al villan, qnale al pasture,
Vorreste ai cavalier dar rozza forma.
Che poi di’ aggia al gran di sudate 1’ ore,
Neghittoso la notte queti e dorma ;
Nè consentir vorreste, che ’l valore
Già mai di travagliar non lasse l'orma;
E ch‘ al chiaro, all' oscuro, al caldo, al gelo
Aggia di faticar lodato zelo.
xcvin
E richiamando i suoi 1' andar raffrena,
E di scudi miglior la testa addoppia,
Quegli scegliendo, eh' han vigore e lena,
Che cui vivace ardir nel cor s'accoppia ;
Ma già come d* aprii, quando balena,
Che dopo il lampeggiare il tanno scoppia,
Così dopo il mostrar chiaro splendore,
Vico dal lucente ferro alto rumore.
cv
E cosi ragionando il re di Gorre
Non però di ferir per questo lassa,
Ma quinci, ov'è’l bisogno, e quindi acrorre,
E sospingendo i suoi più impinzi passai
Ma il feroce Trislan per tutto scorre,
E di lui fiammeggiando or alla, or bassa
Accendeva le tenebre la spada,
E del saugue nemico empie* la strada.
xctx
Che quaì feri leoni, innanzi vanno
Prrcolendo ì nemici il buon Tristano,
E '1 pio Boorte, e si beu giunti stanno,
Che sempre pari il pii segue e la mano ;
Ed han fatto fra lor non piccini danno,
Pria che ben possa il saggio Seguraoo,
L' occhio fisso tenendo in ogni loco,
Spegner, come vorria, l’ acceso foco.
evi
Uccise il forte ILeruo Pilarteoo,
Clic del suo Segurano era cognato,
E 'i fa morendo mordere il terreno
Con percossa fatai nel fianco lato;
Fa il medesrao ad Erteo, di’ al freddo seno
Delle tenebrose Ebridi era nato;
Poi Meganippo, Omeado, e Limoro,
Cb* ebber patria con lor l’ istesso loco.
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;
L AVARO II IDE
Nè tncn di lai fa il giovine di Gave,
Ch* a quel sempre vicin percuote e fere ;
Leocrito 1' Ispan d* un colpo prave.
Onde il capo ha diviso, fa cadere ;
ludi il fero Leteo, che nulla pavé,
E ’l primo appar fra le Sasionic schiere,
Fa, che per aspra piaga della gola
All' onde di Caron lo spirto vola.
eviti
Così Mentalo, Asloro, Echedo, e Boro
Della progenie Usvalla a morte spinge;
Ma più d' altro spielato entra fra loro
Florio, e di Goto sangue si dipinge ;
Nè Lionello il primo tuo lavoro
Ha posto in ozio, o d' impiagar »’ infìnge
Ogn’uum, che ’nlorno appar, con rigid'arco,
Come suol cacciatore i cervi al varco.
Ma il saggio Srguran, cui sol non preme
Il presente suo mal, che pure è molto,
Ma più dell 1 avvenir nell’alma lente,
Che non sia li l'esercito raccolto,
Per venir a trovarlo lutilo insieme,
E l'acquistato lauro gli sia tolto;
Tutti chiamando i suoi, con lento piede
Tra le teuebre ascoso agli altri cede.
ex
E l’accorto Tristano e Naliganle,
Che non vnglion tentar I* ultima sorte,
E rh'han giusto sospetto di' altrettante,
0 più di Seguran giungano scorte,
Con alto richiamar fra quei davaote
Fanno indietro tornar Fiorio e Bnorlr ;
1 quai, come gucrrier di chiara luce,
Si fanno obbedienti a chi conduce.
Ma nel suo ritirar, Fiorio avea preso
Sanzio, il nobile Iberno, prigioniero;
E I porta seco senza averlo offeso,
Come piccini agnel suol lupo fero.
Perdi* ei possa ridir quanto ave inteso,
Clie’l granile oste d’Avarco aggia in pensiero;
Poi temendo il suo cor I' avversa parte,
Già l’uno e l’altro esercito si parte.
cxu
Ma quei di Seguran tristi e dolenti
Dei compagni, eh’ avean, rimasi in terra ;
I Britanni, e i vicin lieti e ridenti.
Cinti d* onor della notturna guerra ;
Passano il vallo poi, die l’ altre gcoli
Dalle nemiche man secure serra.
Ove armato attendeva il gran Brilanuo
Fra gli altri duci e re, che ’ntornu stanno.
cxiii
Ivi con lieto cor lodando accoglie
Dell* impresa lodala ciascun duce;
Fiorio il Toscano allor fra le sue spoglie
Al cospetto del rr Sanzio conduce,
II qual tutto tremante i detti scioglie,
Pregando: O dei Britanni eterna luce,
Ch' a tutti splende, poi ch’or vostro sono,
Fatemi della vita intero dono.
E se di questa età giovine ancora,
E della mia Fortuna non v’ iucresre,
Muovavi il vecchio padre, che dimora
Lontano, c pan con lagrime commesce;
Ch’udir gli sembra il messo d’ ora in ora,
Ch'a lai porte il mio fine, e a sé rincresce;
E se d' un tal perdono avesse nuove.
Non men v'adorcria, che ’1 proprio Giove.
cxv
Dolce risponde Arturo : Or non vi caglia
D’ esser venuto iu man di lai nemici,
Usi uccider gli armati alla battaglia,
E far mercede ai nudi, e gl' infelici :
Pria ebe la bianca aurora all' alba raglia,
Secur vi manderò nei liti amici,
E ’n vece pregherò, se non vi spiare.
Dar risposta al mio dir, che sia verace :
ex vi
Qnale il disegno sia di Segarano,
Poi eh* attende di fuori il nuovo giorno ;
D'armar contra i nostri argini la mano,
O ’n tra i muri d' Avarco far ritorno?
Allora il miserello al volto umano.
Al dir di grazia, c di dolcezza adorno,
Qual si fa dopo il gel novella rosa
All* apparir del sol vaga e gioiosa,
CXVII
Tal si fece egli, e lutto umile in vista
Risponde : Invitto re, grazie infinite
Bendo alla sorte mia lieta, e non trista.
Poi che mi spinse a scorger le gradile
Vostre virimi!, onde il sol nome acquista
Quante aniine oggi son col ciclo unite ;
E me così prigion fan più felice.
Che noo farian la palma vincitrice.
c.tvtit
E «la poi che d’ intendere il pensiero
Vi ral di Segurano in questa guerra ;
V’ affermo iu, qual suo duce e consiglierò.
Che non vuol ritornar dentro alla terra,
InGn eh* ei non ha in man tutto 1’ impero
Drl gr.n fosso vallalo, che vi serra ;
E ’n questo tempo intesto, e ’n questo luogo
Spera al Brilaouo onore imporre il giogo.
extx
E come il sol radumi I* oriente.
Drizzerà a questa via Tarmato piede ;
Nè si truova tra lor si abbietta gente,
Che non pensi di voi far ricche prede.
Allor ridendo il re, cortesemente
1/ abbraccia, e dice poi : Colui, e he vede
I drtir nostri aperti, testimone
Appello al mio verissimo sermone:
CSX
Ch' altro mai non bramai, qnant* oggi qnesto,
E per mercè dell' ottime novelle,
Amicissimo sempre, e vostro resto.
Mentre vita mi dien l' amiche stelle:
Indi nn anreo monil, tutto molesto
Di preziose gemme rare e belle,
Dal suo collo reai cortese tolse,
E quel di Sanzio languido n'avvolse.
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L AVARCHIDE
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l’ a V a R C II I D e
IX
Stavan qonte nel mezzo, e ’n giro poi
Nell' estremo di tntta facean fregio
Gli archi iteti, gli tirali, e i dardi tuoi,
Ch' alla vaga Diana erano in pregio ;
Nè le reti selvagge, nè i lacciuoi
In oblio potè il dotto fabbro egregio,
Ch'ivi tolte apparian con ti bell* arte,
Ch'a natura togliean la miglior parte.
XVI
Poi per più sicurtà greve piastrone
Il suo caro Agraven di sopra mette,
Si eh* aggia di temer nulla ragione
D’ aste colpir, di spade, o di saette ;
Qual già nella sua patria regione
Al fnror dei giganti in prova stette;
La buffa locò solo al destro lato.
Perchè sia dallo scudo il mauro armato.
X
E nel giorno medetmo, che gli diede
L'alta Fata reale il ricco arnese,
Gli dicea, che con quello aveste fede
Di largo soggiogare ogni paese ;
Del qnal dopo lunghi anni rtiere erede
l’no Enrico dovea, eh* ad ali stese
Mandcria ’l nome suo dall' Era al Gange,
E per quanto Ocean tra i Poli frange.
xvii
Sovra l'arme lucenti ultima cinge
La ricca imperatoria sopravvesla,
Che con gemmato nodo alta si stringe
AU'omer manco, ove non sia molesta;
E sotto al destro braccio alato spinge
Il lembo adorno, che scherzando resta ;
Ove in campo celeste seminate
Son le corone sue reali aurate.
XI
Gli spallarci sovrani al loco pone,
Che 'n tra quella e *1 braccial l'omero accoglie;
Gingeli il brando poi, che Pandragonc
Fe' più volle rarcar di opime spoglie,
Dal popolo inimico Anglo, Satsouc,
Clic del tao bel terren varcò le toglie ;
E gli die sovra ogn* altro cavaliero
Del marziale onor lo scettro altero.
XVIII
Il feroce corsiero indi gli addoce,
Ch’ci suol sempre meuar nell'alte imprese.
Sopra cui, qual 1' aurora, rcndea luce
Il tolto di fin or fregiato arnese ;
Il frontale argentato in allo luce.
In cima al qual leeeiadramente stese
Sottilissime piume bianche e nere
All' aure ventilar si pon vedere.
XII
Questo, morendo al fine, in man ripose
Il valoroso re del figlio Arturo,
Dicendo: L’ opre tue tempre famose
Fecer che’l regno a voi lascio si caro ;
Aggiate Ini sovra 1' umane cote
In riverenza somma e al tempo duro,
G.he vi apparecchie mai C aspra Fortuna,
Questa spada cingete sola ed una.
XIX
Il crin, come la fronte, era coperto
Del piò sicuro ferro, e del men greve ;
Nè iutra l'arme nemiche giva aperto
Quel, clic i colpi maggior primo riceve ,
Che ove al falcato collo viene inserto,
Cinto il bel petto avea spazioso e leve
Di doppie pelli, che indurate al foco
Piaga d* asta, o di strai curavan poco.
XIII
I quai delti nbbidio, ch'ai gran perigli
Non ti mise unque poi senza aver lei ;
Con la qual sempre mai rendeo vermigli
Di sangue i campi tra i nemici rei;
Nè d' altro brando i micidiali artigli
Di morte furo agli infernali Dei
Larghi de* tuoi trofei, quanto di questo,
Che feo più d' on figliuol del padre mesto.
XX
Ma per averlo al gir piò snello mollo,
E per eh* ivi il ferir non vini mortale,
Vuol, eh' all* empie sue groppe sia disciollo
f unirà il comune usar di peso tale,
Ora al primo arrivar, dell’ arme avvolto,
Senza la staffa oprar sopra vi sale ;
Il manco lato allor restato nudo
Il famoso Agraven gli armò di scudo.
xnr
Di preziose gemme chiare e dure
Era il fodero intorno rilucente,
Ch’avanzavan del sol le luci pure,
Quando più bel ai mostra all' oriente ;
Conteste in ore tal, che stan sicure
Al percuoter di colpo aspro e possente ;
Simil le guardie ha in alto e ’l pome in cima,
Che di prezzo infinito il mondo estima.
XXI
Lo qual cinge sicuro, e 1' ha commesso
Con beu ferrali ondi al collo intorno;
Ila del cicl il colore, e in mezzo d' esso
Sla il rapo di Gorgon di serpi adorno ;
Ch'ha nel guardo crude! lo sdegno impresso,
E d'uccider desio, che innalza il corno;
E da ciascun dei lati spira iutenlo
Il timore, il sospetto, e lo spavento.
xr
Con questo, e del medesimo lavoro
La cintura ricchissima pendea,
Ch'alia parte minore apparia loro;
Che di vaghi color l'altro splendea
D'adamanti e rubin, posti fra loro
Di rose in guisa care a Citerca,
E di vaghi zaffir, non gii smeraldi,
Che dell' arnie al ferir non rotati saldi.
XXII
Sono intorno di lor di saldo acciaro
Dieci cerchi fortissimi ravvolti.
Che del porfiro duro stanno al paro,
E di chiodi profouiii al legno accolli ;
Di ferro dentro e fuor d'argento chiaro
Color vanno ombreggiando i tristi volti)
Venti sono in ciascuuo, c posti tale,
Che di svellergli quiudi arte non vale.
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l’ avarchide j<T
zzili
XXX
Di color negro ai primi si comprende
Il grand'elmo alla fin, che doppia tiene
Altr' ordine a fortezza ed ornamento;
Del reai viso iu guardia la baviera,
Il sostegno, onde al rollo si sospende,
Ove f alto riinier montando viene,
Di falde fabbricalo era d'argento,
Che ’n seno ave del ciel l'ultima spera,
Ove un fosco drago» *’ avvolge e stende,
Che sol le turi stallili contiene,
Né d' una fronte sola appar contento;
E sempre dal maltin gira alla sera
Ma con Ire fere leste, e d* ira pieno
Senza mai traviare, e 1' altre cinge.
Par minacele a ciascun foco e veleno.
Che dietro al corso suo di gir costringe,
XXIV
XXXI
Del più gran re, che d* Argo e di Micene
Così questo Agraven d* intorno allaccia,
F. d' altre alme città lo scettro tenne,
Ove pili la corazza monte iu alto
Fu questo scudo allor che d'armi piene
Verso la gola, e sì che non 1* impaccia
Con mille allrre navi a Troia venne.
Al rivolger il volto ad ogni assalto;
Per darle al suo furar dovute pene ;
Nè col soverchio peso assiso giaccia
E di dieci anni al termine pervenne
Sopra la fronte l'incantato smalto;
Col lungo assedio e poi di chiara frode
E dir si potè a tal, che di tempra era
Trionfante parilo, se 1 ver se u’ ode.
Non men che l'adamante invitta e vera.
xxv
XXXII
Ivi mentre era inteso al grande acquisto
Poi di piastra d* acciar fino e sovrano,
Che più volle cangiò fortuna e volto,
Sol che ben rivoltare, e stringer vaglia,
Ovnnque il del gli fosse o lieto, o tristo,
Difesa aggiunge all’ una e l'altra mano.
Sempre si ritrovò di questo avvolto ;
Non men dolce a piegar, che lenta maglia,
Ma nel rio letto dal crudele Egislo,
E larga ove il braccial vien prossimafto,
E dalla sposa «ua di vita sciolto,
Ch* al nodo estremo suo sovr essa saglia :
Fn tra molli lesor dei servi suoi
E pitiche dritto è in sella, e fermo ha il piede.
Al (ratei Menelao condotto poi ;
La lancia impugna, eh’ Agraven gli diede.
XXVI
XXXIII
Ch' allor dìvoto nell' antica Sparte,
Indi con bel drappel di cavalieri,
Come il merlo chiedea, con vero amore,
Che già intorno gli son, »' addrizza al vallo,
Di Minerva al gran tempio in degna parte
Ove schiere infinite di guerrieri
Fere appender in alto ; al cui valore.
Truova attender pedestri, ed a cavallo,
Che fu poi steso in si divine carte,
E i maggior duci lor, servando interi
Non volle il pio german far altro onore;
Gli ordini, eh* al devcr nou tacciar» fallo :
Scrisse sol d' Agamennone, il qual nome
Poi, che stan comandando so le porte
Seco avea d'ognì lode eterne some.
Vede il franco Tristano, e ’l pio Boorle :
XXVII
XXXIV
Quando poi fu squarciato il fosco velo
E dei levi deslricr prime le torme
Al veder nostro misero mortale;
Dai lor rapi condotte han tratte fuori ;
E l'alta grazia ne portò dal cielo
Dopo ijuesti gli arcieri stampan Torme,
Il gran (ìgliuol del padre universale,
Con gli altri più spediti, e (rombalo ri ;
E dell’ uom si converse il vero zelo
Vengon poi quei, che di più altere forme
A quell'alto F attor dal sen mortale,
Veston l'arme pesanti, e le migliori;
Che negli antichi templi intorno tulle
Cosi tutti passali, ogni uuiuo attende
Fur le fallaci immagini distrutte;
Quel, che di comandargli Arturo intende ;
XXVIll
XXXV
Nel famoso Bisanzio a Costantino
Il qual Ira i maggior duci, e i primi eroi
Fu lo scodo possente allor mandalo ;
Consigliando il futuro, avea varcato
Ove il tenne in onor quasi divino
Dop' essi il fosso, e va scorrendo poi
Col chiaro ricordar del tempo andato ;
Col buon re Lago, e con Gaveno a lato,
Poscia di prole in prole al gran Tostino
Che nessun altro vuol di lutti ì suoi,
Allora imprrador fu riservato ;
Per nuu mostrar di re T altero stato ;
Il qual, come di Ini più d' altri degno,
E Tarmale sue schiere guarda intorno,
Ad Arturo il Uouò d" amore in seguo.
Che più che furse mai fur belle il giorno*
XXIX
XXXVI
Questo adunque era quel, ch'ai collo iutorno
E chiamando di molti il proprio nome
Del suo gran re sovrau prende Agraveuo ;
Che di parie maggior non gli era ascoso.
Nè in altra guisa il sulle fare adorno.
Duca : Cari figliuoi, dimostriam, come
Che della riverenza, orni' egli è pieno ;
Non è il nostro valor da tema roso;
Solo in azzurro aurate d' ogui intorno
E clic per poco iucarco non son dome
Di tredici corone ha colmo il seno,
Le forze invitte al pnpol glorioso,
Ch* ei non si possa dir, eh' ascosa teglia
Che della gran Bretagna ha sparso il grido
L 1 antica e famosissima sua insegna.
Sotto ambe i poli, c dell'aurora al uido.
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A V A R C II 1 D E
nini
Indi, ove i Franchi son, rivolge il passo,
E dire : Alti signor, di chiaro onorr,
Non si spoglie oggi in voi euntr* a Clodasso
Del famoso operar l' invitto amore.
Che non giarque anror mai vinto, nè lasso
Da sorte avversa, o Marziale orrore ;
E vi sovvenga, che gli aurati gigli
In guardia avete, e i quattro regi figli.
Perche in guisa d' augei Dottorili e vili.
Traile tenebre sol si fan arditi;
E qoai timidi lupi, che gli ovili
Dall' ombre ricoperti hanno assalili ;
Ch* al giorno poscia in valli le più umili
Ascosi stan Ira gli spinosi liti ;
O i ei si moslran pur, qual lucifuga.
Ad ogni altrui gridar prendun la fuga.
Yien poscia, ove altendea Fiorio il Toscano,
Che i più fidi Tirreni avea d* intorno,
E dice : Amici miei, la vostra mano
Largo oggi appaghi I* Ostrogoto scorno;
E gli mostrale ben, che del Romano
Sangue scendeste d' ogni gloria adorno ;
E che di Fiorio in core ampia si chiude
Della sua prisca Elruria la virlude ;
XXXIX
E die di libertà dolce desio
Con gli ardenti suoi raì vi scalda il seno ;
Perchè spegnendo or noi quel scine rio,
Con voi nc vengo di speranza pieno,
Ch’affiorilo terrea vostro natio
Col favor di lassù sciogliamo il freno ;
E faccialo, che dal Tehro il nobil Arno
Non sia dolce fratti chiamato indarno.
u
Segue olirà, ove Tristano ordine dona
All* armoriche sue famose squadre,
E dice : A tai gucrrirr non sia persona,
Che giunga spron nell* opere leggiadre;
Nè rainmenle il rumor, ch’ai nioudo suona
De' fatti illustri dell' altero padre;
Perch’ei medesmo a se ricorda ognora,
Che sol l'alma gentil la giuria onora.
XLI
Indi scorge Boorte e Maligantr,
Il chiaro Lionello e Pcliuoro,
Questi, ch* erano appresso, e quelli avanle,
Addrixzando ciascun le genti loro,
E parla ; Or oggi alle vittorie tante
Largo s* aggiugnerà novello alloro :
Tal promette di voi la lieta vista,
Che 'ulrepida speranza ai vostri acquista.
x ut
Or co) voler di Dio movete innanzi,
E non vi seguirem con fermo passo,
Si che d'ardir nou mostri, che n’ avauzi
L' etremminato popol di Clodasso ;
E vedrà il mondo (s'io non m' inganno) anzi
Che scenda il sol dell' Oceano in basso,
Che s'ebbe sopra noi vittoria alcuna.
Fu per torto favor della Fortuna.
XLI II
Nè d'altra parte il nobil Segurano
Che già il tutto sentia, dimora iu pace,
Ma con parlare alteramente umano
Sveglia il valore, ove indonnilo giace,
E dice : Ora il Britanno e 'I Gallicano,
Allo spuntar del di 1' aurata face,
Oppresso è di liiuor però, che suole
Sempre perder con noi lucendo il Sole.
E de* nostri desir Fortuna amica,
Olir' ogni mio sperar, ve li conduce
Fuor del lur nido, che 'I fossato intrica,
E gli fa nnn temer del dì la Iure,
A (in che inni periglio, c nini fatica
Aggia del vostro rampo ogu» buon duce ,
E che 'I loro sperar non venga in fallo.
Contendendone al gir 1’ argine e '1 vallo.
xtn
Moviain dunque. Signor, con lieto core
11 passo, io non vo dirvi alta battaglia,
Ma per metter sicuro e largo onore
Da chi di cera frale ha piastra e maglia ;
E di cui corse in van l' altro rumore
Conir' all' abbietto stimi di Coroovaglia,
Fra gl'incantati scudi, e spade, e lance,
Di favolose prove, e d’ altre ciance ;
XLTII
Che i fanciulleschi cor lemon talora,
Non qnei simili a voi di sommo ardire.
Che per prova intendeste, e 'unanzi ch’ora,
Quanto sia dall' oprar lontano il dire;
E che dall' apparir già dell' aurora.
Fin che Frho si scorse a notte gire,
Feste dei corpi lor si fallo strazio
ler, che ’1 nemico Avarco ne fu sazio.
XLVIII
Mentre parla così, già sopraggiunto
Era co' tuoi I' ardito Palamede,
Ch'ha’l core invitto di desir compunto
D’ aspra vendetta delle Gole prede ;
E Brunoro e Clodia vira seco aggiunto.
Nè Dinadano a lor lontan si vede.
Nè Rossano il selvaggio, o Bnmadasso,
Nè alcun duce onoralo di Clodasso.
XLIX
E poi eh* han ragionato, e fermo insieme,
Muovon coi lor primi ordini le schiere,
Verso ove Maliganle a destra preme,
E Boorte a sinistra il fianco fere ;
Con quel rumor, che 'I mar quando più freme,
Mandando in (ino al ciel le spume altere;
Che dal nebuloso Austro spinte a terra
Fanno a’ liti pietrosi orrida guerra.
L
Ma il fero Segurano a questo intoppo
Lassando indietro i suoi, muove il destriero;
Ch'olirà stendendo il marzia! galoppo
Molti Britanni già versa al sentiero;
Quel cavai resta morto, e questo zoppo,
Ch' agramente oppressalo ha il cavaliero ;
L' altro si sceme andar nel campo errando,
Clic del miscr rettor si trova in bando.
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LI
Or aperto apparì tre il granile Iberno,
Or Ira i molli gnerrier »i vede ascoso;
Qual la lana talor nel freddo verno,
Quando il riri levemente è nubiloso,
('.li 'or si mostra, or si copre a danno c scherno
Del lasso viator, eh’ ebbe il riposo
Più lardo al disegnare e più lontano,
B la pigrizia sua condanna in vano;
LVtlt
Ed egli in voce allora alta e superba
Diceva : Or dove son quei cavalieri,
Ch' al tenebroso ciel di così acerba
Voglia si dimostrarti, e cosi ferì ?
.In riversar vilmente sopra 1* erba
Il sangue addormentato dei guerrieri ?
Or contro agli svegliati, e al chiaro sole
Temon, non che 1‘ oprar, 1* altrui parole ?
tu
Tal egli or Ira gli estremi, or Ira i primieri
Dopo alquanto gnardar sorto riesce,
Qtiai rapari del fin vaghi e leggieri
Cacrian sott’acqua, e sopra il minor pesce;
Ma il saggio Maligante ai suoi guerrieri
l.e minarrie e i conforti andando mesce ;
Ricordatevi pur, che ‘1 fuggir nostro
ler di noi insanguinò dell* Enro il chiostro.
LIX
E con questo parlare uccide Alfeo,
Che volea per fuggir volger le spalle.
Ma troppo tardi per suo srampo il feo,
Che soverchio ha con Ini ristretto il ralle,
Tal eh' ove è la memoria il colpo reo
Disceso, il pose all* arenosa valle ;
E 1' esser nato in Vetta non gli valse,
Nè il si largo imperar quell* onde salse.
mi
Ma se vorrete anror, come altre volle,
Oggi fermando il piede, oprar la mano,
Vedrete di timor le menti avvolte
Al rio popol d* A varco c Segnrano ;
E le lor glorie vane in danno volle,
E ricercar le mura a mano a mano ;
E se io noi fSen d’ooor le voglie accese.
Poco spazio del di saran difese.
VX
Indi accise Girfolco a Ini vicino,
E nel lotro medesimi con lui nato,
Ma di sangue minor, che '1 padre Aniino
Fu in Vetta rapacissimo pirato;
E i furati teior d* altrui confino
Non poter del figliuol cangiare il fato ;
Che tra ’l primo del collo, e *1 secoud* osso
Fu dal brando crude! di capo scusso.
LI V
Or segnitemi dunque, e non v* inganni
Lo sperar di fuggir, eh' oggi è fallace,
Ma ben di rìcovrar gli avnti danni,
E riportar dai buon lode verace;
Non siam cervi però di giovio* anni,
E non è Seguran tigra rapace ;
Noi siamo uomini pure, ed egli è nomo,
Dall' arme e dal sudor talvolta domo.
un
Truova olirà andando Aslaraco ed Echio,
Che del re Maligante eran parenti,
Figlinoi d* lvante, e l'uno e l'altro pio
Di quei «wmpagno, che la morte ha spenti;
Pendi’ al primier la testa dipartio
In fin nel cerchio, che contiene i denti;
Passa all'altro la milza «1* una punta,
Ove al dorso allegata è più congiunta.
LV
Con lai detti il buon dure innanzi sprona
Il drappel de* miglior ristretto in imo,
E vien dove il gridar più in alto suona
Dell* urlare e ferir del erodo Bruno,
All' apparir del quale ogni persona
Ben d>e vii, si fa audace, onde ciascuno
Seguendo Maligante addrìzxa il corso
Inverso Seguran, quai cani all* orso ;
txu
Il buon duce dì Gorre, che ciò vede,
R che *1 uno confortar niente vale,
A vergogna si tien volgere il piede,
E lo innanzi seguir sente mortale ;
Manda a Boorle, e con prestezza chiede
Saldo rimedio al disperalo male;
Corre Abondano, e'I truova al destro lato,
Tra i ninnici gnerrier forte intricalo ;
IVI
Che dei baon cacciator mossi ai conforti,
Posto in bando il timor gli vanno intorno,
E ferrando cammini ascosi e storti
Cingon latrando il chioso suo soggiorno ;
Ma poi che molti n* ha impiagati e morti,
Hifuggon gli altri con dannoso scorno,
E tal di lai assai nuova temenza,
Ch'ali’ altrui più invitar non «Un credenza.
LXlIt
Che co* levi cavai di Palamoro,
Che teinea di Boorte, era venuto
Con pili gravi corsieri il re Bruuoro,
Il qual fu per allor soverchio aiuto;
Però che in si grand'urto entra fra loro,
Che '1 numero miglior resta abbattuto ;
E chi dimorò in piè, 1‘ istesso pavé,
Fuor solamente i buon guerrier di Gare :
LVtl
Simil fanno i gnerrier di quel di Gorre,
Che rivolser la fronte a Segurano ;
Che da poi che più d' un per terra porre
Videro, e *1 lor poter con tr‘ esso vano,
Alcun nun è, clic più si voglia opporre
Con si gran rìschio alla feroce mano;
E come 1’ arme lor fosser di vetro,
Spaventati «li lui fngguno indietro.
r.xiv
11 qual l'altrui spavento risostiene,
E che non fugga alcun minaccia c prega;
Indi contr’ a Brunoro ardito viene.
Ove i compagni suoi più batte e piega ;
Il leon truova, ch’ai suo snido tiene,
Che in argentala sede ardito spiega
La divorante bocca, c *1 crudo artiglio,
Vestito ili color fosco c vermiglio :
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L ÀVARCHIDE
*77
L AVARCI1IDE
ma
E lassa il valoroso Bastariuo,
rii 1 iti in vece di Ini meni le schiere,
E segna Segnran, eh* era vicino
Tra* snoi tornato, e già sospinge e fere
Conira il prode Trislan, eh’ al sno cammino
Quanto può dritto andar si può vedere;
Or giunto il re dell’ Ebridi, Boorle
Troova, che spinge gli Aquilani a morte.
LI XXVI
Intanto Maligantr, a cui la mano,
Raffreddata la piaga, il dnolo accresce,
Fu dal pio Arturo scorto di lontano,
E per lui ritrovar dalla schiera esce ;
E ’nteso il caso, al dotto Pellicano,
Ed a Serbin promesse, e preghi mesce,
Raccomandandol mollo alla lor arte,
Perchè in esso è di lui la miglior parte.
LXXX
Ma perchè ha in man la lancia, e *1 punge v' onta
Sopra tal cavatiero usar vantaggio.
Del popolo infelice abbatte e smonta
Quanti altri incontra col nodoso faggio ;
Sopra il nono è fiaccato, e si raffronta
Allor col brando al nobile paraggio ;
E chiamanti» altamente il re di Cave,
11 vede a luì venir, che nnlla pavé.
LX XXVII
Poi pensando in sno cor, che '1 destro corno
De’ suoi levi cavai sia senza duce.
Perchè Bimrte far dovea ritorno.
Ove il periglio mauro il riconduce;
Gire al soccorso lor con quelli intorno,
Ch* ha regi e cavalier, l’animo induce;
E col romnr, che fa 1’ arme di Giove,
In ver la dritta parte il corso muove.
LXXXI
E chi sia gliet discopre il nero e bianco
Scodo, eh* ei porta, e le gemelle spade.
Che sol d* ogni guerrier si cinge al fianco,
Mostrando, eh' a piò d'nn guerra gli aggrade
E vergogna gli fora il venir manco
A qual coppia miglior, che’nrontra vade ;
passi lieto Bonrte, r ’n cor si gode
Di provar cavalier di tanta lode.
LXXXVII!
E col furor medesimo percuote
Nel loco, ove lontano è Palamede,
A ciascun di timor l’alma si scuote.
Quando in un punto istesso e sente e vede
L’invitta schiera, e s* empie il eie! di note
IV aspro dolor di quei, cui primi fiede
Di mille gravi lance il duro intoppo,
Cls* al piò profondo scoglio saria troppo.
LXXXIt
Quanto può questo, e quel contra si sprona
Quasi un veloee strai, che l'altro assaglia ;
Nè '1 caldo MongibrI sì forte tuona.
Come il percnoter loro alla battaglia ;
Sotto, sopra, dai Iati, e ’ntorno suona
Ogni scudo in un tempo, ed ogni maglia;
E chi i colpi, eh* ei fan, contar volesse,
Potrebbe anco contar le stelle ìslesse.
LXXXIX
11 Britannico re, che innanzi arriva,
Asealafo Aquilano incontra il primo,
E dell’alto cavai di quella riva
Trapassato nel eore il pose all’ imo ,
Gol colpo istesso della vita priva,
Ghe dietro a lui venia, 1' Ispano Edimo ;
Dopo lui '1 terso, e *1 quarto non ferito,
Ma sotto i lor cavai prostese ai lito ;
LXXX III
Perch’ assai meno spesso dei cicl cade
Neve al gelato dì, grandin 1’ estate,
Che si scernon di lor le gravi spade
Or in basso cadute, or rilevale ;
E nessuna ivi appar, che ’ndarno vade,
Tante arme intorno già sono squarciate;
E perrliè 1* uno e 1' altro cavaliero
Fa piò <i* altro ancor mai snello e leggiero ;
xc
Che l’uno Edippo fn, l’altro Calisto,
Ambe due nati già sopra la Sorga,
Pria che ’1 suo corso al Rodaoo commisto
Il ventoso Avigiion vicino scorga ;
Indi col brando in man doglioso e tristo
Fa qualunque guerrier sno desti n porga
Di spronar conir' a lui, che dove stampa
Il disputato ferro, un sol non scampa.
LXXXIV
Pare ogni brando lor la lingua acuta
Di serpe annosa, che sen furba al sole,
Che ’n tal presteua la rivolge e mula.
Che sembrar triforcala al guardo snolc ;
Tal s* ingannò di molli la veduta
All* assalto mortai, che creder vuole,
Scernendole alte e basse all' istess’ ora,
Che tre spade ciascuno oprasse allora.
xn
Uccise ancora il misero Formo,
Ghe nacque all’ Allobrogica Lucra,
E gli mandò la testa sul terreno,
Come grandine i fior di primavera ;
Dop' esso Gresio nel medesino seno,
Ma in basso alquanto, ove piò corre altera ;
Gbe le tempie ambedue traverse passa,
E Palarcon con lui morto anco lassa.
LXXXV
Ma come a Segnrano a Palamede
Pur il medesmo, e per la calca avvenne;
Ch' alla lite ciascnn furiato cede
Al gran seguace stuol, che sovra venne
E così questo, e quel rivolge il piede
Sopra il misero vulgo e caramin tenne
Si diverso in tra se, che non poteo
11 desir disfogar, che ’n core aveo.
XCJI
Poscia il compagno suo srgne Balrrto,
Che ’n dietro qnanto può ratto fuggia ;
Il qual per gli altrui danni del suo certo.
Mal rilruova al suo scampo aperta via;
Ghe *1 valoroso Artnro, dove inserto
Par, che ’l collo coi nervi al capo stia.
Con un riverso io tal maniera il coglie,
Che tosto quel da questi si discioglie.
I
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Truova Promaco appretto, ette signore
Fu grande all’ Aquilanica Roerella,
Ch’ avanzò di ricchezza e di splendore
Quanti allor Visigoti erano in ella ;
£ 'n torno area di sangue e di valore
Schiera di cavalier fiorila e bella,
Che viene a ricercar col cor sicuro,
Ove tanti uccidea 1* invitto Arturo.
Poi di Landone il destro e d’ Urlano,
E del Bruti senza gioia, e di Malchino
L’ intoppo incontra, che porgean la mano
Per romper 1’ onorato sno cammino.
Pensando in lor, che poi sarebbe vano
L* aiutar il gran re da tal vicino,
E tanto più se inaspettato vegna,
Mentre altrove occupato il brando legna.
E perchè innanzi agli altri alquanto sprona,
Lui rincontra il Britanno lutto solo,
Cai si gran colpo sopra 1’ elmo dona,
Che ’1 fa cader senza sentirne duolo;
Degli altri, ch’erau seco, l'abbandona
Tutto in un punto il fuggitivo stuolo;
E I' orine ivi ciascun più ascose segna.
Temendo, che '1 medesmo a lui n' av vegna.
Ma il fero re dell' Ebridi, qual suole
Tigre, che molli di fame sostenne,
Clic dopo un lungo andare all'ombra, e al soie
Bramato armento ritrovar s'avvenne;
Che morso, o piaga non I' affligge o duole
Di cane, e di paslor, ch'ivi convenne;
E mal grado di quei sbrama ^a voglia
Sopra il toro primier, ch’ai pasco accoglie;
Qual la misera cerva, che si vede
Presso al fero leone il piccini figlio,
Che si strugge di duol, ma non provvede,
Che glie! vieta il timor del crudo artiglio;
K mentre in dubbio tien la mente e '1 piede,
Il crudo predator fatto vermiglio
Sceme del sangue pio, perdi’ ella al fine
S' appiatta e fugge alle più ascose spine.
xcvi
Tale avvien di costor, ma d’essi parte
Non pon di lui schivar l'invitta spada.
Questo ucciso rovina, e quello sparle
Vede le membra sue sopra la strada ;
Non vai contro al gran re l'ingegno o l’arte,
Nè il sentier ritrovar, che cieco vada;
Che ’l feroce rorsier sì ratto vola.
Che la speranza, e *1 tempo a tutti invola.
XCVII
Ma non molto indugiò, che ’l gran romore
L* orecchie a Palamede ripercuote,
Clic poi che di Boorle ave il furore
Quelato in parte, gio per vie remote.
Come il portò il bisogno, e 1' aspro core,
Ove altro duce contrastar non punte,
E li facea con nuova meraviglia
D* infiuili gucrrier l'erba vermiglia.
xcvm
Or cangiando sentier, tosto s'invia
Ove sente il rumor del gran Britanno,
Ed a quanti altri sieu, eh' ri truove in via,
Dona perpetua notte, o lungo affanno;
Tra' quai Finasso il bianco, che venia
Facendo a’ snoi nemici estremo danno;
E gli di colpo tal sopra la testa,
Che senza scuso aver, qual morto resta ;
xctx
Ma da' snoi ricevalo sì sostiene
Sopra la sella pur tanto, che uscito
Fuor della stretta calca, io luogo viene,
Ove letto sicuro ha il basso liti»;
Tniova Agra ven, che vendicar le pene
Dell' amico fedel cerca ferito
Ma non può a si gran forza contraddire
Ch* al destinato fin gli toglie il gire.
Tal ei senza curar dell’ altra! brando.
Con la fronte abbassata cerca Arturo ;
Il qual d'ogni timor viveva in bando,
Clie gli parea da' fianchi esser sicuro,
Allor di’ ei sente pure alto chiamaudo :
Eccovi, o sacro re, quel giorno oscuro.
Che in man di Palamede vi ripoue,
Con gran lode di lui morto o prigione,
citi
Rìvolgcsi il gran re, che questo ascolta,
E gli è nolo di lui l'alto valore.
Lassando di seguir la schiera folta,
Ma intrepida la roano e fermo il core,
E gli dice: Speranza frale e stolta
Avrà ciascun, che risvegliar timore
In questa alma vorrà, che sola cede
A chi ritien in ciel 1’ eterna sede.
E per mostrargli ben, che poco il cara.
Fu il primiero, e ’l feri sopra la lesta ;
Ma Cosi ferma in essa è 1’ arme e dura,
(.he in aria il colpo, e senza datino resta
Ed ei eh' era possente ultra misura,
E se mai in altra guerra, or brama in questa
Spiegar quanta ha virtù, di pietà nudo
Scarca il brando mortai sopra lo scudo,
cv
E dalle aurate tredici corone,
Ond’egli è tutto intorno inghirlandato.
Quattro, che ’n cima son, rotte ne poue
I.ontan dall' altre all* arenoso prato;
Ma in mille parli addoppia la quislione ;
Che ’l desir va crescendo in ogni lato
Di provveder per lui ratto soccorso,
Ou J' ogni buon guerriero ivi era accorso.
evi
Tra’ primi fn al venir Fiorio il Toscano,
Seco avea Garganlino e Talamoro,
Il cavalier Norgallo ed Abondano,
Con Mcliasso il bello, e 'I buon Mandoro,
Il famoso Brallrnn ed Amillano,
A libri qnel di Logre ed Arganuro ;
Ma il pio f.aradosso innanzi viene,
Che la candida insegna in alto tiene.
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L A VARCHIDE
E con forza colai ciascuno spinge
Il feroce eorsier, che Palamede
Non può più innanzi andar, ma ti ristringe
Co* tuoi, che accinli al gran bisogno vede;
Ch’ogni buon cavalier già ti dipinge
La palma in cor di mille ornale prede.
Da poi che tcorgon sol l’alto Britanno
Da’ suoi duci miglior, che luuge statino.
C*lH
Tri é già il Fortunato, e Bronadasso,
Safaro, Dinadano, e Bustarino,
11 possente Argillone, e Satanasso,
Che fu già di Durrnza aspro vicino:
Or poi ch'ha con costor raggiunto il passo
Il fero re dell' Ebridi, il cammino
Riprende coolra Arturo, e 'I nuovo corno,
Che gli ha fatta muraglia, e vallo intorno.
cix
Di toro in guisa, che nel pasco erboso
D' amor sospinto col rivale è in guerra,
Che ’ndietro torna a render più spazioso
Campo allo scontro, e ’l corso poi disserra
Sì ratto e fermo, che vittorioso
Se vede, e l'avversario essere a terra.
Che giovinetto aurora, o manco saggio
Non prese al suo ferir pari il vantaggio t
ex
Urta il forte drappel con tanta forza,
Che'i poteo sostener quell' altro a pena:
Pur la chiara virtù, che '1 corpo sforza.
Prestò in quel punto lor vigore e lena;
Ma il cavai di Brallen la poggia e 1‘ orza
Alternando più volte in su l'arena
Cadde sul ventre al fine, e '1 suo signore
Tosto del fascio rio si mise fuore.
exi
Fe'l medesmo Abondan, cbe'l suo destriero
All' apparir di quei si leva in allo
Per oprar morso, e piè, tal die leggiero
Fu a Dinadan di porlo su lo smalta
D rizzo»*? aneli* ei ; ma più sicuro e fero
Che Libico leone in quell' assalto
Fu il re, poi eh' al ferir di Palamede
Con disvantaggio tal cinto si vede.
CXII
Ma polca mal dorar che stretti insieme
Son lassando lutti altri a lui d’ intorno ;
Bipe osando fra lor, che *1 frutto e I seme
Di tutto il guerreggiare avea quel giorno.
Chi d' un tal re cui tolto il mondo teme,
Andar polca della vittoria adorno,
E Safar, Bustarino, e ‘I Fortunato
L' han col lor Palamede circondalo,
cxin
Fiorio e Bralleno, e ’l cavalier Norgallo
Stan, quai ferme colonne, alla difesa;
Quello sprona al traverso il suo cavallo,
Ove più pensa a quei far grave offesa ;
Quest’ altro al dritto, e nessun fere in fallo,
Che quanto veuga d’alto, e quanto pesa
La spada di riascun, posson sentire ;
Ma disposto hauno in cor tutto soffrire.
Non altrimenti fan, eh* affamalo orso,
Che ’l soave tesor dell’ api trove
Ch’indi a farlo ritrar non vai soccorso
Di robusto villan, che 1* asta muove ;
Nè dell’ ago di lor 1* aguto morso,
Nè di crudo mastio ferite nuove
Ma schernendo ogni offesa, e d’ogni parte,
Mentre che dura il mele, indi non parte.
cxv
Simil fan questi quattro, eh’ all* estremo
Quasi han condotto il mìsero Britanno,
Ch' era di spirto ornai si frale e scemo,
Che poco era lootan 1* ultimo affanno;
Ma il famoso Boorte a velo e remo,
Ch* avea sentito il gran pubblico danno,
AH* ultimo bisogno apparilo era.
Quando il giorno miglior giungeva a sera.
ex vi
Qnale al miser nocchier, ch'a notte oscura
Poi rhe rotte ha dal mar sarte e governo,
E 1* antenna spezzata, o mal sicura
Sopr’ arbor frale al tempestoso verno :
Ch* ovunque ei guarda ornai, di morte dura
Vede l’ imiiiago, e del tartareo inferno;
Ch’ogni dolce in un punto gli riduce
11 pio splcudor di Castore e di Polluce;
CXVII
Tal fu al misero Arturo, che si scorge
Fra tanti e lai guerrier con poca sprne,
f ora' ei sente il romor, che in allo sorge,
Del pio Bourle, eh* al soccorso viene ;
Ogni perduta forza in lui risorge,
E s' apparecchia a dar dovute pene
.A chi ‘1 tratta sì male; e ’n qnesta sente
Già Boorte arrivar tra quella gente.
CgVIII
Che quai levi eervier, eh’ aggian trovato
Da boschereccio arder ferita dama,
Che l lian raggiunta, e 1* uno all'altro a lato
Il passalo digiun sovr'essa sbrama;
di' ivi il fero leon sovra arrivato
Veggion virili, cometa voglia il chiama;
Ch’ a lai lassan la preda, e si rimbosca
Ciascuno, ov' è la via più ascosa e fosca ;
era
Così fer questi e truova Bustarino,
E *n fronte il fere tal, che non più vale
A sostenerle in piè, che sul cammino
Andò volando a Ironcon rollo eguale ;
Safaro, e 'I Fortunato a lui vicino
Col medesmo furore appresso assale.
Non abbatte già quei, ma concia in modo,
Ch’ al famoso suo re squarciato ba il nodo
cxx
E *1 truova, che la spada gli è caduta,
Ma sospesa la tien la sua catena ;
Nel destro braccio avea breve fernta,
Tra'l gomito e la man, presso alla vena
Che dal capo t' appella, al quale aiuta,
K può nuocere ancor soverchio piena ;
L' elmo avea bene intero, ma la testa
Intonata de' colpi, e dcbil resta.
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a83
l’ avarchide
CXXt
Potitelo al tergo, e'ncontr* s* apparecchia
Al fero Palamede, che P attende,
E gli dà un colpo alla tinittra orecchia
Si, che lunga stagioo V udire offende ;
E rinovar con lui la lite vecchia
Il pensier giovimi dui rezza prende ;
Ma ben poco durò, che al proprio punto
Nuovo d altri guerrier drappello è giunto;
cxxvnt
Ma la fortuna avversa del Britanno
Conduce a Segnran novella aita ;
Che’nsieme congiurala al nnovo danno
Gli vien de' suoi miglior gente gradita ;
Con A vino il fellon congiunti vanno
Grifon, Brnmrn, Farano, il forte Archita,
Il Ner perduto, il perfido Agrogero,
Ferrandone, Etclaborre, e Siuondero.
cxxn
Che di molosso in guisa, che sentito
Di cani e cacciatori agpia al remore,
Che teoperto è il cingiate in qnalrhe li lo.
Onde, mal grado ano, ai trovi* Cuore ;
Che per acntier più breve, e manco trito,
Non curando di tpine atpro rigore,
Che gli offenda ('orecchie, gli occhi e ’l dorso,
Ove *1 penta trovare addrizza il corso :
CXXIX
E qnal grandine folta, eh* al pastore.
Che 'ucontro a levi pioggie avea di fronde
Fatto nn debile albergo, che io poch* ore
Tutto il sostegno van batte e confonde ;
Tale aggiunti costoro al ^ran furore,
Ch* estremo in Segurano il cielo infonde,
Quanto riparo area nell* aspra guerra
Arturo intorno a se, pongono a terra.
cxxin
Subito appar 1’ altero Segorano,
Che lassando ogni impresa ivi a* avventa,
A fin che di Britannia il re sovrano
Senza lui morte, o carcere non senta :
Invido fatto in se, che alcuna mano
Se non la sua, di farlo s' argomenta ;
E giunte in tempo, che Io avea II norie
Tratto già «ti periglio, e d’ aspra sorte.
>*xxx
Il cavalier Norgalìo, e Fiorio in piede
Dì quanti altri vi son restano a pena ;
Gli altri han del suo deslrier cangiata sede,
E sotto il peso lor calcan 1' arena ;
Il buon re quasi alla sua sorte cede,
E di vivo restar si mnor di pena ;
Che 1 fero Seguran già ardito piglia
Del suo regio corsier l'aurata briglia.
orare
Che mentre in guerra sta con Palamede,
11 cavalier Norgalìo, e Fiorio insieme
Hao posto Arturo in più secitra sede
Fuor della schiera avversa, che gli preme,
E verso il padiglion volgono il piede.
Che già il misero re sospira e geme
Del dolor della piaga, eh* ave al braerio,
E eh* a difesa far gli dona impaccio.
CXXX1
Ma il famoso Tristan, che in altra parte
Ha del suo re maggior la piaga intesa.
Qual leve strai da cocca, si disparte,
0 saetta dal eie! per 1' aria accesa,
Con più furor, che '1 bellicoso Marte
Non feo mai de* giganti all' alta impresa ,
E giunge appunto in quel, che Segurano
All' onorato fren ponea la mano.
CK XV
Ma l’ Iberno erodel, come saetta.
Senza sospetto lor già sovra giunge t
Molli bassi guerrieri a terra getta,
E ’l cavalier Norgalìo al fianco punge;
Ma non fu il colpo suo senza vendetta,
Perchè Fiorio al soccorso si conginngc
Del dolce amico, e 1 capo a lui percote
Si, che tremar gli ha (atte ambe le gote.
entii
Nè batte mai sì forte in Mon sibello
Cirlopo inrude, quando irato è Giove,
Che Tristan fe' in qoe! punto sopra quello.
Che vnole il suo signor menare altrove ;
Coltelo nel cimiero, e cader fello,
Come piuma sottil, che 1* anra muove ;
E gl' intuona il eervel si, che la testa
Quasi sopra l' areion dormendo resta.
CXXVI
Ma di questo, nè d'altro non gli cale.
Che lien solo al gran re l'animo inteso;
E col valor, eh* area quasi immortale,
Il possente suo brando ha in lui disteso;
E ben era al cader più che mortale.
Ma dal chiaro Toscan sì ben difeso
Fu col suo scudo del purpureo giglio,
Che scampare il poteo d' ogni periglio.
CXXXttl
Vattene olirà spronando, e trova Archila,
Che vien del suo Signor alla vendetta,
E senza fronte avere e senza vita
In due tronchi diviso a terra il getta ;
Escalborre, e Grifon, che in nuova aita
Tengono ad ambe man la spada stretta,
Quel nella spalla destra, e questo al fianco
Percoleva aspramente il lato manco.
CXXVtl
Venne intanto Alibello, ed Arganoro,
Amillano, e Taulasso al maggior nnpo,
E fan nuova muraglia al re di loro,
Chi davanti, chi ai fianchi, e chi gli è dopo ;
E *1 fero Iberno entrato fra costoro
D'ira avea gli occhi in guisa di piropo ;
E batte questo e quel, ma indarno adopra,
Che pur troppo era solo a si graod’ opra.
rxxxiv
Non radder già, ma d*ogni forza privi,
E senza più impedirlo dimoraro ;
Il cavalier Norgalìo, e Fiorio, ch’ivi
Scorgono ai lor disegni alto riparo,
Il gran Arturo, che sanguigni rivi
Verta dal braceio con dolore amaro,
Riconduron scettro al padiglione,
Ove angoscioso al letto sì ripone.
.
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L AVARCHIDE
CANTO XVII
ARGOMENTO
-**W-*W-
/ re Lapo snsiirn la ria batiaplia ,
Ow ucciso il dcsirier viene a Tristano.
Palamede i Britanni incalza , e foglia
A Cara dosso V una e V altra mano f
Mentre dall' altro lato li travaglia
Co’ suoi feroci Iberni Separano.
È Galealto dal re Lago indotto
Chieder T armi fatali a Lane Hutto.
Gii con le mille lingue intorno gir»,
E con le mille voci in alto grido
Le dee veloce, che col capo arriva.
Or’ alto abbraccia il vago empireo nido
E dove ogni alma di speranza è priva.
Col piè si pota nel tartareo lido,
E con 1' ale cangianti or alta, or batta
Di volar notte e di non fu mai latta.
tt
Qoetta il danno d'Artoro, e «petto ancora
Che lia morto, o prìgion racroota altrui ;
E che tieu teco poi di vita Cuora
Trillali, Boarie, e i miglior duci ani]
Tal che veder ti può tola in brev* ora
Fuggir ciatrun, e non saper da cui.
Di eor, di tento, e di contiglio «cotto,
Come dal proprio (ol gore percu sto.
ut
E *n fra gli altri all' orecchie era venuto
Del vecchio re dell’ Orradi il rumore j
Che porge in altra parie fido aiuto
Al tioitlro tuo conio, che 'I furore
Mal regger può, che gli è aopra v venato,
Di Verralto I' Ispan, eh’ ogni migliore
Trailo fuor degli arder a’e innanzi spinto,'
E le schiere di lui u' ha intureo càuto.
IV
Le qua! nude d’ nn fianco di difese
D' altri simili a quelli, o di detlrieri,
Son forzate a soffrir mortali offese,
Riservando ai dover gli ordini interi;
Ma il dotto vecchio iu ciò mille aste prete
De' più antichi gnerrìer più esperti e ferì,
Che ritrovasse allor dall'altro lato,
Che dal corno, eh' è a destra, era guardato.
E per torlo cammin, più a loro ascoso,
Sabito e d'improvviso gli percuote;
Tal che di sé fa il I i lo sanguinoso,
Chi non cerca al fuggir le vie più note :
Or mentre torna a’ suoi vittorioso,
E gl' innalza lodando in chiare note;
Vien volando Sorbante, che gli dice
La novella d* Arturo agra e ’nfeliee ;
vi
E se sia vivo, o morto ha posto in forse,
Perché ’l peggio credea, ma dir no ’1 vuole.
Senza risposta dare il buon re corse.
Che gli spirti ha smarriti, e le parale;
E non doglia minor I’ alma gli morse.
Che del morto figliuol pia madre suole;
E gitigne al padiglione, ove rìtruova
Serbin, che di sanarlo è posto in pruora.
vii
Or qnal, pria che s'allnme affatto il giorno,
Il tenebroso gel 1* Aurora scioglie ;
Che rischiarar si veggion d’ ogn' intorno
Le piaggie e i colli, a rallegrar le voglie
Si sentou degli auget, ch’ai cauto a torno
Fan dolce risonare erbette e foglie;
E di mille bei fiorì aprire il seno
*SÌ scorge al suo venir 1' almo terreno,
vin
Tale ogni suo penxier chiara diventa,
Spoglialo il brun nell' oscuralo core ;
Poi parla al grande Arturo, il qnal tormenta
Del raffreddalo male aspro dolore;
Non è di scettro degno, chi non senta
Dell'amaro talor, rh'apportan I’ ore ;
Che questo solo i re perfetti face,
E che '1 ben si conosce, e che più piace.
Tt
E tanto più, che non dietro alla fronte,
O in loco ove chi fogge noo difende ;
Ma in quella parte, che con forze pronte
Tutto il resto ricuopre, e gli altri offende,
V’ è giunto il dauno ; e l’onorato fonte
Dell' arie, rh' al sanar le piaghe intende.
Qui con voi scemo; il quale ho già veduto
Ritor 1' alme laggiù di grembo a Piato.
x
Ah, risponde il gran re, giocondo padre,
Ben rendo grazie al Ciel, che la villade,
('onte san le nemiche, e le mie squadre,
Non m’ ha fatte lassar d’ onor le strade ;
Ma desio forse d' opere leggiadre,
Olirà il dever di regia qualitade,
Con poca compagnia troppo mi spinse,
Ove il mio buon voler Forluua vinse.
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L’ AVARCH1DE
- ... 1
Nè mi dnol dtl mio mal, ne mi dorrei
D’ esser per via colai vernilo a morie;
Ma che per mia cagione i duci miei
Sten, lassi, indolii a perigliosa sorte;
E volentier mia sorte cangerei
Col famoso Trislan, col pio Boorte,
Che per la mia salute in tale stato
Lassai, eh* io sari» sempre sconsolato.
«Vili
E’n fra gli altri Abondano, e Brallen trova
Che dal fero incontrar far posti a piede;
Dà lor fresco corsiero, e lancia nuova,
E d' ogni arme perdala riprovvede;
Col dir da poi, ehe in tal miserie giova,
Già s* avvicina, dova Palamede,
Segurauo, e Trislan sono, e Boorte
In perigliosa ancora e dubbia sorte.
XII
E però prego voi, duce famoso,
Che con quanti qui sono, e sieno altrove,
Di trar quei due del loco periglioso
Facciate per mio amore ultime prove;
E *1 candido stendardo, or sanguinoso,
Che '1 buon re Caradosso al vento muove,
Non resti de’ nemici a lungo scherno,
E del pubblico onor naufragio eterno.
XIX
E ritmo va in quel punto, eh’ a Tristano
Il possente cavai ron 1’ empio strale
Estero arriso avea 1* empio Germano,
Si che d' indi rilrarse arie non vale ;
Ma mentre tiene il grave scudo in mano,
Dell’ offese d’ogni uom poco gli cale,
Perchè con quello ogn* impeto sostiene,
E d' arme e di corsier, che ’ncontra viene.
XIII
Così disse il Britanno, e con gran pena,
Ferchè ’l sangue perduto, e l’alta doglia
D' ardir non già, ma ben di spirto e lena
E dei primo vigor le membra spoglia.
Risponde il re dell' Orcadi : Serena
Resti in voi col sperar ciascuna voglia.
Ch'io ben v’obbedirò, qual più si deve,
E bramate novelle avrete in breve.
XX
Par nell* Alpi nevose orso selvaggio,
Tra caoi e cacciator serrato e cinto.
Dritto appoggialo al più robusto faggio.
Con denti ed nnghie alla difesa accinto ;
Ch’or quel mastio, che lascia il suo vantaggio,
Or 1’ ardito villano a morte ha spinto ;
E eh’ or quel ferro agulo, ed or quell'atto
Con le seiose braccia or tronca, or guasto.
XIV
Tal parlando si parie ; e con lui vanno
Il cavalier Toscano, e ’1 buon Norgallo;
Meliasso, e Mador 1* islesso fanno,
E di tulli ciascun cangia cavaHo ;
Cb’ al fero battagliar si acrrbo danno
Soffrir, che perdonar si puotc il fallo,
Cli’ ei fero ai lor signor, eh' un sol non v’era,
Ch' aggia a crollare il piè la forza intera.
XXI
Tale il chiaro Tristano or quello ancide.
Or chi aggiunger non può del deatrier priva;
Tal che più non si Iruova, chi s' afflile
Di presso andar, quanto la «pada arriva.
Ma con sassi e con dardi gli conquide
Del dorato Iron 1 iramagin viva,
Con quello alto romor, che’ntorno suona,
Qualor grandine folla i letti intuona.
XV
Cosi spronando insieme, molta gente
Trovan dietro tornar, che ’1 campo lassa,
Per la fama del re trista e dolente,
Di timor colma, e di speranza cassa ;
Ma il saggio re dell’ Orcadi altamente
Va ciascun confortando, ovunque passa :
Più che mai vivo fosse è il grande Arturo,
E ili mollai periglio ornai sccuro.
XXII
E '1 pensan di stancar, ehe potea forse.
Ma con lunga slagion, loro avvenire;
E ’1 scampò, clic l’ Iberno i snoi soccorse,
E passò il suo disegno al rivenire ;
Già eoi buon cavalier I’ Orcado accorse
Gridando: Or dee temer dì mai perire
Il mio chiaro Trislan. mentre il soo Lago
Non ha varcato ancor di Sligc il Lago t
XVI
Riloroiam. cari figli, alla battaglia,
Ch’ ora è il tempo migliore, in cui si mostre,
Clic con ragione al cicl volando saglia
Il grido illustre delle glorie vostre;
E rise senta il gran re, che non si smaglia
Il tenace valor dell* armi uostre
Per breve colpo ; c sopra lor non pnolc
La nemica Fortuna, o le sue rote.
XXIII
Cosi detto, olirà passa, e col drappello.
Quanti intorno a Ini son per terra stende ;
Questo cade impiagalo, o morto quello,
E d’ un colpo medesimi molti offende;
E ’n breve adopra, che lo sluol ribello,
Ch’ era pria viucilor, vinto si reude ;
E del cacciare altrui la primiera arte.
Or in tosto fuggir tutta diparte.
XVII
Io tai voci va innanzi, e 'neon tra molti,
Che d’ iodictro tornare hanno cagione ;
Ch’han le membra impiagale, e stanno avvolti
Di sanguinose righe su 1 arcione :
Questi lutti consola, e gli ha rivolti
Cu' suoi ministri al proprio padiglione;
Il qnal largo abbondava d ogni aita,
Che consegua a curar piaga e ferita.
XXIV
Non gli segue il re Lago e ’ndielro rieJe,
E drstner nobilissimo appresenla
Al buon Tristan, che di famose prede
Ebbe, dove 1’ Albera Era diventa,
Al tempo, che d' Albio l'ultimo erede,
E T Alvernica prole rendè spenta
Già il terz' anno davanti, c ritinse il passo
Al soccorso maggior del re Clodasso.
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L ÀVARCHIDE
Kl
Salta in euo Trislan, che gliel conduce
Dell* Orcado il icudier, detto Alansone ;
Or gli par racqimtar del »ol la Iure,
Ascedendo il guerrier nel nuovo arcione,
E dice al vecchio re : Signore e duce
Foste del mio voler d* ogni stagione,
Or sarete dell* alma e della vita,
Ch' oggi meco riman per vostra aita.
XXVI
Mentre parlan cosi, Fiorio rivolto,
Vede in contrasto rio dalla man manca,
Nel medrsmo senticr, non lunge molto,
Del lor famoso re 1* insegna bianca ;
E grida: Alti guerrier, tra *1 popol folto
Veggio trista crollar, qual vinta e stanca,
L* alta guida reale, e i>ia imo eterno
Ne sarà di soffrir sì ontoso scherno.
XXVII
Cosi detto, spronando ardilo è mosso,
E dì quanti altri son giunge il primiero,
E trova il valoroso Caradosso
D* aspro stuol circondalo iniquo e fero ;
Palamede, e Salar gli sono addosso,
Con Matanasso, e *1 peritilo Agro-ero;
E chi la fronte, e dii le spalle offende,
Chi sentendo l' insegna I* asta prende.
XXVIII
Del misero nocchier la vela pare,
Lo qual ferio si subita tempesta,
Ch* a tempo io basso non la può piegare.
Ma di contrari venti in preda resta ;
Ch'or da poggia percossa alta gonfiare,
Or dall'orsa abbattuta, esser molesta
Si può vedere all'arlior, ch'ella abbraccia,
Con le piaghe di cui se stessa straccia.
XXIX
Il fero Palamede, in se sdegnalo,
Che gli contenda il ciel cosi bell’ opra,
Quanto punir il braccial del destro lato
Percote, ch'alia man poco vien sopra;
Gettala, come ramo inciso al prato :
Ma Caradosso allor la manca adopra,
L con quella rilien si ben, che basta,
Dell' iusegna reai la sacrata asta.
XXX
Torna il crudele, r quella ancora incide
Onde co' Irouchi soli il re iufelice,
Che dalle chiare mau lassi divide,
L'abbraccia ancora, ed altamente dice:
In fin che Y alma questa spoglia guide,
D ' abbandonar tal segno si disdice ;
Ma nella froute Palamede il fere,
E con 1' asta imbracciala il fa cadere.
xxxi
Pensa 1' Ebridi» in se chiaro guadagno,
E per sempre famoso aver quel giorno ;
Quando il fido Toscau del suo compagno
Al soccorso arrivò di fede adorno,
Gridando : Alto siguor, troppo mi lagno
Di ritrovarvi all* ultimo soggiorno ;
Ma mi consola il fui, di' e stato iu guisa.
Che non ne fu già mai la gloria ancisa.
XXXII
Cosi direudo, corre a Palamede,
Che per 1* insegna aver s* inchina a terra,
E nell' elmo abbassato in modo il Beile
Che con I* inrarco suo tutto 1' atterra ;
L* altro, che del cavai si trova a piede,
Tosto si rappresenta a nuova guerra ;
E come fu leggiero a meraviglia,
Del Toscano al deslrier prende la briglia :
xxxiu
E ’nlorno ad ambe mani il gira e scuote
E per torgli ogni tempo non s' arresta ;
Nè l’ Italo guerrier ferire il punte.
Che scudo del destrier gli fa la testa ;
Pur di punta si spesso il ripercuote
Dal volto in basso in quella partee ’n questa,
Che non lunga stagion durar poiria,
Non trovando al suo fin novella via ;
xxxiv
Ma sol con la sinistra il morso tiene,
E eoo la destra man ripiglia il brando,
Che sostenuto pria dalle catene
Area lassato gir per terra errando ;
E tra '1 capo e la gola, ove non viene
L' acciaro, a fui eh* ei possa al suo cotnaudo
Beo la testa crollar, gli pon la punta,
Ove al sommo spirar la canna spuota.
XXXV
Stilla il sangue lontano, e I' arme tinge
Di color porporino a chi I' offende ;
Il percosso cavai per doglia spinge
Se stesso in allo, e dritto si distende ;
Poi tre volte per I' aria allarga e stringe
L* on piede e l'altro, che levato pende;
lodi col suo signor tutto in un monte
Stampa ii Ieri cu con l'impiegata froute.
xxxvi
Ma perchè *1 suo cader saggio aulì vede.
Il famoso Toscan rimase sciolto ;
Né prima in terra fu, che surse in piede
Di dolor, d’ ira, e di disdegno avvolto,
E dice : Or come mai piò Palemede
Potrà senza arrossir mostrare il volto
Trai miglior cavalier, s' è il maggior fallo,
Che si conti al guerrier, dare ai cavallo f
XXXVII
E non potreste voi, uè quanti stanoo
Dell' Ebridi nebbiose all' aer fosco
Appagar il corsiero onde il Britanno
L allr' icr fu largo al suo fidato Tosco;
Ma non sarà per voi minore il danno
11 ritrovarse a piede in guerra nosco;
Che sol cou questa man, non col destriero,
Di guadagnare onor scettro spero.
xxxvtu
Cosi detto, s' appressa al loco, dove
Abbracciando I’ insegna morto giace
Il re famoso, e li mirabil prove
L'uno e l'altro guerrier di nuovo farei
Questo onore e pietà, quell' altro muove
Della soglia acquistar desio rapace ;
Questo altexza di coore, c pia boutade,
Quel valor uaturalc, e feriude.
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— 1
L* AVARO H IDE ^9^
IIXR
E cosi per cagioni assai direrie
L* onn e 1' altro è magnanimo ed ardilo.
Gii I* Ebrido il primier, che’l tempo itene,
Sopra la destra spalla area frrilo
Il gran Toscan, che mal si ricoperse;
Che tanto dall* ardore ha il cor rapito
Di far del suo carsi rendetta chiara,
Ch* al danno che gli vico, poco ripara ;
XLVI
E rivolto al Norgallo dieta : Come
Non vi punse vergogna d* assalire
Un solo a piede, e eh* ha le forze dome
Dal lungo affaticare, e dal ferire.
Con tal destriere ? e dove or cade il nome.
Ch'io solca per lo mondo altero udire
Del cavalier Nurgallo f eh’ a mie spese
Ho provato villauo e discortese.
XI
Tal che l’osso traverso, H quale appeso
Co’ tenaci suoi nerri il braccio tiene.
Fu di picciola piaga alquanto offeso,
E punte sopra lui le anguste rene;
Il Toscan lui percote, ore sospeso
Lo scado alla sinistra in alto viene :
E per forza, eh’ aresse, anch’ ei non falla
D* esso impiagar nella contraria spalla.
XI VI/
Risponde l’altro a lui: Non sempre è l'or*
D* usar la cortesia, nè in ogni parte ;
Ch* ove del suo Signore il lien dimora.
Deve il guerrier leal provare ogni arte ;
Com’or debb io che *n fin ch'io scema ancora
L’ insegne del mio re per terra «parte,
Per drizzarl' iodi, e lorlc d'altrui mano
Poco cura mi fia Tesser villano:
XLI
E lo scudo ferrato gli divise.
In (in dorè a quel loro riropria ;
L’ altro una punta alla risiera mise,
Ch* alle luci arrivar dritta venia ;
Ma dorè ambe le ciglia in uno assise
Fer inarcarse poi prendon la ria,
Giunse il colpo nel mezzo, e drento passa,
E '1 volto sanguinoso intorno lassa.
XLV1II
Ma dopo tale impresa, in ciascnn loco
Spera il basso Norgallo a Palamede
Di far veder, che 'n questo e in ogni gioco
All* EbriJo valor di nulla cede ;
E che di cortesia lo scalde il foco
Quando il vuol la Tlagion, potrà far fede.
Come in più d* uno assalto mostrò assai
CIT al suo dovuto onor non fallì mai.
XLII
Ma però che non gio profonda molto,
E che il loco per se non è mortale,
Non gli fa tanto mal, che a lui riroltn,
Di punta aneli’ ei, quanto la forza vale,
Nella -sinistra parte il collo ha colto,
Ove il più rigid'osso in alto sale;
E venne addentro assai, ma non che vaglia
A dar fine, u impedir quella battaglia.
XL1S
E ’n questo dir, di nuovo anco l’a Iter ra.
Ma non cerea però di porlo a morte;
E 1 buon Tostano sciolto d' aspra guerra
Non lassa indarno gir la chiara sorte ;
Che le man porge, ove negletta io terra
L'insegna si giacea priva di scorte;
E per salva condurla il passo muove.
Quando nuova tempesta vico d' altrove ;
XX. Ili
Or cosi già ririo 1* un 1* altro ranno,
Che la spada al ferir non ha più loco ;
Pongon ai ferri man, ch* al fianco stanno,
Con rie più periglioso e breve giocu:
In più d' un lato ornai percossi s’ hanno,
Si eh' al termine gir mancava poco ;
Ma il cavalirr Norgallo, che veduto
Ila 1’ iusegna cader, quivi è venato.
t
Che tornalo è l'ardito Segurano,
Con Arvino il fellone, e ’l Ner perduto.
Grifo» dell'alto passo, e '! suo Rossano,
A cui il tolto vigore è rinvenuto
Del colpo acerbo, che dall'aspra mano
Avea di Maligante ricevuto;
E dei quattro guerrier fu tal l’intoppo,
Ch* a due slancili, e mal sani era pur troppo.
xliv
Corse con quel furor, che’l buon nocchiero
Ch’ aggia visto cader talor percossa
O d Austro, o d’ Aqnilon da spirto fero
La fida anlroua dal sostegno scossa.
Ch'or quinti, or quindi va pronto e leggiero,
Ora il grido adoprando, or la sua possa,
In fin che risarcito, o ben rendalo
Al suo loco primiero ha il danno avuto.
U
Fu il famoso Toscan primo percosso,
Che già in alto stendea la bianca insegna;
Della qual resta d' improviso scosso,
Perchè nullo ha timor, ch'altri sorregna ;
E quale abeto da radice smosso
Da Borea al freddo ciel, quando più regna.
Per T urto crudo del fellone Arvino
Si ritruova giacer col capo chino.
XLV
Urta col suo cavai seni’ altra cura
11 fero Palamede, ch* a piè trova ;
Cadde ei riverso, e *1 non aver paura,
Né 1 valore influito assai gli giova ,
Ma come era gravalo d' armadura,
Di tosto rilevar si mette in prova,
Con quella più snellezza, che faria
battuto lioucel, die sciolto sia.
Lll
E qtianlnnqne tenesse cosi steso,
E battuto com'era, in braccio stretta
La chiara insegna, si ritruova offeso
l)a così grave stuol, eh* a lui si getta.
Che sostener non può *1 soverchio peso ;
E l'anima già al cor l’era ristretta.
Quasi per dipartirsi vinta e frale,
Che ’l lodalo desio seguir non vale.
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L AVA RG II IDE
1411
Coti novellamente in forza loro*
Il famoso stendardo ai gran nemici:
Qui dell'antico orgoglio alza le coma,
E Tarme Iberne aacre e vincitrici
Segurao chiama : e di tal ipoglia adorna
Là man crollando, ne' »uoi liti amiri
Della vai Bruna la impromette a Marte,
Con altre palme aaaai quivi entro aparte.
IX
Cosi libero allor Tallero Iberno
Contra il chiaro Boorte il corso move,
Qpal tempestoso Noto a mezzo il verno
Il giorno suol, che poi la notte piove ;
E contra il buon Norgallo, d'alto scherno
Parole usando, eh* ha battuto altrove,
Il percuote al traverso in guisa tale.
Che 'n piedi il suo destrier restar non vale;
ut
Ma aliar che più ai gloria alteramente,
E ch'ai Britanni ancor minarre aggiunge:
Ecco il fido Boucle, che già lente
De' «noi Tangoicie, e furiando giunge,
E di colpo atlraverto ai ponente
11 braccio al prrdalur perrole e pugne,
Elie gli fece cader, eli' ad altro bada,
L a acquietalo trofeo aopra la atrada.
u
Che insieme col signor si tmova a terra,
E '1 sinistro mo lato sotto preme ;
Ma tosto dall' incarco si disserra
Di Gare il buon guerriero, e nella teme;
E ’n verso Seguran si stringe a guerra,
E di vincer!» ancor nodriice speme ;
E '1 ginocchio or trovando, cd or la coscia
Gli dà spesso cagion di nuova angoscia.
tv
Al qual il buon Tosean, che già risorge
Dal tenebroso duci, vedrndol presso,
Quanto più tosto può la man riporge,
E già spera scampar portandoli* eaio,
Quando vien da traverso, ove non seorge,
Chi Tha più cb’ancor inai di nuovo oppresso;
Che Iluiiano il Selvaggio il ripercuote
Si, clic più rilevarsi allor non puotc.
LXU
Ma il forte Se»urau, che d’ alto fere,
E '1 può in lochi impiagar troppo mortali,
Sovra il (ito sovente il fa cadere
Ma più tosto rivien, che s'avesse ali;
Pur gli manca il vigor, cessa il potere,
E gli spirti già son debili e frali,
Si che non molto aocor gito saria,
Che morto, o prigionier, lasso, venia.
tvi
E T avrebbe anco ucciso, se non fora,
Che *1 famoso Boorte, che ciò vede.
Giunse al soccorso alla medesim* ora ;
E1 Selvaggio crudrl su T elmo Cede,
Si die in sella, qual fu, poco dimora.
Che, come il buon Tosean, si tritava a piede;
Ma ben tosto si drizza, c'I braccio stende,
E '1 vessillo, eh* egli ha, nel mezzo prende,
Utili
Perch’olirà Segurano, il Ner perduto,
Ed Arvino il fellon gli fan battaglia ;
E Clodin già volando era venuto,
E nessuno è di lor, che non T assaglìa ;
E T antica difesa, c *1 saldo aiuto,
Ch’ avere intorno suol di piastra e maglia,
Era mancato assai, perché '1 terreno
In più luoghi n* avea coperto il seno.
tvit
Dicendo : Somme grazie alla mia sorte
flen. lo, ch'or cosi a piè m' aggia sospinto,
Ed alla spada ascosa di Boorte,
Che m‘ ha, noi vedrnd* io, battuto e vinto;
ClT or mi Irov' io più comodo e più forte
Coutra il Toscano, ed al guadagno aecioto
Dell' onorato pregio eh* a cavallo
Era impresa impossibile acquislallo.
LXIV
Ma Tcrriaano il grande e Gracedouo,
Gaiindo, e Marabù» della Riviera,
Tutti al miier Toscano intorno sono,
E tolta gli han la candida bandiera;
E lui quasi di vita in abbandono
Avea lassalo la crudele schiera;
E Russano il Selvaggio iva superbo
Dell' alta spoglia, e del suo danno acerbo.
tetti
E 'n questo ragionar, con forza il tira
Il fer Tannano, nè il Toscano il lassa;
E ’n tal modo ciascuno ad esso aspira.
Che la spada riman pendente e bassa ;
Sol cou urtane insieme, ardente d' ira
L' uno e T altro di lor le membra allatta ;
E col piede offendendoti tal volta.
Par la guerra fra loro in lotU volta.
LXV
Resta il Norgallo ancor sopra il destriero,
Ma per tutto impiagalo in colai gnisa,
Clic dal più basso piè sovra il cimiero
Ogni armadura avea da se divisa ;
Pur quanto può, col buon volere intero.
Che dall'avversa man non sìa conquisa
Quella insegna reai, nè il suo Toscano
Resti oppresso con quella, opra la mano.
ux
Gira intorno Boorte il suo destriero,
E si duo!, che giovar non può al Toscano;
(die di due fallo estendo un corpo intero,
1/ un senza offender T altro aiuta in vano;
Ma inUuIo il gran Norgallo ravaliero.
Che Srgurau teneva iudi lontano.
Fu percosso talmente al destro braccio,
Che gli die per alquanto acerbo impaccio.
LEVI
Ma niente era, o poca ogni sua aita,
Che in grado venne al fin esso, e Boorte,
Che nullo han quasi più spirito e vita,
Perch* ambo al dipartir cercan le porte ;
Ma non essendo ancor tutta compita
In lor dal ciel la destinata sorte,
Con più veloce gir, che strale, o vento,
Ricondusse Tristano in un momeulo :
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3;) ^ L AVARCHIDE
uvn
E IMO h* Gossemante il cor e ardito,
Blnmberisse, Sicambro, c ’1 tuo Blanoro,
Ma <pel di cor piò acceso, e più spedito
Sprona il forte corsiero innanzi a loro;
E con simil furor, quando ferito
Si sente io caccia dal mastino il toro,
Urla il gran Segnran, che mal conduce
Col vantaggio, ch’avea, di Gavc il dace.
unir
Perch’olirà al popol molto, c senza nome
Ha impiagato in un braccio Arvino il fello,
E fatto ha del destrier posar le some
A Terrigano il grande appresso a quello,
E quasi ha di Clodin le forze dome
Col brando, che gl* intenebra il cervello ;
Gaiindo, Marabone, e *1 Ner perdalo
Qnasi insieme in nn fascio era caduto.
Lumi
E eoo T urto il ferisce nella fronte,
Si eh* esso, e ’l suo destrier percosso resta,
Di forza tal, eh' a dnro scoglio e monte
Saria, come a lor fu, greve e molesta ;
E qual platan maggior, ch’adombre un fonte
Sveglier suol da radice atra tempesta,
Senza l’assalitor sentire a pena,
Si ritrovò disteso su 1* arena.
IX XV
Or mentre il buon Tristan fa !* alte prove
Già ritorna il re Lago, e '1 figlio Eretto,
Che largo il corso iu quella parte muove
Con onorato e nuovo drappelletto,
Ch’ aveva infino allor sudalo altrove
Contra il popolo a piede, stando a petto
Matanzo il Brun, Palride al cerchio d’ oro,
Con Alibel di Logre, e Pelinoro.
LUX
No’! cura più Tristan, ma il passo piega,
Ove scorge l'insegna in forza altrui,
Ed al fero Pannonio, che la spiega,
Dà colpo fero, e non pnr guarda a cui ;
Cade il mesrhin, nè di lassarla nega,
Perchè senso vital non resta in lui ;
Che ben che fosse ancor lo spirto viro,
Del morente vigor rimase privo.
IXXVl
Fur quei dopo Tristan, come si vede
Dopo un gran terremoto eh* aggia scosso
Allo edificio, e che d’ antica sede
Per la iufinita forza sia rimosso;
Che *1 secondo, che vien, ciò eh’ era in piede
Di lui restato ancor non ben percosso.
Del tutto abbatte, e se minor ben sia.
Non men danno, o timore al popol dia;
in
Non è il chiaro Toscano in tale stato.
Se bene è molto fral, che ciò non veggia :
Nè tanto ogni poter gli era mancato,
Che di tosto ritorta non prnwrggia ;
Torna il prode Tristan dall'altro lato
Là, dove di Clodin la schiera aspreggia,
Tutta sopra i destrier, Boorte a piede,
Che come morto ornai pur nulla cede.
LXXVII
Cosi non meno intorno ebbe spavento
Di lor, che di Tristan, la gente fera.
Che sì fugge indi, come nebbia al vento,
E lassa ornai la candida bandiera.
Già ricondotto appare in un momento
Ogni destriero all’ abbattuta schiera,
E rimessi a cavai Fiorio c Boorte,
Come quasi furati all* empia morte.
LXXI
Ma in gnisa di leon, che fu ferito
Dall' insidioso arcier, che a pena punte
Reggerse in piedi al qnal cingano il lito
Di robusti pastor novrlle rote:
Ch'or 1' artiglio, ora il dente adopra ardito,
E sempre il più vicin di vita scuote ;
Tal che sol di lontan si latra, e grida,
Ma di appressarlo poi nessun $' affida.
Lxxvm
E mal d* essi ciascnn più pnote ailarse ;
Che questo, allor che ’l crudo Segurano
Col fero colpo all’ improvi so apparse,
Sopra Corner sinistro cadde al piano;
Sì che sempre ebbe poi le forze scarse
Tutto quel lato, e la medesma man».
Perchè fu tratto fuor della sua sede
L* osso del braccio, eli' alla spalla assiede.
. , IXXII
Tale al chiaro Boorte avviene allora.
Poi eh* ad altro rammin gio Segurano:
Ma come al Peregrin la chiara Aurora,
Che smarrito si trove in lito strano ;
Così dolce gli vien nell’ attiro* ora
Il bramato tornar del pio Tristano;
li qnal col minacciare a tutti fare
Quel, eh* a schiera di storni aogel rapare.
LXXIX
Dietro anco poi dalla sna destra parte.
In tra la costa settima, e la sesta.
Che quasi al busto umano in mezzo parte.
Ebbe larga ferita, e ben molesta
Dall'infido Alco, che in ascoso Marte
L* insidiosa lancia ivi entro arresta ;
Per la qual distillò sì largo il sangue.
Che ne divenne al fiu frale ed esangue.
ixxnt
Che ciascnn, ch’era incerchio, indisi toglie,
E diverso dagli altri il cammin prende;
E ’n tante parti il nodo si discioglie,
Che libero Boorte, e salvo rende *,
Ma il buon Tristano or questo, or quel raccoglie
E questo, c quello in un momento stende
Nell* arenoso sen ferito, o morto,
L' un sopra 1* altro gravemente attorto.
txxx
Ma mentre che ’l desio della vendetta.
Il bellicoso ardor, C ira, e I* onore
Lo scalda in mantener la spada stretta,
Nullo impaccio il prrmeva, nè dolore ;
Or raffreddalo il tutto, e che I* eletta
Beai bandiera di periglio è fuore,
E che sta in pace l’animo turbalo.
Sente con grave duol, ov’è impiagato.
ÀVARCHIDE
MUI
Tal che sopra il cavai si regge a pena ;
11 medeano addivien di Fiorio aneora,
Ch’ ha il destro piè ferito, ove la vena
Di tutte altre maggior si raoJlra fnora ;
La soleretla ornai di sangue è pieoa,
E la pena spasmosa cresce ogn' ora ;
Pur contento d* aver la rara insegna,
Soffre con alto cor ciò ebe a’avvegna.
LXXX1I
Or lassando il re Lago con Tristano
Tutti gli altri compagni, ha seco solo
Patridc, che reggeva il buon Toscano,
Ed ei Boorte suo come figlinolo.
Cosi sen vanno, e con parlare umano
Esaltando ‘Ri lor la gloria a volo,
L' Orcado al suo bramato padiglione,
Che poco era lontan, Boorte pone.
f.XXXIII
E mandato con Florio il suo Patridc,
Col cavalier di Cave si discende ;
E ’n man recato alle Mie genti fide.
Di medico appellar cura si prende :
Ma perchè nel passar da Innge il vide
Lanciotto, e che fia non me» comprende,
Io fio che dall' albergo, ove diserse.
Che sia Boorte par credenza prese :
LXXXIV
E '1 fido Galealto immantenente,
Ch’ era poco lontan, doglioso appella :
Fra lei, dicendo, la presaga mente
Annunzia a' mici pensier trista novella,
Che quel sia il mio Boorte veramente,
Ch’ appena si reggea sopra la sella,
Dal compagno condotto, e sia ferito,
O delle membra alinea forte impedito ;
LXXtV
E nel suo padiglione è gii disceso,
Ove non è il fratei, lasso, o Serbino,
Clic possa al male, onde si trove offeso,
Inipor rimedio col voler divino;
Or se mai fuste a pietose opre inteso,
Dimostratevi a lui dolce vieino,
Sì che l'alta virtù dell’ erbe vostro
In si gran cavaliero oggi si mostre.
LXXXVI
Tosto il buon re dell' Isole lontane
Che di verace core amò Boorte,
Non sicn, dicea, vostre preghiere vane,
Che ferma speme ho in Dio di torlo a morte }
Indi un fascio prendeo di rare e strane
Radici insieme, e di diversa sorte,
Che dalle apriche piagge fortunale
Di celeste possanza avea recato.
LZXZVII
Che se creder si debbe ivi nc nasce,
Nun sol per risanare ogni aspra piaga,
Ma per far ritornar com'era in fasce,
Qual unni più curvo la vecchiezza smaga ;
E ’l vigor rapportar, ehe spira e pasce,
In coi gii morte con la falce impiaga ;
E si di tua ragion chiuder le strade,
Che perpetua ai mortai faccia I’ elade.
txxxvm
Ed a Ini, ch'era il re, dove s* adora
Non inen che in altra parte Apollo, e Giove,
Sacrate offerte ne faceano ognora
Le genti tutte con mirabil prove.
Cosi volando alla medesim’ora
Il chiaro Galealto il passo muove;
F. dove era Boorte Insto giunge.
Il qual grave dolor più che mai punge.
I.XXZIX
Come suol nell' aprii dolce la pioggia
Venir talvolta ai verdeggianti prati.
Che fur, mentre che Apollo in alto poggia,
Nella stagion miglior troppo assetati ;
Tal ti feo lieto in disusata foggia
Il buon re Lago, e gli altri ivi adunati
Intorno al cavalier, la cui gran doglia
Non gli fe' mai cangiar parlare, o voglia.
xc
Se non che, come ci vide Galealto,
Con lietissimo viso a se I’ arculse.
Poi dice : Or fia contento il duro ed allo
Cor, die di sdegno il nostro fato avvolte,
Al vostro Lancilolto, e'1 feo di smalto
Coolra il dir nostro, eh' ascoltar non volse;
Poi che molti impiagati con Arturo
Vede, c l’ oste de' suoi ti mal securo.
xct
Or crescerl la gloria alte tue palme.
Che fatto è vincitor 1' empio Clodasao;
E dei Britanni ornai le più chiare alme,
E dei Galli, • dei Franchi ha viste in basso;
L' altro stuol carco di dogliose salme,
Ch* ancor resta di qua dal mortai passo;
Il qual sempre dirà, ehe Lancilolto
AH’ estrema miseria I* ha condotto.
XClt
Seguiva ancor, ma 1* Orcado che sente,
Che l' ira e *1 ragionar danno gli apporta,
Ruppe il parlar dicendo : Veramente
Alla vostra salute apre la porta
Fortuna ornai, poi ch* alle forze spente
V' ha maodala dal esci si fida scorta.
Come il re Fortunato, il essi valore
Alle Parche allungò più volte 1' ore.
seni
Altra aita miglior qui il tempo chiede,
Che di tarde spiegar 1' altrui querele s
E Galeallo allor dal capo al piede
Il fa spogliar che nnlia parte cele;
ludi ogni piaga sua tentaodo vede,
Non con raen s sepia man, eh* a lui fedele ;
Poi con sugo, eh’ avea, d' intorno bagna,
Per cui subitamente il sangue stagna.
ze»v
Appresso feo di più d' una radice,
Senza chiamare alcun, minuta polve,
E posta in esse ogni dolore elice,
E 1 suo putrido umor secca e dissolve ;
Poi con dolce parlar si volta e dice :
O famoso Boorte, or ehe v’assolve
D’ ogni periglio il cielo, a quel ch'io sento,
Darò riposta al vostro pio lamento,
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L AVARCHIDE
XCV
Dicendo, eh* a ragion ti motte a «degno
Il chiaro Lancilotlo, avendo scorto
Il superbo Gaven d* invidia pregno
Col favor del suo re conir’ esso sorto:
Che *n cor famoso, e sovra ogn* altro degno
Troppo si trova aver doglia e sconforto
Il fedelmente oprar, che mai non smaga,
Se d' ingrato volere altri 1’ appaga.
xcvi
Non si può , sanando vuoiti, al duro morto
Con le forze richieste por la mano,
Come il deslricr nel tao primiero corto
Il tosto raffrenar si prova in vano:
Crederò ben fra me, ch'alto sorrorto
Si può sperar dal figlio del re Bauo ;
Che ‘1 vostro mal la debita pietade
Avrà svegliata ornai la sua boutade.
XCV1I
Ed io tornando a lui, s* ancor si trova
Qual* io non credo già, d* animo duro,
M* ingegnerò con mia preghiera nuova
Con mostrargli dei nostri il tempo oscuro,
Ch' ornai spoglie ogni sdegno e Tarme muova
Al bisogno maggior del grande Arturo ;
Ch’ai magnanimo spirto non s* aspetta
Coutra nemico tale altra vendetta.
XCV1II
E se dò non potrò, tenterò poi.
Che col suo buon volere io venga almeno
Co* mici guerrier, se pur mi nega i suoi,
A trarvi il mal, che vi trovate in seno ;
E faccia il ciel ciò che vorrà di noi,
Ch’ a me basta partir di giuria pieno ;
E per tor tali amici d* aspra sorte
Assai dolce mi fia T isteasa morte.
xctx
Perrh’avvegna ora, o poi dal drl m’é dato
Di por fine alla vita in questo lido;
Che ritornar fra mid mi nega il fato.
Come concede al nome eleruo grido :
Gitale al nascer mio T alto Nifalo
Predisse ai cilladin del patrio lido,
Che sovra qnaoti avea vali e profeti
Intendeva del del tutti i segreti.
c
Allora il re dell* Orcadi 1* abbraccia.
Poi con tenero amor la mau gli prende,
E dire : lo prego il ciel, die largo faccia
Delle due cose sol quella, die ’n tende
Al vostro onor, che d'Afiriea, ove agghiaccia
L* Iperboreo casnmin già il volo stende,
E piò ultra anco andrà : ma il vostro fine,
Il corso agguaglie alle virtù divine.
ci
Ma fia certo di voi bell* opra, e degna.
Se ’l duro Lancilotlo piegherete,
Ch* a questo uopo più grave a'suoi sovvegna,
E d* A varco espugnar gli nasca sete)
Perchè si dica poi, che la sua insegna
Spaventata aggia sol l'onda di Lete,
Che scafa il suo apparir già vino* era
Non mcn, eh' oggi ne sia d' Orno c il'Era:
ai
Nè stando in ozio sol voglia vedere
In periglio e 'mpiagata schiera tale ;
Non può alla guerra Arturo provvedere.
Col piè ferito, e eoo dolor mortale;
Non si può Maligaule sostenere.
Percosso aneli' esso di pungente strale |
Nè il misero Toscano ha miglior sorte,
Ch* or possiate discerncre in Boorte.
cut
Prendasi guardia pur, che non gli foglia
Il poterne aiutar lo 'udogiar troppo ;
Ch' mi punto sol l'occasione spoglia,
E *1 più vdoec corso rende zoppo ;
Nè ritorna poi indietro all'altrui voglia.
Ma fugge innanzi più che di galoppo i
Si che dii cura licn del miglior tempo,
Comiace il bene oprare oguor per tempo.
eie
E voi per quello amor, die senza pare
A lui tempre portaste, ed egli a voi.
Non gli lassate il cor lauto indurare.
Che d* onta e di dolor s* uccida poi ;
Mostrategli il scalirr, che dee pigliare.
Per alzare il suo nome, e salvar noi)
E so che ’l vostro dir gli fia più a grado.
Che d* ogn* altro il consiglio unico, o rado;
Cf ,
Che nulla penetrar più addentro suole
In giovin core, e di virtù seguace,
Che d'amico fedel dolci parole,
Che proveugan d’ Amor puro e verace :
Or da voi sol, qual lo splendor dal sole.
Ne può sovra arrivar salute e pace.
Se vorrete, alto re, si rum’ io spero.
Tutto il poter di voi spiegare intero.
evi
E se pur dentro a se voto, o promessa
Gli vieUsscr per noi T arme vestire.
Fate, eh* almru da lui vi sia concesse
La gente sua, che voi dcLba seguire.
Come direste, e con la vostra isteria.
Che non mcn di valor mostra e d* ardire;
Ch'io sua sicuro in me, che giunte insieme
Faran tosto fuggir chi caccia c preme.
CVII
Poi quantunque di voi l’iuvit la spada.
L'animo e la virtù sia chiara mollo:
Fareste al nostro ben più larga strada.
Se dall’ arme di lui veniste avvolto ;
Perchè ’1 volgare stuol sovente bada.
Non mrn eh' all* opre, al conosciuto volto ;
E voi sapete bene, a clic ridotto
Talor Toste d* Avarco ba Lancilotlo,
cvui
Or se da voi verrà grazia rotale,
Sarà per voi rinato il re Britanno,
E renderà v vi ouor più clic mortale,
Come a ristoralo: d'ogoi suo danna;
E la gloria di voi sarà immortale.
Nè i secoli maggior T offenderanno ;
Perchè nè fia memoria in tante carte.
Che ehi divora ogn' uom non v* ara parte.
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l’ AVARO H IDE
ca
Qui *> Urqne il re Lago e Galealto,
In cui col vero onor pirla ai meace,
Risponde : Se quel cor piò che di smalto,
0 di tigre crudcl non mi rieace :
O Lancilolte, o me tosto all* assalto
Potrà veder chi *1 dolor rostro accresce ;
Dio vi dia larga speme, e ’n tal salolo
Al patii glion » addruaa, orni’ è venuto,
ex
Ma non motto è lonlan, che 'nsierae trova
Con Lamoral di Gallia Perscvallo ;
E gli dan di pietà materia nuova,
CI»' ambe feriti son sopra il cavallo;
Quel nella destra coscia si ritrova
Un troneon rotto, che non venne in fallo
Dal fero Palamede d' una lancia,
Onde la fronte avea pallida e rancia.
ext
Il fratello è neU* omero ferito
Di durissimo strai dal lato manco ;
L* ano e 1* altro di lor resta impedito,
* E del saligne, che versa afflitto e Inauro :
Ratto a Scontragli, e doloroso è gito,
E confortando assai gli segue al fianco;
Poi ritrovato il lor comune albergo,
De* due stanchi corsier gli toglie al tergo,
CSM
Poi sopra irsele pelli gli distende,
E con discreta man trae d'ambe dooi
11 troncone e lo strale, onde gli pende,
Indi spoglia a ciascun gli arnesi suoi;
Appresso il sugo e le radici spende.
Come a Boorte pria ; partendo poi,
Come il più tosto può fece ritorno.
Ove avea Lancilolto il suo soggiorno.
CAINTC
» xviii j^rj
ARGOMENTO
Jìi Paradosso il corpo si contende
Agt inimici , c salro è ulfin condotto.
Incalza Srguran , Tristan difende
Il Briitan campo a mal partito addotto,
Brunoro intanto a maggior cose intende,
Dallo scompiglio de’ nemici indotto
A scacciarli dal fallo ; e al suo parere
Guidano i duci f ordinate schiere.
•"la in qneslo spazio il frro Separano,
Trovando Arlnro, e la reale 'insegna
Prr la sola virtù del buon Tristano
Esser ritolta a Itti, troppo si sdegna ;
E gli spirti infiammati arma, e la mano.
Che famosa vendetta almeu uè vegna ;
E richiamando intorno tutti i suoi,
Biasma il Liei, loro, e se medesmo poi.
il
Dall* altra parte il chiaro Lionese,
Che 1 gran re Caradosso in terra vede.
Con le min tronche, e 1’ altre membra stese
Esser calcato dal nemico piede ;
Si dispooe appagar 1' avute offese,
E rilrarl* iodi a più secura sedei
E più tosto con lui brama la morte.
Che lassarlo negletto in quella sorte.
ili
Così spronando 1* un disdegno ed ira,
E generoso onor 1* altro e pleiade,
A nuova guerra fulminando aspira
Il più onorato par di quella etade ;
L* uno in ver 1' altro il freno aurato gira,
E si veggiono in alto ambe le spade,
Ch* avean cou verso il lucido splendore
In sanguinoso ed orrido coloro.
IV
Fu il primo il pio Tristan, che'I crudo Iberno
Sopra 1* elmo incantalo alto percosse,
Con quel furor, che mai nell* aspro verno
Cucirà il regno di Teli Eolo si mosse ;
Si eh' ogu* altro avria posto in sonno eterno;
Ma il forte Seguran non più si scosse.
Ch'altero scoglio, che vicino al lito
Dal possente Nettuno sia ferito.
V
Par nel calare il colpo in basso trova
La spalla al loco, ove non vico lo scudo;
Nè il raddoppiato acciar tanto gli giova,
Ch* ci non senta dolor, qual fosse nudo ;
Che quantunque sia pur d'antica prova.
Non potè sostener 1 iucarco crudo,
Ch'ei non cedesse alquanto, e con suo danno
Desse strada al signor di qualche affanno.
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L’ AVARCHIDEi
VT
Mi non fu lai, che ne tenesse cura
Più che di «pina suol sai valico orso;
E di vendetta far tosto procura,
A quanta forza avea Irritando il morso *
Pur sopra il capo, e pensa alla cintura
Pervenga il brando, risegando il dorso ;
E forse il sno sperar non era in vano,
Se lo scado trovava a lui lontano.
XIII
E tirato 1' avrien secoro in loco,
Ove poi de* nemici era trpfen,
Se la schiera Britanna pur on poco
Ritardava il venir più che non fro ;
Ma come all’ arid* esca corre il foco,
(die ’l gelato pastor presso moveo,
Si gettò il Bruito ardito, e n lesta fere
Bussano, e sopra il morto il fa cadere.
vii
Ma VArmorico re, che V ha previsto,
li dorato leon levava in alto,
11 qnal tolto impiagato appare e tristo,
Ben che sia quasi adamantino smallo.
Che delle sette scorze ha fatto acquisto
Delle tre intere al dispietalo assalto
Il ferro suicidisi, ma poi la qoarta
Fa che '1 sommo poter da lui si parta.
XIV
Ucciso no, nè molto anco impiagato,
Ma del colpo è stordito, e tolto oppresso;
Viene il fido Abondan, che gli era a lato,
E per prendere il re s' aggiunge ad esso ;
Ma da Margoodo, e *1 crudo Fortunato,
Ch'a soccorrer Rosaan si trovan presso.
Gli fu percosso in on la mano e'I braccio,
E posto a' suoi desir soverchio impaccio.
Vili
E se ben non gli nocqne, tanto grave
Fn il colpo, che'nlronato e stanco resta
Tulio il sinistro lato, e dolor n'ave;
Ma non è più che T ira, che ’l molesta,
E *1 desio di vendetta, perchè pavé.
Che quella turba de' neniiri, o questa,
di' al socrorso suo vico, gli faccia noia,
Prima che l'un dei due s'arrenda, o muoia.
XV
Sì che ’n dietro dolente si raccoglie ,
E quei due della preda aveano il regno,
Se Goisemante dell' amiche spoglie
L'uno e l'altro di lor non facea in degno;
Che eoo due colpi sol le forze toglie
Ad amlio, e fa lassare il regiu pegno ;
Cbe'l destro omero a questo, a quel la testa
Impedito, o ‘ntroData io lutto resta.
IX
E perchè a quei d 1 altrui oon ha riparo,
A suoi, che 'ntoroo so a, chiamando grida;
Chi di voi fia, signor, di lode avaro.
Sia de' nostri compagni esempio e guida :
A ritrar d’ altrui forze il corpo chiaro
Là, doode dipartii) l'anima fida,
Del gran re Caradosso, e eh* al valore
Aggia degno fra* suoi funebre onore.
XVI
Nè fuggir lassa il tempo Gargautioo,
Che nel braccio del re la mano stende,
E seco il tragge ; ma crudel vicino
Gli si fa Matanasso, che 1' offende
Nell' elmo tal, che '1 pose a capo chioo.
Come chi 1' alma all' altra vita rende ;
E rosi sovra il re la maggior parte
Di quei chiari guerricr distesa ha Marte,
X
E vi prometto ben d' oprare in guisa,
Ch’ al vostro chiaro andar non vepna stroppio
La spada Iberna da pietà divisa.
Se *1 sno primo poter fosse aoco doppio ;
E se non m* è dal Ciel la forza incisa,
In fin d'Avarro s* udirà lo scoppio
DcH'Armorico ferro, c della mano,
Sopra il suo primo duce Segurauo.
XVII
Chi d* ogui senso, e chi di forza privo;
E se ben d' essi alrnn morto non sia,
Nessun però nel riguardar più vivo
Del morto Caradosso ivi apparia :
Nestor di Gave di se stesso schivo,
D' esser senza l'amica compagnia
Restato io piede, al caro Blomberi'se
Sol rimato con lui, doglioso disse :
XI
Quando egli odoa cosi, Locano il brutto,
Aboudano il felice, e Gargantino,
E ’l gran Nestor di Cave, e 1 drappcl tutto,
Che per sua sicurtà si fea vicino,
Rivolge il passo, dove il sangue asciutto
Non era ancor nel misero confino.
In cui giacean neglette c mal difese
Del valoroso re le membra stese.
xviii
Or di doppia cagion doppia vcodetta
Dei compagni, e del re sopra le spalle
N' ha il ciel locato, e 1 un dei due n' aspetta.
Palma, o cipresso al periglioso calle ;
Tegniam pur fermo il cor, la spada stretta,
E facciam si, che quota chiusa valle,
O vincendo, o morendo, aperto mostre.
Che sien degne di noi 1‘ opere nostre.
zu
E pensando indi irar senza contrasto,
E Dr unirmi, e Margoodo, C 1 Ncr perduto.
Come lordi avvoltori al morto pasto.
Clic di lunge sentendo ban pria veduto,
Al miser corpo polveroso e guasto
S'avvrnlan ratti, e lor porgono aiuto
Matanasso, e Hossan; die preso il piede
Già il cercan torre all' infelice sede.
XTX
E *n tai parole insieme si ristringe
La coppia ardila dei cerman di Gave;
Poi se medrsma confortando spinge.
Ove il gran Matauasvo in nulla pavé.
Nè d’attender i due soletto infìnge,
Clie men gli era il morir, che l'unta grave;
Ma pria, eh' ai danni suoi fosser venuti
L ha provveduto il ciel di nuovi aiuti.
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3o5
L A.VA.RCH1DE
Perchè il forte Drrnneu della fontana,
E Gallonante ij figlio di Girone,
Nato in Ibernia della bella Arane,
Di parto aeroso all* aspra regione,
Dall'alta coppia ornai poco lontana
Il braccio armato all* apparire opporne ;
E fece sì, clic nella prima giunta
Dell'impresa mortai la fona spunta.
XXI
Che di a terra mandar seenra speme,
Come s* avvicinasse, avea Nestorre
Quel, ch'era solo; e poi col frale insieme
L'onorato lor re d’indi ri torre ;
Ma quel par di gnerricr già l’orma preme
Vicina a Malanavso, e aggiunto corre
Sopra i due cavalier cosi veloce,
Che non veduto a pena ad ambo nuoce.
XXII
Che Gallinante a Blomberisse dona
Sopra la destra spalla do colpo tale.
Che d’ alto in basso tutta la persona
Gli fa intorno crollare, a render frale;
Non però il buon guerrìer se n’ abbandona,
Nè in se misura il ricevuto male;
Ma qual fero leon, che sia ferito
Allora al guerreggiar torna più ardito.
XXIII
Sopra lo srndo d’or, eh* avra, paterno,
Che la lesta ricopre, alto fedo.
Dicendo: Or senta il giovinetto Iberno,
Se il buon seme di Cave ha il frutto rio;
L'altro, ebe sprezza il nido suo materno,
E ’l Gallico onorò, come natio,
Rispose : lo non mi stimo senza fallo,
Men di voi «tesso, o di alcun' altro Gallo.
XXIV
E se ben la mia madre in altra parte
Mi partorì, come le diede il Fato,
Dal Gallico terreo chiaro diparte
L'iovitlo mio troncon dal miglior lato,
Di padre tal, che non cedeva a Marte,
E che visse tra voi sempre onorato,
E de* vostri alto amico, come spero
D’ esser anch* io, se giovine non pero.
XXV
E se 1* arme seguo or di Segnrano,
Il fa sorte e dover, non certa voglia ;
Che quei del re Doorle, e del re Bauo
Non am' io men, che buon fratei si soglia ;
Ma mentre eh’ ora arinm le spade in mano.
Come nemico rio, ben che mi doglia,
M‘ è forza di trattarvi, e tal richiede
L‘ onor di cavalieri», e la mìa fede.
XXVI
E cosi ragionando, il brando abbassa,
E quanto può il percuote nel cimiero.
Clic 'n terra cade, c '1 «no fid’ elmo lassa
Proprio al mezzo avvallato, ben che intero;
Ma il gallo cavalier tutto olirà passa,
Piò die fosse ancor mai cruccioso e fero,
D’ una pania lo scodo dritto al fianco,
E '1 poteva impiagar nel iato manco,
xxv»l
S* accortamente non porgeva innante
Quanto può il braccio, e non piegava in arco
Il ventre e I petto il saggio Gallinante,
Si che polca di vita essere scarco j
Poi mentre l’altro il brando suo pesante
Di ritirar »’ ingegna, non fu parco
Di vendicar lo scudo, ma non valr
Sopra l’arme, eh’ egli ha, colpo mortale,
zxviu
Nè men dall’ altro lato avea Ornine no
Con Nestore il rugin cruda battaglia ;
Che all’ uno e 1’ altro di valor ripieno
Par del nemico suo niente raglia ;
Ciascuno intorno a* fianchi, e 'atorno al seno
Egualmente ha squarciala e piastra e maglia;
E ti poco vantaggio in ambo appare,
Che non si vide guerra esser piu pare.
XXIX
Ma pur nel lungo andar, la prima forza
Si srerneva strancar nel fer Boemo,
Che non area nel ver la darà srorza,
Come il buon gallo di vigore estremo ;
Il qual nel faticar più si rinfuria,
Non che si mostre d’ una dramma scemo ;
E tanto era montalo, e quello sceso.
Che al Gn tosto l’avrebbe ucciso, o preso.
xxx
Se non che Malanasso, clic ciò vede,
Meutre pen^a il re morta a’ suoi raccolte,
Lassa I* impresa, e ratto muove il piede,
Ove già vincilor senlia Nestorre,
E dal traverso non veduto il fiede
Tra la fronte e la spalla, e ’l pensa porre
Con quel colpo disteso su l’arena,
E la vittoria aver di gloria piena.
xxxi
Pure il guerrier di Gare si sostenne,
Ed a luì tutto irato si rivolge,
Dircudo : Tale usanza si convenne
Ove Durenza tua Parerle avvolge;
Ma il Celtico terreo, che onor mantenne
Mai sempre intero, e sol la vista volge
Alla vera virtù, tien vii colui,
Che d' ascoso senticr ferisce altrui.
XXIII
E ’n tal parlar la fronte gli permute,
Quando men I’ attendeva, con la spada ;
Che gli fece crollare arabe le gole,
E le ginocchia andar sopri la strada ;
Volea finirlo il Gallo, ma non *1 punte,
Perchè di dietro vien, mentre a lui bada,
L' empio Dnimrno, e sopra il collo il trova,
E 1’ Ha condotto a tal, ch’indi non muova.
XXXIII
Però che essendo nel medesmo lato,
Qnasi in un punto, e da due tali olTeso,
I nervi ha oppressi, e ’l cerei) ro intonato
Si, rhe a pena sostien dell’elmo il peso:
Pur P allo core, e *1 gran valore innato
II regge ancor, che non sia in terra «teso ;
E ti saria con lor ristretto ancora,
Ma uuovo altro suo mal sorvienc allora:
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"ào? ^ l’ avarchide ]p^Ì^
miv
Che Safaro, e Merangio, e Morassallo
Ch'ivean quei di Granata, e di Gattiglia
Ore han sentilo il faticoso assalto,
Quanto più ratti pon girao la briglia;
Ond* ei, che non è porfiro nè smalto.
Di ritirarse indietro si consiglia,
E dice al sno german : Chi morte certa
Senga prò cerca e ’nvan, gran biasroo merla.
su
E *1 combattuto premio ivi abbandona
E si tiene a guadagno aver la vita;
Cosi non più conteso da persona,
Han la vittoria in man larga e spedita ;
E '1 buco Nestore allor dolce ragiona :
Poi che ’l Ciel ne donò grazia compita
Di scacciare i nemici, non si lasse
L' opra indietro di far, che qni ne trasse*
XXXV
A migliore stagion servar la vita
Deve il forte guerrier, che più non puolet
Colpa nostra non è, s' hanno impedita
La giusta impresa le celesti rote;
Che forse altro sostegno, e nuora aita,
Per non rendere alfin d" effetto vote
Le nostre voglie pie, serbano altrove,
Col supremo voler del sommo Giove.
XUI
E cosi detto, a lui chiama Aboodano,
Che già con gli altri lutti era risorto,
E dolce il prega con sembiante amano
Gli porga aita al sostener quel morto ;
Indi ha raccolta 1* una e 1’ altra mano,
Ch’ ebbe lungo 1’ onore, e ’l viver cor:o ;
La lesta poi, eh’ ancor nell’ elmo spira
Maicslà regia, ed alta a dii la mira.
XXXVI
Così stretti fra lor, con passo tardo
Si van traendo in più secura parte ;
Quando in un punto, più leggier die pardo,
Che di catene scacco si diparte.
Poi ch'ha scoperto rol bramoso sguardo
Damma, che di scampare usasse ogui arte,
Ivi appar Liouel con molli arcieri
De’ suoi, eh' ha più fedeli, e dei più feri.
XLIll
Indi il lotto ripon dentro allo scudo.
Che ritolto a' nemici avea Potete ;
Nè fu Ira loro alcun di pietà nodo
Sì, che di lagrimar non aggia sete :
E perchè muova i cor 1' esempio crudo,
E svegli al vendicar le menti quete ;
Noi volse ricoprire, e *1 fregio adorno
Fur le piaghe onorate, e '1 sangue intorno.
XXXVII
Ch’ai cominciar delle novelle risse,
Dubbioso in cor di quel, clic poscia avvenoe,
Nestor ivi lassando, c Blomberisse,
Per diverso cammin fra' suoi pervenne ;
E la schiera appellata, che *1 seguisse,
Al soccorso rattissimo rivenne ;
# Ove i fratei conforta in alte grida,
E gli altri appresso alla battaglia sGda.
xuv
Portanlo molti al suo reale ostello.
In cui con lunga pompa è ricevalo ;
Ma in questo tempo il forte Lionello,
Da poi eh' ha largo popolo abbattuto,
Chiamando indietro il vincilor drappello
Già con gli altri compagni era venuto,
Ove il lor buon Tristano, e Sepurano
L* un dell’ altro avanzar a’ adopra in vano:
XXXVIII
Nè di più tardo iodngio era (sestiero.
Che ’1 numero a* nemici anco crescea.
Che con Nabone il fello, ed Agrogero
Al soccorso de" snoi quivi correa ;
Ma Lionel già sceso del destriero,
Come erano i cugin, già in mano avea
(Entrato tra i compagni) il nobil' arco,
E vie più d' uno strale aveva scarco.
XLV
Che di tolto qnel tempo, che fu mollo,
Ch' a siugnlar battaglia erano insieme.
Nullo avea questo a quel di campo tolto.
Nè di lor questo o qnel più spera o teme j
Bene è d' essi ciascun di forza sciolto,
E stanchezza e sudor vie più gli prem*
Che non fa del nemico il ferro ardito,
Ch’ aneli* ei si truova ornai lasso e ’mpedito.
XXXIX
E 'l primo, eh’ ei trovò, fa Perimone,
Che '1 buon re Caradosso tiene in braccio,
E già nel porta, ma tosto il ripone.
Che gli dà in mezzo al ventre orrido impaccio
L' aspra saetta, e 1* anima gli pone
In libertà dal rio terrestre laccio,
Che pien di vizi e di lordure nacque
Là, dove il Tago aurato insala 1' acque.
XLVI
Ma nel primo arrivar di questa schiera,
L’uno e l'altro «li loro il piè ritira;
Che nessun d' essi immagina quel ch’era.
In fin clic più vicin non la rimira ;
Allor del pio Tristan la mente altera
Quasi ver Lionel si mosse ad ira,
Dicendo : Or perchè m* è da voi contesa
Nel mio maggior desio si bella impresa ?
xt
Onelorc il Iratei poscia, e Pistore
Tra T arene distende a lui vicini.
Quel percosso alla, gola, e questo al core,
Con le gambe tremanti, e i capi chini i
L'altra schiera, eh* egli ha, spiega il furore,
Ove scorge il gran numero, e meschini
Fa di vita in un punto tanti insieme,
Che chi vivo riman di morte teme ;
xlvh
Risponde il buon guerrier t Caro signore
Non son venuto a voi per oprar questo;
Anzi pori' io nel cor sommo dolore,
S' al vostro disegnar venni molesto ;
Ma beo direi, che si spendesser l’ore
In altro affare, e si provveggia al resto.
Che lontsu senza voi periglio porta,
Sendo privalo ornai d’ ogn altra scorta.
Digitiae^jj^ogle
3og
L AVÀRCHIDE
tifili
I miglior civalitr, come v’ é noto.
Già wn lotti feriti, e '1 grande Arturo ;
Lo stuol nemico di temenza voto
Della vittoria ornai ti lien sicuro :
E già con quel furor, che Libo, e Noto
Suol Nettuno assalir nel verno oscuro,
Con Brunoro, e Clodia a' è innanzi motto,
E minaccia pattar del campo il (otto.
IV
Coti fa il pio Tristan, che poi ch’accolta
Ha tutta insieme la famosa schiera,
E rimessa a cavallo, il pasto volta,
Ove i sani liberar del tatto spera ;
E già trova io camrain la gente folta,
Che di Clodin seguiva la bandiera ;
Cui senza cura aver, dona alle spalle,
E nel mezzo di lor fa largo il calle.
XLIX
Mentre parla coti, correndo arriva
Tutto pien di sudore ivi Creuso,
E con voce lontan di forza priva
Va chiamando Trittan lutto confuto,
E gli dice : Signor, per quella viva
Virtù, che *n voi trapassa il mortai uso
Non tardate al portar ratto soccorso
Al vostro campo in gran miseria scorto.
LV|
Non altrimenti appar, che fiamma ardente,
Che depredi al gran di d’ ampia foresta
L* altere chiome, il cui valor possente
D' Aquilone il soffiar sospinge e desta ;
Che delle accese frondi alto si sente
Il crepitare in quella parte e ’n questa;
Ove con più furor veloce vada.
Larga dietro di se lasciando strada.
t
Perchè già lo spietato Palamoro
Ila co* levi detlrier percosso al fianco
Le schiere di Gavrn, ti che fra loro
Raro gurrrier appar oon morto, o stanco :
Dopo il qual gionse ancor l'aspro Brunoro
Al destro lato, e "1 fer Clodino al manco,
Ch* lian di quei del re Lago aeriti e vinti
Molti, e dentro de* fotti han gli altri tpinti.
r.vti
E Terrigano il grande il primo intoppa,
Che senza Ini temere ad altro intende;
E si forte al destriero urta la groppa,
Che col Signore in terra si distende :
Indi senza arrestarse, olirà galoppa,
E nel passar, di' ei fa, si forte offende
Gaiindo, e Gracedono, ed Agrogero,
Che spedito di lor Irnova il sentiero.
LI
Nel trapassar de* quai, mischiati insieme
Infiniti v* entrar di quei d’Avarco;
E se non riverdesn la secca speme
Ne* nostri, e difendean I* aperto varco
Uriano e Landon, già il nostro seme
Era e di vita, e di buon nome scarco;
Pure i due Telamoro, e '1 Bruii con essi
Gli han con somma virtù di fuor rimetti.
LVIII
Gli altri, che son con Ini, 1* istesso fanno
Che ciascun quanto può percuote e spinge
Ma Lionello a piè fa maggior dauno,
Che di rosso color 1* arena tinge ;
E tanti strali in nn volando vanno,
Che 1* aer tenehroso te ne pinge ;
Cosi già spaventato fa ritorno
Da' fossi indietro di Clodino il corno.
ut
Ma non estendo quivi Maligante,
Fiorio, Boorte, e ‘I cavalier Norgallo,
Non pon, come vorrien, spingere innante
Gli altri guerrieri al combattuto vallo;
Che la parte maggior trista e tremante
Fall' ha contra i ricordi al core un callo,
E più tosto morir fuggendo elegge,
Che seguir con ooor chi lei corregge.
LIX
E le fugaci genti di Gaveno,
Ch* odon già di Tristan gli alti romori,
Sotto il viso più lieto e più sereno
Di novello sperar s’empiono i cori;
Ogni uom d' allo desio raccende il seno
Di racquistare i suoi perdati onori ;
E ehi prima parea più vile e tardo,
Or si mostra più ardilo e più gagliardo.
LUI
E per questo Gaven, che *1 danno vede,
Mi vi manda a pregar, chiaro Tristano,
Ch'ai gran bisogno ornai voltiate il piede.
Senza altrove altro onor cercare in vano,
Se non volete, che la vostra sede
Sostegno sia di quei di Scgorano :
La qual voi tutto solo ha per refugio
Par che si toglia via tosto ogni indugio.
LX
E ’ncontra a Marabon della rivieva,
Che con molti de* suoi passò la porta,
Confuso io un tra la Britanna schiera
L* arme, che 'ndietro già, dritta riporta ;
E *1 suo duce Gaven con voce altera
Qnel chiamando garrisce, e quel conforta,
E spinge in guisa, che in angusto calle
Face a nemici al fin volger te spalle.
LI V
Quando l’ode cosi Tristan si muove
Con quel proprio furor che 'I villanello,
Ch’ aggia, mentr' ara fuor, dogliose nuove,
Che '1 foco ingombre del suo firn l'ostello.
Che i buoi ratto ha disciolti, e come e «love,
Va il misero spiando a questo, e quello {
Nè per suo domandar raffrena il corso,
In Cu che arrivi a’ suoi saldo soccorso.
LXI
E fu ventura lor, che pria toroaro,
Ove è Clodin co* suoi fuor delie fosse.
Che i buon Tristan col drappelletlo chiaro
A quel loco vicin venuto fosse;
Che ben compralo avrien col fine amaro
L’ aver 1* audaci mani ivi entro mosse ;
Ma dove i lor compagni erano uoiti,
All* arrivar di Ini son rifuggiti.
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L AV A 11 C H 1 D E
Or con dinno moria l «li chi 'I con Icnde
Quest» onorato stuolo innanzi passa ;
E 1’ Armorico dure il corso stende
Di là dal vallo, e tutti pii altri lassa ;
Li con Gaveno esamina e comprende
Quanta pente vi sia ferita c lassa ;
Poi chi fuor resti ancor, chi dentro sia,
Con riguardo sottil per tutto spia.
Così dicendo, al loco si presenta,
Ove ardito salir cerca Brnnoro,
E ’n diversi cammin co’ suoi ritenta
Gli argini, che per Ini troppo alti foroi
Di lupo in paisà, che la notte senta
Dentro al serrato ovil gridar fra loro,
E pii apuelli e le madri, che ti strugge
D’ ivi entro gire, e nella mente ruppe:
E rigirando intorno al lato manco,
In cui più volpe il colle all’ Aquilone,
Trova <1 re Lapo, che canuto e bianco
Sembra all’ oprar di piovine stagione ;
Né di consiglio, nè d’ aita stanco
In saldo mantener gran cura pone
L’ argine, in coi Brnnoro i sooi conduce,
E gran tema e periglio agli altri adduce.
E quinci e quindi visitando mira,
S 1 ei trova a’ suoi desir finestra, o strada ;
Or move il passo innanzi, or ti ritira.
Or raspa in basto, or di montar gli aggrada :
Talora il porta speme e talor I* ira,
E tanto in giro rivoltando bada.
Che ’l di l’ aggiogar, e visto dal pastore,
L’ affamato bramar volge in timore.
, Come scorge il buon vecchio ivi apparire
Il nobil cavalier, eh’ adora in terra,
Lietamente con lui comincia a dire:
Ben securi siam noi di questa guerra,
E ’ndarno ornai si pensi d‘ assalire
L’ aspro avversario il cerchio, che ne serra;
Ch' ogni vali' ima, e cui niente chinile,
Può difender di voi l'alta virtude.
Tal fea Bruno™, di' ogni forza, ogni arte.
Ogni industria spiegando, ogni in» ingegno,
Or si mette a montar per qoella parte,
E degli omeri altrui si fa sostegno ;
Or le sue genti in molli lochi sparte
Tutte ad nn tempo spingerne dà il segno.
Per tentar te '1 combatter molli riti
Rendesse i difensor più sbigottiti.
Il conforta Tristano, e grazie rende.
Clic tal uomo aggia in Ini tale speranza ;
Poi del cursier già stanco a basso scende,
E nell' argine estremo il passo avanza,
E d' un di quei gucrrier nuova asta prende;
E per giunger in loro alla baldanza,
Chiamando questo, e quel, che rouotcca,
Per onor di ciascun, cosi dicea :
Ma come il verde scado, eh’ alto preme
Il dorato leon, vede apparire,
E conosce Tristan, perde la speme
Di potere indi solo ornai salire ;
E drizza il passo, ove ancor lingue e teme
Il corno di Clodin, che di fuggire
A pena il jwion tener preghi, o minacce.
Senza aver più nemico, che gli cacce.
Questi sono i gucrrier, coi gloria eterna
E cui lode immortale il mondo deve ;
Che dal silo gelato, ove più verna,
Di seguire il suo re ria dolce e leve,
Per sì lungo cammin : nè in lor si scerna
II periglio o ’l sudor noioso, o greve ,
Anzi, ove l'un eoo l'altro più s’ accoppie,
L' alta innata virtude in essi addoppie.
E ’n tendendo i lor danni gli assicura.
Che I' Armorico duce è io altro loco;
Poi dice : Alto signor, se non si cura.
Che venga Srgurano, io spero poco
D'aver vittoria, che l’ impresa è dura,
E non si dee tentar da scherzo e gioco
D' assalir fossi e valli, ove sia gente
Non mioor della nostra, c ri possente.
Or col medesmo cor, che aveste sempre,
Siate al nostro signor compagni fidi ;
Cht ▼' ha condotti in si famose tempre,
Per si dubbiosi mar, per tanti lidi
Al sommo onor sì largo che contempre
Ogni alto affanno, che la guerra annidi
E I' ultima fatica, che ne resta,
Non vi vegua al soffrir per lui molesta.
IICTIM
Ch' ancor vi fia dentro alla patria soglia,
Tra la pia famiglinola, all'ombra e al foco
Dolce a narrir questa passata doglia,
E '1 sofferto sudor recarse in gioco ;
Or d’ A varco spiegando alcuna spoglia.
Or di voi stessi discoprendo il loco,
Che ’inpiagato vi fu, lieti mostrare,
Aperto testimon dell' opre chiare.
Ma poi che i primi duci, e ’l re Britanno
Non verranno oggi fuori alla battaglia,
Creder si può di far non pirciol danno.
Se ’l rampo con bell’ ordine s'assaglia;
Ma in questo modo in van prendiamo affanno.
Nè faremo opra, eh' a Tristan ne caglia;
E per far un di lor di vita scemo,
Cento miglior de' nostri perderemo.
LXXV
Or che s* attenda a«lunqne Segnrano
E ch’un vada a ('.lodasse entro alla terra.
Che ne mandi volando a mano a mano
Ciascuno atto instrumrnto a simil guerra ;
Poi tutti iusieme l’animosa mano
Coutra il popol moviam, eh’ ivi si serra :
Ma non si perda il tempo, che 1’ ardire
Porria tornare in essi, e in noi fuggire.
3i3
L AVARCHIDE
invi
Mollo ha lodato di Clodatso il figlio,
E gli altri duci poi, di’ erano in Ionio,
Il buon ricordo, e 1' utile contigli»
Drl Nrr Brunoro, e lenza far soggiorno
Ove il gran Seguran con lorbo cìglio
Era rimalo, e pien di sdegno e scorno
Di non aver Tristan vinto all* assalto.
Che tosto veglia a lor, manda Yerrallo,
Lxxxm
Ma il discreto Brunoro indietro il chiama
E gli parla : Signor, se *n voi rilnce
Sovra ogni altro guerrter d' illustre fama
L'alto valor, ch'ai sommo vi conduce,
Non son gli altri cosi, che egnal non ama
Tutti i duci e gnerrier la quinta Luce;
Ch' a quel più largamente, a questo meno
Del suo chiaro splendor riempie il seno.
ijuvh
Che immantenente a lui n’andò volando,
E gli dice : Signor, Clodin vorria,
Ch’ ogni impresa di qua lassala in bando,
Voi '1 veoiste a trovar per corta vìa.
Ove dentro a' snoi fossi sta tremando
L* avversa gente, e dove agevol fta
Misturar di Clodasso Tonte e i danni
In poche ore per voi di si lunghi anni.
txxxnr
Però dov’ esso manca, si conviene
Al saggio imperador compir con l'arte,
E con T ordine saldo, che sostiene,
E ragguaglia in tra se assenna parte:
Or pria eh’ avanti andar, riguardiain bene
Di rarcor tutte in nn le genti sparte.
Poi formarle alla guisa, che si mostre
Di poter più giovar le voglie nostre.
LXXVttt
Risponde a Ini T Iberno : Or ritornale
Riportando a Clodia, che ratto vegno ;
ludi alle genti sue disperse amiate.
Clic s' accogliamo in un, comanda il segno;
Tutti i suoli marziali, e trombe aurate
DrlT altera Giunon crollano il recoo,
Richiamando il lontan, destando il tardo,
MSZV
E per dire io primiero il mio consiglio,
In nove schiere il lotto partirei.
Dando duce a ciascuna, eh* al periglio
Regga ben con ragion se stesso e lei :
Sei per questo sentier, che volge il ciglio
Alla fronte, ove siam, ne locherei:
Due sovra i lati e T altra alle sue spalle.
Ove il colie lontan chiude la valle.
LXUX
Poi lassando a Drumeno, e *1 fello Arvino,
Che conducendo quei seguano appresso,
Fra molti ravalier verso f. lodino
Con più veloce corso in via s*c messo;
E de* fossi il ritrova sul confino,
Che noli' altro attendeva, clic sol esso,
Per donar pieno effetto al suo desire,
E ì trepidante esercito assalire.
LXXXVf
E se ben queste tre di manco forza,
Che non richieggia il loco, altrui parranno.
Chi '1 nemico in più parti essere sforza,
Assai più che* non pensa apporta danno ;
Che ’l noccliier combattalo a poggia ed orza.
Per salvar il ino legno ha doppio affanno;
E non è ardito cor, che non paventa
Se di contrari lochi il dubbio sente.
UK
Poi eh’ arrivati fur ristretti insieme,
I maggior duri, e ragionato alquanto,
Diceva Seguran : La vostra speme,
Di compir tutta integra io sol mi vanto;
E là, dove il nemico manco teme,
Vo' che surga di lui l'estremo piaolo;
Che mi fia tulio piano argine e uiuru.
Nè dj mille Tristan le spade curo.
LXXXVtt
A qnei saggi ricordi il grande Iberno,
Vergognando fra se, fermato ha il piede ;
Di rivo in guisa, che correndo il verno,
Preso dal nuovo giel subito assiede,
E risponde : Colui, che prende a scherno
Quel, che gli reca onor, non dritto vede ;
E men chi in qualche parte gli altri avanza,
Di sormontargli in tutta aggia speranza:
I.XXZI
Vengasi tosto pure all' alla prova
Che '1 soverchio indugiar nocque sovente;
E ’l tosto e molto ardir mai sempre giova,
Con le voglie più al far, che al dire, intente;
Scenda ogn’uutn del cavallo, e‘l passo muova,
E la mano aggia pronta, e ‘Icore ardente,
Il piè snello e veloce, in ogni sorte
Disposto a riportar vittoria, o morte.
LX XXVIII
Che *1 Ciri giusto comparte tra i mortali,
Nè dona lotte ad un le grazie rare ;
A quel dà forze, eh' e’ non trovo eguali,
A questo sommo ardir, che non ha pare:
All' uo dà il scnuo, all* altro le immortali
Di Dei lodi e d* Eroi mostra cantare t
Perchè non vuol la somma sua bontaJe,
Per far ricco un, por gli altri in povcrt/de.
USUI
E'o rotai ragionar lo scudo imbraccia,
Che restando a cavai dal collo pende ;
Nuova celata aucor, che mtno impaccia
E la vista e T andare in fronte prende ;
Poi, qnal fero molosso al lupo in caccia,
Senza attender compagno il corso stende;
Già si muove in ver gli argini, ove vede
Larga schiera nemica aver la sede.
LXXXIX
Or senza contrastar lodo e consento.
Che si segua il cannaio da voi mostralo :
Cosi fermo fra loro, in un momento
Fu il numero migliore ivi adunato;
E '1 proprio Sepurano all' opra intento,
l>a Clodiino, e Brunoro accompagnalo
Al proposto disegno ordine mise,
E’ suoi duci, e guerrier così divise.
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xe
xevn
Per se medesmo elegge, ove la porla
Seco ha Galin, e F alto Bustarino,
Del ben ferrato rampo in mezzo assiede,
Tolosan quegli, e questi aspro Baviera ;
Perch' è il loco più forte, e che piò imporla,
Dan poi F ordine estremo che Clodino,
E eni guardia maggiore intorno vede ;
Con Terrigano il grande, ed Agrogero,
E d' aver aero poi fidata scorta
(Duce il primiero al duro Limosino,
Il Fortunato aolo, e Grifon chiede,
L’ altro al chiaro Nemauso, e Mompoliero)
Che mroavan le genti oteile fuore
Sien senza guerreggiar per dare aita
DelTinculla Pannonia inferiore.
A chi fosse al ben far la via impedita.
xei
xcvirt
Il primo loco poi da destra in mano
Non qneta il buon Tristan dall* altra parte
Al forte Palamede in guerra assegna ;
Mentre intorno i nemici accinger vede ;
Ch’ oltre agli Ebridi suoi, vuol Dinadano,
Ma con dovuta industria, ardire, ed arte.
Che tra ’l freddo Visero, e l* Albi regna ;
Ove il bisogno appar, tosto provvede ;
Bronadasso lo Svevo, e*l suo germano.
Poi col re Lago, e gli altri va in disparte.
Safar, che di Castiglia avea F insegna.
K 1 consiglio di loro umil richiede.
E '1 giovin Gallinante, che di Mona
Per dipartire i duci, e F altra gente,
Con agurio infelice avea corona.
Ove possa più star sicuramente.
xcit
XCIX
Il silo a lui più presso avea Brunoro,
E ’neominciò : Signor, bissino non merla
Col Provenzal M argoudo, e Gracedono ;
Qual sia sommo guerriero, o imperadore.
Dal manco Iato il primo è Palamoro,
Che scorgendo a’ suoi danni a fronte aperta
L’ Aquitan valoroso, e con lui sono
Spiegar l’empia Fortuna ogni furore,
Calarlo, ed Eirlabor, che duci foro.
Il pristino ardimento riconverta
Ove il Duero, e ’l Tago altero dono
In saggio dubbio, e ’n nobile timore.
Fan di loro all’Oceano, e poi ’l seguia
Non dell’ armi nemiche, ma di lei,
Merangio dell’ alpestre Andalofia.
Che spesso più che i buoni aiuta i rei :
xeni
c
Verralto il Biscain gii pone appresso,
E nel popolo spesso in nn momento.
Ove 1' Euro virin più spande 1’ acque ;
Senza rimedio omao, cangia il pensiero ;
Morassallo, e Drnmen vanno con esso;
Che 1 antico valore in questo ha spento.
Questi snl Beli, e quei tra F ombre nacque
E quel fugace e vile ha fatto altero ;
Della frondosa Ercinia e gli ha concesso
Che ’l medesimi, eli’ ha in mare, e eh’ ha nel vento
Estero Iranio, eh’ al suo Febo piacque,
Sopra il mortai valore ha largo impero ;
Tal che sempre tornò di pregio carco.
Dico del vulgo por, non di chi chiude
Ove in proova vcuian gli atrali e l’arco.
Invitta nel soo cor, qual voi, virtude.
XCIV
CI
liba, fi primo dultor dell'Ostrogoto,
Però scasati temo in questo giorno,
Col crude! re degli Eruli Odnacro,
Se feriti i miglior dei duci nostri,
Cui seguia d’ Aragona il nobil Loto,
E spogliato il desir d* onore adorno
E ’l Catalan Boderco a' vicini acro,
Già scorgete ne' miei, com’ io ne’ vostri,
Sopra il gran colle, che riguarda a Noto
Sol per necessità duro ritorno
Che tra i Neri Etiopi ha il tempio sacro,
Facriam, raccolti tra vallati chiostri ;
Con gravissime strida al lato manco
E s’ a difender quei drizziam le voglie.
11 Britannico campo assale al fianco.
Più tosto eh’ all’ uscir delle sue soglie.
xcv
cu
Gnnebaldo il Borgondo, e Matanasso
Certo è, che se di me sol questa vita.
Quel, che i più feri Allobrogi condace,
Nello stalo ove siam, fosse in periglio,
A diverso caromin muovono il passo,
Pria che cercar di questi fossi aita,
Verso ove Apollo asconde la sua luce:
Sarebbe ella di me posta in esiglio ;
Ove alza il monte ti, che scopre in basso
Ma per si chiara gente e si gradila
Quanto il nemico esercito c 1 suo duce
Convien sempre prepor F olii consiglio.
Puole oprare, o pensar per sue difese,
Che non manchi d' onore a quel che sia
Beo' securo da lor di tutte offese*
Con certissimo duol per alla via.
xcvi
cui
Va Kossano il Selvaggio all' altro calle,
Or s* a voi cosi par, padri e fratelli.
Che si volge ove Borea il Cielo offende
Direi, che i nostri dnci e cavalieri
Al colle pur, che dell’acqnosa valle
(Che molli pur ancor restan di quelli,
Biserrando il sentiero olirà si stende ;
Che non feriti il Ciri ne lassa interi)
E perchè l’ improviso e dalle «palle
Gisser da parte, e che ciascun appelli
Con più grave timor gli animi prende,
Quei, ch’ci pensa tra’ suoi miglior guerrieri,
Per ascoso sentiero e quietamente,
E che prr pruova ornai conosco tali,
Quanto è possibil più, mena la genie.
Che i ben possa lodar, puuire i mali ;
jitizjgU^ìoogle
L AVARO H IDE
CIV
E ’ntante schiere poi fosser dirisi,
Q natili lochi a guardar mestirr ne fi a ;
E che '1 capo di lor miglior s’ avvici,
Che di senno e valor fornito sia;
Un vada poscia intorno, eh* agli uccisi,
O gl* impiagati altroi ristoro dia ;
E così ogn' uom saprà qnanlo far deve
E chi merli alta lode, o biatmo greve.
eviti
Bandegamo il fratei di Maligante,
Con quei, eh* ha di Violonia, e di Cireslra
Che sotto la sua insegna erano innante.
Pone olirà il fiume alla montagna destra ;
Seco è Gerfletlo col suo stoolo avante,
Ch’ ei menò di Sarbnria, e di Dorcestra,
Agraveno, Abondano, ed Arganoro,
E dì Vigornia il cavalier Mandoro.
cv
Poi ch’ha detto, il re Lago a lai risponde:
Non si cerchi fra noi forma migliore.
Che non ti troverebbe, e ’n vao confonde
Chi troppo in contraddir contorna 1’ ore ;
Or col rhiaro voler, che’l cielo infonde
Nel petto di virtù, che brama onore,
(die più che *1 ferro, e l'adamante adopra,
Con sollecito andar moviamo all' opra.
C1X
11 gran re Pelinoro ha in guardia il monte
Con Lucano, Agrevallo, e ’l pio Malchiuo,
Che alla sinistra spalla alza la fronte,
Che più scorge Boorte esser vicino ;
Ch’ avean quei di Nortumbria presso al fonte
Di Tneda aspra, e del gelato Tino,
Con quei di Cantabrigia, e di Valpole,
E quei che la Bangaria in alto cole.
cn
Così fermo fra loro, il bnon Tristano
Per consiglio dell* Orrado famoso
Ha il meuo in guardia, dove Segavano
Della porta sforzar vedea bramoso ;
Blomberisse, e Blanoro il sao germano,
E Costernante ardito e valoroso.
Tra quei di Neastria, e di Cornubia intorno,
Con 1* Armorico re fanno soggiorno.
ex
Sieambro il sommo Franco, che conduce
Del gran re Clodoveo gli ornati Ggli,
Con la celeste insegna, in coi riluce
Lo splendor sacro degli aarali Gigli,
Verso ove il sol, togliendo a noi la lace,
Di Marocco i coofin rende vermigli,
Ha tutto in guardia il Sabbionoso colle,
Che sovra quanti ivi han la fronte estolle.
erti
Dalla man dritta saa loca Gaveno,
Col ricco Ivan, eh* ha il popol Sii Inailo,
Con Cremo, e Mandrin, eh' all'altro seno
Han quei che alberga il promontorio U vallo ;
Pon Lionel col pio cugin Baveoo
Del manro lato nel più estremo vallo,
Co’ soni d' Anversa, e Nestore e Taulasso,
Che viene onde Solveo più Mende in basso
CXI
L* Orrido invitto, col figlinolo Eretto
Con Ganesmoro il Nero, c Meliasso,
A ingombrar tutto il mezzo è stato eletto
Dell'ampio campo, e rivoltare il passo
Ove più senta dal nemico astretto
Questo, o quel loco, ristorando il lasso ;
E di gnerrier empiendo quella parte,
Che vota avesse il saoguinoso Marte.
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ARGOMENTO
// stalla il campo avverto Separano ;
/lampe una porta , e fa t trapi inuililr ;
Ma al toccorto de’ suoi move Tristano :
Arde la pupna ; tcrndom molti a Dite.
Poi che il tol ti nascose in Oceano
Fin mette T ombra alla funesta lite.
Galealto domanda in tal periglio
L'armi fatali del re Sano al figlio.
Liiscun dure d' A varco I’ ampie schiere,
Che al io mm<< impero suo commesse loro,
Va intonso visitando, e *n voci altere
Quel rhe de g già no oprar dimostra loro;
Ma sovra ogn* altro poi si può vedere
Mostrando il dragon nero in rampo d’ oro
Il fero Seguran, rhe lotti insieme
Picn d’ ardente furor sospinge e preme.
ti
E dice: Or questo è il tempo, io mi mostrane
Convien P alla virisi, che *n core avemo ;
E quel chiaro splendor, che largo apparse
Del Britanniro onor, rendere scemo ;
Che le glorie di lor per tutto spane
E per si lungo tempo, acquisimmo
In questa valle sola, e in questo giorno,
Pria eh' all'occaso il sol faccia ritorno.
ili
Ricordatevi pur, che ’1 ciel ne mostra,
Se calcar la sa p rem, la strada breve
Di Gne imporre alla inGnila nostra
Gii sofferta fatica, e sudor greve ;
E che dentro a quei fossi ornai la vostra
Pace e riposo ritrovar si deve :
E con lode immorlal larga Ticchetta,
E tutto il sommo ben, che '1 mondo appretta,
IV
Or non sapete voi, eh* ivi entro stanno
Di mille aline cilladi i tesori ampi ?
di' ultra il mare, e di qua dispogliali hanno
I più fertili, aprici, c lieti campi
Che dall' unghie rapaci del Britanno
Non è tempo onorato, che ne scampi ;
Ma delle prede antiche, e falli suoi,
Eredi e punitor sarete voi.
Accingetevi pur con core ardito,
Qual piu conviene a sì onorata impresa.
Coatra un popnl gii lasso e sbigottito.
Che larghi argini e valli ha per difesa ;
Di cui l’ impcrador giare ferito,
Bonrte, e molli, che v' han fatto offesa ;
Nè resta altri fra lor, che 'I nome vasto
Dell’ Armorìco giovine Tristano.
vi
A coi prometto io sol tal freno imporre
Ch* agli altri cavalier noveri poro ;
Nè 'I salverà da me fondala torre,
Nè riparo miglior di chioso loco ;
Ch* ogni suo schermo, ogni sua fona torre
Spero al primo apparir eoa ferro e foco ;
E render lotto il tutto eguale r piano
Si, che ’1 difenda sol 1' arme e la mano.
VII
Gii tacendo il grao duce, a lento piede,
Ch* essi seguan pregando, il passo muove
Verso la porta, alla coi guardia siede
Il boon Tròtto, che noi vorrebbe altrove:
Come poi più vicino esser si vede.
Empiendo I' aria e *1 ciel di varie e nuove
Barbare voci, e di snono aspro cd alio,
Velocissimo il gir dritta all' assalto.
vm
Nè impedimento alcun d’ argine, o fosca
Gli contende il tenlier eh’ ei non t* avvento
Olir* ogni spazio, e con I* estrema possa
Di passar' olirà sol non s’argomcntc;
Prende essa porta, e mille volte srossa
L' ha io guisa tal, che '1 popol ne spaiente;
Dietro a lui son 1' insegne, clic 'I cammino
Van mostrando al lontan, come al vicino
IX
Vicn I* altra gente poi calcata e stretta.
Con gli scudi fra lor serrati in guisa.
Che pria che penetrargli, ogni saetta
Del più pregialo arcicr saria ririsa ;
Van di par sempre e ben l’un l'altro aspetta
Si che dal vario andar min sia divisa
L* annodata eh’ avean seeura forma,
Stampando unitamente l’ istess' orma .
x
Scemimi nel fosso, e quel, eh' è indietro, aita
Quanto può quel dinanzi alto salire,
Ove dal vallo e l'argine impedita
La via ritrova al chiaro suo desire ;
Spingono insieme, e con bei delti invila
L' un 1' altro all' opra di mostrare ardire ;
E tentando in fra lor novelle forme.
Vanno ora inorine, or han diverse 1' orme.
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L’ AVARCHIDE ^ 3^
xr
XVIII
Or come mai potrà lingua mortale
Colai parlava attor, credendo morto
Raccontar tolto a pien 1’ alio romore ?
Il suo caro cugin, ch'amò cotanto;
I colpi orrendi poi d’ asta e di strale
Ma come vide poi, ch'era risorto,
Del popol folto, ch’or aocidr, or muore?
Rivoltò io ira di dolore il manto;
Di chi scende percosso, e di chi sale,
Ma il fero Seguran da Marte scorto
Cangiando il viver suo con largo onore ?
Di ridar tutte in polve si dà vanto
E la grandine spessa, che qui cade,
Le fortissime porte con la mano,
Di tassi e dardi all’ arenose strade ?
E di vita e d ooor privar Tristano.
XII
XLX
C,li’ ora il pio Rlomlw? risse, or Gossemante
Vede un grosso tronco», rbe tragson ivi
Che di Trillano il di compagni furo,
Sei più forti gnerrier di quello stuolo,
Vi con 1' asta ferrala indietro e innante,
Versando di sudor dal volto rivi
Scorrendo intorno il comballnto muro ;
Con lungo e faticoso affanno e duolo;
E quale al sommo ornai posa le piante,
Ratto entralo fra lor, d’ esso gli ha privi,
E di vittoria aver si firn seenro,
E con ambe le mani il prende ei solo,
Percosso in fronte, e con pallente faccia,
E se 1 pon sopra l’ omero si come
Scusa spirto raccor, tra* suoi ricaccia.
Villanella d’agncl (ondate chiome :
XIII
XX
Fa il medesrao Blanoro il terzo duce.
■ E va inverso la porta a largo passo,
Che congiunto con lor si truova all' opra ;
E con quello aspramente la percuote;
f -he questo a spasmo, e quello a morte adduce,
E sovente addoppiando or allo, or basso,
L’un di sotto riverso, e l’altro sopra;
Qual terremoto, o folgore la scuote ;
E chi conira i suoi colpi si conduce
Non aspetta Trislan vederlo lasso,
Nno ha scudo a bastanza, che ’l ricopra ;
0 le speranze sue d'effetto vote;
Che ’l porfir, l'adamante, o l'altra sia
Ma stimando il suo cor d’ onore indegno
Pietra più dura ancor, poco sarta.
Chi riparo si fa di muro, o legno.
XIV
XXI
Montò spinto da' suoi snperbo in vista
Chiama a tè Blombcritse, e Gossemante,
Sopra l'argine estremo il Ner perduto.
Dicendo: Or non movete d’esto loco.
Sì che i minor guerricr d' intorno attrista
Guardando ben l'entrata, mentre innante
L’oscuro tigre suo, ch’han conosciuto;
Contr' a quel rada, che ue prende in "ioco;
E la tema era in lor con danno mista,
Blanoro, e ogn* altro cavaliere errante,
Se non tosto gìungea con largo aiolo
Che le nemiche spade apprezza poco,
Blanor correndo al tubilo rumorr,
Segna il mio gire in parte ove quest' alma
Che gli percosse io un 1' orecchie e ’l core.
Lasserò nuda, o 1* ornerò di palma.
XV
XXII
E'1 truova, che più d’nn già impiagato ave
Coti detto, la porla in nn momento
E T acquistalo loco si difende.
Quanto ogu’ uscio si stende mostra aperta;
E chiama ì suoi dicendo : Ora ho la chiave
Ed ci, qual leve tirai, qual foco e vento,
Che la porla apre, onde il ben nostro pende;
Con brevissima schiera seco inserta
Ma giunto a destra, ove men guarda e pavé,
Vini sopra Seguran, eh' è troppo intento
La man sopra di lui Blanoro stende,
Alla vittoria sua, che sperò certa :
E con 1’ asta mortai che vien traversa,
E con l’urto improvviso in modo il preme,
Sopra quei, che *1 segnian tosto il riversa.
•Che lo stend' ivi col tao tronco insieme.
XVI
XXIII
Non con altro rumor nel fondo diede
Indi altra penetrando tra ì guerrieri,
Del più inchinato fosso delle spalle,
Quel privalo ha di membro, e quello ancide ;
Che scoglio alpestre, ch’alia riva assiede
Trova Entello, il primiero intra i più feri,
D'aspro torrente, a cui ristringa il ralle;
E la fronte in due parti gli divide;
Che di pioggia arricchito, irato il fiede,
Avenliu getta agli aridi sentieri
E lo sveglie iuili, e rimbombar la valle
Senza il piè destro, di' all’albergo il guide;
Fa col suo rovinar, tremando i cori
Euforbo, Amilaonc e Forcitio,
Agli armenti vicini, e a’ lor pastori.
Quel senza braccio, e questo a capo chino.
XV||
XXIV
Non fa ardito gnerrier, che ciò sentisse,
Non con altro terror va Ira costoro,
Che dal danno dì lui non preuda esempio,
Che famelico lupo ai caldi tempi
Fuor che '1 fero Grifou, che sempre visse
Tra la gregge sott ombra, e fa di loro,
D'animo invitto, ma superbo ed empio;
Pria che senta il patine, crudeli scempi ;
Il qual, Giove lsiasuiando, altero disse t
E i can, eh’ al nudo sol gran tempo foro,
Donami pur, se vuoi, 1' istesso scempio,
Prendendo dai signor dovuti esempi,
Ch io non curo il morir, mostrando aliueuo,
Si riufrescan nel sonno alla verdura.
Clie 'nlrepido il voler riserbo in seno.
Che dal raggio d’ Apollo gli assicura.
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l’ AVARCHIDE
XXXIX
lodi come ringhiai, che intoppo trova,
Che di piò olirà «ir pii rhiodr il ralle;
Che poi rhe di «qnarriarln indarno prova
Torna la fronte al fine «v'ha le «palle;
E spronando il fnrnr, di strada nuova
Cerca il traverso alla «pinosa valle;
E 'n quanti può incontrare il dente adopra,
Qaeslo e quel riversando sotto e sopra;
XLVI
E ch'egli era nel rampo entrato solo,
E gravissimo danno ha fatto, e molto ;
S'empie il candido sen d'onta e di duolo,
E si mette ertidel tra ’l popol folto;
Qual lupa alpestre, clic si muova a volo
Contra il fero maslin, che gli abbia tolto
Il più caro di tolti al mezzo gionio.
Mentre i figli a lattar ficea ritorno.
xt
Così il rrndele Iberno al manco lato
Tra la schiera, ch'ha indietro, si riearcia,
Poi che ’l primo rammin vede serrato,
Nè ’l porria beoe aprir forza, eh* ei faccia ;
Troova T ordin confino, e mal guidato.
Qual chi fuor di timor si mette in caceia;
Sì che senza contrasto affretta il passo.
Riversando nel gir piò d’uno in basso.
USD
E fa di tntti quei si largo strano.
Che pensar non «i può, non che ridire ;
Pon venti uomini a terra in poco spazio,
I quai non gli volean la strada aprire ;
Ma quanti piò n’ uccide, meno è sazio
Del sangue loro, e tnen quetale ha l'ire;
Quando gli risovvien di Gossemante
Cosi famoso cavalicro errante.
XLI
Cosi senta tener cara d* alcuno,
D’ Euro sopra il rnscel pii posto ha il piede,
Di lontan perseguito da ciascuno.
Che chi di fromba, e chi di dardo il fiede;
Ma vicin con la spada ornai nessuno
Di proprio, o d’ altrui mal vendetta rhiede;
Poi gli altri duri, e 1* Orrado, e ’l figlinolo
Di poterlo raecor gli toc lo stuolo.
XI. Vili
Por' oltra va, che assai presso alla porta,
Che con somma virtù guardò Rlanoro,
Conosre il Fortunato che fa srorta
A' suoi Pannoni, e combattea fra loro;
Allor qual orso alpestre, ri»' aggia scorta
Senza vicino aver mastino o turo
Giovenca al prato, se gli avventa sopra,
E per largii la vita il brando adopra.
xut
Giunto egli adunque, ove le basse arene
Del lento fiiimicel l’onda raggira,
Si volge a tergo, e gran vergogna tiene
Di ritornane indietro, e ne sospira j
Por la torba infinita, eh’ ancor viene
Tra i miglior cavalier, gli «pengon 1* ira.
Sì ebe d'esso varcar consiglio prenda,
Ma non sì, che qnalch’un pria noti offenda.
XLIX
E ben fatto l'avrebbe, se Grifone
Dell* allo passo giunto a lui non fora,
Ch'alia mortai battaglia s’ interpone,
E trae ’l compagno di periglio fora:
Ma del suo danno stesso fu cagione.
Perchè ’n vece di lui, lasso, dimora
Tra le nemiche mani in tal maniera,
Ch' al più luceule sol s' adduce a sera.
Xtltt
Pe rrh’ indietro rivolto, appresso scorge
Panenione, ni Agan venirgli al fianco ;
In lor la spada ricorrendo porge,
E percosse il primier nel lato mauro;
L'altro eh* a vendicarlo irato sorge.
Permise in fronte, e pallidello e bianco
Nel bel dell* età sua, eh* all* aprile era,
Spcnsel, qual rosa o fior la pioggia fera.
L
Perchè srndogli tolto lo sfogare
L* Armorieo furor contra il primiero.
Il versa in cimi, e senza spazio dare,
Tre volle il fere, ove allo sta il cimiero;
Al terzo colpo il fa per terra andare
Diviso in due; che non gli resta intero
Se non dal busto in giù la parte in cui
Sta quel, ch’avanza al nutrimento altrui.
XI.IV
Poscia un salto leggier nell* onde prr«e,
Le quai con gran rumor pel greve pondo
Salirò in allo, quanto in basso scese
Il fero Iberno all’arenoso fondo;
E le cerulee gonne intorno offese
Dell* alme ninfe, col colore immondo
Delle arme sanguinose in altro! danni»,
E ’n tra i suoi si ritrae con breve affanno.
LI
Morto il nobil Grifone, il Fortunato
TVr raggiunger Tristano il passo affretta;
Ma il seguitar più innanzi gli è vietato
Dalla gente, che fogge accolta e stretta;
Il buon Trislao non meno sconsolato
(Quantunque parte feo della vendetta
Del caro Gossemante) il sentier tinge
Di nuovo sangue, ovunque il brando spinge.
SLV
Ma il famoso Tristan, poi eli* ha mostrato
Al superbo avversario, che non sia
Del suo primo valor tutto spogliato.
Se bene il premea al lor fortuna ria,
Tornando indietro, sente d’ ogni lato.
Che ’l fero Segnrano ucciso avia
11 suo buon Gossemante, e Blomberiise
Quasi condotto a tal, ma poi rivisse:
MI
E fra la turba Anlifono, e lalmeno,
Pannoni entrambi, e di Grifon parenti.
Quel del cor trapassato il destro trito.
Questo le terapie, crudelmente ha spenti;
Con lor d’ Ibernia 1' orgoglioso Ebcuo,
Dispregialoe di tulle umane genti.
Perchè di Marte figlio essgr crrdea,
Pud, nel ventre impiagato, a morte rea.
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L AVARCHIDE
LUI
Vendendo olir' a quegli altri infiniti,
Ma di nome vulgar, »i fa il cammino ;
Ma poi eh' è presto, e sopra i Irisli liti
Scorge il misero amico tal virino,
E tanti intorno afflitti e sbigottiti,
Ch' haii perduto chi *1 frate, e chi *1 cugino,
Colai doglia e furor l'alma gl' incende.
Che d' indietro tornar consiglio prende.
U»
E qual tigre d' Ircania, che ri tra ore
Da 'ntidiosi villani uccisi i figli;
Che rabbiosa fra lor battaglia muove
In cui 'I morso stendendo, in cni gli artigli,
Onde il sangne di fuor si largo piove.
Che i verdeggianti rampi fa vermigli ;
Né si mostra ella sazia, in fin che manche
La torba intorno, o die le forze ha stanche:
LV
Tal P Annorico duce indietro volto
Poi eh' ha inteso per ver, che Segorano
Tornato è foora, e 'I Ini seguir gli è tolto,
Spiega sopra costor P ira e la mano ;
E tanto miete ornai del popol mollo,
Ch' ei n* ha roperto il sanguinoso piano :
Poi ch'ogni gente è già fuggita, o morta,
Ricerca al Gn la mal lassala porla.
LT»
La qnal, come pria fu, tosto riserra,
Che ’l consiglio dell* Orcado fu tale,
Dicendo : In molti lochi aviam la guerra,
E larghissimo stuolo il tolto assale ;
E veramente P nom vaneggia ed erra
In sì torbidi tempi, a cni più cale
Di falsa gloria, che di star sicuro
Poi che '1 ciel cosi vuol, tra fosso o moro.
LVtl
E no 'I diceva in van ; che Palamede
Col forte Dinadano, e Brunadasso
Di montar dalla destra allo provvede;
E già non lunge al vallo aveva il passo,
Mentre il popol, eh’ è li, tentando al piede
Con zappe e con marron l'argine in basso,
Cercan d' apparecchiar si larga strada,
Che la grave armatura indi entro vada.
Lvm
Nè dall'ùtrssa man Brnnoro il Nero,
Col Provenxal Margondo, e Gracedono,
Al procacciar anrh’ei nuovo sentiero
Più di quei neghittosi o lenti sono ;
Ma chi sopra i guerrier usa P impero,
Che nessun lasse P opra in abbandono ;
E chi al popol maggior va sprone e scorta,
Che dal frondoso bosco i rami apporla :
LIX
E ne riempie il fosso si, che aggnaglie
Quanto si può vicin P altezze estreme ;
Ma il franco Lionello aspre battaglie
Fa intorno ad essi, e gli rispinge e preme;
Che 'I possente arco suo le salde maglie,
E gli acciari, e gli scodi passa insieme,
In si veloce andar, di’ ad ora ad ora
Quel ferito, e quel morto è tratto fuora.
LX
Egli era entro la torre, che fiancheggia,
Fin do v' era Tristano, il manco lato,
E d* indi ascoso, ove nessuno il veggia,
Chi ferito riman, chi spaventalo,
Onde sforza il nemico, che proveggia
In nuova altra maniera, o ceda al fato
D’ indietro ritornar, ma ciò non vuole
Palamede ostinato, come suole.
LXI
Ma lassando tati' altro, si eoogionge
Con Brnnoro e co’ suoi, ch'avea vicino;
E con doppiato stuol veloce giunge
Dell' aspra torre al prossimo confino ;
E col desio d’ onor, che '1 cor gli punge,
Grida altamente intorno: Il mio destino
Pria mi furi la vita, che mi toglia
11 prender, o spianar P altera soglia.
LXM
Poi conforta i guerrier dicendo: Un'ora
E non molta fatica trar vi punte
Di lungo affanno, e di periglio fuora,
Se Palme avrete di temenza vote;
In questo punto sol lutto dimora
Il largo onor, che le celesti rote
V’han promesso, e 'I guadagno, e 'n voi sol fiat*
D* acquistar sommo bene, e lunga pace.
LXIil
Cosi detto, il primiero in basso scende,
Né gli resta Bruiior mollo lontano:
E li mrdrsmo il ratto passo stende
Safaro, Gallinante, e Dinadano,
Poi tutti gli altri appresso, e ciascnn prende
Ferro, o pesante legno, e non invano;
Che in guisa fan tremar di quella il seno,
Ch* se ne crolla intorno anco il terreno.
Laiv
Si come avviene, ove Nettuno imprima
Speco aspro e cavo, eh’ al suo gir s* oppone*
Che dei monti crollar l'altera rima
Fa tutta intorno, e l'altra regione:
Ora il buon Lionel, die seco estima.
Che d'aita appellare aggia ragione.
Con si pochi guerrieri essendo solo.
Conira si chiari duci, e tanto stuolo ;
LXV
Il fido messaggier Toote chiama,
Parlando : Or ricercate a ratto corso
Il buon Tristano, e ditegli, s* egli ama
Il comune alto onor, mi dia soccorso :
Che fuor che Seguran, r^ual altro ha fama
Tra i migliori cavalieri e quinci accorso;
E per tome di qna studiano il passo
Palamede, Brunoro, e Brunadasso.
ixvi
Non ritarda Toote, e ’mmantenente
Truova Tristan, che come udito Pavé,
Dice al suo Blomberisse ; la mia gente
Conosch'io ben, che dell' Iberno pavé; •
Però ri prego aver P occhio e la mente.
Che non le avvegna caso ontoso, o gr***l
E se *1 bisogno fia, fate chiamarne
Da chi con Lionel potrà trovarne.
Digitizea bViGopale
L AVARO II IDE
tini
Con lai orti in t'invia ratto alla torre.
Che con sommo valor si difendea:
Qui il famoso Baven, lì Nestor corre,
Ove il mestier maggior ti conotcea ;
E quanti può ciascuno in man raccòrrò
Cli' al bisogno infiniti ve n' avea,
Sassi, tronchi, terreno, arbori, e travi
Tanti ne gellan più nodosi e gravi.
tx Vili
E cadean di lassù ti spesse e folte.
Come al verno maggior la neve suole.
Se Giove i monti, e le campagne sciolte.
Gli arbori, e i campi, e i prati asconder vuole;
Che i venti acqueta, ed ha le nubi accolte
Più fredde in basso, e più nemiche al sole;
E 'I vialor tremando a poco a poco
D' no medetrao color vede ogni loco.
LXIX
Cotale ivi apparta l'aspra tempesta,
Che da quei difensori in basso scende,
E ‘I piede il petto, e gli omeri, e la testa
A questo, a quello amaramente offende 5
Nè il gran popol d' Avarco in posa resta,
Che 1’ arme ivi cadute in man riprende ;
E col furore in alto le rigetta,
Che fa il percosso in ricercar vendetta.
US
Ma quei, che più lontaa dal fosso stanno.
Con varie aste leggieri, e trombe, ed archi
Fanno a quei della torre estremo danno,
E nel mostrarse fuor rendon più parchi ;
Or quinci e quindi parimente vanno
D' entrambi i colpi nei medetmi varchi:
E *1 montare e '1 calare insieme aggiunto
Si ppolc ivi veder quasi in un punto.
LXXI
Sembrano al rimirargli estiva pioggia,
Quando subita appar nel mezzo giorno,
Che ’l Noto all' Aquiinn centrano poggia,
E quanto in mezzo sta girano intorno ;
Ch* or taglie, or cade io disusata foggia
L'onda, e più volte cangia il suo ritorno;
E le piante impiagando or alle, or basse
Fa di frutti e «li frondi ignude e casse.
ut XP
E vie meno è '1 romor sugli alti letti
Della più dura grandiue all' agosto,
Cagion che 'ndarno il villanello aspetti
Il soave liquor del nuovo mosto,
Di quel, che ’n sugli scudi, e sogli elmetti
Hisuona intorno, mentre in terra è posto
Questo, e quel cavalier morto, o ferito
Si, eh' al più guerreggiar resta impedito.
L XXI II
E 'I saggio lioncl di parte asrosa
Ila molli bnou guerrier dì vita privi :
Tra quei Nolanlo clic nell’ aria ombrosa ,
Nacque, ove al mezzo aprii gelano i rivi
Dentro all' Ebrida Cumbra ; e sanguinosa
Gli fc' la destra, orecchia e murio quivi
Tra le braccia di Schedio suo cognato,
In non molto per lui secoro Lato ;
SJtXIV
Perchè mentre il mesehin per altrui piange,
E *1 vuole indi portar vien uuovo strale,
E ’l percuote alla fronte, e tutto frange
L* osso, che in alto fra le ciglia sale.
Si eh* aneli’ ei muore j e I nobile Flnrange,
Che per lanuto andar guida le scale,
Fn percosso alla gola, e ’u quello {stesso
Loco alla coppia prima cade appresso.
Ut XV
Uccise dopo lor Fere, e Tal mone,
Ambedue Frisi, e cavalier d'onore;
A questo il ferro entro alla gola pone,
A quel nel seggio del sauguiguo umore;
Ma non per citi la fera opinione
Cangiar si può nell' ostinalo core
Del crudo Palamede, die si caccia
Più sempre addentro e rovinar minaccia.
LXXVI
Egli avea in tal guisa al basso piede
Della torre già fral la terra scossa,
Che poco tempo ornai seco s'avvede.
Ch'ai gran peso, che porta, regger possa;
Oud ci s* allarga alquanto, e poi provvede.
Che d'altre parti intorno sia commossa
Da lunghi legni e duri, e non s' inganna,
Che per lei rovinar poco s* affanna ;
IXXVII
Che per breve crollar, qaal era ìntegra,
Senza ritegno aver, giù in basso cade
Con I* allo rimbombar, eh* udirò a Fiegra
Le cenerose e (umide contrade;
Vien tenebroso il ciel d* oscura e negra
Polve, ch'ai rimirar ehindea le strade;
Si che mollo passò, pria che ’1 vedere
Potesse il primo stato riavere.
utxviu
E col sno rovinar condusse molti,
Che ciò non atlcndeano al cader fuora,
Di quei d' Arturo ; che restar srpolti
Tra legni e travi alla medesinT ora ;
Altri son morti ivi entro, altri disciolti
Di quei, che Marte trai migliori onora ;
Come Nestor di Gave, e Tanlasso,
Che si tosto s’ alzar, che furo in basso :
LXXIX
Che ancor tengon la spada, e senza tema,
L'un e l'altro rìpicn d'oscura terra,
Pria che ‘I popol congiunto troppo prema,
Accoppiati fra lor s* armano a guerra ;
Spingonsi avanti, e già di vita scema
Parte di quelli han fatta, che gli serra ;
E dimostrando poi gli altri seguire,
Colser tempo scettro al sno fuggire :
LXXX
E col veloee andar, che levi pardi,
Che di molli leon fuggano il morso,
Ove agli argin vicini i suoi stendardi
Pon spiegati veder, drizzano il corso ;
Palamede, e Bruuoro giunser tardi.
Che *1 nobil paro, qual baleno, ha scorso
Il fosso, ove trovando intero aiuto,
Dentro al prossimo vallo era venato.
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LIXXI
Tomenti indietro adunque d’ira carchi,
Quale veloci ean eh' ebhrr vicine
Due cerve, o damme, che ’n selvosi varchi
Dopo alcun nudo pian fn^iro al fine ;
E van dove i Britanni erano «carchi
D’ Ojcni difesa antica, e che *1 confine
C.onvien col ferro sol tener sicuro,
Non con lo schermo più di torre, o moro.
LXXXVIII
E si ristringe allor tra sotto e sopra
In cosi angnslo ralle la tenzone,
Ch' ornai indarno ciascun la spada adopra.
Ma con rabbioso urtare altrui »' oppone ;
Ciascun mette al passar la forza in opra.
Fermo trnendo il piè sopra il sabbione;
Quai faticanti buoi, che ’l carro han carco
Si, che spuntar non pon pietroso varco.
LXXXIt
E richamaodo appresso i lor guerrieri,
Palamede pii spinge, e pii conforta.
Dicendo: Or pimo ornai di spoplie alteri,
Poi ch’aperta n* aviam la chiosa porta;
Indi si mette ardito fra i primieri,
E Brunor lassa, che rimanga scorta
A quei che dietro sono, e punga e sproni
Chi per temenza gli ordini abbandoni.
LXXXIX
Ma il pronto Liouel, che ciò rimira,
S* arreca a* fianchi coi più dotti arcieri ;
Egli a destra rimane, e Nestor gira
Dalla sinistra dietro a’ snoi gnerrieri,
E questo e quel si folli colpi lira
Per traversi ed incogniti sentieri,
Che molti anriile, e molti lassa in doglie.
Sì che ’l nodo fermissimo si scioglie ;
LXXXtlf
E per l'alta rovina, che fa strada
Per in alto salir, ratto venia ;
Ma trova in cima l‘ onorata spada
Del famoso Tristan, ch'ivi apparia,
E gli vieta il rammin, che ‘nnanzi vada ;
E già sopra la fronte il feri, pria
Ch' ri possa immaginar che pente è questa ;
Ma il colpo di' ei senti gliel manifesta.
xc
Che ciascun voleotier ritira il passo,
E fuggendo il morir già il loco cede :
Ma il possente Bronoro che dal basso
Pur co' snoi per tornare addrizza il piede.
Gli risospinge, e grida : Ahi popol lasso.
Questo è l’ amor che porti a Palamede ?
Questo è 1’ ouor dell'Ila e della Iona,
11 cui raro valor si largo suona?
UUIV
Che ben raccoglie in se, eh’ altri non fosse
Fnor che M figlio di Ban, di forza tale;
Che l' elmo intorno di tal modo scosse,
Che poro avea da gir, eh’ era mortale ;
Non però l’ inviti’ animo turhosse,
Ma col valor, che raro aveva eguale,
Spinge pur anco, e cerca olirà passare,
Nc vuole indarno l’ore contornare;
XCI
Con qnesto ed altro dir gli torna in alto
E gli segue esso poi co* suoi Germani,
E più che mai rinfresca il primo assalto :
Ove oprar non si pon spade, nè mani,
Pon di ferrati scudi nn saldo smalto
Da ciascun lato, onde ritornio vani
Della coppia di Gave i colpi ascosi,
Ch’ al suo primo apparir venner noiosi.
UXXT
Che sapea ben, che lungo tempo invano,
Per abbatter l'un l'altro, si porrebbe;
Ma poi die ’l passo aveva aperto e piano,
Vincer l’ impresa, e non cosini vorrebbe ;
Prosando in se, che poi di Seguraoo,
S* egli avvrnisse ciò, più lode avrebbe;
E co' suoi si ristringe, e drizza il piede,
Ove il popol più frale c miuor vede.
xon
E tal fu il gran soccorso di costoro.
Clic mal pon gli altri il peso sostenere;
Già lasserian 1 impresa, se fra loro
Non gridasse Tristan con voci altere:
Ove fuggite voi? di' altro ristoro
Sperate indietro, o clic soccorso avere?
Altro fosso, altro vallo non sverno,
Se qncsti a Palamede lasseremo.
LMXVI
Non ne cale a Tristan, ma spinge al fianco
Contra gli altri guerrier, die ron lui vanno;
Caccia il brando a Filea nel lato manco,
E gli di del mortai 1’ ni limo danno;
Mirinto appresso rende esangue e bianco.
La gola incisa, ove gli spirti vanno;
Dopo costor fa Tulio, e Dedupoto,
E Basalro restar d'anima volo.
xeni
Non ne resta altro poi, che 1’ armi esporre,
E nudi prigiooier farsi a' nemici
Ch’ anco poi vi vorran la vita torre,
Per goder meglio i vostri campi aprici,
E le spose e le figlie in seno accorre
Di voi gregge vilissime e ’nfelici ,
Che qui stolli temete questa morie.
Che più dolce sarà, che quella sorte.
fJUtXVII
E degli altri guerrier a’ anride tanti,
Quanti al montar lassù sospinge il fato ;
Si che 1' allo romore, e ‘1 grido, e ‘1 pianto
Hanno il pensier nell' Ebrido cangiato ;
Ch' al soccorso si volge, e quello intanto
Britanno sluol da prima spaventalo.
Che fuggia innanzi a lui, già indietro torna,
E contra il percussore alza le corna.
xeiv
Con qnesle voci insieme, e con la spada
A* suoi porge ardimenti agli altri tema ;
Ma il famoso Brnooro a ciò non bada,
E spinge quanto può con possa estrema ;
E forse aperta al fine avria la strada
In altra parte, ove Tristan non prema;
('.he se ben T occhio ha presto in ogni late.
Non può per lutto poi Irò v arse armato.
zed b^Gq
l’ AVARCHIDE
xc»
Ma l' animo*© Eretto, risei rumori
Ila «li lontano udito e '1 gran periglio,
Tra le ‘chiere eh' egli ha di più valore,
finn lo «tentlardo «io d’ oro e vermiglio
Ratio al soccorso vien ron ({urlio amore,
Che la madre pietosa al dolce figlio}
E solo il suo gridare, e 1* alta polve
Il Britanno timore ai cor dissolve.
cu
Giunge tosto a quel loro, e di già scorge
Con le scale imbracciate il fero Iberno ;
E già le stringe al muro, e in alto scorge
Tutti gli altri, e Gaven prendendo a scherno;
Già per mettersi in rima il passo porge,
E già tutto ha varcalo il muro interno.
Già Calarlo, Esrlahorre, e *1 Fortunato
Seguendo il suo sentier gli sono a lato.
XCVl
E eoo tanto furor percuote in fronte
L* a«pra nemica schiera che venia,
Che non sol rintuzzò le voglie pronte,
Ma d* indietro tornane apre la via.
L’ un sopra 1* altro fra confuso monte,
E mal grado de* duci indietro già,
Ch' ove sia il suo Brunoro, o Palamede,
Nessun più cerca, o più l'ascolta e vede.
cut
Non ritarda Tristan, rh' ha l’alma intenta,
Ove vede arrivar l'asaro drappello;
E ron I* asta ferrata s argomenta
Di riipinger veloce or questo, or quello ;
Fu il pritnirro Esclabor, che’n basso avventa,
E 1 fa rader, quale invescalo augello
Dall' insidiose (rondi, ove al mattino
Allcttalo al suo mal torse il cammino.
xeni
Qual Sisifo infrlice, che ’l fatale
Sasso gravoso all'erto monte spinge,
Ch' ove pio falirando in alto sale,
Il ino «Irstin più al fondo il risospiuge;
E mentre ira, pielade, e duol 1' assale,
Altra nnova speranza il cor gli cinge.
Onde al suu vano oprar ritorno face.
Senta aver notte o ili riposo » pace ;
civ
Gettò Calarlo, e *1 Fortunato appresso,
Che nel suo rovinar le forti scale
Salde tenea con man, si che sovr* esso
Al percuoter dannoso arroge il male,
Che ’nsieme andato; e ’l popol che gli è presto
Sente non xurii di lui colpo mortale ;
Perdi’ a quanti guerrier si trova sotto,
Ha troncale le gambe, o ’1 capo rotto.
acmi
Tale a' linci avvenia, poi clic rivolto
Il popol che salia, si getta in basso,
Clic agli avvrrrsarii pur mostrando il volto,
E sforzati da' suoi volgono il passo;
Ma il malvagio, e'1 migliore in un ravvolto
Rovina alfìn, come quel proprio sasso,
O quel, che rota il rustiro architetto,
Per far fido sostegno al patrio letto.
cv
Resta sul Segnran, ch* Ita innanzi il passo,
E dal muro acquistato è si lontano,
Ch' esser non puote ornai riposto in basso
D' un rolpo solo, e si ripara al piano ;
E benché tutto sol, di vita casso
Esser prima dispon, che avere iovano
Calcato U vallo ornai più d‘ una volta,
E poi la possession gliene sia tolta.
xnx
E 'nvan s’ adopra 1' Ebrido e Rrnnoro,
Margondo, c Gracedono, e Dinadano,
di' a viva forza aliai scrudon con loro,
E *1 supremo sperar ritorna vano ;
Ma mentre in guisa tale opran costoro,
Vien volando Mandrino al pio Tristano,
E gli dire affannato; Senza voi
E io periglio mortai Gaveno, e i suoi.
evi
Né solo il buon Tristauo invita a guerra,
Ma quanti altri vi son, con tai parole :
Il superbo lena, quando si serra
Nella mandra d’ agnelli, uscir non suole,
In fin eh’ ad uno ad un non ponga in terra
Di sangue scarca la invilita prole;
Ned’ io partirò quinci, eh' io non abbia
Tinta di voi la mal tessuta gabbia.
c
Peri) rhe a lineila torre, che s* agguaglia
A questa, all'altra man verso 1’ Orone,
Gli ha mosso Palamoro aspra battaglia,
Ma di poco curarlo avra cagione ;
Or rhe '1 gran Segnran teme 1* assaglia,
E già in ordine i suoi d' intorno pone,
Vi prega per onor, che *n cor portale,
Ch’ al soccorso di lui ratto segniate.
crii
Cosi detto il crndel vede Trocooe,
Che non (unge a Tristan ver Ini veniva,
E squarcialo il cervello a terra il pone ;
Oresbio presso a quel di vita priva ;
Ma il gran re dell' Armorico Leone,
Poi eh' ha gli altri scacciati, in tempo arriva,
Che se tardava ancor, degli altri molli
Avria, come quei due, di vita sciolti.
CI
No*l nega il fido Armorìro, e poich’ebbe
Veduto in sicurtà quel loco ornai,
Promettendo a ciascun ch'ivi sarebbe,
(Se'l bisogno venia) veloce assai,
(ino quello amor, che ’n ravalier si «Ichbe,
Si volge a trar di sanguinosi guai
Il re d' Orcania, e gran drsire il muove
Di far cou Scguran novelle pruove.
evia
Ma qoal lupo affamato, eh' alla greggia,
Che sola ritrovò, gran danno apporla,
Che raffrena il furor, da poi che vepgia
Del lcrore masliri la fida scorta ;
Tale il gran Segnran uuu più vaneggia
Coulra i minor, nè fra la gente morta,
Come vede Tristan ; ma si raccoglie,
E ’n più saldi pensieri arma le voglie.
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cts
E va incontra veloce, e pira d' ardire,
Nè T altro il teme, anzi *ol esso brama ;
Ma quando più vicin sono al ferire,
Vien la schiera maggior, che Gaven chiama;
Che poi eh* lia visto del tuo vallo uscire
Ogni altro cavalier di maggior fama,
Vien contro a Separano e spinge in guisa,
Che la guerra primiera hanno divisa.
cxvt
Il qual di Gonehaldo la figlinola,
Amalilde appellata, sposa avea ;
(.In taro a Mirino la vita invola,
Ch* all' antico Vetonzio il fresi rrggea ;
Clodamiro Larceo, che regna in Dola,
Sospinse di sua mano a morte rea ;
Teodorico il quarto uccise Aldero,
Che del suo Matiscon tenea 1' impero.
ex
Che non pnò il fero Iberno al grave intoppo
Della gente, che vien, fermare il piede ;
Ma col valor gagliardo, e ’! poter zoppo
Di passo in passo sospirando cede :
Talor si sprona innanzi, e poi che '1 troppo
Lo sforza intorno, alla sua strada riede ;
Fin eh* all' estrema parte della torre,
Senza oflesa sentir, pnò il passo porre.
CXVII
Nè pur di questi sol ma d'altri molli
Di sangue popolar posero a terra.
Ma delle cose ornai nasconde i volti
L* oscura umida notte, e *1 giorno serra ;
Già i gran duci d’ A varco al tutto sciolti
Sou d' ogni speme (l’allungar la guerra;
E già di ritirarse ordine danno.
Ove possan curari' avuto affanno.
CXf
Poi calcando col piè la parte estrema.
Quasi il voi prese a guisa di colombo,
Ove J'argin di fnore il. fosso prema,
Che periglioso avea latsarse a piombo :
Tra i suoi •' accoglie, e con dolore e tema
Di chi d* esso virino ndio il rimbombo ;
Qual peregrin norchicr, ch'oda il flagello
Delle pietre affocate in Moogibello.
CX vili
Ma il fero Segarano irato ed empio,
Fria che d’ indi partir, gridando chiama :
Fate inerti Britanni un sacro tempio
Alla Notte immortai, che troppo v'ama;
E la seconda volta d* allo scempio
Ha scampata di voi 1' alma e la fama ;
Se la fama scampar di quei si crede.
Clic 'ntra gli argini e i fossi asconde il piede.
cxn
Nè più che in qnesti lochi in altra parie,
Ne' due fianchi del campo, c nelle spalle
Ha tregua o pace il sanguinoso Marte,
Ma del medrsmo suono empie la ralle ;
Ch' liba il fero Ostrogoto ha in giro sparlo
Le genti sue, dove difende il calle
11 chiaro Baadegamo, ed Agravcno,
Verso ove ha il mezzo di tepido il seno.
CXIX
Cosi detto, sen va con gli altri insieme.
Che d' aver tutto in man speran 1' alloro.
Tosto che d‘ Oriente i liti preme
Di Latona il figliuol eoi raggi d'oro;
Dall' altre parie si sospira e geme
Tra quei d Arturo, che i miglior di loro
Veggion tutti impediti, e di quei bassi
1 più morti, o feriti, e gli altri lassi.
CXIIt
Ma poco punte oprar, che la virlude
Dei chiari difensor trovò più dura,
Che '1 fabbro Sicilian 1' antica incode,
In cui 1’ arine del ciel forma e procura ;
E liotsan ver Boote, ove si chiude
Fra lo stuol suo nelle terresti orari
Con Pelioor, Lucano, ed Egrevallo,
D’ivi entro penetrar tentato ha in fallo.
cxx
Muovesi ir buon Trìstan molto a pietade,
E 1' Orrado famoso, e gli altri regi ;
E die curati sien, cercan le strade.
Promettendo a ciascuno onori e pregi :
Ma più che in altro, in Galealto cade.
Che fu il fior sol dei cavalieri egregi.
La doglia del lor mal, che si convinse
A madre, che ’1 figliuol ri irò ve in pene.
CXIT
Nè Gunebaldo al loco, ove si pone
11 sol, che del re Franco aveva i figli,
Con men furore il sacro gonfalone
D' abbatter cerca degli aurati Gigli ;
Che l'odio antico se lì aggiunge sprone
Ai dispielalo cor di far vermigli
Del regio sangue i campi ; ma il valore
De' quattro giovinetti è via maggiore.
CXXI
E quanto tosto può, per via spedita
Piangendo trova il figlio del re Bano,
E gli dice : Signor, se mai gradila
Fu da voi l'alma amica, non sia vano
Il mio pregar, si che si doni aita
Al re Britanno almen per la mia mano.
Se '1 cielo al vostro core ancor non spira.
Che debbiate posar lo sdegno e l’ ira.
c IV
Che quiuci e quindi son fra lor partiti.
Come il vecchio Sicambro ordine diede,
E si ben guarda ogni uomo i proprii liti,
Ch'apprrssar non gli può nemico piede;
Molti uccisi ne son molti feriti,
Che fichiaman luulan la patria sede.
De’ Burgundi miglior che t.hildcbcrlo
Trapassato ha nel cor 1 empio AUbcrlo:
CXXIt
Non r’ accorgete voi, che più non puote
Senza soccorso altrui reggere il pondo
L’ afllilio stuol, cui le celesti ruote
Di miserie hanno spinto al se zzo fondo ?
E sì tosto che ’l sol domane scuote
Il tenebroso vel dal fosco mondo.
Or che gli argini e i valli son per terra.
Sarà morto, o prigion subito in guerra.
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338
crani
Ch'olirà i «luci miglior, come «aprir,
Son Orili i guerrieri in maggior parte ;
Infiniti varcar l' onda di Lelr,
Non bene accolli dal favor di Marte ;
Or «e di bene oprar mai fotte in tele,
O te vi mosser mai lagrime «parte ;
Siami concetto, e tenia farvi ofTeta,
Gli’ a questo uopo maggior vada in difesa.
CXXIV
nitpondc Lanrilotto : Già in me «tesso
D* aiutar pure Arturo area detire.
Per non vederlo al fin del tntto oppresso
All' ultima rovina pervenire.
Ma sento nn late spron giungersi ad etto
Dal pio vostro pregar, che tutte Tire
Che m* avvampino il ten per giusta via,
Il consiglio di voi spegner porria ;
cxxv
Ch'io non però di libiro leone
Porto il cor dentro, e di pietà ru bello ;
Ma, come il mondo sa, giusta ragione
Mi mosse al farmi a lu! ritroso e fello.
Or eh' è ridotto a tal, nulla ragione
Mi può più mantener contrario a quello,
Send' ei qui, sendo re, sendo cristiano,
Eli io I' unico crede del re Bano.
CXX VI
Or scusa altro più dir, come 1' Aurora
Spanda i suoi biondi crio nell' oriente,
Menar potrete alla battaglia fnora
Con la vostra miglior la nostra grnte ;
E 'I mio corticr, che in ozio si dimora,
Prender potrete poi, che più possente
K più snello è del vostro, e più leggiero
Da ritrarvi secnr d’ ogni sentiero.
cxxvu
E di più vestirete P armadnra,
Che già più giorni sono in pace siede,
Ch' ha di molle altre assai tempra più dura,
Nè mrglio in noi che *n voi riposta assiede :
lo mi resterò qui, prendendo rara
Di quel, che 'I loro r la stagion richiede;
K mi fi* a grado eli’ un ti largo onore
Venga in voi, caro a me più che I mio core.
ex svili
Non fu già mai più lieto Galealto,
E gli dice : Signor chiaro e gentile,
Al buon vostro voler cortese ed alto
Rendo grazie iufioite in atto umile;
Ma perrhè spaventati dall assalto
Restati confusi i duci e I popol vile,
Mi par eh' io debba andar dove si trova
Lu sconsolato re, con questa nuova.
ex xix
Lanrilotto risponde che gli aggrada :
Cosi il pietoso re con ratto passo,
Come che iu parte desiata vada,
Giunge ove Arlnro sta dolente e lasso.
Che ron Tristano e gli altri rerea strada
Per la salale lor, di speme casso ;
Ma si tosto che scorge ivi apparire
Galealto tra* suoi, comincia a dire :
rux
Mandavi il cielo a noi per nostro bene,
O sacro re dell’ isole lontane,
Per fine imporne all' infinite pene,
E le speranze far degli altri vane?
E *| sangue pio delle britanne vene
Sparso si largo già da sera a mane
Non ha tale ornai sazio Lanrilotto,
Ch* all’ averne mercè si sia condotto ?
cxxxi
Dine atlor Galealto : Io vengo a voi,
Famosissimo re, per dirvi come
Lancilotto ha commesse intere in noi
Di quanto ei può dispor le chiare some;
L'elmo, lo scudo, e gli altri arnesi suoi
Vuol che mi preman gli omeri e le chiome ;
E mi porli Nifonte il «no destriero,
Più d' ogn’ altro che sia forte e leggiero.
cxxxii
E che qnanli ha gnerrier giunti co* miei
Vengan meco animosi alla battaglia,
Si ch* io possa provare i buoni e i rei,
E Segnrano altero quanto vaglia ;
Che non *1 sperando addiir qual io vorrei,
Che per voi rivestiste e piastra e maglia,
Il pregai che ciò fesse, e fa contento,
E spieghe rem diman I* insegne al vento.
CXXXIII
Lieto piò eh* ancor mai l'alto Britanno
Risponde: Adunque voi chiamar dovremo
Sommo ristorator del nostro danno,
E divin salvator del punto estremo;
Di voi sempre figlino! •' appelleranno
Quei che ’l spirto non hao del corpo scemo ;
Ed io tra palme aurate e sacri allori
Vi darò coutro a morte alti tesori.
cxxxtv
Qui finito ciascun che 'atomo odia.
Con allegro sembiante il guarda e loda;
Già n'è il campo ripieno in ogni via,
Già par, eh’ ogu’ uom per la vittoria goda:
Torna il buon re con larga compagnia,
Ove il gran Lanrilotto indi si snoda
Da tulli gli altri, e *n parte si riduce,
Ove in posa atlrndeo la nuova luce.
i
yfloogle
Digiti^ed bj
I
ARGOMENTO
-to+e+c*
/v invitte schiere alfin traggono fuure
< introito rei il figlio del rr Unno,
Onde ì nemici n' han si fier limare ,
( he i duci il irnian dissipare invano .
Pugna da prode Calmilo, e muore
Trafitto prr Ir. man di Srgurnrto,
(he da Trislan poi vinto , privo resta
Della salma del re lacera e pesta.
C sopra il tutto poi prrmlelf cura
Di ben seguire il nostro Galeallo;
Nè da lui vi disgiunga orrida e dura
Forza d’altrui nè di Fortuna assalto;
Rimembrando, che d' onta aver paura
Dee, non di morte acerba, il guerricr alto;
E che sete appellati a ritrae fuora
D'aspra miseria Arturo aU'allim' ora.
vi
Cosi detto e tornato al padiglione,
Con le sue stesse man dal capo al piede
L'arme sua tutta integra a torno pone
Al dolce amico, e ne I' ha fatto erede ;
li snol di ferro e 1' argentato sprone,
Lo schinier sopra, e *1 coscial dopo asaiede;
Indi il saldo braccia), poi che locato
Alla gola ha l'acciaro, c ben serrato.
lvon avea ancor la sposa di Titonc
Imbiancato il sentiero al nnovo «ole;
Ma il fido Galealto, a cui lo sprone
D'onor l’alma pungea, già surger vuole;
E con ardenti voci in opra pone
I ministri miglior che in guerra cole ;
('.Iti sveglia il buon vie-in, chi grida intorno
di* all* orizzonte «mai s'appressa il giorno.
La corazza incantala, dura e grave
Troppo alle forre sur gli chioda iotornn ;
Pongli poscia il plastron, come chi pavé.
Che alcuno aspro colpir gli faccia scorno ;
Al destro Iato poi con salda chiave
Ripon la buffa, dove assiede adorno
Lo spallaccio sì duro, che no *1 possa
Piegar non che squarciare umana possa.
Ma i primi suoi guerrier, nè quei che vanno
Sotto l’ insegna pia del chiaro amico.
Di stimolo all* andar mestier non hanno.
Che sempre ebbero il cor d’ozio nemico;
Or di caldo desio compunti vanno
Di mostrar fuor che *1 gran valore antico
Non sia spento anco in essi, e eh’ e' son tali
Clic posson ristorar gli avuti mali.
Cingeli poi la spada che Viviana
La donzella del Lago e sua nutrire,
Cinse a lui già, di tempera sovrana.
Con l’ altre arme eh’ avea nel di felice,
Ch* al Britanno terren non mostrò vana
La sua virtù d' ogni altra vincitrice;
Leve al sno braccio solo, agli altri appare
Di soverchio pesante e senza pare.
Già in piede «Laorilolto, e poste ha insieme
Dello stool suo le candide bandiere,
Che dieci furo: e 'n torno all' ali estreme
Locate ha de* cavai le squadre altere ;
Poco lontano a lor 1’ arena preme
L' orlili medesmo delle folte schiere
Che 'I buon re Galeallo seco avia,
Che l' insegna ventesima compia.
IV
Va intorno Lancilotto, e ’l nome chiama
De' suoi duri maggiori, e dice a tutti ;
Chi di voi, dolci amici e fratei, brama
Del nostro lungo amor rendere i frutti,
Non faccia oggi fallir la chiara fama
Clic 1 inumili empie di voi, gli amari lutti
Vendicando degli altri, e l’empia sorte
Di si gran cavalieri e di Boorle.
La cotta marzial poi dove splende
Il rosato color col bianco accolto,
Dall' nmer manco per traverso stende.
Si che ’l braccio miglior si truove sciolto;
Il cui solo apparir da lunge rende
Ogni avversario suo di ghiaccio avvolto ;
Che del sangue nemico è aspersa tale
Che l'argento alla porpora era eguale.
x
Vien poi ’l nobil drstrier, che candido era
Qual pulito crmrllin, che in don gli diede
D' Artur la realissima mogliera,
I)' onor, di grazia e di bellezza erede,
Allor che dei uemici prigioniera
La trasse fuor delle famose prede ;
Per memoria di cui sempre da poi
L* ebbe in pregio maggior di tutti i suoi.
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UT
E quando veppiou poi le bianche insegne
Ch' han le tre verge oscure a lira ver sa te,
Par che ciascun in cor timido vrgne.
Che l‘ ha più volle già viste e provate;
E 1' ardente desio tosto si spegne
D'assalir, come ier, le squadre armate;
E 1* un I* altro tacendo in volto guarda
E quanto puote aucora il piè ritarda;
XXVI
Si come il caccia tor eli' al vespro cinse
Di tele intorno la spiuosa valle,
Ch’ai mattin ritrovare io cor si finse
Cervelte o damme nel serrato calle,
E con securo andar leve »' accinse ;
Quando in vece di lor dopo le spalle
Sente il fero leon ruggire o I' orto
Che gli fan ricangiar volere e corso.
xxvit
Ma il chiaro Seguran contrario pare,
Qual si vede talora aspro molosso.
Che per volpe o lepretta seguitare
In gioco è del pastor di laccio scosso,
Chc'n ver lupo o cinghiai, eh* a caso appare,
Lassando 1' altre girne, il piede ha mosso
Con più lieto desio, eh’ a sdegno avea,
Quando fere vilissime offendea.
xxnu
Spingesi alquanto innanzi e'1 guardo affisa
Si che’l biauco deslrier ch'ai mondo è noto,
Che Ga quel che parca, per fermo avvisa,
E che del suo signor non venga voto;
Cangia il volto e '1 color nell' improvvisa
Vista, come al soffiar d' acquoso Noto
Suol cangiare il seren l’ umido aprile,
Che raro usa tener l' islesso stile.
XXIX
Tremagli in seno il cor, trema la mano,
Nè disecrne fra se che farcia o dica ;
Non perdi’ ei tema il figlio del re Bano,
E non gli sia con lui la guerra amica ;
Ma in si gran novilade adopra invano,
Che l’invitto valor se stesso intrica
In quel primo arrivar, ma a poco a poco
Il girl che dentro avra divenne foco.
XXX
E rivoluto a* suoi dicea : Signori,
Or poss' io ringraziar del tutto Marte,
Ch' a’ miei promessi e da me chiesti onori
Non vuole oggi furarne alcuna parte.
Poi eh' oltre 'I mio sperar conduce fuori
Quell' amico guerricr di cui sou sparlc
Già Unte glorie, c di mi il mondo estima
Che '1 supremo valor Unga la urna.
XXXI
Ch'io conosco nel ver. che ben che in basso
Fosse lutto il poter del gran Britanno,
Fora il trionfo ancor di gloria casto
Nè compilo di lui 1' estremo danno,
Finché non era ancor battuto r lasso
Lanciotto, con quei che con lui stanno ;
Or scodo esso già fuor, l’ islesso punto
Fa il nostro faticar nel sommo aggiunto.
XXXII
Moviam pure animosi alla battaglia.
Cangiando ordine tosto, arme e disegni ;
E con più grave acciaro e salda maglia
Di possenti corsier prendiam sostegni,
Che Ga miglior per noi eh’ altra muraglia
Assalir di terreo, di rami e legni.
Ove uu sol vai per mille ove la sorte
I buon per man de' rei conduce a morie.
XXXIII
Cosi detto ogni duce e ravaliero
Spoglia I' arme più levi e I’ altre piglia ;
Ed ei fece il medesmo, e ’n su '1 destriero
Monta ch'era alto c grosso a maraviglia,
E senza alcun candor del tatto nero.
Che gli die’ Radagazo, che ’n Siviglia
Trnea l’ impero, il Vandalo onorato.
Che ’n giovinetta età l'aveva amalo.
xxxiv
E *1 tenea Segoran cotanto caro.
Che solo a guerre altere e perigliose
E ’n contro a cavalier più d’ altro chiaro
Qual tcnca Lancilotto, in opra pose ;
Sovra il qual già condusse a Gne amaro
Ginglante il forte, e fe* mirali il cose
in quel tempo primicr che io Gallia venne,
E d* Avarco il cadere in piè sostenne.
XXXV
Già col nobil cavai per ogni parte
Va iutorno visitando i suoi guerrieri,
E gli riscalda al gran furor di Marte,
Dicendo : Or valorosi ardili e feri
Esser convien e por tatto in disparte
II neghittoso andar che faeest* ieri,
E scguirme ov* io vada, che la luce
Sarò del vostro onor, compagno e dace.
xxxvi
Poi gli rimette in quadro aggiunti insieme;
Qual nel fermo ediGcio I' architetto
In tra lor 1’ un con l'altro i sassi preme
Per sostener più saldo il regio tetto ;
Indi con gli altri suoi mostrando speme
Più che fosse ancor mai nell’ alto aspetto.
Sprona il destriero innanzi, a Palamede
Ogni schiera lassando, eh' era a piede.
XXXVII
Fan I* islesso Tristano e Galealto,
Ché l'esercito a piè resta a Gaveno,
Ed ei co' lor cavai moovon 1' assalto
Si che la polve oscura empieva il seno
Non della valle pur, ma 1' aria in alto
D' ogni Iure eh’ avea veniva meno;
Che'l sol, che i raggi aurati spunta fuore.
Non la può penetrar col suo splendore,
xxxviu
Sembrava a riguardar qual esser suole
11 cicl, poi che '1 villan le biade accoglie.
Ch'ai solchi affaticati e ai campi vuole
Scartar pietoso le rimesse spoglie;
Che 'I foco sveglia intorno, onde si duole
Fuggendo il serpe nell' ascose soglie;
E ’l fumo adombra tal, ch'ivi ha condotte
Quante tenebre ha in seti I' oscura notte.
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L AVARCHIDE
mix
Scontrasi insieme e’1 gran roroor ne snora
Non men rhe quando Astrra cangia l'estate,
Che Giove irato allor fulmina e tuona,
Spaventando le menti scellerate ;
£ sì grave è il colpir rhe al metto dona
1/ una in ver I' altra delle squadre armate,
Che ben fa cavalier di gran potere,
Chi vivo o ’n so '1 deslrier si può tenere.
IL
Trova il re Galealto Licaone,
Che german fu del fero Bostarino,
Nel Norieo terreo nato d'Alcone,
Che I* impero reggea di qnel ronfino:
La lancia in merzo il cor dritta gli pone
R ’l fa, lasso, cader sovra il cammino
Fra la gente si stretta, che calcato
Fu nel medesmo punto da ogni lato*
ILI
Nè sol batte costui che 'I colpo istesso
Infimi sopra al quinto si distende}
Alleo, Biante, Tarco, e Tresio appresso,
Tutti nati ove l' Istro il corso prende ;
Morti quei primi tre, 1* nllimo oppresso
Nel petto si, che sovra l' erbe scende ;
E gran ventura fn eh* ei trovò loco,
Ove ’l popol ebe vien gli nocque poco.
XLII
Il famoso Tristan trova Arasmeno,
Ch' alf aspra selva Ircinia era molesto,
Della qnal con Drumen reggeva il freno,
K*1 Borni irò sluol fea nudo e mesto»
Gettalo in basso, e seco ;n su ’l terreno
Cade chi virn compagno insino al sesto ;
Mestor, Troilo, Amfio, Ciniro e Ormede,
Ch' ove 1' alba esce fuori avean la sede.
stili
Ni il chiaro Seguran con meo furore
Drlla schiera Britanna ha posti a morte
Molli buon cavalier, che largo onore
Avean dalla virtnde e dalla sorte ;
Alio, Pritano, Entiehio ed Ipenore,
Pandoro, e Laroonte il fero e forte
Armorico goerrier, che di Tristano
Era per rcal sangue prossimano.
XI.IV
Gli altri di Blomberisse e di Blanoro
Nati nel lito Nenstrio eran parenti i
E l'un sopra dell'altro ivi fra loro
Miseramente van di vita spenti ;
Nè il crudo Terrigano e Palamoro
Nell' opra marzial suo pigri e lenti
Che quegli il franco Androgeo, e Polilide,
Questi Tissando, e ’l suo l imano uccide.
xtv
Cosi al primo incontrar delle battaglie
Reslan tanti impiagati e tanti morti,
A cui poco giovar piastre nè maglie,
Né V esser valorosi, ardili e forti,
Che pareano all' agosto aride paglie,
(Tal tono insieme stranamente attorti)
Che ’1 villan negligente sparse a terra,
Poi che ’l frutto eh' avean nell’ arca serra.
xlvi
Pomi la mano al brando d' ogni lato
Per qaei che serbò in piè sorte, o valore:
Il buon re Galralto è ratto entrato,
Ove il piò stretto stnol vede e maggiore.
Che fu quel di Clodin eh' era restalo
Più inverso il fiomicello, ove il furore
Dell* assalto mortai non fu si grava,
gì che 'I danno minor per ancor ave.
xtvn
Ma s' allor la Fortuna gli fu amica,
Or d' un altro color gli mostra il volto,
Che di sangue, di duol, di morte intrica
Il possente guerriero ovunque è volto;
Non sa il nuser Clodin, che farcia, o dica,
Tal di nuovo timor si trova avvolto;
Che quella esser credea l'invitta mano
Dei figliuol valoroso del re Bano.
xlvui
E se fornito è ben di sommo ardire,
E di somma virtude ha cinta I* alma.
Gli fa il vederlo allor risovvenire
Dell' avuta ne* suoi più d’ una palma ;
E rhe male a tal uum può contra gire,
Ch* è per gli omeri suoi soverchia salma ;
Il medesmo fra sé ciascun dieta,
Che *1 provato valor riconoscea.
lux
E con qnesto pensiero omnqoe giva
Il sovran re dell' isole lontane
La stretta schiera al suo spronar s' apriva,
E nessun contro a lui saldo rimane.
Ed egli or questo, or quel seguendo arriva.
Come lepre Ile vili ardilo cane,
E quanti vuole atterra, onde sovente
Gran vergogua e pietade in cor oc sente,
t
Uccise il nobil Glauco, e '1 fer Dimone
D* un fratei di Clodasso nati insieme;
Diviso il primo iofin sopra I* arcione
Dell' arnese ch’avea, la falda preme;
Dell'altro il capo in su Carene pone,
Che dal busto troncato spira e geme ;
Abbatte dopo questi Agno c Molari lo
Nel militare onor d'egregio vanto.
LI
Quel dei monti Lemeni avea l'impero
Già del sangue illustrissimo d* Albino ;
Questo di men ricchezze, ma più fero,
di' al terreo comandava Limosino :
Dopo loro Acamante e *1 saggio Oserò,
Che del fatto che avvenne era indovino ;
E fuggendo lontan sotto altrui spoglie.
Fu ingannato da Alfca la cruda moglie:
Lll
Che quale ad Amfiarao fece Enfile,
Al giovin re Clodin il discovrio;
Nè a ciò la spinse aurato e bel monile,
Ma d' illecito amor caldo desio;
E così il giunse al suo più vago aprile,
Come il miser temeva, il verno rio ;
E quando al cor ferito a morte veuoe,
Della sposa iufedcl gli risovvenne.
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L AVARCH1DE
un
Va sfinendo il gran re, nè il corto amila,
Che quanti aggiunger può di spirto priva:
Qual lupa eh* ha i fi gli noi nella foretla,
Contr’a gregge d' agnri eh* errando giva
Senza cane o pastore in qnrlla e *n questa
Verde campagna erbosa, o fresca riva ;
Ch’ a numero sì grande il viver toglie,
Che de* figli e di se sazia le voglie.
u
Perch’ al candido scudo il colpo muove,
Dicendo : Or senta il fero Lanciotto
Di Gaiindo il potere e Palle pruove,
E come del ferir nell’arte è dotto:
Che se P erba e P incanto uon gli giove
Della Fata del Lago, oggi coadotto
Sarà dal suo destino a quella morte.
Ch’ha riservata in me l'amica sorte.
UV
Scorge appresso Nabon nomato il Fello,
Che 'n Ira ’l fiume Sigmrno e la Garona
Reggeva il firen del popolo rubello
Alla sua antica Gallica rorona:
Va iucontra a Ini come rapace augello,
Cui sofferto digiuno al vespro sprona
Sopra colomba candida che vede
Che dai campi solcali al nido riede.
LXI
E ’n tai parole il fere, e la percossa
Qual martel dall* ùmide indietro riede ;
Nè il magnanimo re la spalla ha mussa
Più che saldo troncon, cui Borea Piede ;
Ma riversala in lui tolta soa possa
Sopra l’alto eimier tal colpo dede.
Che la fronte s' aperse in quella guisa
Che pianta alpestre dalla scure incisa.
ir
Non fuggì T altro, che’l poter gli è tolto,
Tanto a Ini già vicin venire il sente;
Ma quanto può il più tosto s' è rivolto,
E s' acconcia a battaglia arditamente.
Galealto gli dona in mezzo il volto
I)’ una punta mortai cosi possente.
Che gli passa olirà dove al naso scende
L* umor soverchio che la testa offende.
LEU
Cadde il fero guerrier col volto pieno
D* atro sangue mischiato e di cervella,
E con grave rumor batte il terreno.
Abbandonando al fin P aarata sella ;
E di se dispogliato il erodo seno
Sen gio ratta a colui Palma rubella,
A cui del nostro oprar ragion si rende,
E dovuta mercè da lui si prrude.
IVI
Cosi morio Nailon senza vendetta
Che non potè il meschino il brando oprare;
Al cui duro cader la gente stretta
Tosto comincia il varco a rallargare ;
Ed ti per entro, qual leon, si getta,
Ove aprrta talor la Riandrà appare
Per follia del paslor, cui giovinetto
Cora ardente d'amore ingombre il petto.
(.sin
Fugge nel soo cader la gente intorno
CIP avea sperando in Ini fermato il passo ;
Come quando il fatcon fere uno storno.
Che poi latto il drappel si getta in basso
E si nasconde ove Pia il bosco adorno
Di folte spioe, al più serrato passo ;
Poi senza oprare il volo addrizza il piede
Alla più oscura, occulta e chiusa sede.
t.VM
E ’n fra lor poi facea si larga strada,
Eh* a molti che ’l seguian donava loco;
In guisa del villan che intento bada
A riportar dal bosco il cibo al foco;
Spinge il conio al Ironcnn che 'nuanzi vada
Con la punta sottil, che a poco a poco
Yien rallargando il resto e in egtial parte
Il disegnato legno apre e diparte.
LE1V
Cosi quella al perir del sommo dace
Si scorgra dileguar per corta strada,
E tutta inverso Avarro si conduce,
Nè la può fosso o rio tenere a bada :
Ma il possente Clodin la fama induce
Ove questi foggiano, in eoi la spada
Opra poi che non vai prego o minaccia,
A rivolger le spalle ov’ han la faccia.
tvin
Cotale avvenne allor di quelle schiere,
Che penetrò il primier per esse solo,
In fio che ’l suo drappel si può vedere
Dopo lui misto tra ’l nemico stuolo ;
Il quale spaventalo dal cadere
Di tanti e lai guerrier, già fugge a volo;
Nè il può saldo tener conforti o preghi.
Ch’ai cominciato andare ornai non pieghi.
t XV
Nè molto sta fra lor che sopra giunge
11 chiaro Galealto in quella parte ;
Che ’nverso la vittoria il destrirr pusigc.
In seno ardendo del fnror di Marte.
Come il vide Clodin poco a lui lunge.
Desio d' onore, e '1 dover proprio io parte
Di girlo a rirontrar ratto lo spinge.
Pur d'antico timor la fronte pinge.
in
Fassi avanti Galiodo il Tolosano,
E per frenar i suoi si mette in opra ;
Poi contr’a Galealto arma la mano,
E quanto ha piu valore in esso adopra.
Che infinito era pur, ma viene in vano,
Che concesso non fu da rhi sta sopra
Sì largo onore a lui di tanta palma,
Ma spogliar ben di se la misera alma.
LEVI
E dice al del gnardando: O sommo Giove
Se mai di larghi don ti fui cortese.
Se il sacro nome tuo quinci cd altrove
Il mio cor d'onorar mai sempre intese;
Dammi quella virtù che da te piove
In chi ferma di le fidanza prese,
Che in nu colpo, in un'ora, mi permetta
Di tali e tanti miei chiara vendetta.
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uni
Così tifilo, il destricr bramoso sprona,
E la lancia die avea, ti reca a resta;
Ma nel candititi srodo in basso dona
Il colpo che drizzava allo alla lesta ;
Il colle intorno e la campana suona,
E veniva al nemico anco molesta.
Se il legno era piò doro, ma fn tale,
Che ’n mille brevi tronchi in aria sale.
lxviii
Cosi non gli giovò T aver vantaggio.
Che ronlra il brando sol mosse la lancia.
Nè al chiaro Galeallo oscurò raggio
Dell' ardilo valor, ma il prende in ciancia,
Dicendo: A voi roedesmo fate oltraggio,
E ne dovreste aver rossa la guancia.
Non a me, mi «ni 11’ aste insieme accolte
Di mille pari a voi non sarian molle.
t*|X
E*n tai detti il ritrnova, che ritorna
Già indietro col destriero a nuova guerra;
Ivi l'ira e ’l furor alza le corna,
E ’l desio dell’ onor gli stringe e serra ;
Fa il primo Galealto che I' adorna
Chioma del Pino aurato abbaile in terra.
Che sovra il bei ciroier (.lodino avea,
Perch' al regno paterno succedea.
LXt
Nè rimase ivi il colpo, che diirende,
E con piò grave «non I' elmo percuote :
No ’1 rompe già, ma si il nemico offende.
Che gli sembra veder sorgenti ruote.
Non s* arresta perciò, ma il brando stende
Inverso Galealto, e quanto puote
Gli spinge alla visiera una tal punta.
Che con morte di lai veniva aggiunta.
LISI
Se non fora incantato il fido acciaro,
E che doppio venia, dove ella colse;
Pur il sentirne in se dolore amaro
Per la fera percossa non gli tolse ;
Ma qoal torbo Aqnilon che di gennaro
Tatto il superilo fiato io sen raccolse
Per affondar quel legno che varcare
Vuoi mal grado di lui d’ Icaro il mare,
usti
Stringe ogni forza insieme Galealto
E ’n verso il cavalier ratto s' avventa;
E senza mai posar, mortale assalto
Gli dà col brando, e quinci e quindi il tenta;
Tanto eh' al quarto rolpo, che vien d' alto
Pur su la fronte, ov’ha la voglia iuteula,
In tal mudo il percuote che conviene
Che raggia alfin sovra le trite arene,
LZXIII
Non già morto o ferito; ch'assai doro
Fu l'elmo a sostener la cruda forza,
Ma la vista ha ravvolta un velo oscuro.
Che gli spirti vitali alquanto ammorza.
Rovina appar d’ nu mal fondalo muro
Luogo il fiume talor, che l’onda sforza
Sormontando all’ autunno, e della valle
Rimbomba al suo cader l’ erboso calle.
LXXIV
Giunse tardo al soccorso il pio Margondo,
Che menò quei del lito Provenzale,
Ove al Rodan piò largo e piò profondo
Mischia Nettano in scn I' amaro sale ;
E pensando in fra se che ad altro mondo
Sia passalo Clodin, pietà 1‘ assale j
E come fido amiro, a Galealto
Muove intorno co’ suoi novello assalto,
txxv
Ma ’l magnanimo re tra lor si stringe,
Come il fero leon tra i vili armenti,
E con nuovo rossor la valle pioge
Del largo sangue delle uccise genti :
Poscia il fero Margoudo che s’ acringe
In guerra ronlra a lui, non altrimenti
Gli cacciò per le lempie il brando fero,
di’ al cervo, che giacca, saetta arderò.
Ulti
Cadde egli ancora ; e quel della Vallea,
Che Graredano il forte nominaro,
Che nel mrdesmo loco impero avea.
Ove in ver l’ oriente irriga il Varo,
Cercando vendicar la sorte rea
De’ compagni e signori, il fine amaro
Di se stesso trovò di’ al primo intoppo
Frale al disegno si conobbe, e zoppo.
UUflI
Perchè mentre al ferirlo s* apparecchia,
Il maguanitno re già in rapo il fere,
E ’l colpo rio fra 1' una e i’ altra orecchia
Fino ai denti partito il fa cadere.
L* altro s tuoi piò che mai I’ usanza veedùa
Riprende del fuggir, né sostenere
Il può freu di guerriero o d' altro duce.
Ed in fin sotto Avarco si conduce.
LXXVIil
E 1’ no I* altro impedisce, e serra il passo,
Come quando all’ agosto il ciel riversa
Si larghe piogge, che correndo in basso
L' un torrente cou 1' altro s‘ attraversa,
Ch’ogni campagna, ogni arbore, ogni sasso,
Ogni opera mortai resta sommersa |
E di si gravi areoc hanno il mar carco,
Che non pon ritrovar 1' usato varco.
LXXIX
E’1 forte Galealto ancora il segue,
E già torca con lor le regie mura.
Alle quai non vuol dar paci, uè tregue,
Ma d espugnarle il di prenderla cura,
Ch’ a lui non par eli’ al suo valor s’ adegue
Cosa mortai, nè si rilruove dura
Impresa couir' a lui, né 1 crede iuvano,
Sc’l nemico fatai gli era lonlauo.
LUI
Ma il crudo Sepura n tosto che intende
Di tanti e lai guerrier la morte acerba;
E che quasi Clodio I’ anima rende
Riversato e negletto sovra I’ erba ;
Il corso ove ciò avvieu veloce stende,
E ’n vista minacciosa, aspra e superba
A quanti incontra dice: Ogni uoni mi mostri
Ov'é’l bianco guerrier ch'uccide i nostri.
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L AVÀRCHIDE
35a
Risponde Marabon della Rivierz,
Che 'I cercava per (alto : Egli è virino
Della porta d* Avarco, e quella spera
Col fuoco aprir, se ciò vorrà il destino ;
Ma temo senza voi 1’ estrema sera
Veder del vecchio padre di C.lodino,
Che con la figlia, lasso, e con lo sposa
Di temenza e di duol non trova posa ;
LXXXtt
E por dice piangendo : Ove or si trova
11 nostro Segnran ? la nostra speme ?
Come esser può, eh* al qui venir no *1 muova
Di noi lassi pietade, e del sno seme ?
Ma forse il buon valor poco ne giova,
Ch* oscura morte, o dora piaga il preme ;
E *n tal timore e 'n tale angoscia oppresso,
Ch* io vì debba cercar m' avea commesso.
Lizzili
Fecesi in vista e *n cor l'altero Iberno
All* udir le pungenti e pie parole.
Qual il fero mastio eh' al fosco verno
Udio le gregge che si lagna r duole.
Ch'ave il lupo vicin, che prende a srhrrno
La guardia antica che salvar la suole.
Che n rabbioso gridar ratto s* avventa,
Ove chi spera in lui piange e paventa.
lx zx viti
Quando ciò ascolta il chiaro Galralto,
Ben che pien di valor, si cangia alquaulo.
Che sculto serba il cor in saldo smalto
Quel di che Lancilotlo il pregò tanto ;
Pur s* apparecchia al suo fatale assalto,
E d'ogni altro desio spogliando il manto.
Quanto più leve può torna al destriero
Cantra il superbo Iberno cavalieri».
LIZZI X
E quali aspri leon, che ’ntorno stanno
Alla comune lor già vinta preda.
Che ’ncontra irati !’ uno e 1* altro vanno.
Perchè 'I compagno a lui la parte ceda.
Che per d'unghia o di morso estremo danno
Alcun non è de’ doni che ’ndietro rieda ;
In fin che ucciso I’ ono, il vincitore
Del combattuto premia è possessore :
zc
Col medesmo furor gli alti guerrieri,
E col medesmo fin dell' altrui morte,
Spronan tutti animosi i lor destrieri.
Ove gli sospinge* valore e sorte ;
E furo ambi al colpir si gravi e fieri.
Che non apparve beo, chi sia più forte ;
Clic 1* ano e I' altro d* essi indietro scorse,
E di a terra cader si mise in forse.
E piò veloce assai, eh' a Pelio in fronte
Il fulgore del ciel I* autunno cade.
Il traportan le vaglie acerbe e pronte.
Ove per lai trovar mostran le strade;
Ma poi ch’ornai vicin I* egregie e conte
Fattezze scerne, in cni I' altere e rade
Virtù di Laneilotto esser si crede,
Raffrena alquanto in se I* animo e *1 piede.
LXXXV
Qual arso viator che *n fretta corre,
Leve il eolie varcando e la campagna,
Ch* al fin pervegna ove al traverso scorre
Profondo e largo rio, che ’nriga e bagna.
Che si deve in un punto il passo accorre,
E dal ratto pender l'alma scompagna;
Poi dell' ultra passar I* arte e la guisa
Con più tardo coosiglio in seno avvisa }
I.XXXVI
Tale al gran Segnrann allora avvenne,
Quando il famoso re già presso scorge;
Che mentre al suo volar 1' ali ritenne,
Con più agate mirare il guardo porge;
E vedendol ferir, per certo tenne
O che ’l primo valor piu lento iusnrpe
Cir ai non soleva, o eh' alcun altro indotto
Sotto la forma sia di Laneilotto.
LXXXVIt
E riveste speranza, r n sen riprende
L’ intermesso furor, l'ira e P ardire,
E grida in allo snon, ch'ogn nom l'intende:
Latriate il vile stimi irroro gire:
Apprendasi a' miglior cui I' alma incende
Della fama iinmorlil caldo desire ;
Volga pure H suo brando a Segurano
11 magnanimo erede del re liano.
Ma il candido Nìfonte in un momento.
Quasi ontoso fra se, vigor riprende;
Né quel del negro non rimase spento.
Che più che fosse mai ratto s' accende :
E quale al minor dì rabbioso vento,
Il passo questo a quel di nuovo stende ;
E I buon re di Canana fu il primiero
Che feri Seguran d' un colpo fero,
zen
Fero assai sopra I' elmo, ma non quale
Si crrdea di sentir l'invitto iberno;
Che già da Laneilotto n' ebbe tale.
Che scender si pensò più giù d* A verno ;
Ora a quel comparaggio il truova frale
Sì, eh' ogni ano ferir quasi ave a scherno ;
E nel medesmo loco il batte in guisa,
Che la fronte gli avria rotta o divisa ;
xeni
Se non fora il fin elmo c 'I sacro incanto,
A cui forza mortai non nocque mai;
Non potè far che non piegasse alquanto,
E non sentisse allor dogliosi guai ;
Pur l'onore e 'I valor l'aiutò tanto.
Che vie più che da prima ardito assai
Alla sinistra spalla il ripercosse
Si, che del loco suo lo scudo mosse :
xav
E non picciola piaga in essa stampa.
Non tal pero, che l' impedisca moli» ;
Ma il crudo cavalier che d'ira avvampa.
Gli risospinge il brando a mezzo il voi tu;
Ma la doppia visiera anco I» scampa;
Pur cosi dritto a pieu gli venne rollo.
Che se ben non l'impiaga, l'aspro peso
Gli ha la fronte c I veder soperchio offéso.
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l’ AVARO H IDE
356
ctx
Qual tigre irata che ritrove il figlio
Che 'n mezzo ai caccialor legato giace.
Che di q oetto e di quel molle e vermiglio
11 campo intorno furiando face ;
Nè con r aguto morto, e con 1' artiglio
Latta i crudi avvertati in tregua, o ’n pace
Fin che quanti vi ton vcggia cadere,
£ ’l dettalo pegno aggi* in potere ;
ex
Tal rArmorico re tembeava allora,
E topra Seguran gii il corto atende,
£ '1 truova tn '1 cavai mal fermo ancora,
E da iraverto e d’ improvviso il prende.
Si che ’l possente Eton non ben dimora
Saldo al grand'orto, e ’n terra ti distende;
E pria che tome in piè, Tritlan richiama
I guenrier eli’ ivi avea di maggior fama.
exi
Che fn il re Galganete di Norgallo,
E '1 gran re Sinadosso d' Estrangorre,
E ’l re Rion, che nel parte Gallo
Fn di sommo valor fondata torre ;
E ci ateo n gii lattalo il tuo cavallo
Al piò fido scndier, veloce corre,
E ’l miscr Galealto accoglie in seno
D’atro sangue e di polve intorno pieno.
exit
E d’ ogni guerra intanto gli assicura
L’ alto guerriero, e ’n voce gli conforta :
Non aggia in ti bell’opera paura
Chi questo acuto brando ha per iscorU;
Che pria mi spegnerà la morte oscura,
Che del mio padiglion trovi la porta
Sema il buon Galealto, te non vivo,
Foi eh' ha voluto il etcì, di spirto privo.
auii
Che dir non posta il figlio del re Bano,
Ch* abbandonalo sia pegno ti chiaro,
Ove sia stato il fido suo Tristaoo
Vie più di larghi onor, che d' anni avaro.
Cosi dicendo, al fero Segurano
Di sopra I* elmo ancor colpo *i amaro,
Ch* ove sorger credea di nuovo in piede,
Col sinistro ginocchio in terra Cede.
exiv
Ma in qnesto tempo gii son molto avanti
Col doloroso peso i Ire gran regi,
Ch’ han gii più duci e cavalieri erranti
Ritrovati in cammin di nomi egregi;
E gli fan compagnia con larghi pianti,
E ricoperto 1' han d’ oleari fregi ;
E 1 conducono al fin con sommo onore,
Ove al campo svegliaro alto dolore,
cxv
E ’l famoso Tristan, poi che s’ accorge,
Come in secura parte è Galealo,
E vede eh’ animoso ornai risorge
II fero Segnrano a nuovo assalto;
E con Ini nuove schiere accolte scorge,
Sì che ’n periglio vien gravoso ed alto
Di rimaner ravvolto stanco e solo
Da numeroso, fresco, c forte stuolo ;
CXTI
Ya cedendo alla fona a poco a poco,
Sensa volger però gii mai le spalle ;
E ritirando il piè di loco in loco
Yiene, ove I’ Euro più slringea la valle ;
Ivi teenro ornai si prende in gioco
Il difender da lor 1' angusto calle,
Che tra le liqnid’ onde c tra le schiere.
Che conducea Gaven, si può vedere.
ex VII
Va dietro Segnran con torlo sguardo ;
Qual lupo, che ’l montone avea predato.
Che mentre schiva il cao, dal leve pardo
L’ha sentito furar d'ascoso lato,
Che *1 vorria racquisUr, ma il passo ha tardo
Al soo veloce gir ; che *1 core irato
Sfoga, seguendo] pnr con lento corso.
Sopra i roghi e gli spini oprando il morso ;
cxvni
Tal era egli in quel ponto; e poi che vede.
Come ogni disegnar gli torna vano,
Il suo chiaro Brunoro, c Palamede
Ritrova sa ’1 sentier poro lontano ;
] quai tanto il pregir eh’ ei ferma il piede
Sciolto di speme ornai d* aver Tristano,
Dicendo: Assai faceste in questo asaalto.
Poi eh’ Decideste il nobii Galealto.
ex IX
Poi seguitò Brnnoro : A me parrebbe.
Quantunque il sole ancor sia in alta parte,
Cbe *1 miglior richiamare ornai sarebbe
Le genti intorno al guerreggiare sparte ;
Che più li con ragion non si dovrebbe
Oggi per noi tentar l' ira di Marte,
Scndo i nostri gii stanchi ed ai nemici
Quei, che sdegnali fur, tornali amici.
cxx
Voi potete veder nei nostri danni
Del figliuol del re Bao 1* insegne chiare.
Senza le quali ancor non brevi affanni
Aveste', il vostro campo a conservare.
Or tendo morto quel, coi già tanti anni
Più che ‘1 cor proprio soo si vide amare.
Non dobbiam noi pensar ch* alla vendetta
Con generoso cor tosto si metta?
ex XI
E quantunque il valor, ch’io veggio in voi
Non me» puuto di qoello essere stimi,
Ei verrà intero e fresco, ed avrà noi
Lassi e 'inpiagati negli assalti primi ;
1 cavalieri erranti, e i sommi eroi
Di sangue alteri e di virtù sublimi
Uscir vedreste allor, che sol di lui
Riconoscon l’ impero e non d’ altrui.
cxxu
E voi sapete ben, che questo giorno
Per combattere il vallo uscimmo fuore.
Nè pensammo in campagna avere intorno
Delle schiere novelle aspro furore ;
E se n* ha dato il ciel che danno e scorno
Venne a’ nemici ed a noi largo onore,
Sappiamlo mantenere a miglior uso.
Ove il nostro ordinar sia meo confuso.
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exxiti
Tal dicera Brunoro ; e benché fosse
Al fero Segurano aspro il consiglio,
Il pregar pare, e la ragione il mnjie
A non tentar de* suoi certo periglio.
Coti arrestarci il corso ; e le me forte
(Poi che Tolte nemico atta! vermiglio
Ha fatto, e che da lui ne va lontano)
Pattò il Britanno cacrcilo e Tristano.
CA.INTO XXI
ARGOMENTO
/ generoso amico alla reale
Te^da raccoglie Calmilo ucciso ;
J*rr cui , tal ira e tal dolor f assale,
Cibo non prende , da ciascun diviso.
Cli appar f 'irtana, e usbergo a lui fatale
Dona , e uno scudo da Merlino inciso ;
Ove la sua prosapia appar scolpita
Di somma gloria e di valor nudrita.
•*«*•>**♦■
Or mentre questi e quelli in tale sialo
Han l'uno stuolo, e l'altro ricondotto,
Gii il re Rion securo era arrivato
Col miser Galeallo a Laocilolio j
A cui nessun narrar T acerbo fato
Non •’ area per timor T animo indotto;
Però, quel nuovo inaspettato danno.
Piò doglioso gli apporla, e crudo alfaooo.
II
Il qual sempre restato era, dappoi
Che 'I suo diletto amico era partito,
Lungo l'albergo, che chiudeva i suoi,
Fuor d’ ogni fosso io solitario lito ;
Or quando scorge il re, con gli altri duoi,
Ch' han gli occhi molli, e 'I volto sbigottito,
£ ’n fra lor I* aspra soma hanno divisa,
Cho sia quel, ch'era io ver, subito avvito.
ut
. £ gridò dì lontano: O signor miei,
È quel eh' io scorgo qui, T eletto amico,
Che mi renda infelici i giorni e rei,
£ *1 viver (lasso) al mio voler nemico ?
Deh come volentier toslo vorrei
Pria che risposta aver di quel ch'io dieo;
Ch* io so, che 'I rio destin mi pose al mondo
Per oon lassarmi mai tempo giocondo.
IV
Risponde il re Rion : Chiaro Signore,
A quanto piace al cielo a noi conviene
Quetameote adattar l'animo e ‘I core,
E tutto in grado aver, che da lui viene |
Il gran re Galealto in sommo onore
Ha del mondo schivate ornai le pene,
E dell’alto motor, fattore e duce
Gode lieto or lassù 1’ eterna luce.
v
E del possente e fero Segurano
Dopo aver lui mostrala alta virtude,
Ucciso fa dalla spietata mano.
Che troppo gran valor per esso ehiode ;
E ’l lassò al 6n so T arenoso piano.
Con le membra reali tcarche e nude
Dell' armi vostre iolino ad ora invitte»
In mille parti gii chiamate e scritte.
vi
E se non era ancor la chiara aita
Del famoso Tristan, che non fu parco
Gii mai del sangue sno, d' altrui rapila
Questa spoglia mortai fora in Avareo;
Ma mentre in altro affar tenne impedita
La schiera Iberna, doi pietoso incarto
Di lui prendemmo, e con veloce piede
Qui il conduciamo all* infelice sede.
VII
Poi eh’ ha detto così, del peto scosto
Ha tè medetmo e gli altri, e posa in terra
Il grave scodo allor di Sinadosso,
Che’l miser Galeallo ascoso serra:
Mentre eh' al discoprirlo era già mosso
L'afflitto Laociiollo in coi fan guerra
Tra loro Ira, pietà, sdegno, e furore,
E di pari ciascun gli ingombra il core.
via
E poi eh’ egli ha la candida bandiera,
Onde celato già, di sopra tolta,
E T ha squarciata in vista orrida e fera,
Le braccia intorno al caro collo avvolta:
Indi con voce olirà i' usato altera
In tal duro parlare al citi si volta:
Deh perchè mi serbasti, invida sorte,
Yivo a cosa veder peggior che morte ?
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L AVARCHIDE
^3
IX
È quello il ben, f he aicnn predetto m'ire
f.he da voi mi ver ria, crudeli ilrllc ?
f.h’ oggi Hanno si amaro, acerbo, e prave
Mostrate agli occhi miei spieiate < Ielle,
l.he 1* incarco tcrren più nulla pive,
XVI
Peri vi prego nmil, per qoetln amore.
Che si chiaro di lui vi scalda il seno,
Che noi non ditdegniam rendere onore.
Qual più si pnole, al earerr sno terreno ;
Che sia ridotto al pristino candore
Ch’ a sani brevi dcsir siate rubelle ;
Dalla polve e dal sangue, ond egli 1 pieno
Oie tanto in nn sol dì pii avete tolto.
Da noi medrimi, e nessun altro sia
Che uoo vi resta ornai da torgli molto.
j n tale ufficio indegna compagaia.
X
xvsC
Ma se de' miei dolor foste si vaglie
Poi ch’ha finito, il nobil Sinadosso
Perché almen onn volgeste in queste membra
Per preghiera drgli altri a lui risponde :
L* armi nemiche e le ntedetme piaghe,
Quanto poo questi duci, e quanto in posso.
E '1 fin, ch'ogni mortale in uno assembra?
Al dover vostro e nostro corrisponde.
Deh come del suo mal talor presaghe
Sun nostre menti, oimr, che mi rimembra,
Con ricche urne dorate, ove eoo Tonde
Che all' apparir dell' Alba mi desiai
Bagna d' Euro il niseel T erbose rive.
Tulio tremante di futuri guai.
Del lungo guerreggiar già fatte schive.
XI
XVIII
E tu. Spirto reai, eh' or sei nel cielo,
E dove più profonda e ehiara appare.
E che del mio dolor forse hai pietade,
E mrn rotta da' farri e da’ destrieri.
Non li sovvirn ron che fraterno zelo
Cerca intento ciascun la sua colmare
Del guardarli d' altrui mostrai le strade ?
Di quelli illustri e rari cavalieri;
Dicendo: Ahi lasso, e sotto ascoso velo,
Indi a vedergli carchi ritornare
Per uoo ode oiler lue virtù si rade,
Ingombravan le vie gli altri guerrieri.
Che dovessi schivar la cruda mano
Che npieo di lugubre maraviglia
Del fatale avversario Scgurano ?
Alzano inverso il ciel Tumide ciglia.
XII
XIX
Ma il troppo too valor, la troppa allena
Poi giunti al padiglion, fra terra e sassi,
Del magnanimo cor t' indusse a questo.
Pur di lor propria man fan riero il foco
Per furarmi dal mundo ogni dolcezza.
Di tronchi e (rondi che in veloci passi
E per lassarmi a me gravoso e mesto ;
Hanno arcuiti vlcin d' intorno al foco.
Ma con qoel cor, che sol piacerti apprezza,
Pendente in mezzo ov' ampio vaso stasai,
Ti promell'io, s' al del non Ga molesto.
In cui givan versando a poro a poco
Che lo potrai veder ron chiara sorte
Tra mille erbe odorifere e «aerale
Larga di te veodetla o di me morte.
L' arque dal picciol fiume ivi portale.
XIII
XX
Che nessun posta dir, che Lancilollo,
Al qual d’ alto romor fremendo in gir»
Dopo il crudo partir di Galealtn,
Fan le montanti fiamme orrida guerra.
Non aggia, o il percussore, o sé condotto
Mentre s’ode lontano alti sospiri
Sotto aspro incareo di marmoreo smallo;
Muover T onda crollante, eh’ ei ri serra ;
Che '1 Gl saldar che dalla Parca è rotto,
In fin rhe'n freddo loro si ritiri.
Sol si conviene a ehi ne scorge d' alto ;
Vuol Lancilollo, e si ripose io terra.
Che oel perder gli amici a noi promette
Tanto, che '1 suo calor termine prenda.
Solo i piaoli, le lodi e le vendette.
Che la man di eh* ’J tocca poco offenda.
XIV
XXI
Il pianto avrai, ma non dagli occhi miei,
Poi sopra mensa aarala collocate
Ch' al generoso spirto si disdice ;
Le membra quasi incognite • chi vede.
Ma da chi scorger! gli acerbi e rei
Fur le spietate piaghe pria lavate.
Casi del popol suo morto e 'nfelice ;
Indi il corpo rral dal sommo al piede ;
Le lodi altri ned' io donar potrei
Si eh’ all' esser di prima ornai tornate
Simili a quelle ognor, che canta e dice
Le fattezze divine, eh' eran sede
Delle bell' opre lue l'alta memoria,
D'ogni virtù immorlal, ai dimostrar».
Ch’ ovunque cinge il mare empie di gloria.
Come fouer giammai nel viver chiaro.
XV
TX II
Poi eh'alqoanto é sfogato, intorno chiama
Non potè fare allnr T invitto amiro.
Sinadosso, Galnese, e '1 re Rione,
Che con prave sospir non gli parlasse x
Diceodo : A cavalirr di tanta fama,
Ov’rra, allo mio re, l'amore antico.
Cui soggiaea si larga ragione,
Ch’ a me sempre seguir fra ooi vi trasse.
Per chi perfettamente il cole ed ama,
Che dal nostro romane aspro nemico
E del tutto adempir sua cura pone,
Almeno a mia cagion non vi ritrasse.
Non si dee di ministro adoprar usano,
Che di sangue e virtù oon sia sovrano.
Dicendo : Or fieno in me scolpile e fisso
Quelle estreme parole eh* ei oc disse ?
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l’ AVÀRCHIDE
xnif
Hi dove n« tene* 1* ifpri mia aorte
Clic qual sempre solfa non v* era a lato?
Ch’ a mille Seguran dava io la «norie
Pria eKe lasso vedervi in tale stalo ;
O che le mie giornale cran si corte
Come a voi 1' ordinò l’acerbo Calo,
Si che l' officio diremo, eh* or fo a voi
Il faceva allea snaoo ad ambe duoi.
XXX
E luogo il rio dell' arenoso lito
Duro seggio si feo pensoso e solo;
Ed or prigioo »’ immagina, or ferito
Per le sue man tra '! suo gradito stnolo
Il forte Srgoran, nò sbigottito
(Brnchò gli doni al cor travaglio e duolo)
L* ha <1 ritrovane allor quell’ arme lolle,
Che trionfare il feeer mille volte;
XXIV
Cosi lasso dicendo, intorno intorno
L* abbraccia, e siringe a se la chiara fronte;
Indi con vel di bei «ripunti adorno
Per onorale man nobili c conle.
Che gli fu dalo in quel felice giorno,
Ch'egli abballò le forze al nuocer pronte
Del frro Annido, che la bionda Isotta
Sotto il «no crudo impero avea condotta;
xxzi
Che a* ei fosse mestier l' andare ignudo,
Per vendetta cotale aoro il faria,
Che *1 suo più fino acciaro e ’l forte scodo
Era l' invitto ardir, che 'n seoo avia ;
Ma rampognando il sol, 1' appella crudo,
Che si tosto coir’ al mar tuffalo fu;
E gli par else 1' indugio d’ una notte
Tulle le sue speranze aggia interrotte.
XXV
Che fra mill’ altri don gli fo cortese
Di questo, eh’ ei vorrebbe a più lieta opra
Aver servato, in cui lutto il paese
DrH'Armoriro regno pinse sopra;
Come hao orli' Orean le krarcia stese.
Le quali or lassi nude, or tutte coopra,
Seroodo il vario corto ch'ave ia ciclo
La sorella di quel che nacque in Del*.
XXXII
E mentre d’ ano in altro aspro pensiero
Il dolore e *1 furor la mente guida,
Scorge vicino il piè sopra il sentiero
Drlls Notricc sus famosa e fida.
Questa è la soa Viviana, a coi leggiero
Fu ’l vedere il cordoglio che s’annida
1 Nell’ alma invitta, e che d’ altrui sien prede
L'arme ioeaotale prie, ch'ella gli diede;
XXVI
Con qnel donqoe 1' asciuga, e poro e netto
D’ ogni sangne e di polve lutto il rende;
Poi Ira le piume stese in aureo letto
Sovra fino ostro, e seta esso distende ;
L' asconde appresso dal mortale aspetto
Da tappeto ricchissimo, che pende
Da ciaaeon lato, in coi varia riluco
E di gemme e di perle oliera luce;
xxxnt
Che io tollerilo core avea provvisto
DÌ quanto oopo facca oel gran bisogno s
Cosi dove sedira pensoso e tristo,
Quasi immagine appar, che venga in sogno;
F. ’o vnltu amaro, e di dolrezxa misto
Comincia : O figlino! mio, cui solo agogno
Veder sovra t mortai lieto c contento.
Qual ts affligge di nuovo aspro tormento ?
xxvn
Li dove il del pareva, e le toe stelle
Ben distinte fra loro ad una ad una.
Poco men die le vere ardeoti e belle.
Quando più scarta aia la notte bruna;
Ma qoal regina poi tra tutte quelle
Di candidi adamaoli era la luna
Cinta il volto divio, che 'utero mostra
Al pio germano, ed alla vista nostra.
XXXIV
A cui rivolto il figlio del re Bano
Risponde: or noo sapete alma autrice.
Come il brando rrudel di Segurano
Fosse al mio Galeallo agro e *n felice ?
Ed a me mollo più ch’ogni altro invano
Accidente mortai chiaro e felice
Per mio restauro può venirmi ornai.
Ch’io non spero altro più, che tragger guai.
xxvm
Questa una fo dell' onorate prede
Di Laneilotlo gii infinite allora,
Ch’ a forza vincitor l'ardito piede'
Pose in Benicco, e ne ritrasse fuara
La vaga donna d' ogni grazia erede,
Di cui chiara beiti larga dimora,
La vaga Claudiana, che poi volse
Rendere al padre, c premio non oa tolse:
XXXV
Ma ben bramo dal ciel per somma grazia
Che innanzi ai mio morir, cb* è (unge poco,
Mi faccia don eh' io renda 1’ alma sazia
Di sna larga vendetta io questo loco;
A fio eh' or chi ne strugge e ehi ne strazia
Noa molto il nostro mal si prenda io gioco;
E eba ‘1 mio dolce amico intenda scorto.
Che qual vivo l'amai, l'ami anco morto.
xxtx
La qoal dii poi Clodasso per i sposa
Al fero Segnrsno, onde alfio nacque
Dell' iuvido Gavao la lite odiosa,
Cha io altrui mio vederla gli dispiacque.
Or poi che dalla veste preziosa
Il mi ter Galcallo occulto giacque,
Del dolore incredibile condotto
Gio dagli altri ia disparte Laociiolto.
XXXVI
Dogliomi io beo, che delle fatali arma,
Che mi vrnoer da voi, diletta madre,
Non potrò, lasso, nell’ aurora armarme,
E scorta averle all' opere leggiadre ;
Ma fia else può, che non potei vie tarme.
Se non solo il voler del sommo padre.
Contro il qual nulla poosse, eh' io non vada
Nodo e di vetro ancor porti la spada»
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uxvn
Ch'aitai mi baila il cor,*ch’io porlo io leoo,
E 1’ onore e I* amor di Galeallo,
Che tanto poo, ch’io non gli apprezzo meno,
Ch’ arme incantate, al periglioio malto ;
E te por ne morrò, sovra 'I terreno
Accolta fia dal ino fattore io alto
Qaeil’ alma afflitta con perpetua lode.
Tra *1 chiaro ituol eh’ eternamente gode,
zumi
Tal dicea Lancilotto, a coi riipoM
La nobil donna del famoio Lago:
Il grave duol delle avvenute cote
Vi fa di lamentar aoverchio vago;
Nè ben cooviene a menti gloriole
D* alcun futuro mal 1’ eiier preiago ;
Ma il panato toffrir coltante e forte.
Sperando all’ avvenir più amica aorte,
xxx»
Nè temer gii dovreite ov’ io mi trove,
Che vi maocauer mai V arme pregiate,
Nè per voitra aalute aite nuove,
Onde al aommo d’ onor aalir poniate ;
Che com'io intesi riofelici prove
Di Galeallo, e come rollavate
Del ferro privo, ood* io vi feci adorno,
Quando varcaate il mar nel primo giorno.
Coli dicendo allora il gran profeta
Il deiiato don mi poie io mauo ;
Ed io quanto eaier paone di ciò lieta,
Grazie gli reodo con lembiaote umano |
E volando ove I’ aria è più quieta,
E ’l aereo dalle nubi più lontaoo.
Quale il fulgore ardente in bario cade,
Ho regnalo al venir 1’ altere ilrade.
XLV
E per qua ot’ io v' appresso, e per ino nome
Coo tutto il mio deiir grazia vi chieggio.
Che del panato ornai le dure lume
Scarcar vi piaccia, e non temer di peggio;
Che »e bea pria che'mbianchin quelle chiome.
Il vostro ultimo Gn venuto veggio,
Sari con tale ooor quel breve tempo,
Ch* aliai dolce vi fia partir per tempo.
XLVl
Ma le voleile voi rotando in pace.
Dentro al patrio terreo menar la vita,
Trapanar li porria quel che vi face
Di quoti anni la via corta e spedila ;
Ma cercaodo d’ onor l’ accesa face.
Come il vostro valore ogoor v’ invita.
Me lasserete c i vostri in larga doglie.
Richiamando di voi la sciolta spoglia.
Tosto all* osenra tomba, dov’ io legno
L’tocaolator Merlino a me soggetto.
N'andai pregaodo che voi fesse degno
D* altro acciar rivestire, e più perfetto ;
Ed ei eh' aneor per me soggiace al regno
Cieco d’ Amor, col più benigno aspetto
Che facesse ancor mai, mi dine : Donoa,
Che sete n* miei peosicr ferma colonna ;
XLl
Egli è gran tempo ornai che le mie carte,
E gli spirti migliar, che meco stanno,
Mi moslraro, e narraro s parte a parte
Il presente di voi caduto danno ;
Pereh' io fei fabbricar eoa divina arte
Arme celesti, che virlode avranno
Sopra quante mai foro, e dì beltade
Non vide a loro eguali alcuna clade.
xtn
E nel nobile scudo fei scolpire
Di Lancilotto poi la larga prole,
Che dee di tempo in tempo riuscire
Alta e famosa, ovooqoe allume il sole,
Pereh* ei possa per lor gli sdegni e Tire
Temprar mirando, e ciò che pesa e duole
Far leve e lieto, e *1 mal presente oscuro
Richiamar con l' ooor ne’ suoi futuro.
Cosi diceva, e *1 fero Lancilotto
Risponde s Assai mi 6a, madre pietosa,
Che’l cielo iofino e qui m’aggia condotto,
S* io posto vendicar la morte odiosa
Del caro amico; e poi mi spiaga sotto
Li, dove ogni mortai perpetuo posa ;
E di vita aggia uà’ ora questa salma.
Pur che viva in ooor poi sempre I' alone.
xi viti
Qui si tacque egli, ed ella oltra seguendo
Gli dice : Poi eh' a voi questo ooo piace.
Col voler di lassuso in grado il prendo
Presta al lutto soffrir col core io pace ;
E ’l ferro invitto in poter vostro reodo,
Che fia al chiaro desir guida verace.
E cosi ragionando stende a terra
L* arme, coi siroil mai non scese in guerra.
Xk»
Quando venne al buon duce lo splendore
A percuoter la vista che I' abbaglia.
Senti lauta dolcezza il tristo core,
Che in estrema allegrezza se ne saglia ;
E più raccresce in lui I' ardente amore
Di tosto ritrovane alla battaglia;
E tutte ad una ad una in man si presu
Le parti altere del celeste arnese.
Or le prendete adunque, e dite a lo»,
Che noa gli può mancar chiara vendetta;
Che fia colai ch'ogni alla gloria altrui
S* adirò al par di lei bassa e negletta,
E si conforti io contemplar de' sui
La regia stirpe, dalle stelle eletta
Per alzar eoo la spada e col consiglio
Al quioto e sesto ciel I’ aurato giglio.
Guarda Telmo onorato, ore il cimiero
D* una crinita stella ardea d’ intorno
Di bel piropo, eh’ aranzava il vero.
Quando il ciel più seren si mostra adonto,
Allor che minacciar proviocìa o impero
Di daouo iolcndc, o di novello scorno ;
Che *1 popol tra temenza e meraviglio
Alza devoto al ciel T umide csgUe.
L* AVÀRCHIDE
u
I#» pelante corazza appretto prende,
Che di finiiifm' oro ha largo fregio,
In mi davanti un ani Incido prende
Di fiamme avvolto di colore egregio;
E i raggi ardenti d' ogni intorno ateodn
Tra carbonchi e topazi d* alto pregio,
E ti vaghi al mirar, che mostran bene,
Che da divin martel tal opra viene.
LVM
Alt» apparii ’l magnanimo Roberto,
Che del famoso Angiero scettro avea.
In arme, io senno ed in valore esperto
Si, che i crudi vicin a f reo tenea,
E *1 popoi lasso, e de* suoi beni incerto
Col medeimo sno sangue difendei ;
Che liberando quel d* acerba sorte.
Trionfò de* Normanni eoa sua morte.
ili
Tolte T altre arme po», che ton difeta
Delle braccia e del retto infino al piede,
Con mente allegra e di dolcezza acceia
(Qual detiato don) maneggia e vede,
E P apprezza colai, che non gli pela
f.h’ or tia dell* altre Segorano erede ;
Che tanto a quelle ton le prime eguali,
Quanto ton le terrene alle immortali.
LI!
Indi il mìnor Ruberto d'esio usciva.
Che regnò tra ’l Pireoe e la Garona,
E *1 saggio Otinn, che per boutade schira
Dell* onorata Gallia la corona ;
Ma non già quel, che la quieta oliva.
Per acquistar cipresso, n’ abbandona;
Che mantenendo il pria gustato onore,
Luogo il fertil Setson tra Tarme muore.
Liti
Potcia il brando telette in mano ha preto,
E del foder gemmato ha tratto Cuore;
Truoval di tempra tal, che mal difeto
Ogni incanto taria dal tao furore ;
Né di lai ti tpaveota al grave pelo,
Coi non men convenia che ’l tuo valore {
E già vorria vicin, eom* ha lontano,
Il crudele avvertano Segurano.
LI
Di coi giovin rimato il grande Ugont
Contea i nemici sooi fu ardente foco ;
Ch’ ora al Gallico re temenza pone
Dispogliando! talor di piò d* on loco;
Or gastigando il rio cognato Olone,
Che ’l legame del sangue stimò poco,
Quando al Neoslrio terreo la chiara Sena
Feo del sangue Germao vermiglia e piena.
LTV
Il doro scodo al fio ponente a gTeve
Con ardente desio leva da terra,
Com* un altro faria la scorza leve
D* arido taleio, eh* Aquilone atterra ;
In eoi di fino acciar cerchio non breve
Cinque scorze durissime riterrà ;
Le quai regger porri eo eontra le prove
Delle folgori asprissime di Giove.
i»
Di costui nato poscia Ugo il secondo,
Che ’l popoi per onor Capeto appella,
Ch'ebbe il destia più amico e piò giocondo,
E piò cortese in del ciascuna stella,
Lì si vedea, eh’ all* affannato mondo
Riportava T età fiorila e beila,
Levando i gigli d'or negletti e bassi,
Colpa de’ suoi rellor di virtù cassi,
LV f .
Dentro d* argento e d’or tolte coverte
Eran le ornate pelli, onde a* appende
Al collo, o '1 braccio, dove a gurrre incerte
Di lancia o spada il cavaliero intende,
Con fermissimi chiodi in etto inserte,
E di ciatcun de* qnai la fronte splende
Di rabin, di diamanti e di zaffiri
De abbagliare il veder di chi gli miri.
UH»
Degenerato essendo il divia seme
Del glorioso erede di Pipino
Dopo il volger duo secoli, e che preme
Coo loro il terzo al mezzo suo cammino.
E quale al freddo del nell’ ore streme
Porla dolce restauro nel mattino
Il risorgente sol ; non punto meno
Vena' ei bramalo al Gallico terreno.
LTt
Di fuor torre P acciar commessa d’ oro
Guarda la stirpe so* 1* altero duce,
Distesa intorno in ti sotti! lavoro.
Che bisogna al mirar del tol la luce.
Ivi ton quei miglior, che primi foro,
I quai virtote invitta riconduce
Alla insegna reai del giglio aurato,
Per difetto d’ altrui già ia batto stato.
LXIlf
Ma perché rare volte, o mai non viene,
Che sia in ciascun mortale il veder sano,
Ivi era scollo, come a lui conviene
Muover eontra i piarci l’arme e la mano;
Abbatte il Lotteringo, e ’o vita il tenne
Con la sposa e i figlino! cortese e piano;
Poi tea *1 popoi miglior di lui contento
Prende il reale scettro, e ’l sacro unguento.
LT»i
Ivi tcorgea ne* suoi gli eterni onori,
E le chiare opre loro al mondo sole:
Nè pure io Gallia i guadagnati allori,
Ma i Germani anco ove mcn scalda il sole.
Congiunta cu* piò illustri imperadori
Di tempo in tempo la felice prole;
Ma poi eh* al regno Sassone discese,
Ritornò io Gallia al suo natio paese.
. —
Z.MV
Poi nell* anno secondo fa il figliuolo
Ruberto coronar (lai vivo ancora)
Per far lieto di quel T amico stuolo,
Che ’o gelosa temenza ne dimora;
Questi il sommo fattor dell'alto polo
Con si devoto cor mai sempre adora,
Ch* al buon popnl ledei fu vero esempio
Di coltivar di Dio l’eletto tempio.
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L AVARO II IDE
3C8
UT
Dopo colini venia chi 'I chiaro nome
Tra *1 legnaggin rral primiero porla,
Ch’ oppi totlicn ti* onur famoic tome.
Ed a ehi (pira al cicl ai mmlra teoria ;
Fn quelli Enrico, che le forse ha dome
Al normanno drappel, ch'alia via Iurta
Traile la ipada indarno, e cime I' elmo
Coolra il duce illuiUiiaimo Guglielmo.
Ufi
Del medetmo irpnir gli alti vestigi
(Giunta alla forte lor la virtù vrra)
Gli onorali Filippi, e i gran Luigi
Fotran vederle in gloriola ichiera.
L'un dopo l'altro, in cui gli otruri Sligi
Non polero adombrar la fama altera,
('urne roder del tempo i crudi tarli
Non poterò il valor dei quattro Carli*
uni
Lì li irrrne io Valete, e io Orlitnie
Il laero arbor reai con tornino onore
1 rami avere e le toc fmndi cliente.
Poi ridnrerle in ti co» chiaro amore ;
Quelle in Filippo il aetlimo che tpente
Più d’ una volta I' anglico furore,
Quote in Luigi I* ultimo, eh' a freno
Tenne primier 1' iuiubricu terreno |
(.sviti
Dei buon duci del qual inoltrava uteire
La famnta ava tua, qual certa erede ;
E ehi a gran torto gliel volea disdire
Menar pngion Ira le famote prede ;
E più volte calcar con mollo ardire
L' Alpi nevose altissime ti vede.
Or cnnlra il chiaro Veneto, or per torre
Le discordie a Liguria, e 'n pace accorre.
mix
Di sacra maestà la fronte cinta.
Si vedea dopo lui giungere al regno
Il gran genero tuo, quel, che !' estinta
Bontà ridusse al pria lassato segno ;
Quel, ch'ogni altra virtù, già in terra accinta
Per foggirse da noi per giusto sdegno,
Con le bell' opre tue quaggiù ritenne,
E lieta c felicissima mantenne.
UI
11 celeste Francesco era rotini.
Che del nome onorato fu il primiero,
Come il primiero ancora appar de* sui
Di valor, di bontà, d'animo altero}
Ivi il saggio Merlino avea di Ini
Più che d* ogni altro bel piolo l'impero;
F. di più dotta man più bei colori
Adombravano iv' entro i rari onori.
LXXl
Vivo ancor l'alto suocero apparia
Scacciar sovente le nemiche squadre ;
E mentre la tua vece sostenta,
Fare in consìglio e io arme opre leggiadre;
Né por la gioventù eh* allur fioria,
Ma l’età ferma ed ogni antico padre
Net senno e nel valor di sì bell’alma
Del ino verde sperar locò la salma.
LIMI
Giunta poi la tlagiooe ove il eie! volse
(Poi eli* al quarto suo lustro era il natale)
Porlo al gallico impero, e ’u man gli accolse
Degli indorali fior l’asta reale:
Il magnanimo re l’arme s’ avvolse,
E del chiaro derio spiegando l’ale.
Per non lassar de* suoi I* antica forma.
Nell* italico seno stampò i' orma.
LXtlU
Li si scorgea per lui I’ Elvezio invitto
Giudicato dal muodo infino allora
Con le dure falange essere afflitto,
E di vita e d’ mior privo in un' ora ;
Che difendendo il mal negato drillo
Di chi Eridan, Tesino, ed Adda irrora,
L’ altrui gran torto e 'I suo voler superbo
Eliber qual con venia lor fine acerbo.
Lxxnr
E ’l famoso Francesco io arme fero.
Come in pace a' miglior soave c piano.
Di Marte esercitando il sommo impero.
Ben mostrava d'ogni altro esser sovrano;
Ch'or questo tuo stancando,or quel destriern.
Or avea ’l pia da lunge, or prostimano.
Or d’nna trhiera.or d'altra, or prima, or dopo.
Come al bel gocrreggiar veniva ad uupo.
UlT
Nè appresto il faticar di quanto é *1 giorno.
Si rivedrà la notte essere in posa ;
Ma col ferro reai tra suoi d* intorno
Non rumo oprar nella stagione ombrosa ;
Fin eli* al secondo sol di raggi adorno
Colse l'intera palma gloriosa.
Quando apparta la terra a maraviglia
Dell* avversario sangue esser vermiglia.
nifi
Dopo il qual largo onor cortese e pio,
Come verso i figlmoi l' annoso padre.
Ogni offesa maggior posta in oblio
Si mostrò amico alle nemiche squadre s
Le quali io porlo al ino terreo natio
Dalle fere tempeste oscure ed adre
Feo seeure menar, senz’ altro affanno,
Fuor che ’l primo di Marte avolo danno.
LXJtVII
Cinger si scorge poi la forte sede
Di fossi inghirlandata, e d alte mora,
Ch'avea d' inespugnabile tal fede.
Ch'alia forza mortai vivrà sicura;
Ma quando il re magnanimo ivi aisicde.
Non conosciuta pria sente paura,
Si che sé stessa c l' insubre suo duce
Sotto al Gallico impero ricoudoce.
Uivru
A lui quanti ban gl’ italici terreni
Princìpi illustri, c chiare libertati.
Venir quei si vedean d* amor ripieni.
Come al vero signore i servi grati :
Queste mandar degli adeguali seni
Di virtù te c di senno i più pregiati.
Come al pio difeosor dell' alme vaghe.
Che del viver disciollo altri •’ appaghc.
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l’ avarchide
LXXIX
Ed ei eoa quello amor talli fili accoglie.
Che *1 buon valer d' altrui fa il *001100 Giove :
E raffrenando in se le avare toglie.
Che spesso al viocitor vittoria muore.
Contento sol delle sue antiche spoglie
Non vuol C armato sluol drizzare altrove,
Poi rh* al sommo paslor di Pietro erede
Con dovuta umiltà a* inchina al piede |
LXXXVI
Ivi scolto era ancor più d’ una volta
L'empio avversario suo del terreo Gallo
Esser fugalo, a con la gente folta
A gran danno e disoor pagarne il fallo,
E 'ndarno sempre aver eoo pena molla
Sforzalo muro in esso, argine 0 vallo;
E leoerse felice, chi polca
Rifuggendo schivar la molte rea.
un
Poi net Belgico aro poco olirà appare
Con le schiere a battaglia, e con l'insego*
Indarno il suo avversario richiamare,
Di marziale arder le voglie pregne ;
E quello il passo indietro ritornare.
Qual Inpo, ove il leoo vestigio segne,
Che per più angusta via, spinosa e fosca
Spesso saturno ascoltando ai rimbosca.
(.XXXVII
Né di Pallade io lui mostrava ascosa
L'arte onorata e la sa a verde oliva;
Ma si vsga. sì bella e speciosa,
Che nel colle più aprico, 0 ’n calda riva;
Ogni Musa, ogni Grazia, qual la rosa
In seno al dolce aprii seco fioriva ;
E dolcemente si vedeano intorno
Spirargli amor d’ ogni virtude adorno.
imi
Poco olirà anco apparia, dove il Tesino
Va il terreno irrigando erboso e molle,
Quando il fato maligno, e ’J rio destino
Delta intera virtù la palma volle ;
Dall' no lato apparia *1 valor divino.
Che ‘1 famoso Francesco io alto estolle;
Dall* altro l'empia ed invida Fortnoa,
Ch'ogni fona, eh’ avea, conte' esso aduna.
uxxvm
La nobil Gallia ti vedea per lui
Di toga ornata, e del aolare alloro
Avanzar di aavere i vicin sui
Net greco e nel latino ampio tesoro :
E coatra i colpi, e *1 vaneggiar d' alimi,
Come 1' annoso pino all* Austro e ’l Coro,
Tener beo ferme le radici prime
DeU’alte leggi del fattor sublime.
IUIU
Sopra 1* allo corsier di ferro adorno
Con la lancia arrestata sembra un Marte,
E facendo a* nemici oltraggio e scorno
Ci vedea questa urlare, c quella parte;
Poi *1 fugace de' sooi sinistro corno
Ratto insieme ripon con bellica arte,
E con 1* istessa man vie più d’ un duce
Delle nemiche squadre a morte induce.
txxxix
AI collo gli awolgea le braccia caste,
E *1 bianco manto suo la pura fede,
Qoasi dicendo : Alcoa non mi contratte
Di Ini fermar d' ugni mio regno erede ;
E per ciò beo chiarir 1* esempio baste
Di quel eh’ ivi vicin scolto si vede ;
la cui vien 1* avversario, il quinto Carlo,
Disarmalo e soletto a visitarlo.
LXXXUI
Ma non potendo al Gn 1’ estrema possa
Sostener lassù e solo, ond' egli i cinto,
Dell'alma invitta ogni viltadc scossa,
Si vedea 'n altrui furia, ma non vinto;
Che di contraria sorte alla percossa
Il naturale ardir non ha più estinto.
Che faccia unto liquor 1' ardente Gamma,
Ch'ai suo primo arrivar vie più a' inGamma.
xc
E lai poste in oblio l' aspre contese,
I ricevuti oltraggi, c 1' odio antico,
Essergli d' ogni ben largo e cortese,
Cora* unico germano e caro amico ;
E qnal Irionfator del suo paese.
Che più volle calcò fero nemico,
II menò sicurissimo in qoel loco,
Ove ogni bene oprar conobbe poco.
MUSSI V
Indi aggiunto alto senno alla fortezza,
E 1* onesto soffrir con dcgnilade,
Nel crudo vincitor 1' empia durezza
Rompe, e trova il cammin di liberlade;
In cui di vendicar 1’ osata asprezza
Onorate ritrova e belle strade,
Consenlmdo pietoso il giogo torre
Agl* ilalici campi c i lacci sciorre.
XCI
Assedra dopo lui l'altero figlio
Enrico invitto, al nome suo secondo,
Ch' ai tre lustri compiti 1* aureo giglio
Di famosa vittoria fea secondo;
E dell’ aquila cruda il fero artiglio.
Che parea minacciar 1’ afflitto mondo.
Sol mostrandosi al Rodano feo tale.
Che piò tosto, che quello, adopra l' ale.
LXXXV
E '1 vicario di Cristo, e quella soglia,
In cui primo sedeo 1’ antico Fiero,
Poi di' esser vede vergognosa spoglia
Del Germano iufedel, del crudo Ibero,
Il medesimo re, di chiara voglia
Ripieno il giusto core, e d* amor vero,
l.e pie galliche iusegne a Roma stende,
E dell’ iniquo sluol libera rende.
seti
Non molto aodala ancor la verde etade,
L' Alpi olirà varca al più nevoso verno,
K del serrato passo apre le strade
Con sno sommo valore, ed alimi scherno ;
Scaccia il nemico, e rende le contrade
Furale allora al Gallico governo,
E sgombrando le nubi o»core ed adrc
Chiaro e quieto il etcì dimostra al padre.
*1
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XCIII
Squarciata poi U mal testala pace,
Dace rimena ancor I' armate schiere,
Ore in tra i Pirenei la terra giace.
Che *1 Nerboneie mar porria vedere ;
Torna indi poi contra I’ ardente faee,
Che parea sormontar l* ohimè spere,
Della goerra mortai, eh’ adoni insieme
Il Belgico, il Germano, e 1' Anglo seme,
xerr
E eoi! giovinetto, ove Matrona
Ce piagge erbose dolcemente bagna,
Ora il (reo saggio accoglie or olirà sprona,
Ove piò aperto il aen dia la campagna ;
E ch’a tema, o foror oon s’ abbandona,
Il vecchio imperadore in cor ai lagna ;
E ch'egli aggia alla fin s’accorge io vano
Di Fabio l’occhio, e di Marcel la mano.
xer
Onde all’ estremo andar fonato appare
D* altra novella paee a consentire,
Con promesse a lui dorè, ad altroi care.
Ma con mente fermala di fallire!
Poscia ivi al ciel tra l’ anime piò chiare
L* alto parente ano vedea salire
Il grande Enrico, con la pietà stesaa.
Che debbe in nobil core essere impressa.
xcvi
Dopo il coi lagrimar, l’ invitto core
I danni andanti a vendicar •’ appresta,
E dr II' anglico staci contra il furore
La già indonnita spada altero desta;
E l’ adopra colai, che ’n sì poche ore
Ogni salda muraglia afflitta resta,
Che dir paole : in tal fato I’ arme cinsi.
Che in un momento venni, vidi, e vinsi.
xcvtt
Poi che ridotto al pristino sno impero
Ivi apparia il gran lilo de’ Morini,
Non mrn pietoso mostra il sao pensiero
A chi fuor sia de' Gallici -confini ;
Sentendo in preda dell* orgoglio fero
Di chi indotti gli avea gli aspri vicini,
II buon duce rumano afflitto e solo,
Qual germano il soccorre, o qual figliuolo.
xcvnt
E *1 difende e manlien da quello (stesso,
Che gli dovria donar cootr* altri aita,
(Ahi crudo cor) dal suocero, eh’ oppresso
Il leoea (lasso) e' suoi nemici invita ;
E poi che al vmser padre avea permesso,
Che tolta fosse I" insidiala vita,
La suedesma pia 6g!ia, e i suoi oepoli
D* ogni paterno ben fea cassi e voli.
xcix
Ma il magnanimo Enrico del soo sangue
E de’ soni gran tesori è sì cortese,
Ch* ei ridare a salale il qnasi esangue
Chiaro corpo illustrissimo Farnese;
Poi l’ alma libertà, che morta langue
Pur dal ferr’ empio delle ispane offese,
Ritornar viva fa, integra e serena
Tra l' alme mora della etnisca Siena.
C
Tal che quanti hanno De» le Tirresie onde,
Quante Ninfe o Driade ha il terren Tosco,
Ornando quei le sue salale sponde.
Queste il chiaro cristallo e *1 verde bosco,
Ciascun divolamenle a Giove infonde
Prieghi che mai non fia piò eh* allor fosco
Del buon re Gallo all' onorata voglia.
Si ebe tutto il terreo dai lacci adoglia.
a
Non molto laage a questo seulto appare
Il medesimo Eorico sovra il Reno
L’ invittissimo esercito menare,
E dell’ alma Germaoia il largo seno
D’ ogni fnror tirannico sgombrare,
E dell* empio sigoor romperle il freno ;
E dall’ infide braccia riconduce
L’ uno e 1’ altro di lei famoso duce.
ai
E lassando i tuoi campi e ’l patrio nido.
Si vede in foga aver l‘ infermo volo.
Del magnanimo Gallo al primo grido.
Di Giove il fero occcllo afflitto e solo.
Mentre quel trionfante sovra si lido
Di Morella e di Musa il franco sloolo
Rimena, al cui valor non fu secoro
Ferro, foco, montagna, argine o muro.
cui
Scolpito ha intorno l'uno e l’altro frate.
Il secondo Francesco, e 'I chiaro Carlo ;
Quel furaron le Parche, congiurate
Di coronare Eorico, e ’n cielo aliarlo ;
Quest’ altro giunto a piò perfetta elate
Tosto il tolse colui che potea farlo.
Con soverchio dolor del padre pio.
Del gran germano, e del terreo natio.
ctv
I quai tutti vivean con ferma speme
Di veder sormontare il suo valore,
E di render piò illustre il divia seme,
E piò splendido far I’ aarato fiore ;
Come seppe il terren che Mosa preme.
Che mal contrasta al giovine furore.
Qual ben descritto li potea vederle.
Che ratto al soo venir le strade aperso.
cv
Nè il gran vate divino ivi entro ascose
Del frntto femminil le piante chiare ;
Del gran Francesco la sorella pose
Sovra quante fur alme altere e rare ;
E quale i minor 6or le vaghe rose.
Le vincea tal, che in tutte I’ altre avare
Parean le stelle, che versero io lei
Quanto bene al mortai donan gli Dei.
evi
Scritto avea nella fronte a lettre d' oro:
L' alma regina che ì Navarri affrena ;
Cingela Apollo del suo sagro alloro
In vista piò che mai lieta e serena;
Non lontan poscia a così bel tesoro
Si leggea '! nome pio di Maddalena,
Di Francesco primier progenie degna,
Che nel Scoto terreo non mollo regna.
L ATARCH1DE
crii
Da tulle l’ altre poi solo in disparte
Il nome alto surftea di Margherita,
Ove il saggio scultor ripose ogn' arte
In mostrarla a ciascun vaga e gradita ;
Ni lassrrien le stelle alcuna parte
In farla olirà 'I mortai rara e compita
Di virtù, di valor, di cortesia,
Saggia, casta, gentile, onesta e pia ;
eviti
E che merli eoo V opre drittamente
D* esser chiamata poi figliuola e suora
Di Francesco e d* Enrico, onde sovente
L'uno e l'altro di lei sé stesso onora;
Mostrava in vista dalla bassa gente,
Che sol false ricchezze e ’mperi adora,
Andar sì longe con la oobit alma,
Che quei tutto era a lei negletta salma.
ax
E qnanto al crei poteva assimigliarse
Col giovare a' mortai de' ben eh’ avea,
Tanto in vista parca beata farse
Questa del seco! suo terrena dea ;
E perché nel mirare agli occhi apparse
Di Lancilolto allor, ch'ella dovrà
Regger d’ Avarco il soo nativo regno.
Dimostrò di dolcezza aperto segno.
ex
Poi si vede lasciar, dov' Arno bagna,
Dell’ alma Etruria il più fiorilo nido
La reai Caterina ; e s' accompagna
Col grande Enrico al Gallico suo lido;
Dal coi sommo valor non si scompagna
Virtù, senno, onestade ed amor fido,
Che la fanno al gran re pregiata e cara,
A tutto il mondo poi lodata e chiara.
ext
E so 'I mar provenzale accor si vede
Dal gran suocero suo, dal pio consorte,
Come d* alta bontà suprema erede,
E degna al tutto di celeste sorte;
L* altera nobiltà che '«torno assiede,
Par che ’n ino cor mirando si cooforte
Di speranza immortai, che da lei scenda
Chi *1 Gallico terren bealo renda,
ex il
Ed ella in vista alteramente amile
Secondo i merli lor ciascuno appaga ;
Poi de* verdi anni suoi passato aprile
Larga prole produce ornala e vaga,
Che del paterno onor 1' antico stile
(Come intagliato avea la man presaga)
Imiteria colai, che ’l grido fora
Dal vecchio Atlante al nido dell* aurora.
CXIII
Li si vedea, mentre cb’ Enrico al Reno
Con I’ armato sno stuol gran cose adopra,
Ella regger per lui di Gallia il freno.
Nè temere il fnror che a lei vien sopra;
Ma il Belgico crudel d'orgoglio pieno
Rispinge indietro dalla spietata opra ;
E le pria per insidia avute spoglie,
Per magnanima forxa a lui ritoglie.
exiv
Poi con la gran bontà, che sia commista
Coo la dolcezza pria, che lega i cori,
De' maggiori e minor gli animi acquista,
Sì che i privali e pubblici tesori
Di riversarle io sen nessun s' attrista,
Più ebe fa il buon dei trionfali allori;
Ed ella adorna di benigno aspetto
Quando può mostra toro il regio affetto,
cxv
Di tali onor de' snoi rimira ornato
Il divin Lancilolto il forte scodo.
Con I' alma lieta ; e rende grazie al fato,
Che di lunga memoria no 'I feo ondo ;
E certo in core ornai che vendicato
Saria del chiaro amico il caso crudo,
Poi che si corca il sol nell* occidente,
Ov' è il sno Galealto andò dolente.
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L AVARO II IDE
ARGOMENTO
Nella presenta drì dolor rovello
L' offesa antica Lnncilotto obblia ,
E appar placato fra il reai drapprllo
Più caro a tatti , che noi fu dappria ;
Di tjvi 1 1’ A varco fa crudcl macrl/o ;
Sgombra a’ Britanni alla città la via ;
Diradano e Bruti oro, il fier germano ,
Era primi uccide , e fra i minor Forano.
D ’ *
argentato color l'alba splendei,
A'mortali e gli dei menando il giorno ;
Quando arrotando ancor la sorte rea,
Al morto Galealto era d* intorno
L'invitto Lanciotto, e s'aisedea
Sovra lo tendo de* tool beni adorno;
Ma come lei «puntar di Cuora vede,
Lassa ogni lamentare c quella sede,
n
E con alto chiamar risveglia i suoi
Che non molto lontano a lai si stanno,
Dicendo a tatti : O più famosi eroi
Ch'ebbe ancor mai «'esercito Britanno,
Men, eh* a quanti altri so a, conviene a noi.
Che deviata vendicar lo scorno e ’I danno
Di sì altera corona, e si famosa,
Che '1 dì quasi vicin ne trote in posa,
ili
Or raccogliete in un le vostre schiere,
Ch'ogni duce de* suoi la cara prenda,
Menlr'io vo' il grande Arturo a rivedere,
Acciò che il mio voler più certo intenda |
Ch'io non vo* più lo sdegno ritenere,
Poi che Tiralo cìel par se n* offenda j
E segnane che può, che di Ini solo
Sarò sempre gnerrier, servo e figliuolo.
IV
Cosi dicendo, solo e disarmato
Al padiglion reale a piè s'invia;
Trnova il buon re del sonno già svegliato,
Che'l rornor. benché lunge, udito avia;
Entra l'araldo Amato, e ch'arrivalo
Era ivi Laocilollo gli dicia :
Fecel subito entrare, e sovra il letto,
Osde non move ancor, I* abbraccia stretto.
E pien di dolci lagrime T accoglie.
Dicendo: Or non morrò se non contento :
Or la speme eh* avea dell* altrui spoglie.
Non temo più, che se ne porte il vento.
In questo mezzo ornai li si raccoglie
L'altro drappel de' duci in od momento.
Che del venir di lui seoloo la fama,
E ’1 campagno e *1 vicin Tua I* altro chiama.
vi
Venner tra* primi i folgori di gaerra
Maligante e Boorte a lento piede.
Sopra I* aste appoggiandosi alla terra.
Che ’l dolor delle piaghe ancor gli fiede;
E Lionello entr'ambe si riserra,
Perchè degli omer suoi si faccian sede.
Questo a sinistra, e quello a destra mano :
Poi seguiva il re Lago e '1 pio Tristasso.
VII
Dopo i quai Gargantioo, e Pelinoro,
Aboodano, Uriaoo ed Agraveoo
bandone, il Brun, Mandrino e Talamoro,
E *n tra i primi onorali iva Gaveoo,
Che del sommo piacer, che sceme in loro.
Un non pieciol dolor s'asconde in seno:
Sol restò Fiorio c 'I cavalier Worgallo
Di soverchio, impediti c Persevallo.
Vili
Or nel cospetto lor I' alto guerriero,
Poi che baciato avea la regia mano,
Coti dicea : Gran re, di cui T impero
Ha di gloria ripien presso e lontano.
Il terreo gallo, il belico, e Ciberò,
Il nobil sen italico e 'I germano;
Eccovi il travialo Lanciotto,
Ch'ai suo dritto cammino è ricondotto,
IX
Onde i passi torcea non per orgoglio.
Ma menato, credea, da gioito sdrgno ;
Né per tema maggior di quel ch'io soglio,
Al gran seggio reale amile vegno;
Ma perché lardo ornai troppo mi doglio
Che del pio core uman passato ho il segno,
Di lassar tanto sluol lasso perire,
E si ouorati duci a morte gire.
x
Deh quanto era il miglior per ambeduoi,
Che non foste mai nata Claudiana !
O ch'ella fosse morta, e ’nsieme ì suoi
Frali, usciti quaggiù di stirpe strana,
Qael dì, che prigionier gli fé* di noi
Fortuna, de' miei beo sempre lontana ;
Che mi die* gran vittoria e ricche spoglie.
Perché mi fosier poi tristezza e doglie ;
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AVARCHIDE
Perch’ io vedessi poi di morte avvolto,
Degli avvertavi ino» trionfo e «direno
Del mio bon Gaiealto il regio volto
Per la fannia man del erodo Iberno;
Nudo di polve e d'atro «aogoe avvolto,
Di latti i miei pemirr tormento eterno;
Ch'ovunqoe io volga mai gli occhi e la mente,
Qual io *1 rividi ier, mi «la premale.
xtt
Ma poi ch’altro non pnoste, a noi conviene
Por con necessiti 1* animo in pace
In quel eh’ è gii seguito, perché avviene
Dal voler di colui che tutto face,
E dentro alle sue braccia il male e ’l bene
De* miseri mortali accolto giace ;
E ’l soverchio dnlerse a donna aggrada,
di’ altra a sfogare il cor non ave strada.
xi rt
Ma il forte cavalier col vrndicarse
Drl.be aprire il sentiero al sno dolore ;
E se trova io ciò far le stelle scarte,
Sappia il mondo lassar con dritto onore :
Or se in altra stagion questa fiamm’ arse
D* altro ofFrso guerriero un nobil core,
Arde ora il mio rhe d’Etna il monte sembra,
Se del suo Galealto gli rimembra.
Com’er forse bramando, a qoel ch’io spero,
D a abbassar di Ciodasso il doro orgoglio,
Il fin per Segoraoo acerbo e fero
Condusse in Gaiealto, in voi cordoglio,
Onde spento riman lo adegne oltcro,
Ch* al vostro navigar ai facea scoglio ;
Ma in tal guisa adoprando, scoria fida
E più sempre di quel che ’a lui s' affida.
*«x
Però, caro ftglinol, grasie rendrmo
Al suo santo volere, onore e lode;
Che pria che ’l danno tuo giunga all'estremo,
Del britannico stool le preghiere ode ;
Il qual del nuovo amore, io che noi semo,
Racconsolalo io cor s' allegra a gode,
E per la vostra man bramoso aspetta
Giona, trionfo, oqor, pace e vendetta.
xx
B quanto oggi e poi sempre amica e cara
E gioconda mi sia la pace vostra,
Ve ’l mostrerà la man che non sia avara
Di quanto v’ offerirò io vece nostra
Maligante e i compagni, poi rhe chiara
Bareni (ornala alle paterne chiostra ;
In cui voi tolto solo avrò più io pregio.
Che quanti altri mai fur di nome egregio.
E però lutto ornile a voi ritorno.
Ogni sdegno primier posto in obblio,
Prrgando eh* a voi piaccia in tal soggiorno
Prender tra i peggior vostri il brando mio,
Ch* io possa ristorar I’ avuto scorno
Dall'empio Segurano e’I fato rio
Del dolre amico, che vedrà dal cielo
Che di lui mi riman risicato telo.
Così parlava, e il chiaro Lanciotto
Risponde: Assai mi fia quel puro amore
Ch'or mi mostrale, il qual m'ha solo iudollo;
Nuo di lesor, nè d' altro pregio onore,
tir pria che 'I sole in allo ricondotto
Sovra il oostro terreo riscaldi l'ore,
Cluaroio l'altere trombe lo battaglio,
E riprenda ciascun 1* aulica maglia.
Qui finì Lsneilotlo ; e quei, che stanno
D* intorno ad ascoltar, ferma fidanza
Ifan già di ricovrir I* antico danno,
Tal della sua virtode è la speranza ;
E *1 lieto bisbigliar che 'otorno fanno,
Empiei d'alto roroor la regia stanza,
Fio eh’ amico ailenzio Arturo impose,
Ed allora, il gran re, coai rispose t
Ed io ’n tanto fra’ miei farò ritorno
E vestirò volaudo 1' armadura,
E di spinger avanti il nostro corno,
Si che vada il primier prenderò cura,
Vago di soorre ornai Tempio soggiorno
Delle genti aspre e delle acerbe mura,
Ove alberga colisi che lolto m’ ave
Chi solo il viver mio rendei soave.
Valoroso figliool del gran re Bino,
lo non posto negar, che di ragione
Non foste il mio parlar tanto lontano,
Che di farvi sdegnar vi diè cagione
Ma sappia il mondo par, ch'alfin sia vano
De' pia saggi mortali ogni sermone,
Che spesso in questo, o io quel la colpa stende
Di ciò, che ’l del fra noi dispone e intende.
K mostrerò, «per* io, se la vìrlnde
Di Lancilolto è morta, o se indormila
Fu dallo sdegno ardente, che si chiude
In lei, s'al suo signor poco è gradita:
E si polran veder taoC alme nude
Prender nuovo aeotier da questa vita,
Che maledetta ancor di Segurano
Da mille madri fia la cruda mauo.
Vero è eh’ e' non adempie il suo volere,
Sciolto d* ogni altro mezzo assai sovente,
Ma del bene, o del mal dona il potere
Io cui gli aggrada nell’ umana gente;
L’allr’ier gli piacqoe delle nostre schiere
Una parte, qual feo, reoder dolente :
E consenti fra noi l’ira e lo sdegno,
Per condoccr al fin T aspro disegno.
Or non si lasse indarno il tempo gire,
Mo visto pur tosto, ove il voler mi sprona;
Ma il famoso re Lago a questo dire
Si volge e parla; Altissima corona,
Poi eh* al vostro giustissimo desire
Soccorre il ciel, che i buon non abbandona,
In farvi ritornar congiunto e fido
Chi d‘ ogni altro grao duce avanza il grido;
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xxv
Mi par che ornai ai debba, quale ha delio,
Tolto a battaglia uacir, ma in mente avere
Che non fia mai guerrier coaì perfetto.
Che valgia il lungo affanno a sostenere
Anelato e con fame ; a coi diadetto
Dalla natura al fin non aia il potere;
E perù il faticar, che molto fia.
Prenda d' cica e di via totlegno pria.
XXVI
Vadan dunque gli araldi, e'n vostro nome
Comandin, che ciaicun l’albergo trave;
Solva il digioo, poi di lucenti rame
D'arme esca carco alle battaglie nuove :
E quelli regi e duci, eh' han le chiome
Di lauri ornale io mille altere prave,
Farao ghirlanda alla rotonda menta.
Ch’agguagliati gli onor per voi dispensa.
xxm
Coti ditte il re Lago, e 'I grande Àrtnro
Con lietissimo volto F acconsente,
Seguendo : Poi che ’l fato acerbo e duro
Impiagato mi li», lasso e dolente,
Che ne assereni almen l’animo scoro
In veder qui di si famosa gente
Lo sconsolalo e vedovo soggiorno,
E del suo Laocilotto essere adorno.
xtviti
Qui finito il parlar, già in mrxzo appare
Chi la mensa, e chi I’ esca conducea ;
Quando il figlio di Ban : Cerio mi pare
Ottimo ogni consiglio, rispondea.
Che pochi pon fra gli uomioi durare
Lunga stagion contra la fame rea,
Ch'ogni vigor, ch’ogni valore ammorta,
E ch’ai tartareo seno andar ne sforza;
XXIX
Pur vi sapplico amil, che non vi spiaccia
Glorioso mio re, che ’ndielro rieda,
A ciù che al voto mio non contraffaccia ;
Il qual è, eh' al digioo già mai non ceda,
10 fin che questa man vendetta faccia
Di quel re misere! di morie preda;
E dopo lei se ’n vita tarò ancora,
Poco andrò poi di vostra vista fnora.
Xxx
Ma il saggio re dall’Orcadi, che intese
11 dannoso consiglio, gli risponde:
La natura mortai mai sempre intese,
Che la giovine età di forza abboode ;
La qual degli anni poi sentendo offese,
AI più canuto viver si nasconde;
E perù in questa parie non vorrei
Indarno contrastarvi e cedo a lei.
XXXI
Non è il senno cosi, di’ ei vico dagli anni,
E nel cor giovani! mal può trovarse,
Ma dai passati sol travagli e danni,
E dì se stesso, e d'altri può imparane;
Nò sia ehi indarno mai pensi o *’ affanni
Per grande studio io breve saggio farse.
Che non meno è ingannato, che chi spera
Saper l’ arte in un di dal fabbro intera.
XXXII
E perù s’ io dicessi esser di voi
In questo per I’ etade assai sovrano,
Non vi sia sdegno il consentirlo a noi.
Perchè dal vostro onor non fia lontano ;
E mi crediate qoeUmente poi,
Ch*a voler bene oprar l'arme e la mano
Coovien con l’esca fermo mantenere
Il vigor, che di lei privato pere.
xxxtii
D* amarissime lagrime uo sol giorno
Render si deve onore a chi sia morto ;
D' esse iodi sendo, e di sepolcro adorno,
Prender al faticar dolce conforto ;
Che per 1’ altrui doler non fa ritorno
Chi di morte at cammio dal fato è scorto ;
E s’ arme io chi l'uccise la vendetta,
Non sopra il veolre suo, che ’1 cibo aspetta.
XXXJV
Non cercate voi stesso in grado porre,
Che noo possiate poi seguir la voglia
Cosi onorata in voi, di luce torre
A chi vi die’ cagion di tanta doglia;
Ma per ogni cammio tolta raccorre
La forza invitta, che i nemici addoglia.
Donando or qui fra noi gioconda salma
D* esca alle membra, e di dolcezza all’ alma.
xzzv
Il gran figlio di Ban cortese in visto
AI buon retlor dell* Orcadi rispose:
Il vostro saggio dir tal fede acquista,
Che riveder mi fa le strade ascose;
Ma del mio fido ben la morte trista
Ogni ragione al cor per modo rose,
Che la salute tua gli sembra amara,
E la dannosa via soave c cara.
xxxvi
Nè gli pois' io disdir, nè voglio àncora;
Perù vi prego umil, che mi sia dato
Girne all’ albergo mio, dove dimora
Tatto lo sloot che già m' attende armato;
Ed io spero con Ini che ’n ciel s’adora.
Pria che sia nell* occaso il di corcalo,
Vendicar Galealto, e scarco poi
Alla mensa reale esser con voi.
XXXVII
E dicendo cosi, fece ritorno
Ove in ordin rilruova le sue schiere,
Ch' han le squadre a cavallo fuor del corno
E net mezzo spiegate le bandiere;
Va il tutto ratto visitando intorno,
E dicendo a ciascnoo ; Ogn* uomo spere
Di fare oggi tal proova, che sia dillo,
Cbe'l vostro alto valor fu tempre invitto.
XXXVIII
E non senza cagione al mondo sembri,
Ch’a voi servata sia la prova estrema,
E del boon Galeallo vi rimembri,
L'alma chiara di coi la spoglia è scema.
Che de* suoi sanguinosi e ’ncisi membri
Sol la speranza in voi loca suprema,
Che la vendetta sia coti per tempo,
Che non ne rida Avarco lungo tempo.
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nxu
Così dello, ri torna al sno soggiorno,
Ove giacca disteso Galealto :
Il qual discopre e pon le braccia intorno,
Poi dopo on gran sospir focoso ed alto
Gli dice: Anima eletta, io qoesto giorno,
O eh’ io sarò dal doloroso assalto
Teco congiunto in citi, o che vedrai
lo olirai piò, che io noi, terrestri guai,
XL
Iodi appella Saolippo, il suo scodiero,
Che le sue celesti arme gli appresenta,
Ood* ei ratto si rnopre, e ’o so ’l destriero
Tatto soello e leggier poscia •’avweota.
Al qual ragiona : o mio Nifoote altero,
Non fia io te la virtù per oggV spenta,
Ch’ aliò già il nome Ino per ogni loco,
Ove del guerreggiar più ardesse il foco.
XLI
E ’n questo oliimo dì li risovegoa,
Quanto al mio (lasso), aoai al tuo stesso onore
Fallisti ier, che chi nel mio cor regna
Lassasti in preda all'altrui rio furore;
Sì eh’ or piò belio oprar eonvieu che spegna
La toa larga vergogna, e ’l mio dolore,
Riportando di lui la spoglia opima,
Che posti n' ha d* ogni miseria in cima.
XLIt
O t'appresta animoso ad esser privo
Oggi insieme fqoand' io) di questa Iure ;
Che’oon s'intenda mai, che resti vivo
Dopo il primo signor soli' altro duce.
Cosi parlando, e d ogni indugio schivo,
Dell'arme squadra la splendente luce,
Onde sovra 'I mortai lieto ai goda;
Poi le braccie e le spalle accoglie e snoda.
XLIII
E prova ad ono ad uo se stringa, o grave,
O ae *1 moto da lur regna impedito ;
Ma il tolto gli è piò acconcio e più soave,
Che di serico filo drappo ordito ;
Prende poi l’asta in man si grossa e grave,
Cbc non fa mai guerriero io alcun lito,
Che crollar la potesse, se non solo
Ei, che par ooo avea sott’ altro polo.
xi.iv
Iodi fra’ i suoi si spinge, a* quali apparse
Marte, quando più irato a terra scende.
Nulla cometa io ciel si lucida arse,
Qual essa il di, ch'ai suo cimiero splende ;
Presso all' aurato scudo erano scarse
Le chiome vaghe, che I’ aurora stende :
Parean I' elmo e I' allr'arme fiamme vere
Scesce a lui intorno dalle stelle altere.
XLV
Ma Gaveno, il Re Lago e 'I pio Tristaou
Con gli altri duci poi le genti accoglie;
Che parean dagli alberghi uscendo al piano
Api, di' al gran reailin le regie soglie
Laisan, quando I' aprii resta sovrano
Del tempo rio; che fior novelli e foglie
Van depredando avare, ovunque intorno
L'almo prato o'I giardm si mostre adorno.
xtvt
Poi da'destrier percossa alta fremea
La bassa valle, e la sua nuda arena
D' argentato colore esser parca,
E d’ardenti faville intorno piena;
(.he siccome la torma il piè movea,
Sembrava tutta il ciel quando balena
Piò sovente la notte, onde si vede
Ore il chiaro, ore il hron, che I' arie Sede.
xtvn
Nè le schiere d'Avarco d’altro lato
Stanno al muover di quei oel sonno avvolte.
Ma per l'ooor primiero guadagnalo
Han piò larghe speranze in core accolte ;
E ‘I trionfante Iberno a' era ornato
Delle chiare armi al gran nemico tolte ;
E riducendo e’sooi la forma antica,
Salo leve ciescon con voce etnica,
XLTflI
Dicendo: Oggi e quel di, eh’ aperto spero,
Che I* intera vittoria io noi pervegna.
Se ’1 giovio Laneilotlo irato e fero
Del miser Galealto a guerra vegna ;
Ch’or piò noo ave, ood’ egli aodava altero
L'arme incantata che accoro il tegna,
Siccome gii gli avveuoe altra fiata
Con 1’ aiolo immurisi della sne fate.
XLIX
E così ragionando, innanzi sprona
Con Clodino, e Brunoro, e Palamede,
Gallioante, e Rossano, e tutta dona
La cura a Terrigan degli altri e piede.
Or gii da tutti i lati s'abbandona,
Per l' altrui guadagnar, la propria sede;
Solo il gran Laneilotlo il piè ritarda,
E dove aggia e ferir, d' intorno guarda.
l
Quale ardito leon ch'ai prato scorge
Di crrvetle e di damma i vili armenti.
Che non degna seguirgli e innanzi porge
Gli occhi, eh' a maggior preda erano intenti;
Poi ch’aspro orto,o cinghiai vedeche insorge,
Arma sol cootr' a quei gli artigli e i denti,
E i Ganehi perrotendosi e la terra
Con la aetosa coda, muove a guerra ;
ti
Tale il gran Lanciotto acceso d* ira,
E d'ardente desio d'alta vendetta,
S’ei vedesse l'iberno gli occhi gira.
Perchè cootr* a Ini sol Irovarse aspetta.
Poi conoscendo in sè, che ’ndarno mire,
Nè ’l potrie riveder, tanto era stretta
La turba che veniva, e tal la polve,
Cbe ’l sabbioso sentier di nube involve;
in
Or chi potrl narrar, senza l'aita
Che vien sola da voi, di Giove figlie,
Il valor sommo, e la virtù gradita
Di Laneilotlo, e I* alte meraviglie,
Che tanti chiari cor privò di vita,
E fé' I' onde dell* Euro adre e vermiglie f
Siate dunque al mio dir sostegno fido,
Cla* ei se ne senta alinea dappresso al grido.
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AVARCHID
E
LUI *
Muove il piè innanzi a'saoi con quel furore,
Che Cuore irato il folgore n' avventa ;
Percuote entr* ai nemici col romore,
Ch’ Etna le piaggie aicole apavenla :
Trova Anlifale, Alcanorc ed Antere,
Catillo, Erminio, Remolo, e Tarpeota
L'un dopo l'altro a aorte ; e tutti c aclte
Nel mio primo arrivar per terra mette.
uv
Morti i quattro, impiagalo poacia il reato,
Con l’urlo del cavai rotto e «fiaccalo,
Dell'atta iotera ancor venne moiette
A Polidoro. Drente, E»do ed Afato,
Gli altri tre riveraali, ci aopra quetlo
Della forte aata sua riman privato:
Solo il Ironron gli retta in man, col quale
L'altro slool clic gl'inconlra intorno assale.
te
Cli* ei ai adegna di trar l'altera apada
Sovra il popol vicin, che vii gli sembra,
E ai facea lassar larga la strada,
Or le frooli rompendo, or I' altre membra.
Passa oltra sempre inoanzi, e nulla bada
A quel che faccia altrove e gli rimembra,
Che sol centra il nemico Separano,
Non coolra altro, che fia, a' armi la mano;
LVI
Ma (a quale il villao che gire intende
Nella selva a tagliar la querce annosa.
Che quella fpina, e questa a batto stende,
Ch'ai passare in cammio gli vien noiosa;
Tal Lanciotto face a chi contende
Il ritrovar qncl loco, ove ti pota
Quel eh' ei sol cerca, c che vorrebbe solo.
Perdonando ogni colpa all' altro stuolo.
LVII
Ma no *1 può rivedere, ovonqn'ei muova
Con ratto corso il candido destriero :
Or qoioci, or quindi eoo delio rinnova
Dalla speme fallito il soo sentiero;
Or mrotre ancidc e fiacca, ti ritruova
Con Gallioanle, il giovinetto altrro
Di Giron nato, e della bianca Arana,
Ch'era de* suoi peosicr danna e sovrana.
LVIJI
Quando il vede vicin, ch'ardilo viene
Col grande scudo d' oro traversato
Sol di purpurea riga, ritovviene
Al chiaro Lancilolto io altro lato
D' averlo visto, c 'I suo troncali rilieoe,
Per non far onta a eavaliero ornato
D' mia insegna si nobil, ch'apparisse
Che dal franco Girooe io lui veoissc.
US
Il qoale ebbe io onor sovra ciascuno,
E morto piò che mai I' apprezza e cole :
Nè gli cangia pensier I' esser del Bruno,
Si come Scgoraoo, onde si duole (
E pria che fare al giuvio danno alcuno,
Con cortesi preghiere intender vuole
Chi sia, dicendo: Non vi spiaccia, ch'io
Sappia il nome di voi, come desio.
Valoroso signor, da poi che degoo
Di portar tale tendo vi stimale
Del famoso goerricr che ne fé degoo
Il secol nostro, c qualunque altra etate :
E per qual fia cagion che 1 pirriol segno
Del color porporino vi mischiate,
Perdi' io intenda prinsier da cui riporte
Onorata vittoria, o trista osorle.
LXI
Risponde il giovinetto: Volentieri;
Glorioso figliuol del gran re Bano ;
Gallioanle «on io, Ira i liti feri
Nato d' Ibernia, al padre mio lontano,
Che fu Girone, e per iitran sentieri
Ho seguito il cugin mio Segurano,
Sperando esser con voi, non con Clodasso,
Ma di quanto bramai son nodo e casso;
LXII
Ch' avendo egli sposata la figlinola.
In A varco, ei tra suoi mi tiene a forza;
Ma r alma ho eoo voi sempre, e riman sola
Di me con lor la rilegata scorza.
La quale aver sotto la vostra scuola
Così tosto sper'io, come s'ammorza
Alquanto il guerreggiar; che non si dica,
Che mi scacce il periglio, e la fatica.
LXUI
Che se ben mi fe* il ciel di madre iberna,
Vien la parte miglior dal terrea gallo,
Ch'avrà sempre di noi memoria eterna,
E fora il lui lassar soverchio fallo;
Or perchè io nulla guisa non si scerna
Macchialo il mio dever (scodo a cavallo
In favor di Clodasso) alla battaglia
Di dimostrarvi bramo quaol'io vaglia.
LXIV
Così parlando, a guerra s'apparecchia;
Ma il nobil Lancilolto sorridendo.
Dice : Il perfetto amor, quanto più invecchia,
Più si deve affinar s' io beo comprendo ;
Onde all' ultimo dir chiuder I* orecchia,
E d'oprar con voi spada non intendo;
Vi prego io ben, quando l'onore il porta.
Che deggiatc d* Arturo essere scorta,
ixv
E che vi piaccia or qui per nostro amore
Di portar sempre io guerra questa spada,
Clic m' ha fatto talor sì largo onore,
Che i nemici maggior m' liso fallo strada.
E si face ivi addur d'alto valore
l)a Sanlippo fede], che intento bada.
Un fortissimo brando, e la cintura
Picca di gemme vaghe oltra misura.
LX VI
La qual sempre portava, sovvenisse
Della miglior eh' avea, fortuna ria,
Che Ira quante più Goe erano affisse
Alla dogliosa guardia presa avia.
Il giovinetto a lui oon contraddisse,
Ma se la cinge allor eoo voglia pie;
E quell' altra eh* avea, cerca eoo preghi.
Che di prenderla in vece non gli meghi.
385
l’ avarchide
386
Dicendo : EH* fa già del mio Girone,
Dell* qual don mi fé quando morio,
K, per Barrare il vero, altra stagione
Piò matura eonvieole al parer mio;
Ch'oggi ha il lerz'anno por, che’nsn l'arcione
Montai, partendo dal terreo natio,
R di tre lotlri soli era il natale.
Sì che meglio è pur voi brando cotale.
LXVIII
Prende!* Lanciotto, e poni* io mano
(Poi che grazie rendrn) dello aeudiero ;
Poicia il domanda : E ’l vostro Segurano,
Che del nostro dolor va coti altero,
Ov‘ or ai ala, che pretao né lontano
Non ai vede apparir aovra il aentiero f
Dite per coricai* dove il lassaste.
Tra cavalieri armali o pedestri atte.
LUI
Riapote Galliaante : Ei non é Junge
Con Clodin, con Brunoro e Palamede,
E verso il buon Tristano il deatrier punge,
Vicino ove l'Euro Ita l'umida tede.
Ch’or questi spinge innanzi, or ricongiunge
Quei che vede ire sparsi, e beo provvede
Ove il bisogno vico, da poi eh’ ha inteso,
Che scie io guerra voi di sdegno acceso.
LU
Il ringrasia egli allor; poi ratto sprona
Verso la destra mano, ove ha tentilo,
Ch‘ è f avversario ano, né spinge e tuona
Più il cruccioso Aquilon nel Tracio sito,
Qisand’ Eulo al più gran verno lo sprigiona
A pernio ter crudel questo e quel Ilio ;
E nell' aria e nel ciel movendo guerra
Abbaile i legni in mar, le mura io terra.
mi
Incontra al cominciar la gente tirella
Sì, che non può trovar sì tosto strada $
Che da quei, che son dopo, in guisa è retta,
Che non si vede aletta che 'odietro vada :
Ma f.ancilolto allora il Ironcon getta,
E pon la mano alla divina spada.
Di mi l'ardente e 'asolilo splendore
Empie* ciascun d* orribile terrore.
I.XXII
Siccome al peregrio talora avviene,
Che si rilrnov* sol la notte fosca,
Che sovra I' orizzonte accesa viene
Con la fiamma crudel che 'I mondo attosca
L' empia cometa, che 'ngombrata tiene
Del ciel gran parte, ed ei nnn la conosca ;
Ma lem* il miserei, che da qoel loco
Tutto il moudo di poi ai volga in foco;
l XXIII
Tale avvien tra coloro: ciascun frigge
Col core almen, poi ebe col pté gli é tolto ;
Ma qual fero leone intorno rogge,
Che da reni e pastor si trova avvolto,
E tatto il miter popolo distrugge,
Ferro lenti. »gli il cor, le spalle, il volto,
Come prima s’ avvien, si che i sentieri
Empie d* uomini, J* arme e di destrieri.
Sembra alla calda estate, quando cada
Grandine spessa e subita tempesta,
Che tronca e fiacca le mature biade,
Che né spiga né paglia intera resta ;
Ma si vede calcar l‘ afflitte strade,
Quella in polve conversa, e trita questa;
Che la pia villanella grida e piange,
E si squarcia i capelli e ’l volto frange.
LXXV
E dal fero Nifonte, io corc acceso
Di far vendetta anch’ ei di Galeallo,
Era l'afflitte stuol non meno offeso,
Ch'or de' piedi or de'deoti io nuovo assalto;
Quel sopra il volto, e qoel snpin disteso
Fa nella trista valle orrido smalto;
Ed ei dove più d’ essi scorge insieme,
Con più caldo furor la terra preme.
LXXVI
Quali come il cultor, ehe adeguar vuole,
Per le biade mundar, I' eletta parte,
Che le sue rozze genti al caldo sole
A calcarle il terreno ha io cerchio sparle:
Poi con rotondi marmi spiegar suole
In grave rivoltar la forza e l’arte,
Tal che più nullo in lei, ch'offenda il piede,
Sasso, gleba, nè sterpo esser si vede ;
entra
Così face* il destrier: che *’ almo vivo
Cogli abbattuti ancor rimane in terra,
Si trovava di poi di spirto privo
Dal secondo aspro peso, che 1' afferra ;
E benché Lancillotto appaia schivo
D' arrider gente tal, poi che gli serra
Il cammin di trovar I* Iberno altero,
Yien conlra l'uso suo spietato e faro.
txvvii»
Era il brando già Incido ricinto
Di cervella atre, e di sanguigno orrore:
Di lordissime macchie era dipinto
Dell’altro arnese il candido splendore:
1/ argentalo suo scodo pare* tinto
Nell* onde Stigie d' infermi colore:
Gli occhi già dolci, c *1 grazioso volto
lo quel d' aspe mortai pare* rivolto.
txxix
E per nuovo timor la genia molla,
Ch’ all’ invitto furor forza non ave,
Qnal era in schiera numerosa e folla
Dentro all’ onda si pone armata e grave,
E di doppio periglio insieme avvolta
Più Lancilotlo assai, che morte pavé :
E tanti in nn ai gettan dall’ arena,
Che U riviera ornai n' è intorno piena.
LXXX
Sembeao, come talor, che'l ciel» ingombra
D" affamate locuste i lieti campi,
Cha ’l villanel de’ frulli suoi le sgombra
Con alla fiamma, che ’l terreno avvampi ;
Ch’elle tra 'I foco e ’l fumo che l’adombra,
Nou trovando altra gnita che le scampi,
Del fiume più vicin eh* ivi si mostri,
Empioo «aliando in Ini gli umidi chiostri.
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31
Rè per empier del rio le placide onde
Quella squadra nemica, th'è infinita.
Può il famoso gnerrier lungo le sponde
Trovare al suo desir la via spedila :
Tal che I* ira maggior che Marte infonde,
A mischiarse con lei ratto 1* invila;
E con si gran romor s'avventa ivi entro,
('.h’ci fé', credo, tremar Piotali nel centro.
(.XXXII
Ferri Tacque spumose, e in aria alzane
Al profondo saltar del gran destriero,
E la chiarezza lor vider cangiarse
In aspetto per lui sanguigno « fero ;
Sta sotto alquanto, e poi di sopra apparse,
Come mostro maria pronto e leggiero ;
E dove scorge piu le calche strette,
Col sanguinoso brando ivi ai mette.
LXXXIll
Nè per leve fuggir, che 'I popol faccia,
Al disegoato fin secur riesce,
CV ei, senza abbandonar I' umida traccia,
Or con questi or run quei ratto sì mescei
Qual rapace dclfin, che segua io caccia
Dopo il lungo digiuno il min oc pesce,
di' or rifugge nel porto, or sotto il sasso
Dello scoglio vicin più stretto e basso.
LXXZIV
Tal rifuggendo quei, su l’altra riva
C.erran levi posar 1 ' afflitto piede:
Ma il feroce guerrier prima gli arriva.
Che* sien montali alla più asciutta sede,
E numero coiai di vita priva.
Che con grave dolor, lasso, si vede
Già I' Euro niisercllo avere il seno
Vie più di sangue assai, che d'onde pieno.
LXXXV
E dì lant’ arme colmo e di lant 1 aste,
Di lauti elmi c di scudi c di destrieri.
Che la forza impedita ornai noo baste
Per distender più il corso a' suoi aenlicri:
Le vaghe Ninfe sue nitide t caste
Lamentando fuggir gli assalti feri:
Ed ei per non veder, l’ erbosa fronte
Ascosa area sotto al Cemeoio monte.
IXXXVI
Poi eh* ha sfogato alquanto Lanciotto
Con tra il popul laggiù l‘ avoto sdegno,
Sopra T asciutta terra ricondotto
la ritrovar I* Iberno opra l' ingegno,
E dove è mcn lo staci fugato e rotto,
Scorge un gran cavaltcr, che mostra segno
Di nobillade insieme e d' alte prove,
E che 'n verso di lui correndo muove.
LXXXVU
Fecesi lieto in core, e seco spera,
Ch* esser potesse il chiesto Segursno :
Poi che gli vide iu man f insegna altera
Dei leoo brun, conosce Dmadanu,
E gli dice: Signor per quella vera
Virtù dovuta a gran guerriero umano,
Nun mi negale il dire, ove or dimora
Il vostro Srguran, ch’ogni uomo onora.
Lxmxvnt
Risponde il eavaliero iu vista acerba:
10 non ton qui, signor, per cura avrrc
Qual loco Srguran ne rende o serba,
Ma per alle spiegar le mie baodiere,
E per largo punirle, alma superba,
D' aver percosse le germane schiere,
Qual lupo al borro le smarrite gregge
Senza il cane o 'I pastor «he le corregge.
(.XXXIX
Che mentre in altra parie io slava ioleso
A drizzar di Ciodino il destro corno,
Udì lontano il nostro stoolo offeso
Da stran nuovo gnerrier di bianco adorno :
E ’l cansmin verso lai volando ho preso.
Per vendicar de' miei l’avuto scorno;
E questo è il Seguran, eli* ite cercando,
11 qual vi mostrerò con questo beando.
xc
Rispose Lanciotto : Io non rifiuto
A chi m'invila mai, noova battagliai
Ma ben di Segurano avrei volato
Più tosto che di vui, tentar la maglie :
Che da voi nullo oltraggio ho ricevalo.
Ma da I ui tal, che nnllo gli •* agguaglio:
Or s* ei vi piace pur, facciasi presto
Che 'I soverchio indugiar sarta molesto.
xct
Così detto, alta il brando e dallo scudo
L* oscuro som Irmi per terra getta,
E I forte Dinadan di quello ignudo
Pen«a di tosto far larga vendetta >
E di colpo qual può p ù acerbo e crudo
Nel lucid* elmo il fcrc, che saetta
Faville tante, che d’ardente foco
Fece intorno avvampare il vicid loco.
XCII
Ma bisogna altro colpo che mortale,
O che di Dinadan la forza passe
Per fare a Lanciloltn si gran male,
('.he por la froote alquanto se n'abbasse:
La spada indietro rimontando sale,
Quasi che 'I duro porfido toccasse :
Ma *1 figliaol del re Ban» il ripercuote.
Ove di scodo avea le spalle vote.
xeni
E’1 Uova a un pon lo in quel medesmo nodo.
Ove il braccio era all’omero cummeiso :
E 'I getta io terra io qnello istrsso mudo.
Che suul ramo dì faggio o di cipresso
Il paslor che vuoi far selvaggio rh>odo
Per la mandra dubbiosa, rhe sia presso
Del bosco folto o delle alpestri rupi.
Ove insidie maggior tendano i lupi.
XCIV
Tale il sinistro braccio si disciolte
Dal famoso gocrriero e ’n basso cade,
E tra le areoe misero s'avvolse,
E del sangue che versa empieo Ir strado :
Raddoppia il colpo Lancilotto e 'I colse
In luco onde ronvien rhe a morir vade.
Ove appunto la lesta al collo atsirdr,
E del tuo gran dcitricr la pose al piede 3
l’ a V a R C II I 1) e
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L AVÀRCHIDE
CIX
Ch'olirà nolli ha Drumen della Fontana
Con Ellero e Faran dal mondo tolto ;
Or tra la geote misera germana
È qual fero leon nel lingue avvolto;
Ch'ha la ilrada a' tuoi danni aperta e piana
Sendo ogni doce suo di vita aciollo,
Tal che 'n breviiiima ora il popot tutto.
Senza aiolo novcl Mrl distrutto.
cxn
E ae di lui tentar delio v' aitale.
Mi parria rifiutando oltraggio farne;
Por con altro gocrrier, che non meo vale.
Mollo più che con voi, vorrei provarne ;
Perdi' al nobile ipirto mai non cale
Coolr' a chi non 1' offese muover I' arme,
Com’or farò con voi, che mai nemico
Non tenni io questo c in altro tempo amico.
ex
Quando il fero Brunor I' aspre novelle
Dell'amato fratei misero ioteode.
Alzando gli occhi al ciel contri le stelle
Lo spietato parlar cruccioso stende:
Crude faci, dicendo, inique e felle
Dalle quali ogni mal fra noi discende,
E nel coi duro sen, d’ ogni virtode
Somma invidia e velcn lassù si chiude ;
ex VII
Ma il superbo Brunoro allora irato
Più di' ancor fosse mai, crudo favella :
Se voi noo sete a noi nemico stato,
A voi son io per la cagion novella
Che del caro fratei resto privato,
Il qual I* aspra fortuna empia e rubella.
Non la vostra virtù, condusse a morte.
Che più d' altro e di voi fa ardilo e forte.
est
Voi non potete far danno maggiore
Al germanico lito c al mondo tutto,
Or che per vostro oprar, l'alto valore
Nel mio buon Dinadan giace distrutto;
Ma segnane che può, che brevi I* ore
Saran della mia vita o del mio lotto;
Che qoetlo istesso di lui vendicalo,
O me seco vedrà cangisodo stato.
cxn
Poi rivolto ad Arvin, dice; Or vi piaccia
Di menarmi ov* é 'I figlio del re Oano,
Ch'ai volere e 'I dover ti satisfaccia
Per ti famoso doce e pio germano.
Cosi parlando, alla famosa traccia
Si mettono ambedue, né ‘I fanno io vano.
Che poco andar, eh' apparve Lancilotto,
Che '1 popolo uccidea fugato e rotto.
CXVIII
E con fermo voler di vendicarlo
Vengh' io, se foste beo lotto adamante ;
E se 'I mio reo destio negherà il farlo,
Murrò qual duce e cavaliero errante ;
E che mi roda il cor qual legno urlo.
Non mi fia tempre il gran germano avanle
La notte e *1 giorno, e mi rammenle eh' io
Debba per lui compir T ufficio pio.
czix
Al parlar disperato di Brunoro
Lancilotto alla fin così risponde:
Se 'I cipresso cercale, o ver I' alloro.
Né vi cal qual si sia delle due fronde,
Agevol vi sarà I’ una di loro
Meco trovar che in questa man t' asconde
Di qoei la morte, ch'oatinati vanno
Bramosi cootra lei del proprio danno.
ex III
Come il vide Brunoro, in vista faste,
Qual lupa irata, che *1 leone scorge,
Che dal nido a lei lunge i Ggli trasse,
E che cibo ne fa Urdi a* accorge.
Che quantunque a tal fera umili e lasse
Sue forze estimi, tale ardir le porge
La materoa pietade e 'I duol che stringe.
Oh' a ditperaU guerra il dente accinge.
CXIV
Tal Tirato german, ch'aperto vede
Troppo alt» al soo potere il guerrier Gallo,
Pur peotaodo al fratello al dolor cede,
E quanto può ver lui muove il cavalloi
Gridando : Il seguitar sì basse prede
In cavalir d'onore é troppo fallo j
Turni a me il volto Laocilotlo, e prove
Se chi Tagguaglie o ’l vinca si riiruove.
czv
Volgasi al soo chiamare il gran guerriero
E che ciò sia Brunor gli è tosto avviso
Al bianco scodo, in cui tra rotto e nero
Ila il sorgente leone il pel diviso;
Tolto umil poscia al tuo parlare altero.
Signor, ritpoode, se 'I mio brando ucciso
Ha del popol più vile, anco sentiti
Han Ulor de' tuoi colpi i più gradili.
cxx
Tacque il fero germao d’ ira e di doglia
Premendo il chioso core, e 'I brando scarca
In Lancilotto, il qual più che mai soglia
Sente la destra spalla esserne carca ;
Ma il sacro acciaro e T incantata spoglia
Al secoro difender non fu parca
Ed oprò si, eh’ alla percossa stanca
Nel suo primo arrivar la forza manca,
cxxi
Ma raddoppia il crudel presso al cimiero
Del lucid’ elmo io so'l medesmo lato,
Si che d’ esser si forte ebbe mestiero,
Ch’ ogn* altro oe saria rotto e fiaccato
E quel rimase por si saldo e 'ntero.
Che noo più ch'adamante cangiò stato;
Ripone il terzo colpo al proprio loco,
E sol d' ampie faville accese il foco,
cxxti
In coti gran prestezza e ’n tal forare
I colpi van, che Lancilotto a pena
Puote armar verso lui la mano c '1 core,
E ripigliar la traviala lena;
Por riveateudo alfin l'usalo ardore.
Onde gli ha il qointo etcì l'alma ripieoa.
Mena il brando ver lui con quella forza,
Ch'ogoi possa mortale abbatte e scorza :
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ARGOMENTO
J}'a Brunadasso a Palamede avvito
Che Lanci/otto tanta strage apporta ;
Quegli v accorre, e pugna e resta ucciso
Con Brunadasso ancor , clic gli era scorta,
('■lodano intanto dalla torre assiso
Mira la gente fuggitiva e morta
Da Lancilotto, e il suo figliuolo istesso
Da sfurilo estinto , e Segurano appresso.
Ti «ubilo cader di sì gran dace,
Di' era d ogai suo beo la prima speme.
Nei gwnanici cor lai tema indoce
Che per loslo fuggir )' un 1* altro preme.
Ciascun eoo ratto piè si riconduce,
Ove vedea de' suoi più gente insieme,
E di' apparia la strada più sicura,
Per gir d' A varco alle bramate mura.
il
Ma in quella arriva il fero Brunadasso,
Ch* avea seco i guerrieri, ove Elio e Lieo
S' accompagna eoo l' Istro e scende io basso
Ove il Rezio terreo più viene aprico ;
E eoo gran cura il fuggitivo passo
Di quel popol vicino e dolce amico,
D’ arrestar, cerca e tutto andava io vano,
Cli'es sena* altro ascoltar giva lontano.
ut
Né potendo altro far, rivolge il piede
Ove non Inope a lui dal destro lato
Con Ira il re Lago il nobil Palamede
In intricata guerra avea lassato ;
Quinci, c quindi spronò tanto che ‘1 vede,
E ’n parlar basso a tatti altri celalo
Disse : O gran re degli Ebridi, noi semo
Scota il vostro soccorso al punto estremo»
MotIo è Farano, Estero e*l suo D rumeno,
E '1 peggio è Dioadan poscia e Brunoro
Dal crudo Lancilotto che '1 terreno
Ila bagnato pur or del sangue loro,
E già sopra i German trionfa a pieno.
Qual sovra le giovenche, eh' han del toro
Già smarrita la guardia e del pastore,
Sfoga il lupo famelico il furore.
v
E però, se di noi punto vi cale,
Del nostro Segurano e dì Clodino,
Venite a dar riparo all'aspro male.
Ch'ai mortai nostro danno è già vicino.
Grave e noioso duol I' Ebrido assale,
L’altrui biasmando c 'I proprio suo destino,
E rimati dubbio alquanto, t' egli sproni
Yer Lancilotto e i suoi quivi abbandoni ;
vi
O se pur segua l'opra, ove ha speranza
Danneggiare il re Lago e *1 figlio Eretto,
Ma il prnsier che d'onor quel primo avanza,
Scaldò il cor nell' animoso petto,
£ di poter gli reca alla baldanza
Riportar la vittoria al (in perfetto.
Se Lancilotto spegoe ; che sol era
Degli avversari lor la luce intera.
VII
Cosi fermo in tra se, Safaro il frate.
Che non funge era a lui, chiama in disparte,
E gli dice : Or il lutto riguardale,
Che sia beu provveduto in ogni parte.
Mentre ch'io vo dove ha rotte e fugate
Le nostre genti ed ha per terra sparle
Le Germaniche insegne Lancilotto,
E con molli Brunoro a morte indotto.
Vili
Tremò tolto nel core il pio Germano,
Quando ndio del guerrier la dura impresa,
E risponde : A me par, eh* adopre in vano,
Chi se abbandona per 1' altrui difesa ;
E chi più che '1 suo stesso ama lo strano,
Carilade ha di torta fiamma accesa ;
Volete voi lassar per altrui scorno
Senza il suo proprio duce il vostro corno?
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l’ avarchide
ix
Ed or, che quali in man certa vittoria
Già desìi Ore* (li avete e di Garrno ,
Per dubbio**, danno** e vana gloria
La volete lauar Bell' altrui seno ?
Quanto lia lunga e chiara la memoria
Nel patrio nottrn e nobile terreno,
Quando saran degli Ebridi le toglie
Degli Orcadi vicin cerche di spoglie ?
XVI
Ma poi che piò s’appressa e bianco e bruno
In quadri minutissimi distinto
Scorge lo scodo io alto, sa che 1’ uno
Sia Palamede che ne viene accinta;
E di due spade, onde mai fu nessuno.
Sopra il sinistro fianco il vede cinto;
Dell* altro il cancro aurato in negra sede,
Che Brun adasso sia gli ha fatto fede.
X
Come fia più gran suon del nostro nome,
Che d’ aver risto sol di Bano il figlio ?
E d" infiniti aver le forar dome,
Che del sangue d‘ un solo esser vermiglio?
Per quelli ornate avrem I* Ebridi chiome
Dal Britannico fior, dal Franco giglio,
Abbattendo color che ’o su la cima
Tiro di valore il mondo e invitti estima;
XVI 1
In guisa di levrier resta smarrito.
Che da Innge venir damma o rervetta
Seeo stimando, per l'erboso (ito
Or si fa incontro ed or nascoso aspetta :
Che sdegna in se del sno pensier fallito.
Poi che vide eh' ei fu correndo in fretta,
Un cornuto nionton, che a quella strada
D' alcun lupo vicin dubbioso vada.
xt
Non per aver ucciso un gnerrìer solo
Di furor più ripien che di virtude.
Giovine e traportato d'alto duolo.
Che del morto compagno io lui si chiude;
Prenda il vostro desio piu altero volo;
Cerchi il vostro affannar più degna incitile ;
E la spada famosa in ogni terra
Sia posta in opra a più lodala guerra.
XVIII
Tale avviene al guerrier, da poi ch’è certo,
Clie ’l ricercato Iberno ivi non sia,
E ragiona in silo core : or veggio aperto,
Quanto ho ne’ miei desir la sorte ria ;
Che mi face il senlier sassoso ed erto,
Ch* ad altrui piano e dolce diverria.
Di ritrovar colui, die in ogni loco
Suol non meno apparir, di' all' ombra il foco.
xn
II fero Ebrìdo allor che ’atende e vede.
Che '1 timor ch'ha di lui, muove il suo dire,
Risponde irato : Or dunque a Palamede,
Che di portar due spade ha solo ardire.
Fallirà T allo cor, la mano c *1 piede
Dell’ nna e 1' altra impresa oggi fornire,
D' uccider presto e d’ esser presto poi
A distrugger qui Lago e tutti i suoi ?
XIX
E *n tai duri pensier la coppia trova,
A cui parla : Signor, le vostre insegne
Conosco io ben. che mille volte in prova
Quant' altre mai d' onor le vidi degne;
Nè con lor cercherei battaglia nuova :
Ma se le voci mie non sono indegne.
Di mostrarmi il cammin vi pregherei
Da 'nconlrar Segurao, eh* io sol vorrei.
xm
Rimanete por voi, prendendo cura
A* bisogni più gravi, ia fin eh' io rieda
Db trarre il nostro popol di paura,
Che d'un sol cavaliero è fatto preda;
Mostrando altrui, come a virtù matura
Il giovioil furor piegando ceda,
E gran fiamma che vien da piccini foco,
Al tempestoso eiel contrasto poco.
XX
Ma il ferocissimo Ebrido, che vuole
Di Lancilotlo il dì la palma avere.
Risponde alle cortesi sue parole i
Limar è mollo di qui con le sue schiere,
E troppo in basso ornai cadrebbe il sole.
Pria che ’1 poteste in ozio rivedere.
Ma prr non trapassar quest’ora in vano.
Armale in vece sua ver me la mano.
XIV
Cosi detto si parte e 'I fralel lassa
Vien di dubbio dolor di tale impresa ;
E cui suo Brunadatso olirà trapassa,
Ove il figlio di Ban fa grave offesa
Alla gente d' Avarco in guisa lassa,
Che posta ha nel fuggire ogni difesa,
Menlr'ei volgendo a questa e a quella mauo
L' odiato Segurao ricerca ia vano.
XXI
E cosi detto, il brando eh* alto avea,
Sopra la lesta searca a Lancilotlo
Si, di' ogn* altro guerriero a morte rea
Con l'infinita forza avria coudotlo ;
Ma l' intrepido cor che ‘n scn truca
L* offeso cavalier, non resta sotto
Il grave peso estinto, ma »' arrende
Qual fiamma al vento, ove il vigor riprenda.
XV
E mirando, vicin vede a lui farse
L' altera coppia che spronaodo viene ;
Ch’ al primo riguardar degna gli parse,
Che d’ esser l'un de' duoi gli accenda spene;
E di si gran desìr nell’ animo arse,
Cbe d' alquanto aspettargli non sostiene,
Ma incontra spinge il candido corsiero.
Lassando a lui vici Cren 1’ arbitrio intero.
XXII
E dice tatto irato : Io non pensai
Da sì chiaro guerrier ricever questo ;
Nè che ’1 cortese affetto, eh’ io mostrai,
A sì gran cavalier fosse molesto :
Ma il eiel chiude la vista a cui dar goal
Dispone, e gli apparecchia aspro e funesto
Fioe al viver mortai, come a voi face.
Poi che 1 torlo adoprar meco vi piace.
le
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norvit
Ma qual erodo leon, quando ai accia
Dal rouo or»o impiagar più, che con soglia,
Che sdegnoso e rabbioso ne diventa f
£ d' ira micidiale arma la voglia ;
Poi doppiato il foror, ratto s’avventa
Di morir fermo, o riportarne spoglia,
E ruggendo e fremendo fa temere
Quanti il poono ivi adire nomini e fere.
XXXVIIf
Tale il figlio onorato del re Bano
Tatto d’ira infiammalo a lai si getta,
Gridando : Tronchi il ciel la pigra mano,
Se del nostro dolor non fa vendetta ;
E percuote il guerriero, e non in vano,
Nel braccio, onde lenea la spada stretta ;
Che fe* piaga profonda, ma non tale.
Che '1 danno, che ne vien, gli aia mortale.
XXX (X
Opra ben sì, che ’l brando che non era
Come solea, di valida catena
Congiunto al braccio, la percossa fera
Scorrer fa da loutan sopra 1' arena ;
Ma quella alma onorala, invitta, altera,
Che non cura periglio o sente pena,
Impedito, qual è, l'altro riprende,
Che d' un' altra cintura al collo pende ;
n
E gii viene a cader su ’l lato manco.
Più alto alquanto, ove impedir non puole
Quella che vien più bassa sotto il fianco ;
E dell’albergo suo ratto lo srnole ;
Indi senza mostrane afflitto o slanro,
Più che mai I* avversario suo percuote ;
Ma 'I colpo, che scendea dritto alla testa.
Dallo scudo interrotto in allo resta.
E fu tale il furore, ond'egti scese,
Che non ebbe a suoi di simile assalto ;
E quanto il taglio fulminando prese,
Che fu il terzo di lui, ne cadde d'alto;
K Lancilolto a più spietate offese
Armalo ha il oobil cor di crudo smallo,
E per dar fine alla dubbiosa guerra,
Vie più stretto, che mai con lui si serra.
XUI 0
E senza altra di se cura tenere
Raddoppia i colpi, e non s' arresta mai ;
Or sopra l’ elmo, or nella spalla il fere,
Or la al braccio sentir nuovi altri guai ;
Non s'abbandona quel, quantunque intere
Non aggia il miscrel le forze ornai,
Perché I braccio ha pur frale, e *n più d un loco
Sente il sangue versarse a poco a poco.
xim
E Lanrilotln alfin di cruda punta
Gli ha drizzata la spada nella gola ;
Ch'uve gli spirti van, vibrando «punta,
Per formar tra le labbra la parola.
All' estremo confin I' anima giunta
Trista e rabbiosa in altra parte vola,
Libera in tutto del corporeo nodo,
Che a terra scorse in miserabil modo.
Tosto che *1 vide steso Lancilolto,
Del suo fero destin mosso a pietade
Seco si duol d‘ avere a tale indotto
Un dei miglior guerrier di quella elade ;
E per chiaro saver, se ’l fi I gli ha rotto
La parca ria, dall' arenose strade
Aiutato da' suoi l’ innalza e scioglie
L'elmo d' intorno e dalla fronte il toglie.
XIV
Indi, che scorge pur pallido il volto,
Le labbra essere esangui, r gli occhi attorti,
Dice quasi piangendo : O mondo stolto.
Che 'ngauni ancor quei, che più sieno accorti
Oggi é di vita parimente sciolto
Il fior dei cavalieri arditi e forti,
Come il più vii suo servo, nè gli valse
L’ alta virtù di cui aola gli calse.
xiv»
E cosi ragionando Elea richiama,
E gli dice : Or si porti al padiglione
Fra molti anco costui, che d' alta fama
Di preporsi ad ogni altro è ben ragione.
Con Brunadasso : e quel, come chi brama
D' obbedire al signor, tosto ripone
Sopra gli omcr di molti il doppio socarco.
Che '1 portar tosto al comandato varco.
XLVtl
Il chiaro Lancilolto su ’l destriero,
Che gli presenta appresso, rimontalo,
Più che fosse ancor mai gravoso e fero,
A ricercar l’iberno torna irato;
E seco si dolca dentro al pensiero
Delle palme, onde allor giva ooorato.
Dicendo : Or fia però questa mia mauo
la ogni altro crudel, che ’n Segorano ?
xLvni
E eh* uccisi aggia ornai cotanti amici,
E sì gran cavalier di sommo onore,
Ch' io bramava vedere alti e felici,
E che cari mi far quanto il mio core ?
E questo sol per tutte le pendici,
Ov’or m'avvolga il mio biliare errore,
Non possa ritrovare in alena loco.
Tal prende i ratei desir Fortuna io gioco ?
xttx
E n tale immaginare il caramin prende,
Ove foggia ciascun, verso le mura.
Or già Clodin da Bustarino intende
Dell Ebrido retlor la morte dura,
Il qual gli dice: Or sovra noi distende,
Se 1 ciel non ha di ciò piò larga cura,
Fortnna in tutto 1' ultima rntua,
Che minacciosa ornai ratta s' inchina.
L
Morto è il gran Brunadasso, e morto ancora
Ch’a gli stessi occhi mici do fede a pena.
Quel, che del vecchio Atlante c dell' aurora
Ciascuna riva del sno nome ha piena.
L'altero Palamede, che ’n brev' ora
Yid' io, lasso, disteso su I' arena
Dal crudo Lancilolto, in guisa tale,
Ch' è dal fero Icone aspro cinghiale.
3rH
L AVARCHIDE
II
Né mollo pria Brnaoro e Dinadano
Con molli altri famosi cavalieri,
Che contro al suo poter corsero in Tino,
Bagnar di sangue gli aridi sentieri ;
Tal che sol resta il nobil Segurano,
Ch' ornai non so quel che si farcia o speri,
E voi sommo signor, dal quale aspetta
Salute il vivo, e chi morì vendetta.
LVItl
A voi tlìeder le stelle oro e terreno,
E ’n dorati capei canuto senno,
E gran forza e valor, ma certo meno,
CI»' a Lancilotto e Srguran non drnno.
Or ciascun con la grazia, ond'egli è pieno,
Segua il rimmin che gli mostrò col cenno
11 cielo al suo venir; non quel eh' altrui
Apertissimo è dato, e chioso a lui.
Ut
Nè vi eoo rie n tardar che lo spietato
Della fugace turba tanti atterra,
Che n’ è colma la valle io ogni lato
Sì, che ’l volto è nascoso della terra:
E chi poote scampare, infin eh* entrato
Non sia nel cerchio, che la villa serra,
Secnro non si tiene, onde là entro
Pianto è maggior, die nei Tartareo centro.
LIX
Pria ch'ora esporvi alla dubbiosa impresa
(Se vi cal del fidato mio consiglio)
Dovreste presso aver salda difesa
Di Srgurano in sì mortai periglio,
Che sia possente scodo all'aspra offesa,
Che far vi possa del re Uann il figlio;
Che *1 valor di due tali aggiunto insieme
Può '1 furore affrenar che tulli preme.
un
Ascoltandolo attento il giovinetto,
Ch'olirà il poter umano ode novelle,
Timor, dnolo e pietà gli ingombra il petto,
E si lagna nel cor dell’ aspre stelle :
Pur per non dare a’ suoi certo sospetto,
Che le voglie d'ardire aggia rubri le,
Con voce alta risponde: Non si può le
Contrario andare alle celesti rote.
U
Gli risponde Clodin : Grazie vi rendo
Dei buon saggi ricordi e dell' amore,
Ch* esser «li ine per lunga prova intendo
Ora, e molti anui pria nel vostro core,
E tutto in grado dolcemente prendo
Il vostro ragionar; quantunque fuore
Del dritto sia, poi che ’n si larga sorte
Laucilollo di me stima pia forte.
LIV
A coi poi che ciò piace, a noi conviene
Del lor volere a sofferenza armarle,
E nel presente aver 1’ alme ripiene
D' alto e chiaro desio di vendicarle,
E rivestire il scu di certa spene,
Ch' oggi non sicn le nostre forze scarse
Piu che fossero ier, né che d' un solo
Men vaglia un tanto e si onoralo stuolo.
LXI
E vi prometto qai, che latto solo
Lui, dovunque io '1 ritrovi, assalir voglio,
In mezzo anror del suo francese») stuolo;
E qual nave, che carca orrido scoglio
Tmve, dall' aquilon sospinta a volo,
Tosto il farò tornare ; e pur mi doglio,
('.he '1 cugin suo Boorte r Lionello
Noa sarau seco, e tutto il loro ostello.
tv
Or moviara lieti adanqne a ritrovare
Quel, coi piò che virtù, fortuna aita.
E cosi detto, subito chiamare
Fa eh' a lai vegaa, dal famoso Ortrita,
Agrogcro crude l , qnel che dal mare
Di Nerkona ha la gente intorno uuila:
Al qual giunto gli dice : Or di voi fia,
Mentre io sarò lontan, la vece mia.
Mfl
Or prendete pur qui la cura intera
Di tener salala e stretta questa gente.
Cosi parlando, irato e ‘u vista altera
Hivulge e sprona il suo rorsier possente ;
Ma Trrrigauo il grande, e lunga schiera
De' maggiori e miglior, che all' alma sente
Del soo gir contro a tal temenza grave,
Pur mal grado di lai seguito l'ave.
LVt
Ch' a me forza è di gire ove gran danno
Il crudo Lancilotto ai nostri face,
Con secnro sperar, che il breve affanno
Tosto rivolgeremo io lunga pace.
L' altro, eh' é de'primier, che molto sanno
Per prora e per etade, al lor non tace,
E gli dice : Signor, lodo ogni impresa.
Pur eh' al pubblico ben venga in difesa.
LXI II
Vanno olirà ratti, c Bustarin gli scorge
Lungo il cainmin d‘ A varco, ove l‘ Oro ne
Su la mau destra il lento corto porge
Di destrier morti colmo e di peritine ;
Né mollo van, che già vieta si scorge,
Che del lor ivi andare era cagione
Il chiaro Lancilotto, in mezzo entrato
Del popolo infelice e sconsolato.
Leu
Ma come al mio gran re sommo e sovrano
Vi dirò ancor, di' egual 1’ esperienza
Non avete al gran figlio del re Bano,
Né di forza alla sua pare eccellenza ;
Che quel che nulla cosa adopra in vauo,
Giusto compatte alla mortai semenza
Le virisi rare, e mai per nulla etite
Furo in uu petto sul tolto adunate.
HIV
Quando il mira Clodin, che proprio appare
L* accorto mietitor, che '1 verde fieno
Fa nell' aprii disteso riversare
Con la falce mortai de' prati in seno;
Quel vedrà morto, e quei ferito andare
Dal brando micidial sovra ‘1 terreno.
Né i miser contrastare a morte acerba
Più che faccia al villau la spiga o l'erba ;
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ix<r
Si fa nel vallo pallido e «narrilo,
Ch’olirà ogni creder tuo le prove vede;
E già dentro al pender re» la pentito
Di i vendicare il morto Palamede ;
Ma l’onore e *1 dovere il rende ardito
Si, che pur verni lai muove anco il piede,
Ma in d cangiala forma, eh' apparì o
Più freddo in parie il caldo tuo detio.
l.x fi
Quale il {^iovioe alan, che ’l rabido orso
Scorge dagli alti colli entro alla valle.
Che *n ver lui quanto può ti «prona al corto
Per più dritto, spedito e breve calle :
Che poi che vede oprar l' artiglio e ’l morto
I Or nel rapo, or nel petto, or nelle spalle
Degli altri suoi compagni, volentieri
Prenderebbe al tornar nuovi sentieri ;
f.IVII
Ma lo stormo de* molti, e Palle grida,
E ’l voler giuvinil gli porge ardire
Tal, che più d’altro semplice s" aliìda
Senza riguardo alcun quello assalire ;
Il qual lunge trovandul d' ogni guida,
Onde possa a buon porto riuscire,
Con le gravi unghie nella tempia il fere,
E latrando lontano il fa cadere,
LXVMI
Tale al miter Ciudi no allora avvenne,
Poi eh’ al certo periglio era rondollu ;
Ma por dritto il caminin correndo tenue,
Ove i molli abbatteva Lancilotlo:
E d’ Avarco vicin tanto pervenne,
di’ alla porta e la torre era già sotto
Ove con molli il misero C loda sso
Tutto scenica, che si faceva in basso,
ini
E con amare lagrime piangea
Con quauli ivi ha con lui, per la pirtadr
I)i quei eh’ a morte gir, lassi, vedrà
Di sangue empiendo V arenose strade ;
E quasi a se medesmo non rredea,
CIP uua sola apparia tra tante spade
Voltasse in larghi giri, e 1’ altre tutte
Di forza e di valor morte e distrutte,
LUX
Ma in sino a questo punto di lontano
Non area ogni parte conosciuta.
Se noo la fuga e 'I contrastare in vano
Della turba maggior, eh' era perduta ;
Or più vicino il figlio del re Bano
All' imrgna famosa, che veduta
Tiù volte altrove avea, discente, e trema
J Per I' antica memoria, e nuova tema,
un
Or lotto, eh' apparir vede non lunge
Il pino aurato, e persa le bandiera.
Ch'aveva il suo figliuol, che ratio giunge
Sullo alle mura ornai cou larga schiera,
Tale acerbo dolor 1’ alma gli punge
Immaginando il ver, si come gli era,
Che la barba tvcglicudosi dal mento
Quasi umor di dolore c di spavento.
LXXN
Or si vuol avventar dall* alte mura
Per difender laggiù l'amato figlio;
Or ratto andar per vìa larga e sicura
Sena arme a lui salvar col suo periglio ;
Or da molli impedito a* suoi sì fura,
E vuol render di se ‘1 ferro vermigli»:
Ma poi che questo c quel d'altrui gli è tulio,
Chiama Ài figliuol con lacrimoso volto.
usui
E spingendosi avanti, quanto lice
A chi ben ritenuto e slrcllo sia,
Gridava; Or dove vai, salo infelice?
Quale spietata stella, uiroè, t' invia
Verso quei snicidial, che la felice
Già bella e numerosa prole mia
Ha si bassa condotta, che tu solo
Con quattro altri minor mi sei figliuolo i
LSII?
E eoo quei pochi ancor rendevi quel*
Questa canuta e debile vecchiezza ;
E tutto il regno mio, clic 'si te s’acqueta.
Pur attendeva un di pace e dolcezza.
Or non tentar, che morte acerba mieta
L’ ultima nostra speme e la ricchezza ;
Non voler porre in rischio il nostro bene.
Che sol di tutti in vita ne manlirue.
LXXV
Ma perchè ha fral la voce e pnr »' avvede,
di’ udirò il suo parlar noo può C lodino ;
Che tal grido e rumor 1’ orecchie Cede,
Che ’n vati 1* ascolleria, chi gli è vicino :
Questo e quei chiama intorno, in coi piu fede
Apgia per lunga prova; c basso e ’nchino
Umile il prega, non con regie note,
Ch' ogni spirto orgoglioso il duolo scuote,
itivi
E dice : Or gite insieme, amici rari,
lì dove il mio llgliuol co’ Suoi s' aduna,
E gli narrate s miei dolori amari.
A cui simil non vide sole o luna;
E se i paterni preghi ebbe mai rari.
Che non tenti oggi f invida forlnna
lontra il figlio di Ban, ma dentro vegna
A salvar la città con quella insegna.
LXZVtt
Vai» tulli quelli, ed è di loro il duce
Il suo primo scudier, detto Amillano;
Che eoo gli altri volando si conduce.
Ove trove Clodia, ma giunse in vano,
Che già corso era alla dorala luce
DeU’arme illustri, che spiendea lontano.
L'ardito Lancilotlo, eh' avea speme
Di trovar Segurau con questi susieme.
tuvm
E conosciuto alfin, eh' egli era solo
Il grande crede del famoso Avarco,
Qual aquila affamata mosse il volo
I)’ ira in un puuto, e d’ allegrezza carco ;
Che *1 figliuol riveder gli apporta duolo
Di chi 'I patire gli avea di vita scarco ;
Passi lieto al trovarlo in pace, dove
Possa di trarlo a fin porsi alle prove.
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LXflX
E min* giunge i Ini, senz’ altro dire
In mrzzo a qnanli ivm «Iona alla trita
Di colpo tal, che allor potrà finire
La vita in tutto, eh* a panar pii reità;
Ma Biuta rimi il grande, eh' al ferire
Di lui ben guarda, e che la spada ha pretta,
Con quella il gran furor, che 'n bailo scende,
Raffrenando, Clodin sicaro rende.
univi
Ma pnre il gioviti re, ch’altro non vede,
Fuor che ’l fuggire a qnel periglio scampo,
E più tosto che 'ndietrn accorre il piede,
Vuol fine aver sol destinato rampo,
Si fa innanzi spronando e nulla cede,
E fa qual lume che più ardente lampo
Mostra che pon solca, quando più scemo
Ha il nutrimento suo giunto all' estremo
LXXX
Non però Unto fa, eh* ei non ti senta
Della percossa si, che ne rimane
Stordito alquanto, ma non gia«*qnc spenta
La virtù regia, o le ine fonte rane ;
Ch* ardito più che mai, ver lui s'avventa.
Come contro al ringhiai ferito cane,
Che ne' compagni suoi ponendo speme
|l crudo offendi tur di nuovo preme.
LXXXVlI
Così fece egli ; e molti colpi in vano
Su lo sendn, su 1* omer, su la fronte
Dona al figlio onorato del re Bano,
Ma nuoce meno assai, eh’ al Prlio monte
Non fan 1* arme temprate da Vulcano,
Quando ha Giove al ferir l’ tre mrn pronte;
Che gli pon ben crollar gli arbori e i sassi,
Ma il suo rìgido dorso immoto stani.
Lmt
E eon qnanto ha rigor preiio al eimiero
Non aspettala allor gli pnn la «peda ;
Bmtarin, Terrigano e ’1 forte Nero
Fan seco a pruova chi più innanzi vada ;
Quel nell'omero destro un colpo fero
Gli diè da lato, mentre ad altro bada,
Il serondo nel rollo, « ’l Ner perduto
D a una punta nel petto 1* Ita lenito.
LXXXV 01
Rompe alquanto lo scudo, alquanto scorza
Della mrn dura maglia e del cimiero :
Gravagli il capo e lentamente sforza
Il braccio in basso, che più giva altero;
Ma Lancilntto atfìn, con quella forza
Ch' uvea più intensa e più spietato e fero
Che finse forse ancor, verso esso sprona,
E ’n cotale aspro dir seco ragiona :
unni
Lirico altro staol di cavalieri è mosso,
Che del suo giovin re la guardia area,
E con ogni polir va tatto addosso
Al prode Lanrilotlo, e tal farea
Ch' ogni altro ne saria di lena scosso.
Ma quella anima invitta la virtude
Fa io più doppi maggior, che dentro chiude*
LXXIIX
Non pnò, spietato re, da me scamparle,
Se non l'alto Fattor, che lotto punte;
Chiama invan pure il bellicoso Marte,
Ch'fiai tanto in pregio e le sue quinte rote:
Che ti ennvien volare in quella parte.
Ove udirai le dolorose note
Di più d' un tuo fratei, cui la mia spada
Sospinse acerbo alla Tartarea rir.tda. J
LXXXIlt
E quale avvien, se ad espugnar le mura
Al nemico eaitel, di orribil polve
Di nitro e zolfo un* ampia fossa oscura
Ben chiusa intorno il saggio dnee involvc,
Poi di in preda a Vulcan, ch'ultra misura
Sforzando ogni ritegno, apre e dissolve
11 monte altero e ’n paventoso tonno
Getta i sassi lontan che in esso sono i
xc
Così parlando anror vibra una punta
Con tutto il suo valor rontra lo snido.
La qual con quel furor per esso spunta,
Come un* altra faria, chi foue nudo :
Squarcia anco 1' arme e tra le roste giunta
Corre in mezzo del Core, e '1 colpo crudo
Ivi non resta, ma dall* altro lato
Per k> spinoso dorso ha trapassato.
LXXXtV
Tale il fero goerrier, ch’oppresso e stretto
Da tanti e lai nemici si ritrova.
D'ire infiammando l'animoso petto.
Con T istesso furor par che si muova ;
Gira il forte corsiero e ’n se ristretto
Spiega le braccia alla incredibil pruova,
E del sinistro f empio Terrigano
Con un r over so sol distese al piano.
XCI
Ftiggesi Palina afflitta e disdegnosa
Di partir indi alla stagione acerba;
Cada il gran busto e duramente posa
Riversato tra' suoi sovra arida erba r
Né lungo tempo al vecchio padre ascosa
Del figtiuol T aspra fin, lassa, si serba :
Ch' ei con l’occhio medesimi sceme il tutto,
Nunzio non mentito* del proprio lutto.
LXXXV
Col collo di Nifonte Bustarino
Insieme col cavai posto ha per terra;
Indi il Nero Perduto, che vietilo
Più 1* impedisce ancor, con molti atterra;
Poi con più rabbia al misero Clodino,
Che soletto riman, si muove a guerra ;
Nè mai restò con lupo a tal flagrilo
Da cani e da paslor lassato agnello. - —
xcit
Ma in «|uello istesso ponto che ’l destriero
Lasciò, morendo, il misero figliuolo,
Esso i sensi smarriti, su ’1 sentiero,
No '1 sostenendo alcun, cadde di duolo:
Ma il chiaro vincitore ardilo e fero
Conira quei, eh' ivi sono, addrizza il volo :
K '1 primier fu il superbo Bustarino,
Che risorto il cavallo è il più vicino.
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XCIII
E dove pria donar pensava aita.
Or del suo gioviti re s’arma a vendetta,
E baldanzoso sprona e gli altri invita,
Nè però alcun di lor tardando aspetta:
Arriva, ove la man forte ed ardita
Tenea contro al suo gir la spada stretta:
Ma per esser colui più grande assai,
No '1 può sopra la spalla aggiunger mai.
xciv
E quello alteramente sovra lui
11 può sempre ferir dritto alla lesta,
Nella qual raddoppiando i colpi sui
Or quinci or quindi di ferir non resta :
Ma il Franco invitto, di' ha virlude in cui
Nulla forza mortai verna molesta.
Basso c ristretto in se tutto sostiene
Tanto ch'ai suo disegno alfin perviene.
xcv
Che aliar che’l grave brando in basso srende
Per impiagarlo ancora, alza lo scudo
E dall’aspra percossa si difende:
Poi gli addrizza di punta un colpo crudo,
E sotto il destro braccio proprio il prende,
Ove il loco di piastra è sempre ignudo.
Solo armato di maglia : che nini resse.
Che tela al grandinar, ch’Aragne tesse.
xcvi
Che trapassa entro al cavo di quell' osso,
Ove all* omero il braccio si rnnpiungc,
E seguendo il cammin, di' ha in alto musso,
In bn nel collo per la spalla aggiunge.
Ma no ’l vedendo amor di vita scosso,
Tragge indi il brando c nuovamente punge
Nelle roste più basse al lato mauro;
Che fan 1' arco minor vicino al Ganco :
xcvil
E squarciò 1" intestili, die primo arrogile
Quel ch'avanza a nodrir la vita umana;
Così dal suo gran vel 1' anima scioglie,
Che di crudele orgoglio era sovrana.
Ma già vien Trrrigan, che delle spoglie
Di Lancillotto ha in se speranza vana,
Pensando : Cosi stanco è quegli ornai,
Che sarà il mio valur piu saldo assai.
XCTIll
Coiai dicendo in se, ver Ini s'avventa
Quasi intricata anror cou Bustarino,
E con la spada d'improvviso il tenta,
Ove il collo alla testa è più vicino ;
Ma d' impiagarlo indarno $’ argomenta,
Che *1 ferro al suo poter fu troppo Gno ;
Allor di sdegno pien 1* alto guerriero
Verso, ove il colpo vien, torna il destriero.
xcix
E gridando altamente: O disleale,
Non ti sieno anco d’ utile i tuoi inganni,
Nè schivar ti polran l'ora fatale,
Che ’n sn 'I b»r bel fiorir ti tronchi gli anni;
E ‘n questa viene il colpo micidiale,
Ch’ alla perpetua notte gli condanni
L’ umana luce : che traverso il prende.
Ove il collo più basto al petto scende :
e
E il troncò tatto, e la feroce lesta
Assai d* ivi lontana andò per terra.
Di papavero in guisa, a coi molesta
La verga fosse che per gioco serra
La fanciullesca man: che sciolto resta
Dal suo sostegno e pallido s* atterra
Intra l'erba più vii, ma ch'ai suo piede
Avea presa di lui più ferma fede.
ci
Cadde appresso il gran boslo, e fe’ la valle
Risonare, e tremar d* allo romore.
Quando 1' arena dell’ armate spalle
Oppressa fu dal subito furore.
Or gli altri cavalier cercano il ralle
Per trarsi ornai di tal periglio fuorc.
Nè si trova di tutti alma secora
Fin che non sia d' Avarco entro alle mura (
cu
Ma il Ner Perdalo, che sovra il destriero
Rimontato più lardo si ritrova.
L'ultimo fu di lor rhe ’l braccio fero
Del crudo Lanciiolto, miser, prova ;
Drizzagli irato un colpo su 'I cimiero
Cui Gnissimo acriar niente giova ;
Che eoi capo in due parli sa le spalle
Fu orrendo incarco all'arenosa valle.
cui
Fa il chiaro vinritor, che sia portato
Il gran regio Ggliuol, questo, e qnei dui.
Ove morto di lor rimanga ornato
Chi più d' ogni altro vivo è caro a lui.
Or già di duci tali il duro stato,
E di molti altri amici e copio sai
Pervennlo alle orecchie era lontano
Per più d' un nunzio certo a Segurano:
civ
E fu in fra molti il giovin Polibone
Mandato ultimo a lui dal re Vagorre,
Poi che Clodasso alla reale magiooe
Condotto avea dalla famosa torre ;
II qual pungendo con più aguto sprone
Che possa il suo cavai cercando corre
Del grande Iberno, e 1’ ha trovato in breve,
Cli* avea col re TrUtan battaglia greve.
cv
La quale appunto allor condotta a tale
Per l'ima e l’altra parte si vedea.
Clic poro polca gir, eh’ era mortale
Per chi più avversa la forlooa avea ;
Però rlie la virtù fu lauto eguale
Ch' a*sai poco il vantaggio si scernea ;
Pur di Meliadusse il franco erede
Vie più jiroulu c leggi cr la lor si vede.
evi
Rompe allor Polihon I’ aspra battaglia,
Gridando; O re d’ Ibernia, e* vi conviene
Altrove arme squarciare, e romper maglia.
Ove morti i miglior son gli altri su pene;
E se del vostro onor punto vi caglia,
E di chi scettro iu man d' A varco tiene.
Venite a dar soccorso a quelle mura,
III cui por Claudiana è mal sicura.
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l’ avarchide
CfH
Morto « 'I buon Dinadan, morto è Ilrunoro
Palamede il gran dace, e Bustarino ;
Ma quel, eh* aggrava più, morto è fra loro
Il vostro caro e misero Clodino ;
£ '1 gran suocero vostro il suo tesoro
Vide condotto all' ultimo confino.
Che sopra all' alta torre scene il lotto,
Chiamando sempre voi con pianto e lutto.
«mie
Ma rinfiammalo Iberno alfin condotto
Alle sponde vicin della riviera.
Come scorge da lungc Lancìlotlo,
Gli dice in voce minacciosa e fera :
Pria die ’l giorno, ch'or Iure, asconda sotto
L* occaso il volto e si converta in sera,
Tremante il petto, c lagrimoso il viso
Ti pentirai d‘ aver Clodino ucciso.
eviti
Gridando: Ov' or si trova ogni mia speme
11 gran geoero mio ? perchè non viene
A soccorrer «|ael resto del mio seme,
Che la fortuna anror vivo ritiene ?
£ ’n questa srorge chi T assalta e preme.
Poi che gli ha tratto il sangue di piu vene«
Ferirlo in messo il cor con 1’ empia spada,
£ riversar sena’ alma su la strada.
cxv
Nè li varrà Pavere arme incantate
Vano e folle gnerrier della nutrice;
Nè mille più di lei sagaci fate
Ti porriano scampar l’ora iufelice,
E triste oggi per te saranno stale
L* alte vittorie, onde ti fai felice ;
Che i tuoi chiari trofei, le ricche spoglie
Spiegherai di Plutoa nell'aire soglie.
C1X
Al coi erodo cader cadde egli ancora
Sopre le nostre braccia afflitto e smorto;
E '1 re Vagorre mi comanda allora,
Cir io vi cercassi per cammiu piti corto,
E narrassi il gran danno ove dimora
La misera città, senza ronforlo.
Senza sostegno ornai d’ alcun de’ soni,
Senza speranza aver se non in voi ;
czvt
AH' aspro minacciar subito volto
Il gran figlio di Bau, tosto che sceme
Ch* egli è pur Seguran, che 'ntorno accolto
Più d'ano avea delle sue schiere (berne;
Col cor ben lieto, e con allegro volto
Rende alte grazie alle virtù superne;
Tra gli arcion ti conferma, e sovra il petto
Lo scudo addrizza, e meglio il brando ha stretto 5
ex
Che '1 erodo Lancìlotlo in tale orgoglio,
In tal rabbia e furore oggi è salilo,
Che di romper di Scilla il duro scoglio
Col brandii, eh* ei soslien sarebbe ardito ;
Pìen di spavento in somma e di cordoglio
Tutto il campo in Avarco è rifuggilo;
Sol questa parte di tinnir si sgombra.
Che del vostro valor combatte all' ombra.
cxvtt
Indi come leon, che dal digiuno
Lungamente già oppresso, ha il di cercato
Per boschi e valli, nè d' armento alcuno,
Nè di cerva, o di damma orma ha trovato;
Che quando ha meno speme all' aer brano
Se gli mostra un gran tauro al verde prato,
Ch' a lui s’ avventa, qual tacita soglia,
Sbramando ingordo l'affamata voglia;
CXI
Mentre il feroce Iberno le parole
Del tristo messaggier tacendo ascolta,
Non fu di si grand' ira al caldo sole
Offesa dal villan mai serpe avvolta,
Com' egli allora, ed or nel cor si duole
Del suo Clodino, or della gloria tolta.
Che mal può rirovrar, poi che Ini vivo
Sia d* un Unto figliuol Clodasao privo.
Cavili
Cosi verso il corrente Segaraoo
Il brumoso gnerrier muove il destriero.
L' uuo e l'altro di lor 1’ arerba mano
Alza all' istesso punto ardito e fero;
Ma T onorato figlio del re Bano
A ferir 1' avversario fu il primiero ;
E T oscuro dragOn, che in oro siede,
Sovra il possente scudo altero Cede.
cxu
Nè sa con quai conforti possa ornai
Raffrenare il dolor della consorte.
Ne con la vecchia Albina scusar inai
La lonUuanza sua da quella morte;
Vergogna il punge, e gli raccresce guai
Puugcule invidia in pio gravosa sorte;
Che ‘1 gioviti Laucilotto ornalo vede
Di tante illustri c si famose prede.
CXJX
E quantunque d'arciar la sesta scorza,
E finissima e grossa il ricìugesse.
Del sacro brando all' influita forza
Nuo come contra gli altri integro resse ;
Che '1 parte fimo al mezzo, e tanto sforza,
Che la sinistra spalla aurora oppresse
E fé’ in basso piegasse il grande Iberno,
Qual 1' abete Aquilone al maggior verno.
CXJII
E da' tristi pensier di. trailo il core,
Ove il pensa trovar ratto s' invia, il
E *n un momento uscio di vista fuore
Del buon Trislan, che presso il brameria ;
Pur lui perdendo, sfoga il suo furore
Sorr' altra gente, e spinge a morte ria
Tanti cjuel di, che si porrian f un lare
Non piu che 1’ onde dell' Icario mare.
CSX
Ma non senza vendetta, eh* esso irato,
Con la spada, eli' ei tolse a Galealto,
Tosto percosse lui nel proprio lato
Colai, ch'ebbe acerbissimo 1' assalto.
L' argentalo suo scodo, fabbricato
D' immorlal tempra di porfireo smalto,
Por cou tutto il valor al darò peso
Col sao nuovo signor fa molto offeso.
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Qui dell'uno e dell’altro in guisa accresce,
Lo ipir tato delio di vendicarle,
Che eoo manco furor •' avvolge e meire
La fiamma in Mongibel, qoanto piò arie ;
Ma pui che ’l ferir primo in van rieiee,
Per tosto vincitore a* tuoi mostrane.
L'un e l'altro di lor lana da parte
Del mani al lavor la norma c l'arte,
CUM
E arnia aver riguardo al «no vantaggio
Come l'ira amministra, i colpi vanno
Pin spelli assai, eh' al tempestoso maggio
Grandine, eh' alle spighe apporti danno;
Nè coti ratto in giro il solar raggio
Muove specchio, eh' é mosso, come fanno
Le spade lor, che sembrano al sereno
Notturno estivo ciel, lampo e baleno.
CXXMI
li popol, eh' a vedere è intorno accolto
Dall'ima e l'altra parte, e stassi in pace.
Col cor tremante e con dubbioso volto
Or spera, or teme quel che più gli spiare.
In se parlando: Or n' è concesso, o tolto
II fin bramalo e la tranquilla pace;
Perchè in man di costoro è posto solo
11 ben perpetuo, o *1 nostro eterno duolo.
cxsiv
E levando le ciglia in preghi e ’n voti
Ciasrno quel che desia, domanda al cielo;
Questi con umil cor efaiamaa devoti
Chi del ver prima aeroso squarciò il velo.
Quelli i fallaci Dei più bassi e noti,
Giove, Marte e *1 pastur che nacque in Dclo,
Che al suo donin vittoria, per mercede
Dell' avuta di lor credenza e fede.
cxxv
lif questo tempo i nobili guerrieri
Sono «offesi fra lor di danno eguale ;
Van dì pari al ferirsi arditi e feri,
E di pari han partito il bene r *1 male;
Son raduti per terra ambe i rimicri
E P incantato ferro a pena vale
Degli elmi a mantener salva la lesta
Dalla forza crude!, che gli molesta.
enn
E senza piaga aver riman sovente
L' uno e I' altro di lor quasi stordito :
Ma ìl core invitto, e 1* animo possente
Mantiene al corpo il suo vigor si unito.
Che qual gravalo più talor si sente,
Per vergogna eh' ei n’ha, più torna ardito,
E lai la mano sprona al vendicane
Cbe non gli toruan mai le forze scarse. •
cu. vii
Qual nell* ampio Ocean, quando 1' offende
Il nevoso Aquilon con greve assalto,
Ch’ ove più l'onda spinta in basso scende,
Più in minaccioso suon risorge in allo,
E 'I turbato suo corso innanzi stende.
Variando il cammin di salto in salto.
Si eh’ ora eccelso monte, oca umil valle
Si lassa indietro alle spumose spalle;
curati
Tale avvien di costar : or qnello appare
Quasi esser vincitore, e pui «i vede
Questo con tal valor sopra tornare.
Clic di lui sol la palma esser si crede ;
Ma l'orgoglioso Iberno, ch'aver pare
Si sdegna al mondo, e che si tiene erede
Di quanta gloria mai gli antichi suoi
Ebbero al moudo e tutti gli altri eroi;
esili
E ch'ornai trarre a fin vuoi qnesta guerra
E eh' ha vergogoa in se, che tanto dura ;
Irato ad ambe man la spada serra
Per isforzar se stesso c la natura :
Drizzala in fronte, ina vaneggia ed erra.
Che *1 saggio Lancilolto, eh' ba pur cura
Di quanto avvenir punte, alza lo scudo,
Che non vegna su 1* elmo il colpo crudo.
rxxx
m E bene ad uopo fu, che in colli guisa
Rovinò in basso l' orrida tempesta.
Ch'ogni pietra durissima divisa,
Non por di Lancilolto avria la lesta ;
Ma l’ incantala guardia non incisa.
Né pur segnala di quel colpo resta ;
Fu ben colai, che in un la mano c *1 braccio
Nè sentir lungamente amaro impaccio.
CXXXI
Or non fu visto mai salva lico «rio
Sovra I* Alpi avventarse con lant' ira
Verso il fero mastio che 1' avea morso,
E di lui paventando il piè ritira;
Che ruggendo e gemendo il lardo corso
Muove infiammato, e tutto rabbia spira.
In fin che ritornalo a nuova guerra
Con 1' artiglio mortai lo stese a terra ;
carni
Come in qnel ponto fece Lancilolto,
Spiugendu il suo dcslricr nel percussore,
E di punta ìl ferio, che scorse sullo
Lo scodo al petto, che si mostra fu ore ;
Trapassò il brando addentro, ma condotto
Non s'è tanl' olirà, che trovasse il core ;
('.he nella quarta costa in basso il prese.
Né dritto gio, ma in allo si distese.
(XXXIII
S- empion 1' arme di sangue, e non ne cale
AU’ animoso Iberno, che già il sente,
E con più ardore il gran nemico assale ;
Ma intanto il negro tlon, che men possente
Fu di Nifoote, a contrastar non vale
Al furioso urlar, che alteramente
D* improvviso gli vien del destro lato
Sì che sopra il sinistro è riversalo.
cuuf
E sopra il suo signor tutto si trova,
Il qnal più presto assai, che leve augello
Da lui ss scioglie, ed a novella prora
Si rappresenta minaccioso e fello ;
Ma il nobil Lancilolto, a cui non giova
Vantaggio alcuno aver, veloce e snello
Salta giù del destriero, e *n larghi passi
Onde vien 1' avversario, innanzi (assi,
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. CX*XY
• Dicendo : Or non prosit» altero durr,
Che l'amor ch'ho portalo al chiaro amico,
E 1 desio di vendetta, che m'induce
A chiamar Segnrano aspro nemico,
Mi faccia oppi oscurar la pura luce
Di virtù vera, e del valore antico ;
O ricercar di vni bramata morte
Per altre, che d'onor lodale scorie.
CXtlI
E’I potrà ben finir, ma torta viene
La spada, e sovra P omero discende,
E 'rn piaga sì, che a pena più aoslirne
Lo scudo ornai, che da quel lato pende ;
Perch' avea i nervi incisi, e P altre vene.
Onde il bracrio sinistro il vigor prende :
Spinge una pania poi, che dritta giunge,
Ove piò il collo al petto sì congiunge.
cxtxvr
Risponde Segnran : Nulla mi curo
Di qual per danuo mio prendiate strada;
Che del mondo c di voi vivo seenni.
Mentre in man sostener potrò la spada :
; Or si dia (ine all* opra, anzi che oscuro
Lassa n< lo il nostro mondo altrove vada
Il sol cadente, che m‘ avanzi aneora
D‘ espugnare il vostr' oste larga ora.
cxizn
Ma non venne tanl'alta, clic ritrove
Il cavo in cui mortale il colpo fora.
Or dalle prime piaghe, e queste nuove
Tai tenguinose stille meivan Inora,
CIP a pena il piede, a pena il braccio muove
L' afflitto Iberno, e pur si vede aneora
Lo spirto invitto ardito dimostrane,
E quanto oppresso è piò, più alter» farse.
cxxxvit
Cn colai ragionare un colpo dona.
Che gli venne a trovar la destra spalla,
E quella in guisa, e lotto l'altro intuona,
Che in basso rovinar di poco falla ;
Par reggendo alta e 'nlepra la persona
Con un ginocchio sol piegando avvalla
Il dritto piè, ma tosto nc risorge,
1 E '1 brando alla vendetta altero porge. >
CXtAY
E qual veggiam la vincitrice palma,
The 'n famoso edificio posta in opra
Quanto sente aggravar maggior la salma,
Più d' in alto montar te forze adopra,
Cotal di Seguran la nobil alma
In quantunque fortuna, a tutte sopra
Mai sempre si mantien, nè prende cura
Della vita mortai, che poco dura.
cxxxvut
E sopra il destro bracrio per traverso,
C,he più scoperto aveva, irato il fere;
Taglia olire tanto, che di sangue asperso
Quant'ivi ha fino acciar fece cadere.
Non si sgomenta il fero, e cangia verso,
Poi che sente fra se, che sostenere
Può il grave brando ancor, che nervo. od osso
Impiagalo noi* ora, o d* indi scosso.
rir
Ma il buon figlio di Ban, che vede ornai
Giacer nelle sue man di lui la morte,
Spoglia l'ira crudel degli altrui guai,
E pietoso divien della sua sorte,
E dice : Alto mio re, se foste mai
Per tempo alcun da più cortesi scorte
Guidato a far mercede a giusti preghi.
Quel, eh' io domanderò, non mi si nieghi.
CXXXIX
Ma qual crudo Iroo, che '1 cacciatore
O di strale, o di dardo aggia ferito ;
(die srerneado il vermigli» atro colore
Vie più, che non solca, diviene ardito;
Drizza l' irsuto vello, e mostra fuore
L* artiglio « '1 dente e con la coda il lito
Battendo intorno a se, di salto ìu salto
S addrizza irato al micidiale assalto ;
cxi.vl
Piacciavi oggi trovar 1' albergo mio
Del quale, e poi di me vi fo signore;
Ivi al re Galealto amile e pio
Domandar sol la pace, e fargli onore ;
E vi prometto qui, se son degp' io
D' esser da voi creduto, che ’n brevi ore
Vi renderò in Ayireo , e non vogliate.
Ch'io spenga sì gran lume a questa elale.
CXL
Tale il gran Seguran ratto a’ avventa
Verso il nemico suo pien di dispetto,
E con mille percosse in giro teuU,
E la fronte e le braccia e '1 ventre e ’l petto.
Tal che ’l popol Britanno si spaventa,
Che di vederlo ucciso avea sospetto ;
Ma 1‘ accorto guerrìer senza paura
Di difendersi sol prendeva cura.
CXI.VII
Che potete veder, eh’ ornai m* è dato
Sovra voi questo dt certa vittoria,
La qual non mia virtù, ma vostro fato
Slimerò sempre, e di noi par la gloria ;
Ma lassar senza onore in (ale stato
Nun potrei fuor di bissino la memoria
D* un re sì grande, e si leale amico,
Ch’ ogni esempio avanzò moderno e antico.
czls
E col divino scodo or alto, or basso,
Ogoi colpo, che vien, Irnea lontano ;
Né cangiando orma, o ritirando il passo
Solo in guardia ponea Panne e la mano;
Fin che 1 feroce Iberno frale e lasso
Oroai conosce il faticar suo vano;
AJIor più verso lui movendo il piede
Con quanto avea potare io fronte il firdc.
CZLVtlI
Risponde il cavalier tulio sdegnato,
E piii che altrove mai, con alto core:
Tu dunque ardisti, folle e scellerato,
Di Seguran tentar l’ invitto onore ?
Usa la sorte tua, eh' al duro stato
Yogl' io più presto d' internai dolore
Per mille morti, e mille esser condotto.
Che questa vita aver da Lancilollo.
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cu.dk
Coti parlando, col vigor che retta,
Che pur poco era ornai, torna a battaglia,
E quinci e quindi quanto può moietta
Del franco cavaliere» or piatirà or maglia;
Drizzagli al line il brando tn la letta
Tal, che la viata quati gli abbarbaglia ;
Onde il figlio di Ban motto a pinti’ ira
Per dar line alla guerra nn colpo tira;
et
E drittamente il colte ove la gola
Agli spiriti el cibo ha doppia strada;
L‘ una e 1* altra squarciando, innanzi vola
Tinta d’atro color l’apnta spada.
Col sangue mista rapida t'invola
L’alma, cui vero onor, non altro aggrada;
Cadde il gran butto, e l' arenosa valle
Empio» «T alto rumor 1* armale spalle.
cu
Il chiaro viocitor tosto 1’ accoglie,
Punto il cor di dolcissima pirlale ;
E con sembiante nman dell' elmo scioglie
Le luci £ià di tenebre adombrale:
Lo scudo e 1 chiaro brando iodi gli toglie,
Aprendogli le man, che ancor serrale *
Coti morto lenea, come anco schivo
Di si onorate spoglie ivi esser privo.
cui ,
Tatto il popolo Iberno, e I’ altro insieme.
Che quivi era virin, fogge in Avarco,
Qual gregge, a cui leon col morso preme
Il pio pastore, e *1 can di morte è ai varco;
Ma il Britannico sluol di certa speme,
E di estrema dolcezza il petto carco,
Corre a veder, nè che sia crede aucora
Dallo spieUlo cor 1' anima fuori ;
cult
Nè s'ardisce appressar, ma di lontano
Il fero volto tuo, che Marte spira,
Il forte petto, e la possente mano,
Ch’ei teme ancor, con maraviglia mira;
Ma dopo alquanto il figlio del re Bino
Dal sovrastante vulgo indietro il tira,
E ricoperto poi d' aurati fregi
Il fa seco portar fra gli altri regi.
CU V
E condotto all'albergo il fa purgare
T)' ogni marchia, eli* avea di sangue, o polve.
Con tepide acque, e dentro dispogliare
Di che più tosto in putrido si solve ;
Poi sotto a Galealto il fa locare.
Ma pria di tela serica V involve ;
Fa il medesmo degli altri, e di Clndino,
Gli’ al forte Seguran fa il più vicino.
CANTO XXIV
ARGOMENTO
•»**■*«*•
Ogni Britanno esalta il vincitore.
Che sempre mesto, è ulftn dal sonno preso ;
E tiulealto presso al nuovo albóre
fili appar , e dice ch‘ è dal del disceso.
Desto, alla salma ogni dovuto onore
Con regia pompa , e molto pianto è resot
Quindi ne' giochi funerali ai prodi
Porgami i doni e le merlate lodi.
*&<*** I*
I\Iorto il gran Segurano, e rifuggito
Tutto l'oste avversario dentro Avarrn,
Lassa il Britanno siimi già d' Euro il li lo,
L ’n verso i padiglioa sii gioia carco
Volge il piè vincitore, e del gradito
Lanciotto lodar nessuno è parco.
Dicendo : Ei tanto più d' ogni altro vale.
Che non si dee stimar cosa mortale.
il
E ben si può biasmar l’aspro consiglio
Dello sdegnosa Arturo e di Gavcno,
Che n* avea tutti posti a gran periglio,
E la parte miglior di morte in seno.
In tai parole il popolar bisbiglio
Correa d' intorno di licenza pieno ;
Gli altri daci maggior taciti vanno,
E l’ invidia di lai celando vanno,
in
Onde latti «in colmi, fuor ebe solo
Il generoso cor del pio Tristano,
Che non teme poter di pari il volo
Stender nn di, che poco avea looUoo ;
Or poi ehe le sacr'anne e ’n parte il duolo
S' ha dispogliato il figlio del re Baoo,
Con fresche onde alle mani, al collo, al volto.
L'altrui sangue e *1 sudor s’aveva tolto.
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L AVARO II IDE
IV
E cangialo il vestir, ma bruno ancorj,
Il qual sempre portar dispose poi,
S* invia tulio soletto, ove dimora
Il re scoia volere alcun de* suoi ;
Come il arnie appressar, portasse foora
Fa il grande Arluro da famosi eroi
Sovra un aurato seggio e ’n su le soglie
Qual figlio dilettissimo I* accoglie,
v
Dicendo : Or chi potrà *1 valore invilito
A pini lodar del chiaro Lancilolln,
Che ‘1 nostro slato misero ed alllilto
Al sommo del suo ben solo ha ridotto ?
E di chi fea tremar I' lodia e 1' Egitto
Oggi ha di vita il fil troncalo c rotto,
(iua tanti altri Camusi duci e regi.
Clic d* ouore ammortai merita fregi?
vi
Ma poi Hi* altro non posso, per mercede
Vi dono io *1 nostro scettro e lutto il regno ,
E d' esser meco d' ogni cosa erede,
Qual unico figliuol, vi appello degno.
Ma il cortese guerrier chinato al piede,
E di somma umiltà mostrando segno.
Dopo il baciar la man, che no 'I volea,
Con riverente amor così direa :
VII
Invittissimo re, non la viriate,
Non 1’ ardire o ‘1 valor che in me ti chiuda,
llan portati» altrui danno, a noi salute.
Ma la voglia del ciel semplice e linda.
Alla qual sol le grazie son dovete ;
Però die indarno s* affatica c suda
L* oprar nostro mortai, che s* alsa o cade
Sccuudo il suo parer per dubbie strade.
vili
Ma poi che per mia mio questo consente,
E che darmene pregio a voi pur piace ;
Ne voglio no sol, se la cortese mente
Olirà ogni merto mio degno mi face :
Che per sua regia man sacra e possente
Di vittorie, di fe', che io essa giace.
Mi sia sproue allaccialo, brando cinto.
In memoria di quei die a morte ho spinto,
ix
Le corone, il terren, le gemme c V oro,
L’alle cose maggiori al moudo care
Serbate a gran perigli per coloro,
Che n’ aggiau piu di noi le voglie avare;
Ch a me sol basta il marxial lavoro
Allumar di virtù eoo 1* opre chiare,
E ’mpiegar le mie forze e questa vita,
Agli oppressi e i miglior porgeodu aita.
x
. Cosi parlando ancor, I* invitto Arturo
Con le braccia il sollicva e tiriilu stretto,
Poi lagrima ndo dice: Animo puro
Per esempio dd ciel fra* nostri eletto,
Ogni ben chiaro ouor verrebbe oscuro
Del vostro alto splendor scudo al cospetto ;
Ma per far la mia man, uou voi piu degno
Della cavalleria vi darò il segno.
si
Poi chiamando Agraven sommo scudiero,
Gli comanda portar la spada istessa.
Che dal gran padre suo famoso Utero
Per la propria ragion gli fu ronccssa ;
Ch’ ha d' or I* albergo, e sì lucente e altero
Di gemme lutto appar, che a chi s* appressa
La vista abbaglia intorno, come suole
Quando è nel di seren più chiaro il sole.
XII
Nè men di lei la serica rinlnra
Di preziose pietre splende e d'oro;
Che sembra, ove l’ aprii con maggior cura
Tesse d'erbe e di fior più bel lavoro,
O ’l ciel qoaodo più appar la notte pura,
Ch’ aggi a di stelle in sen ricco tesoro :
Ond’ ri fu pria di Vortimero crede,
Venula a lui tra le sassooie prede.
XIII
E con quella gli spron, ch'ebbe allor anco,
Ch* alla guisa medesma erano ornali ;
Le stelle, ch’ai deslricr pungono il fianco,
Son d' agoli adamanti assai pregiali.
Ma in questo mezzo il bel drappello stanco
De* duci al lungo giorno affaticali
Dopo alquanto riposo, al proprio ponto
Desialo dal re quivi era giunto:
XIV
Al cospetto de* qual lieto rivolto
Al chiaro Lanrilollo, gli ragiona :
Qualunque duce o re mai foste accollo
A si gran dignità eh* a voi si dona,
Giurar si face, che ’l pio core avvolto
Avria di quel desio eh' al cielo sprooa,
Confidando il lui sol, che 'I guado mostra
Del torrente mortai dell’ età nostra :
IV
Nè che mai giusta aita negheria
A ehi fosse con forza offeso a torto ;
E eh' a donne e donzelle onesta e pia
Saria difesa e oel dolor conforto ;
Nè che battaglia mai refiuleria,
Fin die sia dal destiu battuto e morto,
E più che della vita, cura avere
Delia promessa fede mantenere t
XVI
Nè mentir mai di sè con torta Inde,
Nè del biasimo altrui rendersi adorno ;
Scoprire al suo signor 1‘ ascosa frode.
Che gli potesse far dannaggio e scorno ;
Esser sol per virtnde ardilo e prode,
Non per turbare il placido soggiorno
Del a gente migliar, che in dolce pace
(, u u la famiglia sua sccura giace,
«ni
Ed altre cose assai; ma perchè intendo,
Che mai sempre per voi viveste tale.
Sol di farvi giurar la cura prendo,
Che siate ogn' ora a voi medesmo eguale;
Fui vi prego, siguor, s’ io non v‘ offendo,
O K de' miei desir punto vi cale.
Che vi piaccia abbracciar Gaveno ornai
Cam quel candido amor eh’ aveste mai.
5*7
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L’ A V A R G II I D E ^4^
um
Or poi che delia tele e del digiuno
Il naturai detio rimane tpenlo,
Scarca la menta al fin, tedea damino
Con le membra più talde e '1 cor contento {
Solo il pio Lancilotlo orrido e bruno
Tiene il pensiero al caro amico intento ;
E per altro compir, che in mente area.
Già drizzatoti in piè, coti dicea ;
XXXIX
Dop’ etto il re dell' Oreadi e Tristano
Con la schiera famosa ch'ivi assiede,
Securo il fan, eh’ al giorno prossimano
Seco taran nella sacrata tede.
Coti fermo io fra tutti, a mano a mano
Ogn' uom verso 1’ albergo volge il piede
Col congedo de) re, desideroso
D’ aver nel sonno ornai qualche riposo.
xx ani
Invittissimo re, poi ebe concetto
M‘ ha il del di vendicar chi tanto amai.
Vorrei dar fine a quel che viene appresso,
Ch' è di pregio maggior, che 1' altro astai.
Di porger preghi al ciel, che voglia in tuo
Spiegar la tua bontà, se *1 volse mai
In altro pio guerriero, le tue colpe
Nel sangue del figiiuul pietoso «colpe.
XI
Ma il famoso Tristan pria che ritrovo,
Benché assai travagliato, il padiglione,
Verso gli ultimi fossi il patto muove,
E 1' usate tue guardie intorno pone ;
Che ancor che intenda che l'andate prove
D' esser senza timor gli dian cagione,
E ben eh’ ci sia guerrier d’ invitto ardire.
Della guerra si dover non vuol fallire.
XXXIV
E quantunque lassù niente vaglia
Pomposo onor, ma le preghiere amili.
Per mostrar pur quanto di luì mi caglia,
E che i tuoi, che qui ton, non tenga vili.
Come il sole co' raggi al mondo taglia.
Vorrei eh’ a voi co’ nobili e gentili
Vostri duci maggiori in negro manto
Piaceste esser presente al nostro pianto :
XLt
Già rimbrunito il cielo e la campagna.
Si ritrova ciascun nel tonno avvolto.
Discarco il cor, come chi assai guadagna,
E ’l sospetto e ’1 dolor del seno ha tolto.
Solo il boon Lanciotto ancor ti lagna
Di dogliosi pensier 1’ animo avvolto,
E dispiace a se stesso d* esser vivo.
Poi che d' amico tal ti sente privo.
XXXV
E dar l’ estremo don, ehe qui si deve
A così altero cor, come il vedeste ;
E far poi comandar, che pronto e leve
Tutto anco il nostro esercito s'appreste
D* esser al santo officio, e non gli greve
Mover le voci pie devote e mette
A Dio per quel guerrier, eh' a morte è corto,
Scudo a* perigli suoi fido soccorso.
XLII
Pure stanco alla fin verso 1* aurora.
Come un leve dormir gli occhi gli ingombra)
Più che mai foste, lieto scorge allora
Di Galealto suo la placid' ombra
Non men lucente e vaga che 1* aurora.
Quando al ciel più seren la notte sgombra,
E gli dice: Fratei, perchè piangete
Del divia, eh’ era in me, le torli liete ?
XXXVI
A sì giusti desir 1' alto Brilaooo
Risponde : Per (ratei, padre e figliuolo.
Che gli fotte ragion d’ eterno affisano.
Non piante alcun già mai eoo tanto duolo.
Come al pubblico nostro estremo danno
Di quel che di bontà fu al mondo solo.
Ho fatto il primo gioroo e ’l farò tempre.
Mentre fia integra in me 1’ umana tempre.
XLIII
Io mi trovo or lassù tra le più chiaro
Anime che '1 Faltor seco raccoglia,
Di quei, che d' opre sol lodate e rare
Nella vita mortale ornan la voglia,
E eh' alla tua bontà falda fermare
Osar la speme lor; eh' a quella soglia
Dì salire il eammin gli mostreria
Per aperta e sicura e dritta vie.
xxxvn
E di Cifoli ogni onor quasi immortale
Non cessero giammai per ogni torte.
Perchè l’ amor di no» fu del tuo male
Cagion, come diceste, e di tua morte ;
Ma quando ciò non fotte, or ton io tale,
Che della cortesia chiugga le porte
A Lanrilotto mio, dove conviene
11 dover, la pietà, P onore e 1 bene ?
sur
Non vi dolete più della mia pace,
E che d' aspra prigiou sia fuore ornai,
Se '1 beo di chi v' onora non vi spiace,
O non piangete i miei, ma i vostri goai ;
I.’ amor eh' ho visto in voi, troppo mi piace.
Nè vendicato pur mi tengo assai.
Ma troppo ancor; perché quassù non spira
Il rabbioso furor di sdegno e d’ ire.
XXXUII
Così detto, l’araldo Amato appella,
E gli ragiona: Voi con gli altri insieme
Gite dell otte in questa parte e ’n quella
Comandando a ciascun, che m' ama o teme t
Tosto che il sol diman caccia ogni stella.
Venga io guisa di qoel, cui doglia preme.
Seni’ arme al tempio, a far con umil core
A Galealto il re dovuto onore.
xcv
Le gloriose imprese e gli ellrl onori.
Che ‘n memoria di noi di far bramate,
A schivo non avrò, pur che sien fuori
Degli altri danni e <1' empia crudellate ;
Ma perché il sol montando i tuoi colorì
Rende al mondo quaggiù, lieto restate,
Senza turbar mai più co* pianti vostri
La pace eterna mia negli alti chiostri.
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l’ AVARCH1DE
mi
Mentre parlava ancor, di Bano il figlio
L’ avide braccia a prenderlo strndea ;
Lagna»! al fin con lagrimoso ciglio,
di' aria vana e non lai «eco slringea t .
Poi mollo più rh’ al candido e vrrmiglio
Ciri rivolgere il voi, lauo, il vedrà,
Dicendo : E perchè m' è ti presto follo
Il quetar gli occhi miei col votlro volto?
UH
Che d' Andromeda ascilo a lai sorella
Il seguio fedelmente in ogni sorte :
Poscia il giovin Candor, nato aneli* ei d'elle,
Vien tra *1 buon Maligante e *1 pio Boorte ;
I quai mal fermi ove pietà gli appella,
Volser pure onorar si chiara morte ;
Poi seguir tutti quei ehe seco furo
In mezzo a* cavalier del grande Artoro.
xlvi»
Ma nel dir questo e porger prieghi al cielo,
Clic ’l lassasse restare alquanto seco,
1/ umido sonno gii 1* oscuro velo
Gli scioglie e fogge al suo nascoso speco ;
Orni* ei fuggendo con ardente zelo
Gli occhi volge d* intorno e riman ricco.
Che non 1' alluma più 1’ andata luce,
E 1' aurora anco acerba poco tace.
uv
Così tacili van con lento passo
Dentro al sacrato Tempio, ivi eonttrullo
Non di pietra porfirea o Pario sasso
Dall'Egeo nè dall' Issieo condotto:
Ma in marzial lavoro iorullo r basso
Di più d' un edificio eli* hai» «Ir il rullo:
Pure io lai ampio tpaaio si stendea,
Che gran parte del)' oste ricevea.
XLvm
Poi donando al gran sogno fede intera,
Dell' amico beato assai s'allegra;
Pur seguendo il costume, la sua schiera
Tutta fece coprir di vesta negra,
E mostrarle a ciascun come a chi pera
Caro padre, o figlinol, dogliosa ed egra.
Non mrn di quella , eh* al principio venne
Con Galeallo e seco si mantenne.
tv
Cinto era tutto quel sopra e d* intorno.
Chiuso il lume solar, di drappo ascaro :
Ma tante faci ha iu sen, che fanno scorno
Al di, eh* aggia 1’ aprii più vago e puro :
Poi tutto è in giro mestamente adorno.
Per mostrar del mio re 1* effetto doro,
Di scudi, ove il leon vermiglio atsiede
Tra perse stelle in argentata sede.
XLIS
Or ai stava tra lor pentolo e mulo,
Fin die ron gli altri Arturo ivi arrivassi,
Nè fu lungo 1’ attender, che venuto
E chi il lassa lontan non molli passi ;
Drizzasi allora in piè, poi che veduto
1/ ha presso al padiglion ; nè 'ncontra Tassi,
Ma la fronte inchinando alle sue soglie
Tacilo e in atto semplice P accoglie.
Ginnto il famoso stnol, si come inoanti,
Trova i seggi ordinati, ove si posa
Ascoltando devoto i preghi santi
Della sacerdotai turba pietosa;
Alle lor note umili, a* tristi canti,
Ch* hanno iu voce or pienissima, or' ascosa,
Chi con tacite labbra, e ehi col core
ya invocando dal del V alto favore.
t
Feeel tosto asseder sn *1 manco lato,
Ch* ebbe il di Laneilotto il primo onore ;
Indi ogni «avallerò, • *1 più pregiato
Vien primo sempre a dimostrar dolore :
Poscia si riponea, dove locato
Era il seggio per tutti ivi di fuore,
In doppio ordine posto, ove chi siede
Di quel che incontra sia, la fronte vede;
Poi ch’ai sacralo ufficio il fin a* impone,
Talli al modo primier ritorno fanno
Del mesto Laneilotto al padiglione.
Ove poi che rassid alquanto stanno.
Grida l'Araldo allor : Regie corone.
Duci alti e cavalier, del preso affanno
Vi rende grazie Laneilotto e i suoi,
E ‘1 partire, e ’l restar sia posto in voi.
LI
Assegnata io tra* dnoi si larga strada,
Che possa il varco dar che largo sia
A famoso drappel ehe in guisa vada,
Che i pedestri guerrieri usan per via.
Come ripiena fu l’ ampia contrada
Della reale e nobil compagnia,
E eh' assisa fa alquanto, in alto dire
Comanda il regio araldo indi partire.
tvm
Drizzasi il primo Arturo, e salutati
Tutti quei che restaro, iodi si parte ;
Colai di grado in grado i più pregiali
Il seguon tutti alla medeima parte ;
Ma Laneilotto, e gli altri sconsolali
Presso al re morto asseggono io disparte
L’ un all'altro lontan, bagnando il volto
Coq 1* estremo dolor, di' è io essi accolto.
Ltl
Drizzanti tatti allora c *1 meno tiene
Del primicr rigo il figlio del re Bano,
Seco in su '1 destro lato Arturo viene,
Il boon re Lago alla sinistra mano ;
Preme indi appresso le dogliose arene
Sotto avendo Gaven, sopra Tristano,
Re Roriban, che Galealto solo
Amò come iiralel, come figliuolo:
tn
E così notte e di nel nono giorno
Questo angoscioso pianto si distese ;
fame il decimo sol fece ritorno,
Fu imposto il fine al lamentar palese;
E '1 buon figlio di Ban per fare adtirno
Come 1* oso chiede a dei suo paese,
Il gran funebre ouor, subito chiama
Tarqniro Araldo suo di maggior fama :
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I— A
1*’ AVARCUIDE
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LOTI?
L’ nliimo lillà, ehi con piò doli* mino
Piò dritto e piò lontano il dardo avventa.
I prefri urin lai, che non in vano
Sarà il «dorè, ond' altri ri ripesila;
Siccome allora il figlio del re Bino
A qnei ch'avranno al girla voglia intenta!
Co s ano proprio parlar farà palese
In atto benignissimo e cortese.
mr
Cori detto ri tacque, e *n mono altero
Mille labe di onoro ri sveglierò
Sfoga in lieto gridare il «no pensiero
II popol lieto, e di vedere avaro ;
Ogni altro duce illustre e cavaliere .
Va rivolgendo in core, onde piò chiaro
Possa ritrarre onore, e chi piò stime,
Che contenda con Ini le palme prime.
t««vr
Ma il chiaro Lancilotto in alta sede.
Ove lor più spedile rian le viste,
E scernan dritto, chi del pregio erede
Sia veramente, e per qoal via 1' acquista,
11 gran re Lago, e *1 bnon Lambego assiede;
Ben che qnel di tal grado li contriste.
Dicendo : Io che gii fini, più d' altro buono,
Or dall* opre d’ alimi giudice sono,
uutvn
Con lor Sicambro poi, che d’ anni greve
Ha 1* usato valor volto in consiglio,
E ’l re Hion, eh' amò Benicro e ©ave,
E Lancilotto poi qoal proprio 6glio ;
Il quinto era Mandrin, che seguito ave
Per segno in quella guerra il franco giglio,
Il qual per longa etade, e per la prova
D' ogni lite dubbiosa il ver ritmova.
LXXVItt
E perché Lancilotto non volea,
Sendo il dator de* pregi, essere in prova,
Al grande Arturo, e gli altri nmil dicea t
Spogliate i cor di maraviglia nuova,
S* a me, chiari signor, che pur solea
Volentier faticare, or Torio giova;
Che di quel eh* amai piò, T acerba morte
Ha chinse a’ miei piacer T antiche porte.
Lami
Pregovi dunque in quella riverenza.
Che *1 mio stato bassissimo richiede.
Non sdegniate mostrar vostra eccellenza
In quella arte miglior, che Dio vi diede;
Non per me sol, ma per colui che, aenza
Se m'ha qni Catto di miseria erede,
E che lauto amò voi, che queste arene
D’ altrui aangue, e di suo lassate ha piene.
mi
Or eh» a* estima aver destricT piò leve,
E che quanti ne rieno al corso passe,
Di spronarlo egli stesso non gli aggreve
Al presente paraggio, che farasse ;
E ’l primo vincitor la fronte greve
A.vrà d'aure* corona, in cni vedrasse
Di heltade c di prezzo gemme assai,
Onde il gran re Sutonio dispogliai.
LXXXf
Nè senza premio ancor «ari il secondo,
Che del forte corrier di Palamede,
Nato intra » monti Belici, ch’ai mondo
Pochi ha par di bonlade, il faccio erede r
Nè il terzo ancor con T animo ingiocondo
Si lasserà partir di quesU sede.
Ch’avrà la sopravveste d'oro fino
Del figliuolo di Clodasso Massimino.
LXXKlt
Avrà il quarto la sella e *1 ricco arnese
Del cavai di Vittorio il sno germano.
Ove il Mastro famoso tolta intese
In farlo unico allor T arte e la mano j
Del quinto fia la coppa, in cui T Inglese,
Ch'uccisi in Catanesia, il re Velano,
Bevea ne' Testi di, ch’ha T aaro intorno
Di mille varie gemme aspro ed adorno t
meni
Al dir di Lancilotto io nn momento
Sorge il giovìn re Franco il pio C lotaro,
A coi il vecchio Sicambro fa contento
Di donare il deslrier pregiato e raro.
Leve non neo, che sovra T onde il vento.
Che dall" orse ci vico nel verno chiaro.
Nato all* orrida Tracia ; e fu credenza.
Che dell* antico Borea era scmeuxa.
mnv
Fu il secondo Gaven, che seco estima,
Ch’ anco il sno buon co rsier non aggi* pare;
Ch’ al Britanno terreo la palma prima
D’ ogni altera tenaon solea portare ;
11 terzo è Persevai, che l»en la cima
Di saver regger bene e ben guidare
A tempo ed a ragione ogni destriero,
E ’l piò grave e*l più vii fa snello e fero.
LUX»
E se ben non ha quel, eh* egli amo tanto.
Che dal gran Seguran ne fo privalo.
Spera con l’arte sua d'avere il vanto
Sopra ogni altro cavai poco onorato ;
Vien Nestor poi, che men si pregia alquanto.
Non però si, che non gli vada a lato ;
Ch* ove dell'arte altrui temenza il preme.
La bontà del cavai gli aggiunge speme.
LXXXVt
H quinto a presentarle è il forte Eretto
Che di certa fidanza ha cinto il core ;
Che *1 giovinile ardor gli scalda il petto.
Il naturai ardire e *1 gran valore ;
Ha il paterno deslrier, che fu perfetto.
Mentre che 'n lui fiori T alto vigore ;
Or di tre lustri carco era por tale,
Ch’ al breve faticar piò d' altro vale.
LXXXVII
Quando vede il re Lago, che ’l figliuolo
Alla lodala prova •' accingea,
In parte il chiama, ov’ egli ascolti solo,
E in amorose note gli dicea :
Peecbè chi affisse T uno e T altro Polo
M' empiè di nohil arte, ond' io solca
Nel corso de 1 destrieri in simil forma
D* ogni altro cavalier trapassar l'orma;
L ÀVÀRCHIDE
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cri
Coti quanto può più spinge il destriero,
Nè Dirn (acca Gaven dall'altra parte»
Quando han trovato» che stringea I sentiero
Un alto lasso, clic i ronfili disparte
Tra due vicin, per discoprire il vero
Ai possrssor, che vivono in disparte ;
Dall’ altra era il gran vallo» ond' era poco
Al caper tolti due l’ angusto loco.
cm
Quando il vede Gaven» con aspro ciglio
Grida: 11 vostro corsier fermate alquanto»
Nè vogliale oggi porne a tal periglio
Ch' a chi ne porta amor ne vegna pianto;
Allor più sprona del re Lago il figlio»
E di lui non udir si finge in Unto,
E quel seguila ancor : Voi folle sete»
Sé «li voi» né d’ altrui cura tenete.
Civ
Non si eonvien si poco riverire
Chi di regno e d’età vi sia maggiore;
Ma il giovine sprezzando ogni suo dire
Al correule deslrier cresce il furore;
Onde Gaven, temendo ivi perire»
Prrpou la vita al guadagnalo onore,
E ’l lassa avanti gir, nè il potè poi
R acquistar più con gli argomenti suoi.
ev
Ma in qaeslo contrastar, già PersevaMe,
Che lor dietro era ancora, incanii è gito
E già del mezzo per più accorto calle
Il corso primo a tutti avea compilo;
Ma nel volUr so I* arenosa valle
Venne al girar la mela il piè fallito
Al suo destriero, e 1' nno e l'altro in essa
Ebbe la manca spalla insieme oppressa.
CTI
Surge tosto il meschin, benché si senta
Della percossa asprissima impedito;
Ma il suo cavai, die a muover s‘ argomenta,
Vie più, che non è Ini, trova impedito ;
E dopo lungo a ver la forza intenta,
A pena il può drizzar sopra quel lito ;
Onde accusando il eiel doglioso e lasso
11 tira per lo freno a lento passo.
cvn
Or già di Clodovco 1* altero figlio
Primo a quanti altri sono al segno arriva;
E ’1 popol lotto lieto l'aureo giglio
Va innalzando alle stelle in voce viva.
E Lancilotto a Ini con lieto ciglio
Dice : Caro signor, non vegna- schiva
Questa corona ornai di questa chioma.
Che d' altre assai maggiori attende soma.
eviti
Così d» propria man d' essa gli cinge
La nobil fronte ; e 'I giovinetto adorno
D' onorato rossore il viso piuge,
Est fra* suoi tutto lieto fa ritorno;
Nè »1 buon vecchio Sicambro ancor s' infinge
D’ appellar Mirissimo quel giorno.
In aii quel di’ ci nodrisce e '1 suo destriero
Di eusi cbiaco pregio ir vede altero.
Vien dopo il Franco re l’Orcado Eretto
Che ai trova Gaven, ehe sprona a lato»
E correa si vicin, eh’ avea col petto
Quali l' arcion di dietro trapassato,
E se '1 spazio del corso, ivi perfetto.
Si fosse pochi passi prolungato.
Era forte il secondo, ma io quell' ora
Con grave ira e dolor terzo dimora.
ex
Fu il quarto all’ arrivar Neslordi Cave,
Che 'I tirar d' un bnon arco indietro viene.
Per ch'aveva cavai possente e grave.
Coi più del corso il guerreggiar conviene ;
E ’l suo signor, eh' altissimo cor ave,
Di coti basso onor aara non tiene,
Ma per far cosa grata a Lancilotto
Fn con poca speranza a ciò condotto.
ext
L* ultimo è Persevai, che frale e stanco
Biasmando il suo deslin contrario troppo.
Conduce, il me' clic può traendo il Ganco,
Per la briglia il deslrier debile e zoppo,
Come bifolco il bue, che venne manco
Arando al mezzo di, ehe 'I fero intoppo
D* aguto legno entro alla siepe ascoso
Ai rivolger 1' aratro ebbe noioso.
Odi
Del quale a Lancilotto, che lontano
Già lo vede apparir, prende pietade,
E dice sorrìdendo : Or «dii sovrano
Vive in qnest' arte «Iella nostra elade.
Se la sorte ebbe avversa, fia che ’n vano
Senza premio calcar debba le strade ?
E n tal dire il deslrier di Palamede
Prende, e far ne lo vuol famoso erede.
CX1II
Ma I* infiammalo Eretto che ciò mira.
Tosto al figlio di Ban di mano il toglie :
E con note tremanti e colme d' ira,
E eh' a gran pena dalle labbra scioglie.
Gli dice : Alto signore, al torto aspira
Chi cortese si fa dell'altrui spoglie;
Non più vostro é il cavai, ma fatto è mio,
Poi. di’ io fossi il secondo piacque a Dio.
ex iv
E se di sue virtù vi astringe amore.
Non vi mancan corsieri, oro ed argento
Da dargli anco del mio pregio maggiore,
Ond' ei si resti lieto» ed io contento.
Rise del giovinil semplice ardore
1| nobil Lancilotto a gloria intento,
Ed abbracciando! dice : lo veggo scorto.
Caro più che figliuol, ch’oprava il torlo.
cxv
Riprendete il cavai vostro a ragione.
Ed io d* altro miglior sarò rortrse ;
Poi Tarquir manda tosto al padiglione.
Che quel di Seguran, eh' era ivi, prese,
Il qual tutto doralo avea l' arcione,
E di prezzo infinito il rinii arnese,
E 1 presenta dicendo a Persevalle:
Questo fia più aecuro in ogni calle.
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l’ AVARCH1DE
CXVf
Or mentre in «lira parie il chiaro Eretto
Ne mena il pregio suo .li gloria pieno,
13’ allo sdegno infiammalo e di dispetto
All’ incontro di lui surge Gaveno,
E dice : Di lai principi al cospetto
Vo' die ’l ver, qual ei sia, si senta almeno;
E gindichin da poi se ragion fia
Che '1 cavai più che nostro, di voi sia.
cxxnr
Nè si conviene a voi farne rifiuto,
Fui che di guadagnar pregio altramente
Vi contendono or gli anni e '1 pel canuto,
Che le membra guastando ornan la mente.
Lieto T antico re del ricevuto
Onor fra tanta e si fiorita gente
Risponde: Troppo è ver, figlio onorato,
Che ’l tempo ogni vigor m* aggia spogliato.
ex VII
Non consentite voi che per inganno
Poste, non per valor vittorioso ?
Che mentre io mi trinca portarvi danno,
Ritenni il mio corsier di voi pietoso :
E voi spronando mi rendeste affanno
In vece del ben fare, ond' io doglioso
Mi trovo il lerxo, che il serondo o ’l primo
Polca forse vénir, s* io dritto estimo.
cxxiv
Deli mi trova*»’ io tal, quale allor era,
Che ’l gran re Catanesio fu sepolto;
Che non fu alcuno in quella festa altera,
Che contro al mio poter valesse mollo;
Feri io del resto alla battaglia fera
Restar quasi troneon di vita sciolto :
Vinsi Ombrane alla lotta e ’l leve Aureo
Nel corso a me la palma concedeo.
cxvr «
Quando il re giovinetto il vide irato
E del padre e d* altrui hiasmo (etnea,
GH dice : Per tornar nel primo stato
Del vostro buono amor, com* io solea,
Non sol qnesto cavai eh' ho guadagnalo,
Ma quanti mai n' avrò, quanti n’ a vea,
Che sien vostri, signor, contento sono,
E d' ogni mio fallir diteggio perdono.
evvv
Nell’ avventar del dardo Afide ed Ali,
Ch’avanzavano ogn’ nom privai d’onore;
Sol de* destrieri in prova più pregiali
Fur di me .ilquihto Arantico e Fattore,
Non dirò più nell’ arte ammaestrati,
Ma perchè il mio corsier nel gran furore
Fece al proprio tornar 1* istrsso fallo,
Ch* ora il suo far vedeste a Perse vallo.
exix
E cosi ragionando, in man gli pone
Vii briglia del corsier che seco adduce
Non alle spighe all' arida stagione
La pioggia estiva più dolcezza induce,
Che fe' del giovinetto il pio sermone
Nel petto irato drU'Orcanio dace:
L* abborda e stringe e gli risponde appresso :
A voi dono il cavallo e poi me stesso.
cxxvi
Or di nalnra all* oraline m’arrendo,
Pascendo il cor della pattala gloria :
E ’l vostro amico don gioioso prendo, %
Per la vostra e d’ altrni chiara memoria :
Nè di farmene adorno meno intendo,
Ch’ io facesti nnqua mai d’ altra vittoria t
Ch’ esser «lei vostro amor tentilo degno
È d* intera virtù non dubbio segno.
cxx
E riconosco or ben, eh’ è tutta in voi
La patema virtù che non ha pare,
E prego il del che voglia gli anni suoi,
E l'alta sna fortuna in voi versare:
Volgcsi a Lanrilotto e ’l prega poi,
Che voglia il terzo pregio a lui donare :
Ed ei di Massimino in alto umano
La sopravvesla allor gli reca in mano.
CXXVII
Rise il figlio di Ban : rivolto poi
Verso i dnri più forti e cavalieri.
Dice in atto cortese : Or chi di voi,
('.he tanti re ne son di nomi alteri,
Fia che lottando gli avversari suoi
Stender ad uno ad nn su 1* erba speri,
Surga per onorar morto chi solo
Fu vivo il primo onor di qnesto stuolo.
• CXXI
Ebbe il suo quarto don Nestor di Gare,
Che di Vittorio fu la regia sella:
Riman T altera coppa d‘ oro grave,
E di gemme e di pietre ricca e bella,
Ch* è il quinto pregio, che cursor non ave,
Che più possa sperare ornarsi d'ella;
Onde il pio Lancilotto in man la prende,
E con essa al re Lago il braccio stende,
CVXvfìI
E gli avem destinato il primo pregio
Nohil vaso d’ argento e cinto d’ Oro,
In cui scolpio la terra il mastro egregio
Fra Tonde accolta con soltil lavoro,
E verso i labbri in alto il ricco fregio
Ha Febo in seno e delle Mote il coro;
E grande è si, che in esso il vincitore
Potrà lavar giacendo il suo sudore.
CX XII
Dicendogli : lo vi prego tnlto umile,
O chiarore dell’ Orradi famoso,
Che non vi sia da noi prendere a vile
Il basso don eh’ a presentar sono oso :
Perchè poscia possiate in Dura o in Tilc
Dentro al bel regno vostro in gran riposo
Bevendo tra i miglior, del valor allo
Ricordarvi talor di Galealto.
CXXI»
Nè il vinto anco sarà senza mercede.
Che d* irsuto Icone avrà la spoglia.
Con la testa «T argento e ciascun piede.
Qual Ercole e Teseo portar si soglia :
E T uno e T altra fu tra le mie prede,
Ch’ acquistai già dentro alla regia soglia
Del Cimbriro Pireo che volea, lasso,
Soccorso cootra noi dare a Clodasso.
435
L AVARO H IDE
ex XX
Cosi parlivi ancor ; qnando Malrhino,
Mairi) ino il prosto che gigante appare,
Del popol dì Moravia, a coi vicino
Il porlo di Salute afTrena il mare,
Ivi avanza ciascno, «crome il pino
Suol gli altri arbori intorno sormontare ;
Getta ogni vesta all' arenosa valle,
E mostra nude fuor l’ orride spalle.
cxxxi
E quanti in giro son tanli ne sfida,
Dicendo : Or vruga a noi di si gran gente,
Chi più di lutti al suo valor $' affida,
E che si pensi meco esser possente.
Nessun risponde all* orgogliose grida
Per lungo spazio, ed ei più fieramente
Le voci addoppia e le sue forze pregia.
Come quelle d'altrui biasma e dispregia.
CXXXII
Non sa più il buon Tristano ornai soffrire
Il superbo parlari ma poi che vede
Che pure allr'uom non vuole iucontra uscire,
Verso lui tutto queto addrizza il piede.
Quando il mira Malchiu, comincia a dire:
O di Meliadusse invitto erede.
Usate il vostro ardir sovra il cavallo,
Cb’ a piedi e meco poi farete in fallo.
cxxxut
Tace il saggio guerriero e spoglia intanto
Ciò che ’l copriva e nudo si presenta:
Il gran Malchin, poi ch'ha tardato alquanto,
Tutto pien di furore a lui s’ avventa :
Qual il geloso tauro, eh' aggia a canto
La sua cara giovenca, e guerra tenta
Cantra il leone e d' atterrarlo spere,
Per aver più di lui le membra altere.
CXXXJV
Cingel sotto le braccia e cerca in vano
D* alzarlo e sentel fermo su 1' arena
Più eh* aspra quercia il vento Subsolano,
Nata infra dure pietre e d'anni piena;
Lo scuote appresso or su la destra mano,
Or su l'altra più volte e ’n giro il mena:
Nè 'I ritrova men saldo in ogni sponda,
Ch' alto scoglio maria di Teli all' onda.
ex xxv
Ma il sagace Trista» eh' è sempre inteso
Di fare un colpo solo e *1 tempo aspetta :
Come il vede sforzando esser sospeso,
E non tener coi piè la terra stretta :
Alzandolo più ancor con tutto il peso
Ch' ha di petto e di braccia ivi si getta,
Ove il sente più in aria, e tal s’ accampa,
Che delle spalle fa che il filo stampa.
cxxxn
Con quello alto romor, ch'argine o ponte
Combattuto dall' onde raggia in esse:
Parve un colle minor sovra un gran monte
Tristau, quando Malchin cui petto oppresse!
Le genti attorno con allegra fronte,
Cui nuova maraviglia i cori impresse,
Alzan le grida al ciel miste di riso.
Di vedere il maggior da lui conquiso.
cxxxnt
Drizzanti antrambi e 'I misero perdente
Forbendo in allo l'omero arenoso
Di vergogna ripieno è si dolente.
Che '1 cortese Trislan ne vien pietoso,
E dice in alta voce: Assai sovente
Fa la fortuna 1' uom vittorioso,
Che di minor virtù fornito sia,
Come forse oggi a me fatto ba la mia.
cxxxviir
Però, s* a voi paresse, io non rifiato
D* esser ron voi nella seconda prova.
Risponde quel : Pria eh' ora ho conosciuto
Il magnanimo cor che ’n voi si trova i
Siami assai d* una volta esser caduto.
Senza cercar da voi percossa nuova :
E basti eh' io vi cedo con lo scudo
Con la lancia, col brando, armato e ondo.
cxxzix
Il chiaro figlio allor del gran re Bano
Si fa tosto portare il vaso aarato,
E dire : Or fia condotto al mio Tristano,
Che questo ed ogni pregio ba guadagnato.
Ore vorrà spiegar 1’ arte e la mano,
E '1 valor suo, rhe per vittorie è nato.
Risponde a lui Tristano : E chi porria
Lanciotto agguagliar di cortesia ?
ext
E ben sì prova in voi, che la virtode
Che si cnno«re in se non aver pare.
Dell’altrui gloria nulla invidia chiude,
('.erta di quella e tutte sormontare.
Non ronvieo più che ■' a (Fatiche o sode
Per acquistare ornai palme più chiare
La vostra altezza, eh’ all' estrema punta.
Ove arriva il mortai, d’onore è giunta,
citi
Ride il pio Lanciotto e dice : Assai
Mi fia premer di voi l'orma vicina.
Col vello del leon poi gli aspri guai
Di Malchin sana e I* alta sua mina :
Indi si volge agli altri e dice: Ornai,
Poi die già il sol dall'alto punto inchina.
Venga qualch' un con l' impiombato cesto
Ad onorar se stesso e ’l giorno sesto.
cxlii *
E pregio simigliante avrà il vittore
All* arme, onde acquistò gradila palma,
Ch' un nobil cesto fia, cìnto di fuore
Con piastre d' oro fin di grave salma.
Di seta ordito d' ostrico colore
Dentro ove delia man cuopre la palma :
E se ‘1 ver di sì lunge si conduce.
Fu il più onorato arnese di Polluce.
extra
L’ altro un’ anfora d’ or di ginsla allena
Di presiosi unguenti fido albergo.
Per dar conforto alla dogliosa asprezza
Di braccio intorto o d' impiagato tergo.
L' orgoglioso guerrier ch'ogn' altro sprezza.
Tosto eh' ode il parlar si mostra a tergo :
Tania sso è costai della montagna.
Nato dove il Solveo nel mare stagna.
L AVARCH1DE
flUT
Quante tvei vesti intorno avventa a terra,
E d' impiombati cesti arma le mani.
Poi snodando le braccia, invita a guerra
Quanti ha btfhn cavalier pressi e lontani :
E dando colpì al cielo, or apre, or serra
Le pugna io giro e dice : Come vani
Saran tutti color che penseranno
Altro ritrar da me, che morte o danno !
SLT
E piacesse oggi al ciel, eh* a ciò venire
Volesse un de' miglior clic chiuda Avarco,
Ch’ io ’1 potessi percuotere e ferire
D* ogni demenza c penitenza scarco :
Ch* assai mi fia pur duci veder morire,
Chi per nostra salute è d‘ arme carco ;
E questa man contra Clodasso acciaia
Del pio sangue civile aver dipiuU.
osavi
E per ch'ai chiamar primo alcun non viene,
Che quel rilien vergogna e quel timore.
Prende il gran pregio aurato, e: Si conviene,
Die* egli, a me questo primiero onore :
B I’ altro ancor, poi che nessun si tiene
Possente a contrastar col mio valore.
Risponde Lancillotto i lo vel cautelilo.
Se nullo or di mostrarse aggia ardimento.
(Urli
Quando Piorio il loscan che vieta era,
Vede tacere ogni uom, pietade il prende
Della negletta e vilipesa schiera,
E n ver 1* invitatore il passo stende.
Allo parlando: Or questa vita pera,
Ch* a passo a passo oel suo (ine sernde.
Solo in un punto ; prima che soffrire
Di tanto e tale stuolo il biasmo udire.
Ma perch* era pur grande, ivi noi coglie.
Che gli venne a cadere in mezzo al petti»,
E *1 ferì tal che d' ogni carne scioglie
L’osso più in alto io tra le coste astretto;
All'ira il fer Britanno il fren discioglie,
E col folto cader, ch'arbore o tetto
Batte grandine al maggio, i colpì versa
Con 1* una e 1* altra man dritta e riversa,
cui
L* ammaestrato Fiorio che t* accorge.
Che conviene al furor conceder luco,
Ora il cesto ora il. braccio innanzi porge,
E dell' ira immortai tien longe il foco :
L' altro mentre s' abbassa e mentre insorge,
Va le forze scemando a poco a poro,
E col molto ferir già frale e ’ncerto
Or questo looo, or quel lassa scoperto.
ct.ni
Ed ei, che qnal 1* accorto cacciatore.
Che nascoso il leon tra frondi aspetta,
Clic quando gli è più al dritto, in mezzo il core
Gli scocca inevitabile saetta;
Come vede al Britanno il capo fuore
Della dovuta guardia, a lui si getta,
E nella manca tempia in modo il fere,
Ch« co’ sensi smarriti il feo cadere,
cuv
Va con la fronte in basso, si che appare
Combattuto delfico al lito spinto.
Quando è più irato e tempestoso il mare,
Dal fero austro vernai dì nubi cinto.
Come il vede in tal guisa a terra audare
Il cortese toscan da pietà vinto
Ratto il sollieva in alto e ’u seno il porse
Della schiera de* suoi che al caso corse.
czlvui
Grida il popol d’intorno e lieto fasse,
Ch* un sì nobii guerrier si metta in prova;
E '1 famoso Tristano ivi si trasse,
E ciò che fea mrslier, per lui ritrova ;
Non volle eh' altra mano il dispogliasse.
Nè che ’n porgergli aita altri si muova;
Ei sol gli apporta i cesti, ei sol gli cinge,
E la vittoria aperta gli dipinge.
CUIZ
Or già s* è in gocrra posto Taulasso,
E del fato di Fiorio assai gl* incresce:
Ch* al suo colpi» primiero ei raggia in basso.
Si sotto spera, che eoo Ini si mesce :
Drizzasi 1' un ver 1* altri» a largo passo,
E quanto può sai piede allo s* accresce :
Poi più vicin con sollevate braccia
Esamina ciascun ciò ch'altri faccia:
CL
E con finte percosse va tentando.
Come trave il nemico acconcio all* opra :
Or ferendo leggiero, ora schivando,
Più l'occhio e l'arte che ’l valore adopra:
E vanno il giro attorno ; ma poi quando
Vide il Toscano il suo vantaggio sopra,
Che ’l nemico scoperta avea la gola.
Di ferirlo aspramente il tempo invola.
civ
E *1 porlaro all* albergo, dove sembra,
Quanlunqne vivo pur, peggio che morto ;
Nullo appar moto alle indoratile membra,
E *1 capo inchino e ’n sn la spalla inlorlu :
Tutto il popol miglior tosto a’ assembra
Intorno al vineilur, pira di conforto :
Che trniea eh’ un guerrier si chiaro e forte
Non venisse al suu fin per simil morte.
cli-i
Ma tovr* opti* altro lieto era Tristano,
Che più caro il teaea, rhe proprio frale ;
Nè mrn di quello il figlio del re Bano,
Ch* era a lui simil d' anni e di bonlate,
E *1 meritato dou gli pone in mano
Dicendo: Questo integro riservale
Ter segno eterno dell* avuta gloria,
E questo altro da poi per mia memoria.
CLVII
E gli te don di tutta 1* armadura,
Ch* al superbo Clodino aveva tolta.
Con la spada incantata e la cintura
Di finissime gemme e d'oro avvolta;
Poi, che fosse portata, prese cura
A chi la guadagnò con pena molla
L* anfora preziosa, indi si muove
Per seguitar 1* incominciale prove,
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ctmt
E dire: Alti signori, in cortesia’,
E per V alta virtù di chi i' onora.
Quella coppia miglior, chi di voi fia
Più io arme esercitata, si inoltri ora
Sovra il destriero a giostra , e poi che sia
Rotta la forte lancia, tragga fnora
La spada micidiale, e del primiero
Sien T arme di Brunoro e '1 tuo corsiero.
ctxv
Trovagli pure al 6n la destra spalla
Con forza tale e cosi viene a pieno.
Che ’ndormita la man di poco falla.
Che non lass’ ire il braodo su '1 terreno,
Dicendo i Or prove la virtù Norgalla,
Se di quella di Gorre possa meno ;
Ma si rinforza il fero Maligante,
E più saldo e leggier che fosse innante :
CtlX
Del fratrl Dinadan le spoglie opime,
Che ricchissime son. saran di quello,
Che del brando ferir più forte estime
De' gran giudicatori il pio drappello.
Non (ini a pena le parole prime.
Che sovra allo cavai possente e snello
Arrivar Maligante vede armato,
E '1 cavalier Norgallo d' altro lato.
ctxvi
Con mille colpi e tutti nella testa,
11 cavalier Norgallo ri pernio te ;
Non rivolge la ni’ onde atra tempesta.
Quando più soffia il vento di Boote,
Ned ei per tutto ciò queto s’ arresta,
Nè le speranze sue rimangon vote;
Ma col cor allo e con la spada stretta
Fa del duol che gli vien, chiara vendetta.
et*
Ride il gran Lanrilotlo e dice : Ornai
Non fia senza favor la lite nuova.
Poi che i miglior gnerrier che fosser mai,
Per tal giorno onorar vengono in prova:
Or di voi r nno c 1* altro, come assai
Aggia spazio acquistalo, il corso muova ;
Poi di trombe svegliar qnel grido fare.
Per cui Marte s’ accende e sprgne pace.
Ctxvll
Ma il nobil Lanrilotlo eli* ha timore.
Che ne possa avvenir più grave danno,
Entra in fra loro e frena quel furore.
Che dolre sembra e poi o’ apporla affanno ;
E 'I re Lago e i compagni il primo onore
Al ravalier Norgallo uniti danno.
Pereti' al correr dell* asta fu sovrano.
Come l'altro alla spada oprar la mano.
CI.XI
Sprona 1' nn verso I* altro in tal furore,
Che la vista mortai gli segue a pena,
Qua! Austro e Borea, eli* alle lurbid* ore
Si vengono a 'ncontrar sovra 1* arena :
Tmovansi a mezzo il torso, e ilei rumore
Tutta la chiusa valle e l'aria è piena.
Troncanti ambe le lance e l'un destriero
Trapassò via volando al suo sentiero.
CCXV1II
Così qnel di Brunoro ebbe le spoglie,
L’altro di Dinadan senza contesa:
Indi il buon Lanrilotlo si raccoglie
Coo l' altra schiera a muover liti inteaa.
Dicendo : Qual di voi spronin le voglie
D' esercitare i piedi all' alta impresa
Del leggier corso, innaozi si dimostri,
E nessnn voto andrà de’ pregi nostri ;
ctxit
Afa quel di Maligante al rrndo intoppo
Di volersi arrestar si mise in forse.
Par olirà andò con debile galoppo,
Non come iufino allor, volando corse;
Che l' asta, che per lui fa dora troppo.
Dritto al sno buon signore il colpo porse
Nel volante frontal sopra la vista.
Onde il buon cavalier più lode acquista.
ctxtx
Che due famosi cani arri il primiero
Ch'avanzan di grandezza ogni molosso;
E ciascuno è di lor sì forte e fero,
Ch' ave e 1* orso e '1 leon di vita scosso ;
E d'oro ornate con lavoro altero
Tutto armalo ha di piastre il petto e ‘1 dosso;
Del me de sino ave al collo aspro monile
Ch' ogni agulo ferir si tiene a vile.
ctxin
11 percosso guerrier si piega alquanto
Con l’elmo indietro che la lesta aggrava;
Ma il gran core e ’l vigor gli giova tanto,
Che in breve spazio in allo la rileva
Ma più dolor gli apporta, eh' altro tanto
Danno il prode avversario non riceva
Che noi ferisce in fronte ma in quel loco.
Che vien sotto la gola basso un poco.
CLXX
Avrà il secondo on animoso pardo,
Clic di spoglia ricchissima è coperto ;
Al coi correr veloce è il vento tardo,
Snello e vago ha il saltare, e '1 morder cerio;
Sarà il premio del terzo un leve dardo.
Di cui d’ ebano è 1’ asta, e *1 ferro ha inserto
Di si incantata, e si mirabil tempre,
Che ciò, ch" ti può ferir, 1’ uccide sempre.
CLXIV
Volge il cavai ciascun e con la spada
Tosto al secondo onor bramoso riede;
L’ accorto Maligante opra che vada
Ben grave il colpo e sol la frootc fiede ;
L'altro ferisce lui per ogni strada,
Ove ha più il modo e più scoperto il vede;
Mena più spessi i colpi e non gli cale
Se quel più che quell' altro, in guerra vale.
CIJUM
Nè fien voti di pregio gli altri ancora,
E sia quanto potrà lunga le schiera ;
Ch' assai tesor di spoglie mi dimora,
Ond* io possa gradir la gloria vera.
A si dolce invitar già mostra fuora
La persona, eh’ avea sciolta e leggiera.
Di veste srarca il suo cttgin Boucle,
Appellando i vicini a quella sorte.
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L AVÀRCHIDE
c un
Surge Landone il destro, che *n sn’l patto
Che piò guarda all* Ibernia area la sede.
Poscia Alibel di Logres e Fili asso
Nodrilo in Catanesia »ol di prede;
Virn dopo il bel Norlnallo Meliasso,
Alla coi prao brllade ogni altro cede ;
Poi s' aggiunge Manderò, e Bandegamo
Vaghi di riportar di pino il ramo.
CLXXItl
Metterli Lancilolto indente rgnali,
Poi dà il segno la tromba ; e quei repente
Qual la rigida corda i levi strali,
Lassan il seggio lor velocemente.
Boorle va il primiero, e •’ avest'ali
D'Aquila, non porria gire altramente;
Seguelo assai vicin Landone il destro.
Che tra i primi cursori era maestro.
CL.VXtV
Poi venia Bandegamo e presso a quello
Il vago Mrliasso, che vincea
De’ giovinetti il nobile drappello,
Che della pari età nell’oste avea ;
Poco lontan Manderò ed Alibclio ;
Ma indietro a tatti gli altri rimanea
Con suo troppo dolor Fina sso il bianco,
Che vincer pur polca, veniva al fianco.
CLXXV
Già nel mezzo del corso avea Landone
Racquietalo Boorle, e innanzi giva;
Ch' al cominciare, il fren piò che lo sprone,
In se mrdrsmo osalo, or rifioriva
Il servalo vigor, ma il ciel s’oppone
Alla speranza sua già ferma e viva ;
Ch' ove i deslricr giacean di Lancilolto
La notte a rinfrescarle, era condotto.
CLXXV!
E ’n fra I' umida paglia e ’l lordo fimo,
Non riguardando beo, col passo scorse.
Tal die si trova iu basso, e '1 volto il primo
Nel baguato terren cadendo porse,
Ogni noni, che rovinar dal sommo all'imo
Il quasi vinci lor si presso scorse.
Grida per la pietà poi seco ride.
Quando il viso asciugarse irato il vide.
CLXXVll
Non s* arresta Boorle, e con gran gioia
Di ciascun riguardante ha il sommo loco;
Ratto spedito dall' avuta noia
Arrivato è Landou dopo esso poco;
Virn Brndegamo il terzo, e sen* annoia
Tale il franco Mandor, che par di foco;
Che poi eh' esser non paò fra* primi dui,
Ferma speranza avea di vincer lui.
cixxvm
Alibel dopo lor venne, e Finasto
Così giunti fra lor, che mal porria
Alcun ben giudicar, chi s'abbia il passo
Posto piò innanzi, o chi ’l perdente sia ;
1/ ultimo a tutti gli altri è Meliasso,
La cui tenera età la lunga via
Mal potè sostenere, e '1 volto ha picoo
D’ amaro lagrimar, di doglia il seno.]
CLXX1X
E la vergogna e l'ira in lui raccresce
Lo splendor giovinil, che '1 face adorno ;
Volgesi a Lancilolto, e lasso mesce
Le note tra i stupir con greve scorno,
E dice : Io veggio ben, eh' al ciel riurresce
Di chi visse quaggiò piò lungo giorno,
Se di lotto lo stuol di me più antico
Solo abbassando noi si mostra amico.
CLXIX
Ride il pio Lancilolto, e gli risponde;
Maggior d essi mercede avrete certa.
Ch’alto desio, che ’n giovin core abbonde,
Quanto l'altrui vittorie il pregio merla;
Indi un' aurea ghirlanda, che le fronde
Agguaglia dell' allor, di gemme inserta,
Sovra i biondi capei gli pone, e dice;
Al buon vostro voler portarla lice.
CLXXXl
I due famosi can Boorle prende:
Landon quasi sdegnoso il leve pardo,
Dicendo: Tale onor, signor, vi rende
Pii il mio fero deslin. che 1* esser lardo.
E 1’ altro a lui rideodo : Se v’ offende
Il cielo, e del mio ben ha tal riguardo,
Assai mi pregio io piò, perchè piò vale
Favor divisi, di' ogni virtù mortale.
CLXXXl!
Il prezioso dardo ha Bandegamo,
Lancilolto a Maudoro una cintura
Dona arricchita di sotti! ricamo,
Coo la spada, eh* è forte olirà misnra ;
E per mai non aver ginsto richiamo,
D’ adegnar bene il pregio assai procura
Intra Finatso il bianco, ed A libello.
Senza offender la mente a questo, o a quello.
CLXXXl!!
Ed tino aureo monile il qual gli avea
Il gran re Clodoveo I* altr' ier mandalo.
Che nuove volte il eolio gli cingea.
Per richiesta di lui gl< fu portato;
E due d' esso eguai parti ne facea,
Poi di par n* ha ciascun cortese ornato ;
Indi prega la schiera, cb'è piò degna,
Ch* a uuova altra tenzone innanzi veglia.
CLXXXIV
Così fa in mezzo adibir di grave peso
Grossa sbarra di ferro, e dice poi :
Chi di qnesta in piò spazio avrà disteso
Il corto per sua man di tutti voi.
Avrà il famoso brando, che Galeso
Oprò, quantunque indarno, sovra noi,
Quando al fin cadde a terra ; ed è cotale
Che no ‘1 può bene alzar forza mortale.
«LUX?
Dell' altro sia il suo scado, ch* è si grande
Che tre simili a noi porria covrire
Qnal convenne a gigante onde si spande
L' aspra fierezza, clic facea morire
I guerrier vinti, e in orride vivande
Sovra la mensa poi gli fea venire :
II terzo avrà di lui I' elmo e 'I cimiero,
Ov'ha Marte legato e prigioniero.
Diqitizex
l'AVARCHIDE
amvt
Non contò gli «Uri don, che Maligante
Era già ratto accorto e Gargantino,
Poicia il re Pelinoro poco innante.
All' incontro Agraven, che gli è vicino;
Piò il’ un re, duce e cavalicro errante
Già per ewrr con lor prende il cammino ;
Ma vedendo Tristan già Mirto in piede,
Privo d' ogni aperanaa indietro riede.
«cent
Dicendo: In colai prova guadagnai
Questa nel suo lerrrn dal buon re Claro ;
E per eh* altra miglior non vidi mai
InGno a questo di, ne vissi avaro ;
Or perché cedo a voi, a’ io meritai
Che dono alcun de' miei vi fosse caro,
Prendetela, vi prego, e non vi sia
A sdegno il suo valor, poi eh* ella è mia.
CLXXXVft
Fu il primo Gargantin,che in man fi prende
La salda sbarra, e ’ntorno la rimira ;
Le forse e ’l peso esamina, e comprende,
E tutto intento alla vittoria aspira,
Alza quanto sa il braccio, indi lo stende,
E eoi poter quanto ha spingendo tira
La ferrea salma, che volando freme,
E ben lunge da Ini 1' arena preme.
exciv
L* accetta il boon Tristan allegramente.
Dicendo : E come vostra oggi la prendo.
Non per eh’ a voi non ceda interamente.
Che *1 vostro al mio valor sapremo intrudo ;
La spada ben avrò come vincente.
Poi che più di quei quattro il ferro stendo.
Maligante lo scudo e Pelinoro
Ila il grand* elmo lucente ornato d* oro.
CLXtxvtn
Dopo il primo avventar, viene Agraveno
A cui il loco secondo in sorte è dato ;
f.he di manco poter non parve nieoo,
Mie fere al par di lui l’ illesso lato i
Ma lien d* arte maggior che nel terreno
Meglio è confitta, e in modo più lodato ;
Pelinoro, ch'é’l terzo, innanzi passa,
E i colpi d' ambe due più ìodietro lasaa.
ezev
Uoa possente scure ad Agraveno
Diede pur Laneilotto, ch* ebbe insieme
Del mrdesmo Galeso ; e fa sereno
Il cor di Gargautin, che d’ ira freme.
Con la mazza d'aeciar eh' avea Drumeno,
Che dell’ Ircauia nelle parti estreme.
Fu fabbricata in sì tnirabil tempre.
Che ciò, else percolea, squarciava sempre.
CtBHBZ
Vien Maligante appresso, • certo stima
Di poter* avanzar quei tre di molto;
Ma perchè voole aver la palma prima.
Usa tutto il saver, eh* ha in se raccolto ;
Ch’ or la prende al più basso, ora alla ernia,
Or 1' ha nel proprio mezzo il pogno avvolto
E va intorno librando il come, e ’l d* onde
Al securo avventar meglio risponde.
CXCVI
Al dritto saettar propone i pregi.
Dato a quel fiur, il gran ftgliuol di Bano ;
Una faretra pria d’ aurati fregi
Piena di arali e 1’ arco Soriano ;
Serba al secondo degli arcieri egregi
Un forte anel, che per tirar lontano
La corda incocche, ove un rubio riluce.
Che del foco, e del sol vincca la luce.
cxc
Poi chinandosi a terra, dell* arena
Rende aspro il ferro, e la sudante mano ;
Stringel ben poscia, e la nervosa schiena
Forma in arco incurvato, indi pian piano
Ritorna in alto, e poi con tanta lena
Il gettò da' suoi piè cosi lontano,
Ch’ai segno dei tre primi innanzi vada,
Quanto lunga due volle avea la spada.
exevu
Una (romba è del terzo ornata e bella.
Di serico lavor contesta e d’oro:
Già s’ appreseli t a il primo, e gli altri appella
11 Norifolco onorato Ganesmoro,
Dicendo: Quei che spinge amira stella
A commetter ai venti i colpi loro,
Vengan sena’ aspettar nuova richiesta
A si uoorala impresa, come questa.
cxci
L’ultimo fu Tristan, eh* a lento passo
Alla prova ordinate si presenta;
Recasi il ferro in man, che giace in basso,
Cosi leggiero a lui, eh’ a pena il senta;
Poi d' ogni cura il cor mostrando cesso,
Qual asta il rarriator, sì forte avventa,
Che il nobil Maligante ha superalo,
Quanto tira il baslon pastore irato.
cxevui
Sarge Baveno allora il pio cugino
Del chiaro Laneilotto, indi il fratello
Del fer Boorte eh' era a lui vicino.
Muove seco anco il Franco Lionello.
Son già i tre insieme: e ch'ai voler divino
Chi sia in prova il primiero, o questo, o quello
Coosenton si rimetta; e i nomi d’ casi
Al profondo d* un elmo son commessi.
cseii
Grida il pnpol d' intorno, e *1 chiaro nome
Del vinritor Tristan porla alle stelle;
E Lsncilotto a lui : Le vostre chiome
Già di mille corone ornate e belle
Non devranno sdegnar, che di vii some
Il loro antico onor si rinnovrlle;
E gli porge d'oliva una ghirlanda,
Ch’ ci guadagnò nella famosa Irlaoda,
rxctx
Fu tratto innanzi il Gallico Baveno
Poi Ganesmoro e Lionello appresso ;
Ivi conginngoo legni alti non meno.
Che nell’ Ida Cretea pino, o cipresso;
Pongon poi d* essi nell’ estremo seno
Uoa colomba candida, eh' oppresso
Ha l'uno e 1' altro piè da laccio breve,
Ch* esser de* loro strali il seguu deve.
Alza il re Gancsmoro il ino forte arco
Con lo strai, ch’alia corda avea la cocca;
Poi disegnato assai con l'occhio il varco,
Che pio dritto conduce, il nervo scocca;
Va la saetta ben, ma il colpo è parco,
Che del segno più in basso alquanto tocca;
Saona il verde sostegno, e per la tema
L' ali il pavido necci scotendo trema.
coi
Virn Baveno il secondo e dritto coglie
In laccio, che la lien, col forte strale.
Tal che senza ino danno la disciuglie;
Ed ella indi fuggendo spiega 1' ale.
Ma Lionel, che scorge le sue spoglie
Portarne il veoto, e 1* aspettar non vale;
Lo strai, che sovra l’arco avea già posto,
Ove la vide gire, addrizza tosto.
E qoasi in fra le nnbi in alto ascosa
Il colpo micidial l’ha ritrovala ;
Percnotela, ove all’ omero si posa
La sinistra ala, onde riman privala ;
Tal che poi moribonda e disdegnosa
Rivolgendo per l’aria, e ’nungainata
Ai piè del percussor venne a cadere,
E ’l popolo empiè il cicl di grida altere.
Poi molto dopo lei qneU'ala ancisa
Raggirata dal vento in basso scende;
L’ una e I’ altra raccoglie in lieta guisa
11 nobil Lionello e ’l pregio prende;
Cosi fan gli altri ; t Lancilotlo avvisa.
Che ’1 dì, che in occidente il corso stende..
Non I 1 ammonisce in van, che 1' oltav* opra
Prima si rechi a Cu, che ’l sol sì copra.
E dice : Chi vorrà venire in prova
Della lancia avventar dritta e lontana,
Avrà, sendo il miglior, non d’opra nuova,
Ma di mano antichissima e sovrana
Lo scodo, ebe donò, se ’l creder giova,
Teli al figliuolo alla città Troiana,
Da Vulcan fabbricato, ed a me il diede
Viviana, e che sia tal mi facea fede.
ccv
L'altro una asta bellissima, ch'ancora
Si pensa esser d' Achille in Pelio colta.
Creuso il senesctal si drizza allora,
E dopo forse poi schiera più folta ;
Ma il magnanimo Arturo, che vien fuora,
E con la maiesli, eh* era in lui molla,
Dice : Io sarò con voi; fa la cagione
Che non vennero io prova altre persone.
ccvi
E Lancilotlo stesso, che s' accorge
Della troppa umiltà, va riverente,
E lo scodo fatato in man gli porge.
Dicendo : A voi con vien veracemente,
Perchè in voi tal valore, o più si scorge,
Che già nel suo signor primieramente ;
E poi senza provar, tatti Intendemo,
Che in ogni parte a noi sete sapremo.
Però vi piaccia il prenderlo, e volere
Che del vostro Creaso l'asta sia.
Ride il famoso Arturo, e dispiacere,
Dice, non voglio a tanta cortesia .
E 'n memoria di voi m' aggrada avere
Il prezioso dono, e per tal via
Prenda l’asta Creuso: • ’l pregio porge.
Che gliel serbi Agraven clic presso scorge.
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ARGOMENTO
D i Segarono e di Clodin suo figlio
Piange t loda s so suH estremo fato ;
Quindi del re Pagar segue il consiglio
E i corpi ollien dal vincitor spietuto.
flrgnaiin A varco il pianto e la scompiglio;
Il duol di Claudiana è disperalo ;
Albina sviene sa Clodino e spira:
Degli uccisi guerrieri arde la pira.
*******
Drll. prore onorale ginn lo il Gne,
Dietro al famoio re parie riescano,
E dell* alberato unni trova il mnGne,
Ore la tele sua sazia e ’l digiuno ;
Poi «“h* allottando il sol I' aurato crine
Nell* onda Occidental, vien I* aer bruno,
Sorr’ aspro lettirrinol le membra stende,
E del luogo sudar restauro prendo.
Il
Ma *1 pio figlio di Ban la nuda terra
Presso al buon Galealto ha per sostegno;
Penta a lui sol, nè mai le luci serra,
Che di riposo aver si chiama indegno;
E di cure mortali eterna guerra
Si sente dentro al sen di doglia pregno,
Or su questo rivolto, or sii quel lato,
Or supino, ora io piè cangiando stato.
Iti
Tornangli tutte in cor I* alte fatiche
Che per terra e per mar seco «offerse,
E dove il del eoo le sue stelle amiche
I)i vittoria il rammin seco gli aperte;
Che ’l trovò sempre tal, che fra 1* antiche
Coppie fide in amar simil non tccrte ;
E non vuol più gradir felice sorte,
Or eh* averla con lui gli ha tolto morte.
tv
Avvolto in tai pensier, come I’ Aurora
Con le rotate mani il giorno adduce,
Risveglia, e chiama dii dormiva ancora
Della gente gradita, ond’ egli è duce ;
Poi con onta ta pompa trac di fuora,
Accesa intorno ampissima la luce
Di candide farelle, il gran re morto,
Ter locarlo del tempio al sacro porlo.
Ove con larghe lagrime portato
Sovra il gran limitare in allo il pose.
Dentro albergo di piombo, fuori aurato,
Che ’n fra drappi ricchissimi nascose t
D* attorno tutto il loco è circondalo
Di palme, e ’nsrgne sue vittoriose ;
Sotto a lui poscia slau di Segurano
Le spoglie appese di sua stessa mano.
(fli
Non perchè eternamente ivi dimore
Che per Ini non gli par fede assai degna.
Ma infin che sia di quella impresa fu ore,
K che «!’ Arturo in roauo Avarco vegna ;
CIT allora ei proprio con supremo onore
Nelle fortunal* isole, ove regna
Il buon sangue di lui per aspro mare
A* suoi liti paterni il vuol portare*
vu
Or mentre ciò facea dall* altra parte
Il misero Clodasso, e la pia moglie,
L' afflitta Claudiana han tante sparir
Lagrime a terra in angosciose doglie,
Ch‘ avrian mosso a pietà Bellona e Marte
K del fero l'Iulou le crude soglie,
Non pur la gente languida, ch'ascolta.
Or non men che di duol, di tema involta.
vili
Che r infelice popolo ornai vede
Ch* ogni saldo sperar s* è fatto vano,
Morto il suo valoroso Palamede,
Che 'I Britanno furor lecca lontano ;
Poi quel, nella cui mano avea pio fede.
Clic *n tutte 1' altre, il fero Segurano,
E I giovinetto re Clodia, nel quale
Parca fosse il rimedio d* ogni male.
tx
Pur del suo vecchio re sentendo il pianto
Lagrimando di lui, se stesso oblia ;
Che '1 velica dispogliato il reai manto
Chiamar la morir dispirlata c ria,
Diceudo : E perchè m* hai lassato tanto
In questo velo, oimè ! che s'io moria
Molti auni sono andati, il più felice
Era io del mondo, or sono il più infelice.
x
Ma pur potess* almeno in Unto duolo
Aver questo crudele aspro conforto.
Di vedermi ora iunanzi il mio figliuolo.
Qual* ri si mostre, insanguinalo e morto,
E potergli le piaghe affililo e solo
Di lagrime lavar, poi dargli il porto
(ih* alle spogliale membra ultimo dassi.
Di terra ornala e di marmorei sassi;
L A V A IV G II I D E
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t’ AVARO n IDE
XXV
Ivi trovati eh* a caso mi *1 mattino
Va il rampo visitando il pio Tristano,
Come la mandra suoi fido mastino,
A cni il lupo non sia molto lontano;
Riguardagli esso, e poi eh' è più ricino,
Vede il buon vecchio re, eh’ alia la inano
I)’ amicizia per segno, e sceso in terra
Domanda pace alla perduta guerra.
XX Iti
Il qnal tosto che scorge il ano Tristano
Con dolce salutar vicin gli accorre.
Abbraccia il collo, e slriogeli la mano,
E *1 face in ricco seggio appo se porre ;
Quand* ci gli mostra in abito ai strano,
E ’n lugubre dolore il re Vagorre,
Diceudo : Ecco, Cui manda altrui pielade
A trovar voi per si dubbiose strade.
XXVI
Dicendo : 0 invitto, altero, e chiaro germe
Del più onorato tronco, che mai fosse,
Umil li prego per le ornate e ferme
Virtù del sacro tao Meliadusse,
Che non voplia oggi alle fortnne inferme,
Ch* al lor più basso fine il cicl condusse
Giunger più peso; e vi sovvegna ancora
Dei re Vagorre, che fu vostro ogn’ora.
xxx in
Quando affisa la vista il cavallaro,
E l’ onorato re ben raffigura,
Sarge in piè riverente e poi : Qaal fero
Destino avverso, o quale aspra ventura
Qui conduce or, dicea, 1’ unico e vero
Mio padre antico, in cui posi ogni cura
Di servir sempre avvegna che la sorte.
N’ha date al guerreggiar contrarie scorte?
XXVIt
Quand’ ode il buon Tristan ebe questo aia
Vagorre, eh’ onorò mai sempre quale
Padre e signor, in bassa compagnia
Li si mostrava a prigioniero eguale,
L* abbraccia, e dice : E quale avversa e ria
Sorte vostro valor tarpate ha 1’ ale ì
Che da ai altero grado oggi vi veggio
D’ ogni servo più umil venuto al peggio ?
XXXIV
Indi in più degno seggio collocato.
Segue oltra: Or che comanda 11 mio signore?
Al qual nulla da me sarà negato,
E sia la vita ancor, fuor che l’onore.
Che d' alcun dritto amico domandato
Non fu giammai, che noi consente il core,
Cb* esser non può che di virtù ripieno,
Poi che candido amor riceve io seno.
XXVIII
Gli risponde Vagorre : Non mie colpe
Nè mio grave tentar soverchie impresa.
Ma il troppo amor, eh’ io porto altrui, m* incolpe,
E la pia carità pura e cortese
Verso il niiser Clodasso e me ne scolpe
La fé sincera, e 1 gran desio, eh' accese
Gli spirti in me di non lassarlo mai,
Ma seco aver comune il bene e i guai.
XXXV
Allora il vecchio re, poi che 1’ ha stretto
Al collo intorno, come pio Ggliuolo,
Comincia : O cavalicr, per gloria eletto
Del nostro mondo da chi regge il polo.
Non desir di mio ben, nè proprio affetto
D' alcun congiunto, disarmalo e solo
Intra l’arme nemiche m’ha condotto
Al cospetto venir di LanciloUo;
XXIX
E pregato da lui vengo in ano nome
A pregar Lanciotto, che gli renda
Morti il genero e il figlio, e gravi some
D' oro e di gemme per mercè si preoda ;
S* a voi piace il lassarme, e dirmi come
In ver lui più securo il passo stenda,
E supplicarlo ancor, s' ad uopo vegna,
Che svegli la pietà, che in esse regna.
XXXVI
Ma le vera pietà, ch'aver si deve
Degli avversari ancor, non pur de’ suoi,
Quando oppressi reggiani da peso greve,
E ’l potergli alleggiar sia posto in noi ;
E Lauto più a* all’ affannarsi breve
Lunga e ferma speranza segua poi,
Come a me avvien, che ’n pochi passi regno
A chi di cortesia sostiene il regno,
XXX
Non potè senza lagrime a Ini dire
11 famoso Tristan: Padre onorato
Non sol potrete voi securo gire.
Ove per chiaro amor sete invialo;
Ma voglio insieme anch'io eoo voi venire,
Infin di’ al padiglion v'aggia recato
Del uobil LanciloUo, dov' io spero,
Che'l vostro bel deaio si compia intero.
XXXVII
E che non ave a schivo l'ascoltare,
Chi da' nemici suoi preghiere porti ;
Nè che i duri nemici soglia odiare,
Poi che gli ha in suo poter battuti o morti ;
Ma le fortune afflitte consolare,
Posti tutti io oblio gli oltraggi e i torti.
Stimando, che ’1 perdono al vincitore
Più d’ ogn' altra vendetta apporti onore.
XXXI
Cosi detto, comanda die da’ suoi
Gli sia libero aperto e largo il varco.
Ove esso il primo, e gli vico dietro poi
Ideo col carro prezioso carco ;
Giuugon senza trovar chi ’1 passo annoi,
Ove il gran destra! tur di quei d* A varco
Sotto 1' albergo suo soletto alasse.
Con le pie luci aucor languide e baste.
XXXVIII
Per tai cagioni adunque, e ’n qnesla speme
Negar non volli al misero Clodasso,
Peggio or che morto, tal dolore il preme,
D’ ogni ben nudo, e di speranza casto.
Di voi pregar per le virtù supreme,
Per 1’ alto cor, che già mai sazio, o lasso
Non fu di bene oprar, che ’u voi dimora
Più, clic in altro mortai fioriste ancora ;
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L AVARCHIDE
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L AVÀRCHIDE
456
un
Così dello r abbracci» ; ed esso allegro
Del ricevuto dono a Ini risponde :
Figliuolo, io prego il eiel, che rivo e ’ulegro
Versi ogni bene in eoi, cbe ’n Ini s‘ tKMMC ;
Nè l’ ingombre pender noioso ed egro,
Ma qual plalao felice lungo Tonde
Allarghi e innalzi i chiari onor di voi,
Ch' avanzili quanti fur maggiori eroi.
UT
Iodi baciato a Ina T iovitla mano,
Con le tome bramale ai disparte ;
E via volando aurora era lontano,
Quando quei che rimiran d’alta parte,
Tosto il conoacon che calcava il piano.
Ove l’Euro con Tonde i liti parte;
E ben ponno alimar, die «eco avea
Il domandalo don che a' attendea.
tT
Onde il popol minor piò pronto e leve
Varca V onda d’ Oron fuor della porta,
E eoo voci di dnol noioso e greve
Al funesto venir t' è fatto scorta ;
E tanto ra crescendo in tempo breve,
Ch* all’ andar dei destrier tardanza porla ;
Pur Yagorre spronando quanto poote.
Fa largo il gire alle infiammale ruote.
tri
Or poi che dentro allìn l’alma cittade
Entrati son da' suoi virin ristretti,
Di donne e veccchierei Irovan le strade
Colme, e C ampie feoestre e gli alti tetti,
Che in triste note invocan la pietade
Degli dei lor per aiutargli eletti ;
E chi condanna in ciò de' suoi la colpa,
Chi *1 re medesmo, e chi fortuna incolpa.
tTII
Giunti poscia alla regìa, il gran romore
In più doppi »' innalza e vola al cielo ;
Clie ’1 vecchio re piangendo esce di fuorc
Coperto il sea di ceneroso velo ;
E del più ricco carro, ove il colore
Cangia l’aurato pio, tratto dal zelo,
Poi che Tesser tropp’alto il figlio impaccia,
Le ruote e i legni il miserello abbraccia.
LTIU
Nè per dolce pregare indi si svolge
Di dii ’l volesse in allo riportare ;
Che con men forza polipo s’ avvolge
In saldo scoglio, quando frange il mare;
E ’n verso il ciel le crude note volge.
Dicendo : O stelle rie, perchè forare
Mi voleste anco tjuel eh’ al duro fato
De* pegni miei piu caro era avanzato ?
u>
E se *1 voleste pur, perchè lassarme
In tale età canuta e sbigottita ?
Perchè non consentir, crude, privarme
Innanzi al suo partir di qoesla vita ?
Perchè di Lanciotto le fere arme
Non mi potean per via corta e spedita.
Troppo lor noia ornai del nostro sangue.
Net di stesso, che lui rendere esangue ?
ix
Cosi dscea : Ma poi che *n questi e molti
Tristi altri detti fu sfogato in parte.
Diè loco al fio, che da qnei seggi tolti
Far riportati i morti in larga parte,
E sovra letti splendidi raccolti,
Oy’ eran rose e violette sparte ;
E *n tra mille odorali e sacri forni
Ritocca l'aria d’infiniti lumi.
un
Ivi all’oso di lor locati intorno
Far molti instrntti del funereo canto,
I qoai con modo di tristezza adorno
Diero il principio al doloroso pianto t
Gli altri restando in tacito soggiorno
Sol co! sospir gli accompagnare alquanto ;
Ma dopo un breve star rarca di pene
L* afflitta Claudiana innanzi viene,
txn
Di scinta e scalza in rozzo abito osettro.
Di lagrime bagnata ; e T auree chiome
Sul collo sparse dell’ avorio paro
Eran fatte neglette e ’nrulte some ;
E eoo alto gridar, doglioso e duro
Segurano abbracciando, dice! Or come
Ti soffrì il cor già mai, dolce mio sposo,
D' esser ne* danni miei tanto animoso ?
uni
Non vi sovvenne, oimè, quando partiste ;
Partiste, oimè, per non tornar più vivo,
Che queste luci tagrimose e triste
Vedette e questo vel d’ anima privo.
Che con mille tmpromesse consentiste
D’ esser per amor mio qnel tempo schivo
Di gloria marzia), per non turbare
Chi più che ’1 vostro cor diceste amare ?
utv
Non vi sovvenne, oimè, eh’ io resterei
Col buon frutto di voi, eh’ ascoso porto,
Trofeo de’ Franchi e de' Britanni rei.
Senza soccorso, oimè, senza conforto f
Ch* a pena senza voi porrian gli dei
Condurmi, ahi lassa, in sì seeuro porto.
Che di mille atrocissime tempeste
Col faluro figliuol preda non reste.
UT
Or non pensate voi con qual periglio
Rimanga ogni smarrita vedovella.
Di sostegno nudata e di consiglio
Ov’ è più ad uopo nell’ età novella ?
Poi già sposa di tal, eh’ aggia vermiglio
II terren fatto in questa parte e ’n quella
Di si gran cavalier, dì tanti eroi,
I cui figli e congiunti odiano or noi ?
uri
Ma il maggior danno mio fosse pnr questo,
Che di tosto morir sarei contenta.
Ma il viver olir* a voi grave e funesto
Assai più d’altra morte mi tormenta;
Ben giare io questa man seguirvi presto.
Che da lei posso aver la vita spenta j
Ma del vostro figliuol pietà raffrena,
Che dell’ altrui fallir non porti pena.
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lì Ai V' XK G H LO È p >| ^45a^
uni
Rimarrà dunque viva, in fin ch’io mostre
Al buon fratto di voi 1* umana luce.
Sì eh* al mondo per me U glorie vostre
Non restin «oca erede e senxa dace;
Poi scorgendo il cara min le Parche noatre.
Verrò nel qnintn cielo ove rilaee
Vostra alma invitta in onorata parte,
Nel grembo assisa del loperno Marte.
unir
Che Coi canuti erio tovra le spalle
Sciolti ella ancora in dolorosi giri.
Alle, «nei, alle strida aperto il calle.
Ai singulti, alle lagrime, ai sospiri,
Menada appar, che nella Frigia vaile
Di Bererinaia sua la rabbia spiri ;
E cinta l‘ alma d' importatili duolo.
Stringe affannosa il misero figliuola.
utvnr
Ma perchè m’ ha negato fl doro cielo
L* esser con voi nel trapassare insieme ?
Ch’ almen v* avessi in amoroso xelo
Gli occhi composti, eh’ atra notte preme,
E ’1 da seno spirar trailo dal girlo
In sen raccolto con le labbra estreme i
E i detti ultimi vostri oditi avessi
Da rimanerme in eoe poi sempre impressi.
LXXV
Dicendo j O mio dolcissisno Ondino,
Di tosili altri già figli a me piò caso,
Ch’ assai dì qua dal naturai confino
M* ha tolti, ahi lassa, il erodo fato avaro.
Per man di quel erode 1, che ’l rio destiao
Creato ha solo al nostro sangue amaro;
Chi sovra la Tamigia, a chi so 1’ Era,
Chi dure il volse La sua aorta fera.
nix
Così dicendo, in lagrime e ’n sospiri,
In singnlti amarissimi si versa,
E con )’ unghie spietate in larghi giri
La bella fronte area di sangue aspersa j
Indi per raddoppiar gli aspri martiri,
Al misero Clodin ratta converta.
Gli cinge al collo le ondate braccia,
Come troncone o maro edera allaccia,
LXXV!
Ma voij che già il pritnier di tutte foste,
Che per mio sol tormento g et* reai,
Medicaste vìvendo ogn’or l' imposte
Piaghe di laro e gl' iofioiti guai,
Prrrhè mai sempre ia voi chiose e riposto
Le mie salde speranze collocai
E r»l voi sol mirare, in dolce oidio
Cadeva ogni peosier doglioso e rip.
un
Dicendo : O mio dolcissimo germano.
Che di tanti il miglior rimato a»' era,
Perchè eoi mio famoso Segorano
Ricercaste la notte innanzi sera f
Perchè ascoltaste, o miserello, in vano
De* due parenti, oimè, la voce vera.
Che troppo era il ralor giovine e 'ridotto
Per opporse con 1' arme a Laneilotlo ?
lxxvu
Or dove debb* io piò volgere, ahi lassa.
Gli orchi • la mente ad ingannarmi almeno?
D' ogni conforto e di sostegno cassa
Ritrovandomi, oimè, voi tale io seno?
K per mia maggior pena anco mi latta
La morte al mondo d'ogni tosco pieoo,
F. fa conira l'osanxa che ’l dolore,
Ch'ei non possa mancar, sostiene il core.
LISI
Ora come il membrar, che ss gran regno,
E si possente e bel del nostro Avarco
Non avea, morto voi, guida o sostegno,
Non vi fé* della vita esser piò parco ?
Pur vedevate ornai vicino al segno
Il vecchio padre dell* estremo varco.
Dopo il qual, dopo voi, dopo il mio sposo
Tolto n’è lo sperar, non che '1 riposo.
lxxviii
Qui larqoe alquanto, e poi novellamente
Rati bracci andò il figliool, doppia le strida;
Indi, eh* a Seguran volge la mente,
Altra «iva pietà ver lisi la guida.
Lo stringe e dice: O della nostra gente
Solo ferma speranza e scorta fida.
In quell' uopo maggior ch’avem di voi.
Quale aitila crude! v'ha tolto a ooi ?
UXII
Ma non V aspra Fortuna cootro a voi
Che vi godete in citi la pace vera,
Sfogò lotto il velen, ma contro a noi.
Di cui cruda lassò la vita intera,
Per farne preda e scherno esser da poi
Dell’ empia gente scellerata « fera,
E render queste mora eterno gioco
Degli avversari suoi tra sangue e fòco.
IXX1X
Ov’ ot” ri affi derem senza la mano,
Che tenea hioge altrui da queste mura t
E senxa il gran valor di Segurano
Come giare or fra noi rosa sicura ?
Deh prrrhè dal rio seme (lei re Baoo
Non v* aveste 1’ alte* ier piò larga rara ?
Prrrhè non preponeste all' ardir vostro
Della sposa il contento e '1 viver austro ?
uinii
Avria segnilo ancor, dii d'indi tolta
Fu di vecchie matrone e di donatile,
Ch' erano intorno a lei, da schiera folta,
Con dolce forxa e placide favelle;
Ma non men triste della gente accolta
Empion 1' orecchie gii roci novelle ;
Che la pia madre, l’ infelice Albina,
Con dure note al figlio s’ avvicina.
mi i
Non ai ipegnea per rifuggir quell* empio,
La fiamma antica della vostra gloria,
Nè si polca per un contrario esempio
Scnrar d'altri si chiari la memoria ;
Ma ben sovra di noi mortale scempio
Cade e sovra i nemici aita vittoria
Dal cercar troppo onor ; che mal conviene
A chi f esser di molti in se ritiene.
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uxn
Nè itnfi il vostro ardir forte «aria
Postoti in questa guisa a tal periglio
Qoel, cbe piò che la loci « P alma mia
Amerò sempre, il mio famoso figlio,
Che seguendo di voi l'altera via
Fece il ferro d'altrui di se vermiglio;
Così doppio apportò daono e dolore
11 gran vostro ostinato e 'nvitto core,
unu
Così diceva ancor; ma la trist'alma
Gii di vigor mancando, avvinta e frale,
Cadde I' afflitta vecchia, itnmobil salma
Del gener morto, e respirar oon vale ;
L' altre donne d'intorno palma a palma
Battendo delle mau, grido mortale
Spargcan per la gran loggia, che durato
Fora iofioo all» notte io tale stato s
LXXXIU
Ma con molli altri il saggio re Yagorre,
Ch* a ciò ch'era da far 1' ordine impone,
Fa la vecchia regina indi ritorre,
E sovra oscuro letto la ripone;
Così fa Claudiana, a coi soccorre
Con ricordi paterni e con ragione,
Diceodo: Non conviene » nobil core i
Darsi io preda soverchia del dolore;
UXltV
E vi dee sovvenir che faste sposa
Di chi d' ogni valor portò 1' insegna,
E cercar di far fede io ogni cosa,
Che di tal eavalier nasceste degna ;
Il dimostrarli trista e dolorosa.
In Gn do*e arrivar virlude insegne,
Merla lode d'altrui; ma il troppo poi
È da vii femminella e non da voi.
liut
Cosi dicendo, a ricercar •' invia
Il vecchio afflitto e misero Clodasso,
E 'I trova ascoso in allo, che foggia
La turba, il mondo e se medesmo lasso,
£ gli parla : Signor, forse saria
Il miglior di mandar eoo ratto passo
Dentro al frondoso bosco sgoti ferri.
Per querce ivi atterrar, frassini e Cerri :
L XXX VI
E tolto apparecchiar, che nell' aurora
Cominciamo a drizzar le sacre pire
So la piazza reai ; che ogn' altra fora
Angusta e '1 fiammeggiar porria impedire
Oprando si, che oon Irapaise l'ora
Di poter poi le ceneri coprire,
E far quanto ronvien, pria che ritorni
Al fine il sol dei nostri dati giorni.
lxxxvk
Però che Lancilotto al partir mio,
Olirà ogni cortesia che volle usarme,
Mi promise la fé, chiamando Dio,
Nel duodecimo di non muover arme.
Per darne spazio al santo ufficio pio
Dovuto a' morti ed al fanereo carme :
Ed io no 'I refuta', però mi pare
Che si debba al bisogno il tempo osare.
Lxxxvin
Risponde il doloroso: O dolce amico,
Fate por senta me quanto v' aggradai
Cht 1' angoscia non lassa al senno antico
Di partirme di lei trovare strada,
Ma il vostro disegnar confermo « dico,
Che con passo sollecito si vada
A dispogliar la selva più vicina,
E dar poi loco alla pietà divina.
LXXXIX
Non ritarda Vagorre, e tosto chiama
Tatto il popoi d' A varco in ogni loco,
Diceodo : Chi *1 suo re, chi ’l dover ama,
Porti I' esca silvestre al sacro foco
Ove i chiari signor d’ eterna fama
Per difesa di voi curar si poco
Le proprie vile, che abbattute e spente
Himaser lasse alla nemica geute.
xc
Né tema alcun l' insidie de' Britanni,
Perchè di Lancilotto ebb’ io la fede,
Che sicuri viviam d'oole e di daoni,
lofio che '1 sol duodecimo non riede.
Non vi rimate alcun di robusti anni,
Ch' al suo dolce pregar subito il piede
Non rivolgesse ai boschi men lontani
De' suoi ferri miglior cerche le mani.
xo
Chi possente cavai, chi carro adduce,
Chi di se stesso ancor grava le spalle;
E *o fin che 'I nono di con l'alba luce
Si sentio risonar d’ Euro ogni rallet
Che chi torna a pigliar, chi riconduco
Gli arbori indietro per I* itlesso calle)
Chi con la scure sua la selva atterra.
Chi l'incarco d'altrui corregge e serra.
xcn
Poi cbe *1 decimo giorno io cielo apparse,
Sopra l' ioslrutle pire si portaro
1 dodici guerrieri, ove fur sparse
Molte strida più gravi, e pianto amaro
Mentre il sute iplcndeo, ma poi che scarse
Fur di lume le piagge, c si mostrerò
Le stelle aperte in cielo, in più d un loco
Fn d'esse acceso il sacrosanto fuco.
xeni
E Claudiana, ov’era Segurano,
Le biondissime sue famose chiome
Tolte al capo reai, di propria mano
Esser fe', lassa, preziose some ;
Poscia io suooo alto, che s' odia lontano,
Richiamando tre volle il chiaro nome,
Disse : Del nostro amor vi risovvrgoa,
Fin eh 1 a tornar eoo voi mi scota degna.
*ctv
Ma il feroce Volcan già verso il cielo
Le cornate sue fiamme ravvolgea,
E I silenzio, I' umore, il fosco c '1 gielo
Dalle notturne tenebre scolea ;
Nè men che soglia il bel sigaor di Deio,
Avarco intorno di splendore empirà ;
Poi compita la notte, in lui s' ammorza
All' arrivar del di l'esca c la forza.
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-
L AVÀRCHIDE
S3
,
xcr
Coi generosi via ciascuno allora,
Ove ha il piò caro pegno, ai raccoglie,
Ed al pirciol calor, che rive ancora,
Con largo riversar gli apèrti toglie ;
La vecchia Albina io quello in cui dimora
Il suo raro Clodia, l’anfora icioglie j
La sua figlia all* Iberno: agli altri poi
] piò congiunti van di talli i aooi.
xcvt
Lì di lagrime pie bagnando i volti,
Le nnde ossa, e le ceoeri trovale,
In delicati Iva di seta avvolti
Hanno in piò saldi nodi riserrale :
Alle qoai poscia, in vasi aorati e colti,
Ove non spiri l'aria, collocate,
Dier di lucenti marmi altero albergo,
Scollo di lodi lor la fronte, e ’1 tergo.
t
I
i
I
FINE DELI.’ AVAIICHIDE
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DEI NOMI PROPRII E DELLE COSE NOTARILI
cont&nutc
NELL* AVARCHIDE
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AVVERTIMENTO
— <. —
Il numero romano indica il canto, l'arabico la »lunza.
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INDICE
DEI NOMI PROPRII E DELLE COSE NOTABILI
contenute
NELL’ A V
A R C II I D E
A
pilani, XIV, 5 , 6 . Segue il loro parere, e
lenta la pace con Lanciotto, 18 e seg.
Ascolta la ripulsa di qoeslo, 100. Si de-
sta la notte e raccoglie nuovamente il
consiglio, XV, 1 e seg. Libera Sanzio
al fiondano, II, ? 3 ; XIII, 77; XVI. ito;
prigione di Fiorio, it 3 . Sua armatura,
XVIII, 1^.
XVI, 4 alla 3 a. Parla alle schiere, 36 e
Agraveno, fratello di Gaveno, II, 75; XIX,
seg. Si mnove colla sua schiera e ucci-
11 a. Suoi giuntiti ne' funerali di Galeal-
de molli d‘ Avarco, 87, 88, 8<j e seg.
lo, XXIV, .88.
Pugna con Palamede, 1 0 3 e seg. Asta-
Agrrval, II, 78.
lito da molti e difeso a vicenda per eoi
Agrogero, li, 161 ; V, 19, 3 jj XVIII, S7.
si fa grande battaglia, lia e seg. Sue
Dissuade (.Imiino ila) pugnare con Lao-
parole al re Lago, XVII, 10. Accoglie
rilutto, XXIII, 56 e seg.
Lancilotto, XXII, 4 * 5 . Sue parole a lui,
Albina, moglie di Clodasso, Vili, 3 <j_. Soo
1 5 e seg. Lo ooora dopo la vittoria ri-
addio a ('.lodino thè va al campo, 98 1*
portala per esso, XXIV, ^ e seg. Gli
se". Invila le matrone a porger roti a
dona la spada di Utero, it. Ottiene da
Pallide per la vittoria de' iaoi, IX, 3 ir
lui il premio della vittoria ne' funerali
teff., 53 e se*. 77. Soo pianto mi corpo
di Galealto senza provarsi ne’giuoehi, ao 5 .
di (.lodino, XXV, 73, muore 8 a.
Arvinn il l'elione, duce de' Pomerani, II,
Alibello di Logre», li, jG. Contende nel
« 53 : XVII, Ììl
cono, XXIV, 171.
Avarco, cittì assediata dai Britanni, 1 , 6 ed
Amillano, II, io 3 .
altrove.
Amoral di Gallia, II, n{. Ferito, è medi-
Avirago, II,
cito da Galealto, XVII, ito.
Androidi ed Erogino, VI, 86, 87 e seg.
Argano ro, II, 96.
Arturo. Alterca con LancSIotto, I, 4 » r
se*. 71, 7». Adonai capitani per assalire
n
A varco, li, 1, 8, i _5 e seg. Sua preghie-
JLJ
ra prima della battaglia di Gaveno e
Clodino, III, 44 * Ordina 1 * ripugninone
d‘ Avarco, e rivede le schiere, IV, 5 , e.
seg. Le inanima alla battaglia. Vili, a e
Ijaodegamo, padre di Bfaligante e di Dan-
seg . Suo valore, ti < seg.; X, 10. Di-
degamo, II, loo.
Moglie Gaveno dal pugnare con Segura-
— - fratello di Mitigante porla il nome
no, ed estrae a sorte il nome del cam-
di suo padre, II, iou. Suu valore, XIJ 1 ,
pione, 19 e seg. Accetta la tregua prò-
76 ; XV, 3 a ; XIX, iz. Contende nel
posta da Clodasso, XI, 5 a e seg. Assale
corso, XXIV, 172.
Avareo, XII, 37. Respinto con perdita,
Randuino, II, i 5 o.
61 e. seg.; XIII, a£. Conforta le schi e-
Bano, re spogliato del regno da Clodasso,
re, iS t seg. Entra co* suoi in battaglia,
1, 3..
5 a e seg. Sue parole a Lionello, Si e
Bareno, II, a 1 5 ; XII, 80, 10 a. Sua prò-
seg. Iodi all' esercito fuggiti vo, il e se*.
va dell'arco, XXIV, aot.
Loda Maliganle, £1. Si consiglia co’ca-
Blanoro, II, m; XIII, 78; XIX, lL
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4
INDICE DELLE MATERIE
i<]
Blonbtruie, II, tia; XVI 11 , t|, a»; XIX,
la. Abbattuto da Separano, 3 i, 3 a.
Coorte, re di Gare, I, 3 a; li, i)8. Nipote
del re Bano, ili Sue pesta, V, So; VI,
i e seg. Ferito da Draaeheno, a£. Fa
strage de' nemici, li e seg. Anima i
suoi, VII, 9. Pugna con Clodino, la e
seg. E eoo altri, ijr. Sue parole al re
Lago, 46. Risponde ai delti di Segura-
no, 75. Pugna eoo lui, 77. E con Pa-
lamoro, XII, 49, 5 o. Salva il re Lago
abbandonalo dai Britanni, ILS r seg. So-
stiene la foga de' suoi, 84. Chiamato a
battaglia da Separano, 98, 99. Opponii
a Separano, XIII, 9, iS, 19. Uccide Ito
ed altri, 4 ** Pugna contro Bruooro e
Rossano, 49* Ambasciatore a Lancilotto
per pacificarlo con Arloro, XIV, i£ Sue
parole a Lancilotto, 85 e seg. Pugna la not-
te, XV, 99, 107. Chiamilo in soccorso
da Maligaole, XVI, 6a, 62. Pagna con
Segurano, 69 e seg . Indi con Palamede,
flj e seg. Soccorre Arturo, 1 1 5 < seg.
Difende V insegna reale, XVII, 54 « 56 .
Abbattuto da Segurano, 60, fii, 70. Sue
ferite, 78. Sor parole a Galrallo che lo
risana, 90. Contende nel corso, XXIV,
»?»■
Rr alleno, II, 1 oa ; XVI, ito, 1 » 3 .
Bronadasso, II, » 56 : XIX, 5 ?« Avvisa Pa-
lamede della strage che fa Laucilollo dei
suoi, XXIII, a c seg. Ucciso da Lanci-
lutto. 3 a.
Bruco, li, 94.
Brunuro, il oero, II, 1 Sa. Suo valore, V,
1 5 , a 5 . 69, 86. Avvisa Separano e Clo-
dino della fuga de' suni, VI, 69 e seg.
Ordina la battaglia, VII, 5 . Suo valore
X, 6; XIII, IO, |S; XVIII, So 69. Chia-
ma Segurano per espugnar il vallo dei
Britanni, ;a e seg. Lo raffrena nel trop-
po suo impeto, 83 * Suo piano d' assalto,
85 ; XIX, 5 jJj 90, 94. Suo consiglio a
Tristano, XX, 1 19. Pugna ma Laucilot-
to per vendicare la morir di suo fratello
Dinadano ed i ucciso, XXII, non/ fine.
Butlarino, guida i Noriri, II, 1 5 ? ; XVI,
79, 119; XXIII, 8_ij 85 . Ucciso da Lan-
cilotlo, 91, 97.
C
Calarlo, ir, XII, Sii XIX, ini
Caradusso Brebatio, porla la reale bandie-
ra britanna, li, 140; Vili, 1. La deca-
de eroicamente, XVII, sj e seg. Si pu-
gna pel soo corpo, XV 11 I, a e seg.
Childeberlo, figlio di Clodovco, 11 , sao;
Vili, » 3 ; XIX. > 1 5 .
Claudiana, figlia di Clodatso, I, a. Prigio-
niera, cL Sposa di Separano, 10. Gli di
l'addio prima della battaglia, 1111, 71
e seg. Suo dono a Pallade, IX, 53 e
seg. Suo pianto sul corpo di Segurano
XXV, &j e seg. E sol corpo di Clodino,
69. Taglia le sue chiome per la morte
di Segurano, q 3 .
Clitomcde sacerdote, profetizza a Clodasio,
Vili, 47. Accompagna le donne reali al
tempio di Pallade, IX, S6. Narra le ge-
sta di Segurano, gju Offre i trofei dei
nemici vinti da Clodasao, a Marte, 109
e seg. Sno discorso al popolo d' A varrò
nel seppellire gli uccisi, XI, 86 e seg.
Cludamiro, figlio di Clodoveo, II, sai ;
Vili, 1A: XIX, 116.
Clodasso. re d’ A varco, I, 7. Soo seggio,
111 , 16. Accorre al rampo per la batta-
glia di Clodino e Gaveoo, H Sua pre-
ghiera prima di questa battaglia, 49*
Chiama a sé Segurano e Clodioo, Vili,
34 e seg. Invita il popolo d'Avarro al
tempio di Marte, IX, l! e seg. Suo pa-
lagio, 18 e seg, Sua discendenza, 5 o, 5 i.
Offre a Marte i trofei de* nemici violi
nella sua giovauezza, IX, 85 e seg. Pro-
pone oua tregua per sotterrare i morti,
e condizioni di pare, XI, 9 e seg. Soo
dolore vedendo Clodioo in battaglia con
Lancilotto, XXIII. 6_B e seg. Soo pianto
per la morte di Cludino e di Segurano,
XXV, 7. Suoi doni a Lannlollo per a-
verne i dar corpi, 17 r seg. Suo pianto
sui due radaveri, 5 ?.
Clodino, figlio di Clodasso. drtto il Marte,
guida i vassalli del padre, 11, 178, 179.
Sfida a singolare battaglia i cavalieri
Britanni, 3 , LU. Accetta da Gaveoo ter-
minar la guerra con la battaglia d'essi
due, ix. Pugna roo lui, e seg. S' a-
stirne dalla mischia, V, 3 ; VI, 77. Pu-
gna, 86; VII, 1 e seg . Pugna con B nor-
ie, i_ 4 _- Chiamalo in Avareo da Clodas-
so, Vili, 34, 15 e seg. Conforta sua
madre Albina, 108. Suo valore, X, 5 , 6
e seg. Suo consiglio a Clodasso, XII,
za. Accorre all’assalto notturno de' ne-
mici, XV, 78,91. Suo valore, XVIII,
So. Teme di GaTeallo sotto l'armi di
Laucilottu, XX, 4 ? * seg. Abbattuto da
Galealto, 61 «//a 73. Portasi contro I.ao-
rilutlo, XXIII, 49, 64 e *rg. t 86. E da
loi ucciso, 90.
Clodoveo, re de' Franchi, manda i suoi fi-
gli a pugnare contro A varco, li, a 1 9 ;
c sono, Clùldcberlo, Clotaro, Cludamiro
c Teodorico, izo, lai, saa.
Clotaro, figlio di Clodoveo, li, lai ; VII/,
»_i_i XIX, 116; XXIV, 83 , $ 3 * 107.
Condevallo, II, q 3 .
Conooe, li, q 3 .
Costante, II, 93.
Crenso il Senescial, li, 85 ; V, a6 ; XIII,
90. XXIV, ao 5 .
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INDICE DELLE MATERIE
-
il e srg. Difende la reale interna, 5 _|j
5 5, 58. Sur ferii*. Iti. Pugna cui cesto
contro Taalaaao. XXIV, i 47. Vince. » 54»
Furtooalo, II, iMj XVI, 119 ; XVIII,
l4j XIX, ulL
Diradano, fratello di Brunoro H nero, II,
1 53 . Soo valore, V, 1 5 : XVI, iti ;XIX,
57. Pugna con Lancilnllo, XXII, 86 r
tre. Ucciso da lui, 9 5 .
Drianle • Lieo, VII, 5 ;.
Drumcno, dure de’ Boemi, II, 1 55 : XVIII,
a8, h. Urciioda Lancilnllo, XXII, liti.
Druscheno il perfido, II, 174. Ferisce Ga-
veno Hi strale • Iradimento, 111 , 86 e
teff., VI, io. Ferisce Boorle, 2 4 - Ri-
aponde a Verralto e pugna con la lancia
contro Boorle ed è ucciso, 4 >, 13 c se S-
E
Italia, sorella d* Ari uro, II, 80.
Errilo, figlio del re Lago, II, io 5 . Soo va-
lore, V, 6 e sre-y 4 a. 43 £ **$• Sue pa-
role al padre che venne io ino soccorso,
54. Lui soccorre a vicenda, 60. Salvalo
da Boorle, Sa. Pugna, 97» Assale not-
turno il rampo nemico, XV, 6 o. 74. 84 :
XIX, 36 j jS. Contende ne' giuochi nei
funerali di^Galeallo, XXIV, 86, £x e
teff ., 109. Rimprovera Lanciotto che
donava a Perse-valle il cavallo di Palame-
de a lai promesso, ni. Dona lo stesso
cavallo a Gaveno, 48 <* *c».
Erogìno ed AndroCla, VI, 86, 87 e srg.
EacUborre, li, ijoj VI, 6; XIX, uiL
Estero, II, 1 54 . Ucciso da Lanciotto, XXII,
Ifiie
F
Farano, duce de’ Sassoni, II, i 54 . Ucciso
da Lancilolto, XXII, 1 o 3 .
Ferrandone, II, 169 ; XII, 5 a.
1*' io a iso il bianco, li, 98. Coo tende nel cor-
so, XXIV, I 7 a.
Fiorio il Toscano, II, 128. Assale nottur-
no il campo nemico, XV, 60, 70, 83 ,
90 ai, 1,1 » XVI, n 3 , 125 . Soccorre
Paradosso e pugna cuu Palamede, XVII,
G
O’jlrallo, signor dell* isole lontane, amico
di Lancilolto, I, IL Cerca di pacificare
Lancilntto e Artnrn, 45 . Fedele amico
del primo, II, 1 36 . Soo regno c genti
ivi e srg. Va al padiglione di Boorle
ferito, XV, 84. Parla ad esso della
ira di Lancilolto, «^ 5 . E promette di pu-
gnare colle sue schiere, 98. Parla a Lan-
cilotto dello alato del campo Britanno,
XIX, 120 e srg. Indossa l'armi di Lan-
ciotto, XX, 1 e srg. Suo scontro di lan-
cia, 40 46, Li f srg. Pugua con Separa-
no, &£ r srg. E ucciso da quest», 102.
Appare a Lsncilutlo io sogno, XXIV,
4 > r srg. Sue esequie, 54 c sig. Sua
sepoltura, XXV, 4, 5 , 6.
Gaiindo, lì, 1 63 : V 19 ; XVIII,
Ucciso da Gateallo, XX, C srg.
Gallinante, figlio di Girone, IL liu XVIII,
23 . Ha in dono da Lancilolto una spada,
XXII, Sj r srg.
Ganesmoro, II, 79 ; XIX, IL Sua prova
dell’ arco, XXIV, 200.
Gargantino, II, 72: XVIII, lL Suoi giuo-
chi oc* funerali di Galealto, XXIV, 187.
Gaveno, signore d' Orcania, I, 2. Odia
Lancilolto, ivi. Lo calunnia nel consiglio
d'Arturo, 4 r se P- Consiglia di dar l'as-
salto alla cittì d'Avarm, II, 3 u. Sur gen-
ti, 79. Figlio del re Lotto e di Elia so-
rella d' Arturo, 80. Guarda il destro cor-
no dell' esercito, III, 4 - Accetta la sfida
di Clodino, 1 3 e srg. Pugoa con questo,
66 e srg. Ferito da Dru«cheno, 86. Par-
la contro il re Lago, che consigliava la
pace proposta da Clodasso, XI, 45 . Pu-
gna, XII, 60. Sveglia i capitani e radu-
na il consiglio, XV, 4 <* •*'*£• Abbraccia
Lancilolto, XXIV, 20. Contende nr "giuo-
chi funebri, 84, 9^ C 109 146 e srg.
Girone il Cortese, II, iJLl.
Giuochi funebri alla tomba di Galeallu,XXVJ,
11 e «I*
Gooebaldo il Gero, Borgognone, II, •Ìli
- V, ij£. Suu consiglio a Clodasso cd ai
capitani d" Avarco, XI, 26 r srg.
Gosscmaole, dello il Core ardito, II, 85 .
Sue gesta, IV, 98; XIII, 78. Sortito ad
assalire notturno il campo nemico, XV,
6^, 7 5 , 84; XY 11 I, lLì XIX, 1 2. Uc-
ciso da Segurano, 28, 29.
Graccdono, dalla vallea, H, s 64 ; V, 13,
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INDICE DELLE MATERIE
3 ìi XVIir, in XIX, ij. Ucciso d.
G «lesilo, XX, 76, 77.
Grifone, li, 1 58 . Sno valore in battaglia,
X, a ; XVII, So ; XIX, Ucciso da
Tristano, So.
Gondcro, U, 77.
I
Ideo, II, lÌQs A raliio di f.lodatso. Vili. 34 .
liba, generale di Teodorico, II, 1 7 7 ; XIX,
113 .
Ivano, II, 87.
L
Lago, signore delTOrcadi, cerca di paci-
ficare Lanrilotto ed Arturo, I, fio, 61 r
seg. Ragiona della guerra con quello,
li, 7, 1 3 . E parla in romiglio, a 4 * trg.
Sue genti, io 5 . Guida il sinistro corno
dell'esercito, in loogo di Gaveno ferito,
IV, 5 a ; V, 3. Soccorre Eretto suo figlio,
48 e trg. Suo valore, Sj r. trg. Soccor-
so da Boorte, Si. Pugna, q 6. Ritorna ai
sooi, 107,108. Sue parole a^oorte, VII,
44, Contro Segurano, 96. Propone
Tristano per combattere contro Segorano,
X, jJ, (i. Propone una tregua per sot-
terrare i morti, XI, 3 e trg. Suo discor-
so in consiglio per la pace chiesta da
Clodasio, 4 * c seg. Suo valore, XII, fio.
Lasciato esposto ai nemici dai Britanni
che fuggono, 6JL Consiglia di pacificare
Arturo e Lanci lotto, XIV, ia e srg. De-
sto da Arturo, XV, IL Soccorre i suoi
contro Verrai lo, XVII, 3 . Parla ad Ar-
turo ferito, fi e ttg. Rinnova la pugna,
1 S. a 3 . Consiglia Galealto d'ottenere
Tarmi di Lanciotto, onde impaurire i
nemici, 100, 107. Si oppone a Segurano,
XIX, Lì e trg. Ordina la battaglia, XXII,
a 4 » Risponde a Lancilollo che propone-
va serbare il digiuno fino a che fosse
vendicato Galeallo ucciso da Segurano, io.
Ricorda il valore della tua giovanezza,
XXIV, ai. Suoi consigli ad Eretto per
ben guidare il cavallo oella corsa, 87 e
seg Ha io dono da Lanciluttu uoa taz-
za, tal, taa, 1 ai .
Lambegu, ajo di Lancilollo, II, 1 35 - Cer-
ca di pacificarlo con Arturo, XIV, 35 .
Suo discorso a Lancilollo, 67 r trg.
Lancilollo, odiato da Gaveno, I, a. Sue
risse con questo, lì e seg ., ìix Giura
di non pugnar più per Artnro, 73. Si
lamenta di luì con Viviana, 75 e trg.
Non comparisce oella revista delT eserci-
to britanno, lì. s 33 . Accoglie gli invia-
ti d* Arturo, XIV, 3 ^. Nega di pacifi-
carsi con Arturo c ricosa ogoi offerta, 5 jj
e seg. Resiste alle preghiere di Lambe-
go, 80 e trg. E alle parole di Boarie,
Q i • Manda Galealto a sapere di Boorte
ferito, XVII, 83 . Concede a Galealto di
E ugnare per Artoro, XIX, ia4 e seg.
o veste delle soe armi, XX, i e trg.
Suo dolore per la morte di caso, XXI,
7 e teg. t a a e seg. Riceve da Viviana
nuove anni, incantate da Merlino, 3 * r
seg. Suoi illustri discendenti acolpiti nello
«cudo di Merlino, 54 al fine. Parla ami-
chevolmente ad Artoro, XXII, 4 e seg.,
ai. Serba il digiuno per la morte dell'a-
mico, a^ ÌL Suo valore. 5 a. Dona una
spada a Gallinante figlio di Girone, 57
e seg. Fa strage de’ nemici, jo r. seg.
Uccide Dinadano, 86 alla 9 5 ■ Ed altri
cospicui, 1 o 3 e seg. E Brunoro, 1 1 5 e
seg. E Palamede e Brunadasso, XXIII,
>4 e seg. E Clodino ed altri, 78 eseg. %
alla ioa. E Segurano, 1 1 4 * al fine.
Onorato dal re e dagli altri capitani,
XXIV, I C seg. Abbraccia Gaveno, att.
Gli apparisce in sogno Galealto, £a e
seg. Invita l'esercito ai giuochi fooe-
bri, 60 e seg. Porge i doni ai vincitori,
107 e seg. Ed una tazza aire Lago, lai
c seg. Premia i lottatori. t 3 q. E i vin-
citori del cesto, 1 56 . Della giostra, 167.
Della corsa, 180. Del disco, iga- Da ad
Arturo il premio scusa ch'egli si provi,
306. Suo dolore per Galeallo, XXV, a.
Concede al re Vagorre i corpi di Clodi-
no e di Segurano, 4 * e se K‘
Dandone, II, 94. Contende nel corso, XX IT,
»7 3 .
Lieo e Driaote, VII, 57.
Lionello, II, 118. Nipote del re Bino, III,
4. Contro Segorano, XII, 76 e seg. Suo
valore, ioa. Sue prodezze coll' arco, XIII,
54 * Sue parole ad Arturo, 58 * 5 ^ e seg.
Saetta parecchi altri d’ Avarco, £_ì rseg.
Pugna a cavallo e fa strage de* nemici,
66 r seg. Assale notturno il rampo ne-
mico, XV, fio, 6a. 68* 8a. Pugna pel
corpo del re Caradosso, XVIII, e seg.
Soccorre la schiera di Gaveno, 5 JL Al-
lontana co' dardi gli assalitori del cam-
po, XIX, 5 <j e seg.. 73 e seg. t 89. Sua
prova dell' arco, XXIV, aitu_
Lodaganta, sorella di Ginevra, promessa da
Arturo io isposa a Lancilollo, XIV, 38.
Lolaro, capo degli Alatnansii, II, taS.
Lotto, re, guida gl' Iberi, II, 175; VI, ia M
Lucano, II, 76; XIII,
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'
HI
.
O
IMalchino il grosso, II, 97. Luti» ne’giuo-
Odoacrc, re degli Broli, II, 178.
chi funebri per Galealto, XXIV, i3o.
Ottono, verare amico di Sirambro, II, t a 4*
Mitigante, re di Gave. Partecipa all' eser-
cito il consiglio d' Arturo e de' capitani,
II, 4* f teff. Figlio di Bandegamo re di
Gorre, 83. Pugna, XII, 53. Fortifica il
campo krilaooo assalilo da noc'd'Avar-
co, XIII, 71 e seg. 83. Ambasciatore a
Lancilotto perchè deponga 1* ira e pegni
contro i nemici d’ Arturo, XIV, 34* Suo
discorso a lui 4> e Desto da Arto-
Oxzooelio d* Bstraogorre, XIII, 78.
P
Palamede, cavalier d* A varco, I, ll Re
ro, XV, lG. Assale notiamo il campo
nemico, 5g, 6a, 73, 14*4*. to3. Sostie-
* degli Ebridi, II, 1 5o. Sue gesta, IV, 64
ne l'assalto di Seguraoo, XVI, la» Po-
r srg.; XII, 48. Pugna con Tristano, 56.
gna con Rossano, 7$. Giostra col cara-
Indi contro Boorte, XVI, 78 e srg. Ac-
lier Norgallo, XXIV, 1 5o e teg. Con-
tende ne* giuochi funebri, 189.
corre alla difesa de* suoi contro Arturo,
97, io». 108. Tronca ambo le mani a
Mambrino il saggio. Conforta i suoi, VII, 107.
Paradosso, XVI, ag. Pugna con Fiorio,
Manderò, li, 91. Contende nei corso, XXIV,
3a e srg. E con Palamede, 45 e srg.
172.
XIX, 57, Avvisalo da Brnnadasto
Mandrino, II, &8_i XIII, 78. Chiama Tri-
della strage che fa Lanrilntlo de* suni,
stano in soccorso di Gaveno, XIX, 99.
portasi contro di lui, XXIII, 5, 1 4- Pu-
Marabon della riviera, II, 166 : V, 4 7 v 83-
goa con lui, in. Retta ucciso, 43.
Margondo, II, 63; V, 19; XVIII, i4;
Palamoro, 11, 6 a_l VI, 4. Invido di Sego-
XIX, 5JÌ. Ucciso da Galealto, XX, 7 4, 75.
rano per amore di Claudiana, lo avversa
Malanasso, II, »65, 1 66: XVIII, «6. iq, la,
Massimo, fratello di Vittorio, figli di Ciò-
nel consiglio d* Avarco, XII, 10 e seg.
Si mostra valoroso nel difendere la cil-
dasso, I, 7.
ti. 46 r seg. l'uena con Boorte, 49, So-
Mcliasso il bello, di chi figlio, II, 87 ;
Suo valore, XVII I, 60; XX, 44.
XIX, 3G. Contende nel corso, XXIV, 1 7».
Merangio della Porta, II, 1 7» ; XVIII,
Pandragooe Utero, padre d* Arturo, I, 29.
Figlio di Vortirnero, »W.
Merlino. Alcune cose di lui sono oarrale
Palride, V, io3.
da Viviana, I, ^3 r seg. E padre di
Pelinnro dì Nortombria, II, 71. Guida gli
Taurino, li, 5a.
arcieri, HI, 4- Contende ne’ giuochi fu-
Meroneo, capo degli Alamanni, II, saS.
nebri di Galealto, XXIV, 188.
Mor assalto, II, LZi» Vi, ao; XV HI, LL-
IN
Pellicano, figlio di Merlino, medico, lì,
9°i IL
Persevalie, II, 114. Assale notturno il cam-
po nemico. XV, 6^ 75. Ferito è medi-
calo da Galealto, XVII, no; XXIV,
84. g3 e seg.
^abon, figlio di llosmunda e d Alarico,
R
Pione, re. Conduce la salma di Galcalto
duce degli Aquilani, II, »5 q ; V, 19.
Ucciso da Galealto, XX, 54, 55, 56.
Nero Perdalo, II, 1 56. Suo valore, X, 7;
XVII, 5oi XIX, ijj XXIII, 8^ 85.
Ucciso da Laocilotto, toa.
Nestore di Gave, II, 117; XVIII, 17^ a8.
a Laocilotto, XXI, 1 e seg.
3i ; XIX, 89 ; XXIV, 85, g_3 e srg. sai.
Roderro detto il crudo Alano, II, 176 ;
Norgalle (cavalier di). 11, tot. Assale noi-
VI. an.
turno il campo nemico, XV, 60, 69, 8 a ;
Roribano, re, XXIV, 5a.
XVI, si3. Soccorre Fiorio, XVII, 43.
Rossano il Selvaggio, lì, 1 58. Sua batta-
Pugna con Palamede, 4S e srg. Pcrcos-
glia con Roorte, VII, sa e seg. E con
so da Seguraoo, 5 ^ Gìl. Giostra con Ma-
altri, X, 8- Pugna con Maliganle, XVI,
bgaote, XXIV, iio e srg.
74. Iodi per avere il vessillo reale bri-
—
tanno, XVH» 5o, 55. Ferito, XVIII, lì.
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l
Serbino, figlio di Merlino, medico, II, 90,
q 1 . Medica Gaveno, III, 98.
Sicambro, vecchio c un o<Je «le'qnatlro figli
di r.lodoveo, II, 1*4; XIX, 1 1 5 .
Smnundu, figlio di Guncbaldo, II, (87.
Salerò, fratello di Palamede, li, « 7 1 ;
XVI, 119; XVIII, 3 *. Teme per tuo 10
battaglia eoo Lancilollo, XXIII, 8.
Sanzio, fatto prigioniero da Fiorio, e libe-
ralo da Arturo, XV, ine scg.
Segurano. Sputa Claudiana, 1 , in, Suo va-
lore, II, 146, IÌ7- Sue genti, 149. Guar-
da dalle porte d' Avarco la battaglia, e
ragiona con Brunoro che veniva a lui
per toccorto, VI, 81. Coirà in battaglia,
VII, 37, 56 . Sue gesta, «Vi e scg. Suo»
detti auoorte, 69^ Pugna con lui, 79.
Uccide molli britanni, 84 < ?• c
srg. Chiamato in Avarco da CUdasso,
Vili, 3 ^. Soc parole a Gl odano, 54
C scg. lodi a Claudiana f pria di parti-
re pel campo, 87. Indi ad Albina, 96.
Sue getta rammentate da Clitomede, IX,
6a, e srg. Suo valore, X, 1, 4 , e sf 8 -
14. Sfida il miglior nemico a «ingoiare
battaglia, i 5 * li c scg. Sue parole a
Tristano, ^ Pugna eoo lui, 7* e srg.
La loro battaglia è divisa, ioa. Dona a
Tristano il suo pugnale, 108. Riprende
il consiglio del re Vagorre, XII, 9 C
SCg. Sue parole a Palamoro, 19 C scg.
Accorre a difendere la città assediala,
38 . Percosso da Lionello, ?G c srg. Chia-
ma a battaglia Boortc, 98. Esorta i suoi
ad espugnare il vallo de' Britanni io 4
c srg. Passa il vallo de’ nemici, XIII,
3 c srg. Pugna eoo Tristano, 4 $* Bi-
chiama dall' assalto l'esercito al venir
della notte e parla ai capitani, 1 q 5 . Ac -
corre all' assalto notturno dato dai ne-
mici, XV, 78, 9», 95, 97. Provoca Tri-
alano alla pogna, so 1, 109. Parla alle
schiere, XVI, 4L Suo valore, 5 o, 18 e
srg. Pugna con Boortc, e srg. Assa-
le Arturo. ia 3 . Pugna pel vessillo britan-
no, XVII, 5 u. Contro Boorte, 60. E Tri-
alano, 6j_ 68. E di nuovo eoo easi pel
corpo di Caradosso, XVIII, 1 c srg. 44 *
Accorre alla chiamata di Brunoro per
espugnar il vallo de* pernici, 78 e. srg.
Go da la sua schiera all'assalto, XIX, s
C scg. i8j iQj ao. Uccide Gusscmante,
a8. Abbatte BÌomberisse, Il Passa at-
traverso il campo nemico, tri t scg. al-
la 44. Suo valore, 1 uS e srg. Insulta i
Britanni, 118. Teme e confida all' appa-
rire di Galeallo coll* armi di Lanciotto,
XX, aj. Parla a' suoi, Ll Suo scontro
di lancia. 4L Pugna eoo Galealto, 83 e
srg. Lo uccide, usa e scg. Percosso da
Tristano, 110. Si ritira, 117. Pngna con
Lancilollo e resta ucciso, XXlll, 114
al /ine.
T
A anlasso, li, »o 5 . Pugna col cesio, XXIV,
i 43 . E vinto, [ili
Taurino, figlio di Merlino, predice ai Bri-
tanni la vittoria d' Avarco, 11 , 5 a, 83.
Telatnoro, II, qS.
Teodorico, figlio di Clodoveo, li, sa» ;
Vili, lìL
Terrigano, li, »6o : V, 13, 36 , 86 ; XVIII,
57; XX, 44 : XXIII. 81, 84 . Ucciso da
Lancilollo, 97, 101.
Tristano, soccorre Arturo colle sue genti,
I, 3 . Parla di Lancilollo, ori consiglio
d’ Arturo, II, 3 ^ r srg. Dello I* Armoci-
co, ilo, su. Figlio di Meliadus, issi.
Duce del sinistro corno, III, 4 ì IV, 49 »
5 o. Sue gesta, 78 c srg. Scelto quale il
piu valoroso per pugnare contro Segura-
no, X, 4 1 . Sue parole ad Arturo e al re
Lago, 5 o. 5 i . Si arma, 53 e scg. Sue
parole a Segurano, Oj c scg. Pugoa con
lui, 7S e srg. La loro battaglia è divisa,
mi. Gli dona il suo cinto, ilo. Sua
parlata io consiglio contro il parere fe-
roce di Gaveno, XI, 4 ? e Pugna
con Palamede, XII, 56 . E con altri, e
srg. Sun valore, 31 r srg. Opponsi a Sr fo-
rano, XIII, LI» Li» 45 . Protegge la
ritirata dei Britanni e poi ai ritira, 96 e
scg- Conforta Artnro, XIV, 8 1 , mi e srg.
Propone d'assalire alla notte il campo
nemico, 39 r scg. Pugna, 99, iu 5 . Suo
colpo a Segurano, XVI, 1 3 1 , 1 3 a. Glie
ucciso sotto il cavallo, XVII, 19. Soc-
corre alla reale insegna, && r scg. Pu-
gna contro Segurano pel corpo di Cara-
dosso, XVill, 2, 4 «* Vola in soccorso di
Gavrno, 54 c srg. Incuora i suoi, (Li c
srg. Prepara le difese all' assalto, de' ne-
mici, 98. 106 e scg. Contro Segurano,
XIX, ut c srg. Vendica sui nemici i
Britanni orciai da Segurano, l \ 3 e scg.
Accorre alla chiamala di Lionello, 66.
86, 32. Soccorre Gaveno, 99 r srg. Suo
scontro di lancia, XX, 4_a. Pugna con
Segurano vincitore di Gairatto, 106 r
scg. E ricupera il corpo del morto re, 11*1
e scg. Lotta contro Malchino, XXIV,
» 3 a, c scg. Vince gli altri nel giuoco del
disco, iq». Accoglie il re Vagone, XXV,
17. Lo presenta a LancdoUo, il 4* scg.
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u,
riao, II, 9).
li
V
v
▼ 1 porre, re. Suo consiglio al re Clndas-
so, XI, 14. Altro puntiglio «li imtrnrrc
entro le mura I' asseilin, ripreso da Se-
gurano, XII, 3 r %rg. Conforta Clodasso,
e *’ offre ambasciatore a Candidilo per
ottenere i corpi di ('.lodino e Srgnraoo,
XXV, 1) r srg. Accollo da Tristano, a 3 .
Sua preghiera a Lancilollo, 35 r *tg.
Suoi conforti a Claudiana e Clodasso,
83 e srg.
Vrrralto, signor della Rocca, 11 , 168; YI t
20. Riprende Dnischeno limoroso'di Boor-
te, 40. Suo valore, e srg.; XII, 53 .
Chiama Segnrann per espugnar il vallo
de* Britanni, XY 11 J, 76.
Verligern, padre di Vorlimero, I, 29.
compagno di Mandoro e Costante,
II, 92.
Vittorio e Massimo, figli di Clodasso, T, 7.
Viviana, fata, I, la. Conforta Lancilotto,
75 t srg. Recagli armi fatate da Merli-
no, XXI, la r srg.
Yortimrro, padre di Pandragnne, I, 19.
Figlio di Verliger»,
3 »
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INDICE
DE’ CANTI DELL’ AVARCIIID'E
Ij Editore
a chi legge. . .
• Pa S- »
■W-M*-
Oanto 1 .
Pa S- 1
Canio II
Canto III .
Canto IV .
Canto V ,
Canio VI .
Canto VII.
Canio Vili
Canio IX .
Canio X .
Canto XI .
Canto XII. ....... Pag. 197
Canto XIII . n 311
Canto XIV n 3 3 1
Canto XV . » 347
Canto XVI .... . . . . a 3ÌiS
Canto XVII » a 85
Canio XVIII. 3 ui
Canto XIX 3 ig
Canto XX . . * 33 »)
Canto XXI * g 35 ?
Canto XXII >375
Canto XX 11 I >*393
Canto XXIV. ....... n 4*5
Canto XXV » 447
ludice delle materie » 469
t. ^ - j l944‘
993
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